I
Capitolo
Daphne Greengrass si annoiava facilmente. Ma c’era
una cosa che riusciva a saziare la sua terribile noia in quei giorni di scuola
sempre uguali e insignificanti: prendere di mira qualcuno e ridere, soddisfatta,
delle disgrazie che lei stessa gli aveva procurato.
Quella era una sera come tante, giocava a scacchi con la sua migliore amica Pansy Parkinson, sbuffando di tanto in tanto per il tempo
che trascorreva inesorabilmente lento.
«Tocca a te» biascicò annoiata l’amica, dopo aver spostato di un quadretto il
suo cavallo.
La Serpeverde sembrò non aver sentito la sua voce; continuava a
fissare, incantata, l’orologio magico appeso alla parete.
Regnava un innaturale silenzio nella sala comune dei Serpeverde.
I ragazzi dei primi anni erano già
sotto le coperte a sognare pony rosa, come spesso dicevano malignamente
le due ragazze, in giro c’erano solo un paio del settimo anno che fumavano
stravaccati sul divano.
Tra questi non poteva mancare Draco Malfoy che, con eleganti gesti della mano,
inspirava la sua sigaretta prufumante di cannella.
Daphne Greengrass scalciava sotto il tavolo, ma non
perché odiasse quel dolciastro profumo: attendeva qualcosa.
«Daphne, ci sei?» la richiamò Pansy, sventolandole una mano davanti agli
occhi.
«Sì, scusa» mormorò distratta, facendo finalmente la sua mossa.
Pansy fece scacco matto, aveva un’espressione sorpresa
dipinta in volto.
Daphne non perdeva mai a scacchi.
«Si può sapere perché guardi continuamente l’orologio?» le domandò irritata,
sospettando che l’amica avesse qualcosa da nascondere.
Daphne si strinse nelle spalle.
«Mi annoio. Non ci sono feste, ragazzini da sfottere, Grifondoro da sbeffeggiare: mi annoio» si lamentò col
broncio.
Pansy scosse la testa: quella ragazza era davvero
impossibile.
Nonostante le sue affermazioni, continuava a fissare, ostinata, l’orologio,
come se da un momento all’altro ne sarebbe sbucato qualcosa. Pansy conosceva bene la sua compagna di casa:
se Daphne si annoiava doveva aver trovato per forza una
piacevole distrazione. Oh no, non era la compagnia di qualche affascinante
ragazzo, la piacevole distrazione.
Daphne si divertiva a rovinare la vita di un povero
sfortunato che prendeva a caso, ogni anno.
Neville Paciok era già stato preso di mira l’anno prima.
Chi sarebbe stata quell’ anno la vittima?
«Chi è stavolta?» chiese di getto la ragazza, rassegnata.
Daphne sussultò, ma poi sorrise, compiaciuta della
perspicacia della compagna.
Con un ghigno diabolico, che le sfigurava il viso perfetto, sibilò due parole.
«Draco Malfoy».
Pansy alzò un sopracciglio e scoppiò a ridere.
«Impossibile. Perché proprio lui?».
La bionda alzò il mento, offesa.
«Perché ho bisogno di vendicarmi» affermò con quel suo tono avvolto nel
mistero, gettando un’occhiata nella direzione di Draco Malfoy che, ignaro di tutto, ciarlava con
un suo compagno di casa.
Una donna rifiutata è più pericolosa di un serpente che striscia lentamente
fino a te, di soppiatto, e ti avvolge nelle sue spire, proprio quando meno te
lo aspetti.
Pansy era piuttosto scettica, non credeva affatto che la
sua compagna sarebbe riuscita a rovinare Draco Malfoy.
«E come pensi di fare?».
Daphne si sporse maggiormente verso la ragazza, in modo che
nessuno potesse sentirla.
«Non ti sei accorta che Draco esce ogni notte, a mezzanotte per
la precisione?».
L’altra fece spallucce. Non aveva idea di cosa stesse parlando.
«Be’, è così. Sono sicura che incontra qualcuno. Devo scoprire chi» le
confidò in tono cospiratorio.
«Va a letto con una ragazza diversa ogni notte, probabilmente. Vuoi scoprire
l’identità di ognuna?» la canzonò Pansy, divertita.
Daphne distolse lo sguardo da lei e si soffermò a fissare il
vuoto per una manciata di secondi.
«No. Questa volta è diverso. Ne ha una fissa» mormorò, amareggiata.
Mancavano solamente venti minuti alla mezzanotte. Quella sera l’avrebbe
seguito, e avrebbe finalmente scoperto chi era la sgualdrina che stava
osando portarle via la sua deliziosa ossessione.
VVV
Mezzanotte- l’ora degli amanti. Si incontravano
a quell’ora per evitare di venir disturbati da occhi indiscreti.
Draco attendeva con l’impazienza di un bambino l’arrivo
della sua compagna di giochi - lussuria.
Il cuore gli batteva forte, come la prima volta, e non vedeva l’ora di
possedere il suo.
Stava per accendersi un’altra sigaretta per noia, quando scorse finalmente
una chioma riccia venir fuori dall’oscurità.
Hermione era raggiante, i capelli erano raccolti in modo
disordinato, tenuti insieme solamente da una matita Babbana, ma lei non se curava affatto.
Fiera e selvaggia.
Non le andò incontro, aspettò che fosse lei a raggiungerlo. Gli piaceva
osservare la sua andatura, così leggera ed elegante, sinuosa come una pantera.
«Sei in ritardo» constatò il ragazzo, irritato.
«Ho dovuto aiutare Harry con il tema di Trasfigurazione, scusami» sospirò.
Draco sbuffò sonoramente, non tollerava l’idea che Hermione trascorresse tutto quel tempo con un uomo che non
fosse lui.
«Dannato Potter».
Hermione inarcò le sopracciglia, contrariata.
«Che ti prende?».
«È sempre tra i piedi» commentò acidamente.
Hermione incrociò le braccia al petto e volse il capo
dall’altro lato, dirigendo il suo sguardo il più lontano possibile da lui.
«Smettila» sbottò, lapidaria.
Draco strinse i pugni. C’era sempre qualcosa che lo
spingeva a esser paranoico, a non fidarsi di lei, a essere insicuro.
Cosa aveva di speciale lui? Lui che aveva un carattere impossibile, che
guardava tutti dall’alto in basso e li considerava degli scarafaggi. Cosa la
spingeva ad amarlo?
Potter era il santo, la personificazione del bene. Lui era quella del male. L’amico
fedele che le era stato sempre accanto in tutti quegli anni - quelli
che lui aveva trascorso a umiliarla . Li vedeva sorridere,
nell’intervallo tra una lezione e l’altra; a cena, quando gettava un occhio di
sfuggita al tavolo dei Grifondoro, attento che nessuno lo vedesse. A
volte, aveva persino l’impressione che l’una completasse le frasi dell’altro.
Li aveva osservati. Li aveva temuti. E continuava a temerli.
“Senza gelosia amano soltanto i cani”, le aveva detto una volta.
Gli uomini ne sono vittime. Si lasciano guidare da quel sentimento efferato,
cieco di fronte alla realtà, pronto ad attaccarne le viscere, non appena lo
inviti ad entrare.
La gelosia è un ospite inatteso, che si fionda sulla
tua tavola e divora tutto ciò che trova, per poi derubarti dei gioielli più
preziosi, quelli che tieni in camera da letto.
È l’amico che ti pugnala alle spalle. La persona di cui ti fidi di più nell’
incolmabile vuoto della pazzia. I sospetti sono il suo pane quotidiano.
“V'è una gelosia villana che è un diffidare della persona amata; v'è una
gelosia delicata che consiste nel diffidare di sé”, aveva replicato
lei col suo inimitabile tono saccente.
Qual è quella che le racchiude entrambe? Avrebbe voluto chiederle.
VVV
Abominevole. Fu questa la prima parola che Daphne avrebbe voluto
urlare.
Contro natura. Disgustoso.
Il suo Draco, un nobile Purosangue, si scopava
una maledetta Sanguesporco.
Aveva preferito una Sanguesporco a lei, Daphne Greegrass, discendente di una delle più
antiche famiglie Purosangue, la fanciulla più affascinante che Narcissa Malfoy avesse mai visto,
come lei stessa aveva affermato ad una delle numerose feste svoltesi a Malfoy Manor. Appiattì la
schiena contro il muro e si lasciò cadere lentamente a terra, rannicchiandosi
su se stessa.
Qualcuno bussò più volte alla porta di quel bagno, senza ottenere risposta.
Daphne non se ne curò; pianse
silenziosamente le sue ultime lacrime, amalgamate d’odio e gelosia. Consolate
dalla vendetta.
Diverse ore dopo, in cui si era graffiata braccia e schiena- vittima della sua
stessa follia- si alzò di scatto e stropicciò gli occhi per lavare via le
lacrime: non doveva rimanere alcuna traccia della sua umanità.
Lo specchio rifletté l’immagine del suo viso che, prima sfigurato dalla rabbia
e dall’angoscia, adesso appariva fiero, superbo e impassibile, come sempre.
Daphne era una grande attrice, e presto
avrebbe recitato la parte più importante della sua vita. In fondo, come diceva
un famoso filosofo latino, la vita è come una commedia: non importa quanto è
lunga, ma come è recitata.
Ma su una cosa si sbagliava: la vita è come una tragedia. A una tragedia si partecipa, una
commedia la si guarda soltanto.
VVV
Bagliori di fioca luce, prodotta dalle
candele, facevano brillare i corpi intrecciati dei due amanti. La Stanza delle
Necessità aveva preso le fattezze di un’accogliente camera da letto; le candele
levitavano a un metro da terra, colorando l’ambiente di raggi rossastri e
violetti e creando un arcobaleno insolito sul soffitto incantato, buio e
gremito di stelle.
Bocche ansimanti si erano cercate e si erano trovate, dopo essersi a lungo
rincorse, assaporando sublimi sensazioni.
Imperlati di stanchezza, si accarezzavano delicatamente, per studiare ogni
piccolo particolare di quella pelle che avevano imparato a conoscere, ma di cui
si meravigliano scoprire sempre qualcosa di nuovo.
Per esempio Hermione si era ritrovata ad ammirare un
piccolo neo, che fino a quel momento non aveva notato, sulla spalla di Draco.
«Voglio darti una cosa» le confidò in tono enigmatico, attorcigliandosi un suo
ricciolo sul dito.
Hermione si mise a sedere, in trepida
attesa. Le occasioni in cui Draco si mostrava dolce
o vagamente romantico erano veramente sporadiche, ragion per cui, quando
accadevano, sentiva il cuore denso di stupore.
Draco si sporse sul tavolino adiacente al
letto, dove giaceva il mantello della sua divisa, seguito dal resto degli
indumenti che appartenevano alla ragazza.
Cacciò una mano dentro le tasche, alla ricerca di qualcosa che, a veder
l’espressione del suo viso preoccupato, non trovandolo subito, doveva essere
molto prezioso.
Si illuminò non appena lo trovò, rassicurando la ragazza con un sorriso
accennato.
I sorrisi sinceri di Draco erano come gli
Unicorni; bellissimi e magici, ma schivi e misteriosi, difficilmente si riesce
a stargli dietro per quanto sono fuggevoli. Creature rare, che vengono al mondo
solo quando nasce un individuo speciale, e di questi, come ben si sa, non ve ne
sono molti.
Solamente una fata può avvicinarli, e una volta che quella ha cantato, gli
Unicorni si piegano di fronte a questa creatura meravigliosa e si lasciano
accarezzare dal suo dolce tocco.
Solo uomini malvagi e avidi anelano al sangue dell’Unicorno.
Draco era certo che fosse nato un Unicorno
il giorno in cui Hermione era venuta alla
luce.
«Apparteneva a mia nonna».
Le porse un fazzoletto di seta color smeraldo, ricamato da sottili linee
argentee su ogni lato.
Al centro di esso splendeva l’antico stemma della famiglia Black: due stelle bianche e una spada su
uno scudo nero, divise da un angolo anch’esso di color bianco, con due cani
grigi posti in alto a far la guardia.
Toujours Pur.
«Non posso accettarlo, Draco. È un cimelio
della tua famiglia» Hermione era lusingata, ma
non capiva perché voleva che lo avesse lei. Lei che con il sangue puro non
aveva niente a che fare.
Druella si sarebbe rivoltata nella tomba e
avrebbe lanciato maledizioni atroci al nipote, se lo avesse saputo, secondo il
suo modesto parere.
«Mia nonna era una donna piuttosto rigida, odiava i sentimentalismi, ma quando
mi diede questo fazzoletto, poco prima di morire, mi disse che non avrei dovuto
ripercorrere i suoi stessi errori. Che uccidere, odiare il prossimo e dedicare
la propria vita ad onorare un simbolo - uno stemma in questo caso - fosse
patetico» raccontò, malinconico, tracciandone i contorni con le dita.
«E perché vuoi darlo a me?» la ragazza continuava a non capire.
«Per rompere la tradizione. Voglio che lo abbia qualcuno che sia davvero
puro. Sempre puro. E tu lo sei sicuramente più di me» le prese la mano,
adagiando il fazzoletto sul suo palmo, poi la chiuse, coprendola con la sua.
VVV
«No. Non se ne parla!» protestò Pansy, stravolta, scattando in piedi.
Daphne la trafisse con lo sguardo: non si
aspettava certo una risposta negativa da parte sua, dopo averle confidato ciò
che aveva in mente di fare.
Si alzò dalla poltrona su cui era comodamente seduta e iniziò a squadrarla
scrupolosamente, come a volerla studiare, mentre le girava attorno con il passo
elegante di un felino.
«Chissà cosa direbbe tua madre, se sapesse che hai perso la testa per Blaise Zabini» le accarezzò i
capelli con le punte delle dita, simulando un broncio dispiaciuto.
Pansy inghiottì a vuoto, immobile come una
statua.
«È un Mezzosangue, giusto?» finse un’aria assorta, per poi incurvare le labbra
in un ghigno.
«Non … non puoi farlo … » c’era il terrore riflesso negli occhi di Pansy, l’oblio più oscuro.
«Certo che non lo farò, Pansy. Che razza di
persona credi che sia?» si toccò il petto con fare offeso.
«A patto che tu faccia quello che ti ho chiesto» aggiunse perfidamente infine,
sibilandole all’orecchio.
Alla compagna di casa non rimase che rassegnarsi e accettare. Non poteva
mettere in pericolo se stessa e il ragazzo di cui era innamorata, anche se
questo comportava rovinare la vita di qualcun altro. Ogni scelta ha un prezzo. Pansy aveva fatto la sua ed era pronta a
scontarne il prezzo, qualsiasi esso fosse. Egoista, ingenua forse, ma chi
avrebbe potuto mai biasimarla? Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato
così alto.
Citazioni.
- “Senza gelosia amano soltanto i cani” di Francoise Sagan;
- “V'è una gelosia villana che è un diffidare della
persona amata; v'è una gelosia delicata che consiste nel diffidare di sé”di François
de La Rochefoucauld;
- “La vita è come una commedia: non importa quanto è
lunga, ma come è recitata”di Seneca;
- Toujours Pur- Sempre Puro.
È il motto della famiglia Black (fonte Wikipedia).
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La storia si concluderà con il prossimo capitolo.