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Autore: Guido    21/02/2007    3 recensioni
Un anno dopo la fine della Seconda Guerra, Hogwarts riapre i battenti su un Mondo Magico molto cambiato e molto insicuro, dove anche la pace appena conquistata non sembra destinata a durare. Quale destino attende i giovani allievi, i professori vecchi e nuovi, dentro e fuori la Scuola? E la nuova guerra, se scoppierà, sarà sempre tra maghi, oppure... contro i Babbani? Domande molto pressanti per Draco Malfoy, improvvisamente catapultato sulla cattedra di Difesa, e anche per qualcuno che, di nascosto, tenta di rintracciare un Harry Potter svanito nel nulla ormai da anni...
(NOTA: ho cominciato a scrivere la storia prima che uscisse "I Doni della Morte", l'esito della guerra è stato molto diverso, ma scoprirete i dettagli principali già nel primo capitolo. OOC per il personaggio di Draco, del resto la serie è incentrata proprio sulla sua evoluzione)
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Da Mangiamorte a...'
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ECHI DAL PASSATO

Echi dal passato



Ringraziamenti:
Cl33: la tua domanda è una delle più interessanti che mi siano mai state poste. Mi rendo conto che l'esigenza di sviluppare personaggi e trama ha fatto passare in secondo piano l'architettura dell'AU e anche per questo sto scrivendo il prequel; pensavo di farlo terminare con la battaglia finale, ma mi hai indotto a riconsiderare tale decisione.
Vedi, credo, da un lato, che ai Maghi importi ben poco dei Babbani: dopotutto, anche i vari Mezzosangue e simili, per quanto ne sappiamo, vivono nel Mondo Magico e non si mescolano molto con i Babbani. Dall'altro, sono anche convinto che Voldemort sia stato percepito innanzitutto come un Mago Oscuro ossessionato con la purezza di sangue; mi pare che gli stessi testi canonici battano su questo punto, piuttosto che sul suo odio per i Babbani. Del resto, non mi stupirei se egli li considerasse animali, degni, al massimo, di disprezzo, ma non di odio. Così, è facile immaginare che Lucius abbia potuto aggiustare il tiro e proporre una "terza via" tra Voldemort e Silente (vedi discorso di Cormac): la vera guerra non è e non dev'essere tra Maghi, bensì contro i Babbani. Il primo punto incontra un successo incondizionato in qualsiasi società, magica o meno, appena uscita da un conflitto; il secondo non è (ancora) provclamato apertamente, ma insinuato con mezzi più subdoli, come la nuova linea editoriale dei fumetti di Martin Miggs o gli articoli sulle armi dei Babbani.
Hepona: spero di risentirti! Sì, il cap. ha un che di contorto e temo che qualche ripetizione sia inevitabile, anche se ho cercato di sfuggirla come la peste. Per l'action, sigh, temo che dovrai aspettare ancora un poco: probabilmente, la vedrai prima nel prequel. Spero che gli esami siano andati per il meglio.
Mariademolay: vedremo qualcosa di meglio dei
pamphlet, tranquilla!
Sabry: bentornata anche a te. Manca solo Rico, poi ci siamo tutti. La morte di Pansy dovrebbe essere mostrata in dettaglio nel prequel, ma non prevedo di arrivarci in tempi brevi; ad ogni modo, non escludo qualkche breve flashback. Blaise dovrebbe ricomparire tra due capitoli circa, almeno per come stanno le cose al momento: l'ordine dei capp. in progetto è stato modificato più volte.



The mansion is warm at the top of the hill,
Rich are the rooms and the comforts there,
Red are the arms of luxuriant chairs
And you won’t know a thing ‘til you get inside.


J.M., The Celebration of the Lizard




Il gigantesco portone d’ingresso si richiuse alle sue spalle, senza il minimo rumore; il maniero restò immerso in un silenzio profondo e teso.
Il passo improvvisamente stanco, Lucius Malfoy percorreva il vestibolo; a poco a poco, l’espressione gelida e severa del Ministro, studiata per atterrire gli impiegati fannulloni, lasciava il posto ad una profonda stanchezza, venata d’ansia e di angoscia. Ogni singola pietra di quei maledetti corridoi celava qualche trabocchetto della memoria…
Troppo vuota, quella casa. O meglio: troppo piena. Piena della sua assenza.
Spossato, leggermente affamato e solo, Lucius si diresse in fretta verso il soggiorno, abbandonando la giacca sul pavimento. Ci avrebbero pensato gli Elfi Domestici, con la stessa scrupolosa cura con cui si tenevano alla larga, finché il Pardone non li avesse chiamati.
Ivi, lo accolse la testa di Dobby, appesa sopra il camino come un trofeo di caccia.
Da mesi, ormai, lottava contro lo stress da superlavoro e non poteva metter piede in casa senza che il silenzio, il silenzio ostile che riempiva ogni stanza, corridoio e scala, si mettesse a inseguirlo, brandendo la dolcissima tentazione della malinconia; eppure, ad onta della stanchezza, a dispetto della malinconia, quella testa riusciva sempre a strappargli un sorriso. Come il cimitero di Hogwarts. Forse perché entrambi gli ricordavano le vittorie, i nemici annientati e la sorte che attendeva chiunque osasse ribellarsi al potere di Lucius Malfoy, Ministro della Magia.
Crollò sulla poltrona più vicina al fuoco acceso, rimirando l’espressione dell’Elfo decapitato, quasi incredula, come se davvero avesse creduto di potergli sfuggire, che Harry Potter lo avrebbe protetto e che Voldemort sarebbe stato sconfitto.
Si chiese se avrebbe trovato la stessa espressione sui cadaveri dei Babbani. Quelli non sapevano niente di Maghi, Oscuri o meno; erano così sicuri, così fiduciosi nella loro tecnologia…
Ma quella fiducia stava per crollare.
Cosa ne sarebbe rimasto, quando i Maghi fossero venuti allo scoperto? Quando gli Auror avrebbero conquistato le loro basi militari, mettendo fuori uso quegli arsenali formidabili?
In cosa avrebbero creduto, gli sporchi Babbani, di fronte alle stragi? Dieci, venti, trenta cittadine distrutte ogni giorno… Come avrebbero spiegato quei massacri, i loro scienziati, i loro esperti, i loro commentatori televisivi? Sembrava che avessero sempre una spiegazione per tutto.
Vincendo una ripugnanza tanto radicata da essere quasi istintiva, si era costretto a studiare il loro mondo, aveva imposto al Mondo Magico di conoscere il proprio nemico, ammantando quella dura necessità con parole fiorite: pace, comprensione, fratellanza. Le stesse usate da Amelia Bones, che aveva addirittura progettato di allearsi con i Babbani. Un’idea di Silente, senza dubbio: chi altri avrebbe potuto credere che i Babbani potessero servire a qualcosa, contro Voldemort? O contro la Magia in generale, se è per questo.
Adesso, il Ministero conosceva il proprio nemico. Il nemico vero, il nemico di sempre, non il Mago Oscuro di turno.
Adesso, il Ministero era pronto a colpire.
Il sorriso si era allargato in un ghigno.
Quella stanza, divenuta, negli ultimi tempio, il fortilizio emotivo in cui si rifugiava per difendersi dalla malinconia, meritava di assistere al brindisi del trionfo!
Osservò il tavolino di noce scuro, che la servitù manteneva sempre carico di liquori, e scelse l’unica bottiglia intatta. Rum. Non proprio l’ideale, per un brindisi, ma non aveva voglia di farsi portare qualcosa di più raffinato. Stappò la bottiglia, si versò una dose abbondante e, pur fischiando per il bruciore, la ingollò in un sorso solo. Scrollò la testa, come un cane bagnato, e sospirò soddisfatto, mentre una sorsata gemella seguiva la prima.
L’alcool colpì come un pugno il suo stomaco a digiuno.
Lo sguardo, improvvisamente annebbiato, corse sulle pergamene sparpagliate accanto a lui, fuoriuscite dalla capace cartella in cui – imponendosi uno strappo alle regole – le aveva trasportate dall’ufficio, per godersi il sapore ineffabile del trionfo nella pace delle mura domestiche. O meglio, nell’unica stanza dove tale pace, pur minacciata, permanesse: il soggiorno.
L’alcool che ruscellava nel suo stomaco lo prosciugava di ogni esultanza, né poteva concedergli l’incoscienza tante volte desiderata: ci sono ricordi che neppure il più potente dei liquori riesce ad offuscare. Lucius Malfoy, di bicchiere in bicchiere, acquisiva invece quella lucidità estrema e dolorosa che, talvolta, accomuna gli ubriachi ai filosofi.
Volevo assaporare il mio trionfo… e scopro che non ha il minimo sapore. Non ora. Non più.
Ad una ad una, sollevò le pergamene, senza vederle realmente. Ne conosceva il contenuto a memoria: l’ultima e pressoché definitiva versione dei piani di attacco ai Babbani di Gran Bretagna e Irlanda.
E poi, semisepolto in quel vortice di piantine, memorandum e schede tattiche, c’era un promemoria riservato, indirizzato direttamente al Ministro, a lui che lo attendeva, impaziente, ormai da mesi.
L’indomani, sarebbe sceso al Nono Livello.
Con un po’ di fortuna, avrebbe potuto fissare l’ora X alla mezzanotte di Hallowe’en. Dopo secoli di persecuzioni, fughe e segretezza, finalmente la razza dei Maghi avrebbe conquistato il ruolo dominante che le spettava per diritto naturale. La notte di Hallowe’en, tradizionalmente la più oscura, sarebbe stata la vera alba di un mondo nuovo.
Se tutto fosse andato come doveva andare, entro la fine dell’anno, le Isole Britanniche sarebbero state sotto il pieno controllo dei Maghi. Eliminare gli ultimi Babbani avrebbe richiesto qualche mesetto in più, ma non aveva importanza: dopotutto, le sue truppe si sarebbero pur dovute preparare alla conquista del mondo.
Anche i Maghi più babbanofili del pianeta avrebbero riconsiderato le proprie posizioni, una volta che avessero visto l’Inghilterra rinata, l’Inghilterra libera dai Babbani. La primizia di un mondo nuovo.
Un mondo senza di lei, sussurravano quegli stramaledetti ricordi.
Un mondo senza di lei, ribadiva il silenzio del Maniero deserto.
Un mondo senza di lei, cantava il rum, al ritmo del suo cuore.
Scagliò il bicchiere contro la parete e lo vide andare in frantumi.
Narcissa, Narcissa, amore mio, perché mi hai lasciato?
Non ho potuto chiedertelo, prima che morissi. Non ho potuto salutarti. Non ho avuto il coraggio… il coraggio di affrontare il mio fallimento.
Non sono riuscito a salvarti, amore mio. Proprio non ci sono riuscito.
E ti ho lasciata sola. Sola con lui.

Ormai, si rifiutava persino di pensare le parole “mio figlio”.
Draco. Draco che si era chiuso nella camera di sua madre, per tutta quell’ultima, orribile settimana in cui non era rimasto altro da fare che attendere l’inevitabile. Draco che non mangiava. Draco che lo evitava.
Con le poche forze che le rimanevano, Narcissa lo aveva pregato di perdonarlo. Era riuscita a fargli promettere che non lo avrebbe diseredato; ma, in quel momento, pensando al futuro che stava costruendo, Lucius si sentì nauseato alla sola idea di lasciarlo a lui.
E lo invidiò anche, in segreto, per aver avuto il coraggio di assistere ai suoi ultimi momenti, forse di raccogliere un’estrema parola da quelle labbra belle, belle anche nella morte.
Forse. Non gli aveva chiesto niente. Non si erano parlati, neanche al funerale.
Da quel giorno, non aveva quasi più visto suo figlio. Nessuna voglia e troppo lavoro: in ufficio alla sette del mattino e sgobbava fino a mezzanotte.
Curioso. Non si era mai impegnato tanto nei suoi progetti, nelle sue ambizioni, come stava facendo ora che non gli importava più nulla di nulla.
L’abito nero che indossava in permanenza non era soltanto una concessione alle leggi del lutto, né esprimeva solo la desolazione del suo cuore; no, Lucius riconosceva, in quel momento di lucidità estrema, prima che il rum riuscisse ad annebbiargli il cervello, che tutti i suoi sogni erano morti con lei.
Narcissa, amore, soltanto adesso mi rendo conto che desideravo un trono per te. Volevo che tutti si inchinassero a baciarti la mano, che l’intero Mondo Magico venerasse la tua bellezza… Sarei stato il custode di una stella scesa in terra…
Ingollò un altro bicchiere. E, finalmente, sentì i pensieri che svanivano, la loro dannata voce taceva.
La testa bionda crollò in avanti, quasi ansiosa di tuffarsi nell’oblio.
Un trono. Alto e scintillante. Oro che impreziosisce l’avorio. Bello come il viso di lei, della stessa tonalità, uno splendore placido. E una lunga passatoia di porpora, sì, due ali di supplici inginocchiate ai lati…
Chi è che avanza dal fondo della grande sala?
Ah, è biondo come lei, il prode cavaliere. Basta uno sguardo per capire che è il suo promesso sposo, che il Destino li ha uniti prima ancora che nascessero.
Alto anch’egli, occhi chiari e mutevoli, ora fissi su di lei
“Amore mio, parlami, ti prego.”
La regina volse il capo altero verso di lui e si alzò. Una lunga veste nera le scendeva fino ai piedi.
Corse verso di lei, le braccia già protese per abbracciarla. Le labbra di Narcissa, quasi madreperlacee, si dischiusero appena, pronte al bacio…
E vomitarono un getto nero, putrido, che lo colpì in piena faccia.
Incredulo, vide un volto verdastro, contorto dall’odio, balzare su di lui, dita fetide stringerlo alla carotide…
«Noooo!»

Si svegliò di soprassalto, in un bagno di sudore.
Narcissa, Narcissa, non è colpa mia, lo hai detto anche tu, è stata l’ultima cosa che mi hai detto…
Ma a che pro ripeterlo? Era il primo a non crederci.

Molto più a Nord, nella quiete di Hogwarts, che ormai gli era tornata familiare, Draco rifletteva sul modo migliore di passare la sua prima serata tranquilla.
A quel memorabile primo giorno di lezioni ne erano seguiti quattro altrettanto frenetici: nomina di Prefetti e Capiscuola – ovviamente, non era stato possibile sceglierli prima – ricostituzione delle squadre di Quidditch (McLaggen era stato rimesso in sesto fin troppo in fretta e aveva subito cominciato a spaccare timpani e palle). E le regole, quella fottuta quintalata di regole che il Decreto Numero Trentadue imponeva di conoscere, interpretare ed applicare.
Rabbrividì, ripensando all’interminabile riunione del Collegio dei Docenti.
Con il suo sorriso più perfido, la Marchbanks li aveva accolti sventolando la bozza della circolare applicativa del decreto. Scritta interamente in Latino. Anche ripensandoci, Draco non sapeva se ridere o piangere. Per fortuna, Blaise non aveva battuto ciglio e – con un semplice tocco di bacchetta che nascondeva, in realtà, un Incantesimo molto complesso – aveva tradotto tutte le copie in lingua corrente. A quel punto, però, si era aperta una discussione a parte, tra lui e la Marchbanks, sulle lingue da usare negli atti interni alla Scuola. Come tutti gli altri Professori, si era addormentato in qualche momento imprecisato, dopo la centesima citazione del Decreto Vattelapesca. Ma, alla fine, Blaise era riuscito a spuntarla, così i begli addormentati erano stati rudemente riscossi e costretti a discutere la circolare nel merito.
Maledetto Blaise, non poteva strappare un rinvio, già che c’era?
La riunione era appena terminata, ma non avrebbe saputo dire se, alla fine, avessero deciso qualcosa o no. Tutto quel gran parlare lo aveva come ubriacato.
Neanche una lezione di Rüf…
Sprofondò nella poltrona, sfinito.
Il suo appartamento - identico a quello di Blaise - gli piaceva molto: per qualche misteriosa ragione, riusciva ad infondergli una sensazione di pace che, in momenti come quello, era davvero la benvenuta.
Non era poi così male, trovarsi di nuovo ad Hogwarts. C’era Blaise… rise di nuovo, e con lo stesso gusto, ricordando lo scherzetto della Soluzione Corroborante a Ragnok. Ne avevano riso insieme. Era bello sapere di aver ritrovato un amico.
E poi c’erano le lezioni. Quel dannatissimo lavoro gli piaceva! Con il vecchio non l’avrebbe ammesso neanche sotto Cruciatus, ma, in fin dei conti, avrebbe dovuto ringraziarlo.
Ormai, aveva preso contatto con tutte le classi; solo i primini avevano evitato il test di ingresso sul programma svolto in precedenza. I risultati non erano eccellenti, ma neppure disastrosi; solo che si era limitato a verificare la conoscenza della teoria.
Sperava che la Preside gli consentisse di riaprire il Club dei Duellanti: quei ragazzi avevano bisogno di pratica.
Intendiamoci, anche la teoria aveva la sua importanza e aveva scoperto che insegnarla non era affatto male; di certo, sempre meglio che studiarla! E poi, adesso che aveva visto quella materia all’opera, capiva il senso di tante nozioni che, da studente, gli erano parse superflue, banali o irrilevanti.

Così, mentre i primini si sorbivano un’introduzione generale alla materia – il genere di affreschi panoramici e multidisciplinari che lo aveva sempre affascinato – gli allievi più grandi sgobbavano sotto un ripasso capillare di tutta la teoria.

Non era troppo sicuro di saper gestire le lezioni pratiche, ma le avrebbe dovute organizzare quanto prima.

Sul tavolino accanto a lui comparve una teiera fumante, accompagnata da tazza, zucchero e dolcetti. Gli Elfi Domestici spaccavano sempre il secondo. Una puntualità quasi snervante.
Il tè lo rianimò tanto che, dopo un’occhiata agli scaffali ancora vuoti, decise che era giunto il momento di disfare i bagagli: non poteva rimandare all’infinito, per quanto potesse dispiacergli rivedere certi effetti personali.

Qualche minuto dopo, la stanza messa a soqquadro, i vestiti sparpagliati qua e là, Draco scrutava con curiosità un cofanetto di legno dorato, appena riemerso dalle profondità delle valigie.

Con curiosità, ma anche con dolore: il dolore di una perdita troppo recente.

Narcissa Malfoy gliel’aveva dato poche ore prima di morire, facendogli capire - con lo sguardo e a gesti, perché, ormai, non riusciva più a parlare – che conteneva qualcosa di molto importante, ma che non doveva aprirlo subito, soltanto… dopo.

Poi era scivolata nell’incoscienza di un’agonia molto breve, come se il suo corpo fosse già stato svuotato di ogni energia. Si era spenta il primo di Agosto, in una mattina di sole, tanto splendida quanto beffarda; il funerale, celebrato in forma strettamente privata, si era tenuto l’indomani e, al termine della cerimonia, suo padre gli aveva comunicato quale sarebbe stato il suo prossimo lavoro.

Il cofanetto misterioso era rimasto tra le cose di Draco, in attesa, durante tutto quel mese, mentre il ragazzo lottava prima con suo padre, per convincerlo a desistere, poi con sé stesso, per accettare l’inevitabile; e sempre, sempre, con il proprio dolore.

Costrinse le mani a smettere di tremare e ad aprire il cofanetto. Si trovò in mano un pacco di lettere ingiallite, tenute insieme con lo spago; al di sopra, una busta nuova, sciolta, recava il nome Draco, scritto in caratteri nitidi e dorati.

La calligrafia di sua madre fu sufficiente a fargli salire le lacrime agli occhi. Lacrime salate, che bruciavano, che da troppo tempo attendevano di sgorgare…

Con la vista offuscata, Draco aprì la busta – non sigillata, notò – e ne estrasse un foglio solo, scritto su entrambe le facciate; impiegò mezzo minuto buono a determinare su quale delle due si trovasse l’esordio.

Le lacrime scorrevano in silenzio, mentre si sforzava di mettere a fuoco le prime righe.


Mio carissimo Draco,


Bastò perché gli sfuggisse un singhiozzo. Il primo di una serie molto lunga.


scusami se ho fatto ricorso a questo espediente vigliacco, se non ho trovato il coraggio di essere sincera con te, prima di morire.

Sei appena uscito dalla mia stanza, hai cercato di consolarmi, povero bambino mio, e non capivi perché io rimanessi in silenzio. Non potevi sapere che avrei voluto asciugare, un’ultima volta, le lacrime che vedevo nuotare nei tuoi occhi, e tacevo per viltà, perché non trovavo il coraggio di dirti che stavi soffrendo per colpa mia.

Draco, ho commesso suicidio. Parlo come se fossi già morta, perché so bene che mi restano poche ore appena e che non ho la minima speranza di salvarmi, giacché l’Incantesimo di Morte Lenta che ho scelto di usare è irreversibile; quindi posso solo affidare il mio pentimento inutile alla Penna Prendiappunti, affinché tu sappia la verità.

Sto morendo per una mia scelta, ma ora – ora che è troppo tardi! – mi accorgo che tutte le mie riflessioni mi hanno portata a commettere un errore terribile e a far soffrire le due persone più importanti della mia vita, te e tuo padre.

Credevo che Lucius avesse smesso di amarmi: come spiegare altrimenti la sua freddezza, la sua chiusura? Perfino adesso, stento a non piangere, ripensando a tutti quei pasti consumati in silenzio, con tuo padre irremovibile nella decisione di ignorare te e, di conseguenza, anche me; una decisione – mi dicevo – che sarei riuscita a fargli mutare, un tempo, prima che la mia scelta di aiutarti, a dispetto di tutto, mi rubasse il suo cuore. Invece, adesso che sto morendo, sono riuscita a fargli promettere che non ti diserederà, ma non più di questo.

Solo ora, ora che è troppo tardi, vedo quanto mi sia sbagliata, quanto tuo padre mi ami ancora! Tutte le volte che viene a trovarmi, leggo l’amore nei suoi occhi; l’amore, la paura di perdermi e il senso di colpa. Come se l’inesistenza di una cura fosse colpa sua. Invece la colpa è mia! Soltanto mia!

Draco, Draco, quando sei nato, credevo che saresti stato la mia ragione di vita, ma non prevedevo che tu e tuo padre poteste mai scontrarvi, certo non in un modo tanto violento che neppure io sarei riuscita a riportare la pace. E tu sai se ci ho provato! Ma invano…
Non vi biasimo per le vostre scelte, anche se vi hanno portati a combattere l’uno contro l’altro; ma, in mezzo a questa guerra, io non riesco a vivere!
Perdonami, bambino mio, perdonami, se puoi. Perdona la follia, la stupidità di una moglie e di una madre. E fa’ in modo che tuo padre perdoni sé stesso, che non si incolpi della mia morte, come sta facendo ora. Se gli scrivessi una lettera come questa, si sentirebbe due volte più colpevole; oppure odierebbe te due volte di più, per la stessa ragione.

Ti prego, Draco, fa’ che la mia morte non sia stata completamente inutile, completamente stupida! Se proprio non può finire, questa vostra guerra, che almeno tuo padre smetta di tormentarsi! Avrebbe bisogno di me, per affrontare un simile dolore, ma dovrai sostenerlo tu. Non ti chiedo di farlo per amor mio, ma per amor suo. Perché tuo padre – siine certo – ti ama ancora; solo questo spiega la profondità del suo rancore.

Nelle mie attuali condizioni, potrei addirittura diventare un fantasma, ma, se dovesse accadere, non credo che troverei mai il coraggio di cercarvi, di affrontare le vostre espressioni di dolore e di legittima accusa. Perciò, bambino mio, questo è un addio. Se ai morti è consentito, in qualche modo, aiutare i vivi, sta’ certo che non lascerò nulla di intentato per le due sole persone che ho amato – letteralmente – più della mia stessa vita.

 

Con Amore,

Narcissa



Draco posò il foglio con un gesto meccanico, asciugò le lacrime e disfece il nodo che legava le altre lettere. La sua impassibilità avrebbe spaventato lo stesso Voldemort. Ma i soli spettatori erano la Luna e le fiamme del camino.
Le buste si sparsero a terra; il ragazzo non si curò di raccoglierle.
Una pergamena molto ingiallita scivolò fuori dalla propria busta:

Cara Dorea,

dopo aver letta la tua ultima, ponderata con cura la questione, ho la gioia di dirti che mi trovo perfettamente d’accordo con te: James sarebbe un marito perfetto per Narcissa.

 

Lo sguardo di Draco non fissava il foglio, era perso nel fuoco. Guizzavano, lingue di fiamma guizzavano… Rosse. Il copriletto di lei. Rosso fuoco. Guizzava quando si contorceva, debole, troppo debole per muoversi davvero. Non sapeva dire dove sentisse dolore. Fiamme. Era tutta un dolore. Avvolta dalle fiamme…

Gli occhi del figlio di Narcissa restarono rossi anche molto tempo dopo che si furono spente le ultime braci.

 

Toc-toc.

Nessuna risposta.

Blaise esitò un istante, poi la preoccupazione vinse il suo naturale riserbo: girò la maniglia e fu lieto di scoprire che la porta non era chiusa con il lucchetto a combinazione magica.

Mise un piede nella stanza e restò a bocca aperta.

Il suo cervello impiegò tre secondi buoni per farsi un quadro completo della stanza: un caos totale e - occhio del ciclone - l’amico accovacciato sul pavimento, immobile.

«Draco!»

Ancora nessuna risposta.

«Draco!» Afferrò la bacchetta, senza avere la minima idea di quale Incantesimo tentare, ma, finalmente, la testa del biondo si girò.

«Blaise,» mormorò, con un filo di voce.

Diviso tra sollievo e preoccupazione, il moro accorse e si affrettò a chiedergli: «Riesci ad alzarti?»

Draco si aggrappò a lui e, un poco alla volta, si alzò; sul suo viso si dipinse una smorfia di dolore, mentre il sangue riprendeva a circolare nelle membra intorpidite. L’amico lo scrutava con un’espressione indecifrabile.

«Che ti è successo?»

Ebbe in risposta solo uno sguardo vuoto e un gesto vago.

«D’accordo, d’accordo, non dirmi niente,» si affrettò a dirgli, aggiungendo mentalmente: “Ne parliamo più tardi, con molta calma… e con tutti i dettagli”. «Dimmi solo se sei in grado di fare lezione.»

«Lezione?» Sembrava che il termine non gli dicesse nulla.

«E’ mattina, Draco! E ho incontrato i tuoi studenti, che ti aspettavano fuori dell’Aula!»

Il ragazzo sbatté due o tre volte le palpebre, barcollò leggermente e disse: «Vai. Di’… di’ loro che pazientino… qualche minuto.» Strinse i denti per soffocare uno sbadiglio formato gigante.

«Draco, tu sei stanco, stai male, non…»

Si beccò un’occhiata omicida: Draco Malfoy non amava che si notassero i suoi momenti di debolezza.

«Vai, maledetto te!»

Blaise uscì, a passo lesto, lasciandolo ad affrontare l’impresa di rimettersi in sesto.

 

Dieci minuti dopo, Tassorosso e Corvonero del terzo anno videro comparire un Professor Malfoy segnato dalla mancanza di sonno e addirittura scarmigliato.

«Scusatemi, ragazzi.»

Non offrì la minima spiegazione per il ritardo: spediti i compiti da correggere nella borsa, si lanciò nell’appello, cercando – tra un nome e l’altro – di decidere come impiegare quell’ora e un quarto circa. Alla chiusura del registro, le sue meningi, pur spossate dalla mancanza di sonno, erano giunte ad escludere qualsiasi genere di lezione teorica: tutti gli argomenti possibili avrebbero richiesto le due ore intere e l’idea di interrompersi più o meno a metà, per poi riprendere alla prima occasione, non gli garbava affatto.

Il suo viso tirato si rianimò, non appena ebbe individuata l’unica alternativa praticabile.

Be’ – valutò, con una rapida occhiata, le dimensioni dell’aula - sperava che fosse praticabile.

Si rivolse agli studenti con un sorriso che riuscì a cancellare dal suo volto quasi ogni traccia di stanchezza. «Molto bene, ragazzi. Suppongo che mi avrete odiati, per tutto il ripasso che vi ho costretti a fare…»

Nessuno studente ebbe il coraggio di ridacchiare, ma vide parecchi sorrisetti.

«Ebbene, gioite pure: il ripasso è finito.»

Sorrisi cauti.

«Via le piume e fuori le bacchette!»

Stavolta, riuscì a destare un mormorio eccitato.

«Ho visto che, con la teoria, ve la cavate benino; adesso voglio verificare le vostre doti pratiche. Tutti in piedi.»

I ragazzi parvero scattare sull’attenti, tanta fu la rapidità con cui eseguirono.

Nervosetti, eh?

Sapeste io…

Malfoy, con un semplice cenno della bacchetta, fece svanire banchi e cattedra: gli serviva l’aula sgombra, per quello che aveva in mente.

Incrociò le dita e sperò che lo spazio bastasse.

«Dividetevi a coppie,» ordinò, mentre si preoccupava di insonorizzare l’aula. «Faremo pratica di duello.»

Anche se rovistava nelle proprie tasche, in cerca del fischietto, non gli sfuggirono i gridolini eccitati e tantomeno l’improvvisa concentrazione nell’aria.

«Quanti di voi hanno esperienza di duello alzino la mano.» Scosse il capo, vedendo che tutte le braccia restavano lungo i fianchi. «Come temevo. E’ per questo che spero che la Preside ci permetta di riaprire il Club dei Duellanti: un duello è il modo migliore per fare pratica di Difesa… A parte una battaglia campale, naturalmente.»

Ignorò il rimprovero della coscienza per quella battuta infelice e anche la pesantezza di capo, che minacciava di evolvere in emicrania vera e propria.

«Per evitare che, durante il duello, finiate per colpire una persona diversa dal vostro avversario, procederemo in questo modo.» Si incamminò verso il fondo dell’aula: stanco com’era, gli riusciva molto più semplice mostrare le cose che spiegarle a parole. Si fermò nell’angolo, dando le spalle alla parete più lunga dell’aula, e chiamò, con un cenno, lo studente più vicino.

«Signor Stebbins, si metta di fronte a me, più o meno alla distanza di trenta passi… no, non stia a contarli, le dirò io dove fermarsi. Ecco, resti lì.»

Il ragazzo eseguì e Draco apostrofò il resto della classe: «Tutte le coppie si mettano come siamo messi noi due. Uno con le spalle a questa parete, l’altro di fronte, a trenta passi circa… allineatevi al signor Stebbins.»

Il numero degli studenti, ricordò mentre si spostavano, era dispari. Uno sarebbe rimasto fuori.

Scrollò la testa. Gli veniva in mente una soluzione soltanto: occuparsi personalmente di duellare con l’alunno in soprannumero; e non gli sembrava il caso.

Tirò un sospiro di sollievo, vedendo che, dopotutto, lo spazio era sufficiente: adesso, ciascun ragazzo aveva di fronte l’avversario – solo l’avversario – e un discreto campo libero sui due lati. Il rischio di sbagliare bersaglio era ridotto in misura accettabile.

Peccato che la maggior parte delle aule sia troppo piccola. Dovrò usare la Stanza delle Necessità, se la vecchiarda non mi farà riaprire lo stramaledetto Club. Però, a quel punto, non potrò far allenare insieme ragazzi di anni diversi…

Vide che tutti quanti impugnavano le bacchette in maniera accettabile. «Molto bene, ragazzi. Adesso conterò fino a tre. Al mio uno, inchinatevi al vostro avversario; al due, mettetevi in guardia; al tre, lanciate tutti l’Incantesimo di Disarmo. Solo l’Incantesimo di Disarmo, chiaro? Il primo che tenta qualche scherzetto finisce a spalare letame di drago in Romania.»

A quella minaccia, alcuni ragazzi sobbalzarono. Coscienza sporca?

«Al mio fischio, smettete di scagliare Incantesimi; io prenderò nota dei risultati.» Sì, a patto di trovare il maledetto taccuino… Ah, eccolo qui! «Alla fine della lezione, valuterò il rendimento complessivo di ciascuno di voi e assegnerò il primo voto di pratica.»

Ma perché gli accenni ai voti hanno sempre l’effetto di una doccia gelata? Brandì taccuino e piuma come armi.

«Pronti?»

Notò con piacere che nessuno si disturbava ad annuire: tutti tenevano gli occhi incollati all’avversario.

«Uno.» Quegli inchini erano davvero sgraziati.

«Due.» Per domani: ripassare come si impugna una bacchetta. Ecco un compito che almeno quattro studenti si sarebbero visti assegnare. Scarabocchiò un segno crittografico accanto ai loro nomi, sperando di ricordarne il significato alla fine della lezione.

«Tre!»

L’aula si riempì di «Expelliarmus!», ma Draco non ebbe il tempo di sorridere: taccuino e piuma gli volarono via di mano.

«Stebbins!!!»

Lo sventurato ragazzo balbettò: «M-m-mi d-dispiace, signore.»

Gli rispose con un’occhiata a dir poco malevola e soffiò nel fischietto. Cominciò a percorrere l’aula, in tutta la sua lunghezza, prendendo nota dei risultati. Come prima prova, non era male: due terzi degli studenti erano stati disarmati e – fatto ancora più importante – quel terzo di Incantesimi a vuoto non aveva prodotto danni visibili.

Tornò verso Stebbins, lentamente, gustandosi il terrore che si impadroniva del povero ragazzo.

«Signori, un po’ di attenzione, per cortesia.»

Tutte le teste si voltarono verso il loro angolo.

«Stebbins, vorrebbe essere così gentile da spiegare ai suoi compagni quello che ha fatto?»

Il ragazzo aprì bocca, ma non riuscì ad emettere alcun suono; tremava tanto che dovette appoggiarsi al muro.

«A quanto sembra, Stebbins non è in grado di confessare le proprie malefatte.» Stroncò con uno sguardo le risatine incipienti. «Ebbene, provvederò io. Stebbins ha scagliato un Incantesimo contro un avversario disarmato.»

Tutti gli studenti inspirarono bruscamente.

«Contro di me, per la precisione.»

Aveva la netta sensazione che quel ripugnante ammasso di nervi tremuli se la stesse facendo sotto. Nel senso letterale dell’espressione.

«Stebbins!» Il ragazzo sobbalzò come se lo avesse frustato. «E’ in grado di spiegarmi la differenza tra un duello e una battaglia?»

Inutile: il malcapitato non riusciva a spiccicar parola. Draco lo lasciò soffrire per dieci secondi buoni, sempre raggelando le risatine, poi riprese: «In battaglia – ricordatevelo bene, tutti quanti! – si combatte per annientare il nemico. “Annientare” significa che ogni avversario va attaccato con qualsiasi Incantesimo, Maledizione, Fattura e, in generale, strumento a vostra disposizione. Potete anche prenderlo alle spalle, attaccarlo insieme con altri e» - piccola pausa - «massacrarlo per bene, se per caso lo vedete disarmato.»

Gli studenti sembravano parecchio a disagio, ma non perdevano una sillaba.

«In duello,» riprese Draco, «le cose stanno diversamente. Per i duellanti, anche quando combattono all’ultimo sangue, c’è sempre una cosa che conta più della vittoria, ed è l’onore. Proprio perché il sangue dell’avversario deve lavare un’offesa da lui inferta al vostro onore, non potete spargerlo in modo disonorevole. Perciò, in un duello si combatte uno contro uno, non sono ammessi assalti alle spalle, se non in casi particolarissimi, e, soprattutto, non si attacca l’avversario disarmato!»

Fulminò il povero Stebbins con lo sguardo.

«Nell’età d’oro dei duelli, Stebbins, i Suoi stessi padrini si sarebbero sentiti in dovere di ammazzarLa come un cane!»

Poi gli voltò le spalle.

«Vedete di ricordarvi sempre la differenza tra battaglia e duello. Avete appena sentito cosa si rischia a prendere il duello per una battaglia; vi lascio immaginare le conseguenze dell’errore inverso.

Almeno per ora, noi siamo qui per fare pratica di duello, quindi sarà meglio che nessuno di voi si improvvisi combattente in piena regola.»

Ripose taccuino e piuma per estrarre la bacchetta.

«Ve la siete cavata benino, con l’Incantesimo di Disarmo. Adesso, voglio vedervi alle prese con qualcosa di un po’ più complesso: lo Schiantesimo. Signor Stebbins, dato che ha tanta voglia di fare pratica, sono tutto suo.»

Indirizzò un ghigno al volto verdastro dello studente. C’era da sperare che non vomitasse.

«Al mio tre, ragazzi. Uno.» Si inchinò al disgraziato, che, in qualche modo, ricambiò la cortesia. «Due.» Ma cosa credeva, che la bacchetta fosse un piccone? «Tre!» esclamò, scagliando uno Schiantesimo non verbale.

Mancato.

«Stupeficium!»

Dovette imitare Stebbins, gettandosi a terra per schivare l’attacco, ma ne approfittò per controbattere, stavolta a voce alta: «Stupeficium!»

Si rialzò con un ghigno soddisfatto: quel ragazzino aveva dimostrato riflessi pronti… ma non abbastanza.

Intorno a lui, echeggiavano ancora grida di «Stupeficium!». A quanto pareva, i ragazzi non se la cavavano altrettanto bene. Uno Schiantesimo che sibilò a pochi centimetri dalla sua testa, andando a infrangersi contro il muro, gliene offrì la controprova.

Automaticamente, Draco si era gettato a terra, entrambe le mani sulla bacchetta; sorrideva, ma tornò serio di colpo.

Una volta – una vita prima – era stato come loro. Aveva scagliato Incantesimi, Maledizioni e quant’altro con crescente destrezza, convinto – senza rendersene conto appieno – di essere diventato un campione di quel gioco meraviglioso.

Poi si era dovuto ricredere.

Quello non era un gioco.

E, qualunque cosa fosse, Draco Malfoy non figurava tra i campioni.
Le grida. Le sentiva ancora, di notte, in tutti gli incubi. La cacofonia dei feriti, dei torturati, degli agonizzanti.
Tutti i suoi sogni di combattente si erano dileguati sulle ali di quelle grida, davanti agli occhi fissi, vitrei, del suo primo cadavere.
Rannicchiato su quel pavimento freddo, Draco singhiozzava, incapace di arrestare il flusso dei ricordi o la coscienza che incalzava.
Anche tu saresti dovuto morire, lo sai, vero, Malfoy?
Harry. Sentiva la voce di Harry.
Siamo andati a morire, tutti quanti. E siamo morti tutti. Tutti tranne te.
«Harry,» sussurrò, tra i singhiozzi, «sei diventato la mia coscienza?»
I vigliacchi non hanno coscienza!
Un grido di angoscia gli strinse la gola. Ma non riusciva ad urlare.
Anche tu sei morto, Malfoy. Sei morto e non te ne accorgi. Sei un morto che cammina. Ma ancora per poco. Credimi: ancora per poco…
E l’urlo esplose.
I pochi studenti ancora in piedi fissarono esterrefatti il loro Professore: rannicchiato sul pavimento, la faccia stravolta e deformata in un urlo interminabile.
Poi, il capo biondo ricadde a terra con un colpo sordo.
I ragazzi si scambiarono sguardi incerti, atterriti, mentre il respiro affannoso del Professore riempiva l’aula.
Quel giorno, la tesi che Malfoy fosse pazzo guadagnò parecchi punti.


Note:
Lucius ha un bel po’ di scheletri nell’armadio: che altro salterà fuori?
Da quel che sappiamo di James Potter, sarebbe stato un buon pretendente per Narcissa; mi sono limitato a sviluppare l’idea, spero che vi piaccia.

  
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