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Autore: iseasy_believe    09/08/2012    0 recensioni
Come puoi cercare di cancellare dalla tua vita una persona che la tua vita lo è diventato? Cerchiamo scuse, pretesti, ma non riusciremo mai ad eliminare veramente ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo, ogni abbraccio...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi strinse a se e raggiunsi il settimo cielo. Mi lascio andare via e precipitai sulla terra. 
La notte prima l'avevo sognato. Era la trentunesima notte di fila che lo sognavo, e non avevo intenzione di smettere. Lui che mi stringe i fianchi, io che gli accarezzo i capelli e la sua voce che mi sussurra 'tu, sei la mia persona'. Insomma un sogno bellissimo. Meraviglioso rispetto ai miei soliti sogni standard tipo la sveglia che non suona e io che tardo a scuola o io e mia madre che ci urliamo contro. Si, litighiamo anche nei miei sogni, o meglio, nei miei incubi. Lei non sapeva niente, non sapeva che sarei andata al concerto,  e che stavo per realizzare il mio sogno. Perchè avrei dovuto dirglielo ? Per permetterle di rovinare tutto, un altra volta ? Non sarei stata così stupida.
Erano mesi che aspettavo quel giorno, e adesso era così vicino. Incredibile.
 
L'inizio della giornata non era stato per niente dei migliori. Il telefono mi si era scaricato e quindi la sveglia non aveva suonato, solo che questa era la realtà non uno dei miei incubi. Ai ritardi a scuola ormai non ci facevano caso più neppure i prof. Si erano arresi al fatto che qualunque sforzo sarebbe stato vano, io sono una ritardataria, punto. Non si possono cambiare le persone, e apprezzavo il fatto che l'avessero capito. Si ma solo quello. Per il resto li consideravo un branco di frustati mentali che scopano troppo poco e di conseguenza devono consumare le energie in qualche altra maniera, tipo rompendo i coglioni agli alunni. A me in particolare. Mettendo quindi da parte il ritardo, che non era una tragedia per una come me, passiamo al dramma vero e proprio. Dopo aver preso un bicchiere di latte e il mio Eastpack, veloce come la luce scesi in garage per prendere la macchina e volare a scuola, ma, sorpresa, la macchina non partiva. 'E che la sfiga sia sempre con me' dissi tra me e me. Chiamai una mia amica per farmi venire a prendere da lei, ma era troppo tardi, già era a scuola. Restava solo una soluzione e optai per quella: restare a casa. Certo, mi dispiaceva saltare scuola quanto mi dispiaceva comprare scarpe, e c'è da considerare che le scarpe sono il mio indumento preferito. Ma non era mica colpa mia se ero sfigata.
Così tornai in casa, presi una birra dal frigo e mi tuffai sul divano. Accesi il computer e dopo dieci minuti riuscì a disincantarmi dal guardare lo schermo, o meglio la loro foto che avevo come sfondo. Aprì la cartella in cui raccoglievo tutte le mie storie, cliccai su quella che dovevo finire e iniziai a scrivere. Lo facevo sempre quando avevo un po' di tempo libero.
Scrivere per me è uno sfogo, mi rilassa. Quando scrivo divento un altra, una sensibile, una che prima di pensare agli altri pensa a se stessa, una che prende in mano la situazione e sa di essere al comando. Nella realtà non è così, non che io mi faccia mettere i piedi in testa, ma me ne sto per conto mio, non sento la necessità di fare gruppo con gli altri e tipo uscirci insieme o cose simili.
Avevo solo qualche amico. In fin dei conti, meglio pochi ma buoni no ? Una di questi amava quei cinque ragazzi meravigliosi e infatti il giorno dopo sarebbe venuta al concerto con me. Tra una riga e l'altra, passo la mattinata.
A ora di pranzo prima che mia madre tornasse dal lavoro me ne andai in camera mia, così che quando sarebbe venuta avrei fatto finta di dormire e non avrei dovuto dargli tante spiegazioni. Si poteva rimandare.
L'idea era quella di fingere soltanto di dormire, l'idea. Mi svegliai dopo ben quattro ore e mezza, alle cinque in punto. 'Solo altre 24 ore, solo altre 24' pensai. Sono una persona molto impaziente, una di quelle che le cose le vuole subito. Aspettare e mantenere la calma non è il mio forte. Decisi di scendere. Tanto per cercare di far credere a me stessa che il tempo stava passando più velocemente.
Andai al parco. Iniziai a passeggiare e dopo un po' mi sedetti su una panchina a riflettere. Ad un tratto due mani mi coprono gli occhi. Spaventata mi alzai di scatto, e cercai di fuggire, ma l'unico posto che raggiunsi furono le sue braccia.
Era lui, Carter. Il mio amico di sempre. Lui si che sapeva farci con me. Eravamo amici da dodici anni, e per un periodo credo di essermi presa una bella cotta per lui. Ma me la sono fatta passare. Il nostro rapporto è unico e non volevo rovinare tutto.
 
«Ehi Karen» mi disse «Dove cerchi di scappare?».
«Mi hai spaventata!» risposi in tono alterato.
«Ma per piacere, quale ladro idiota ti metterebbe le mani davanti agli occhi prima di rapinarti?» ribatté ridendo.
Risi anche io. La sua risata era la cosa più bella che avessi mai visto, la più bella che avessi mai sentito. Mi faceva stare bene, mi metteva a mio agio. Era una risata speciale. Come lui d'altronde.
«Vieni con me a fare una passeggiata?» mi chiese con quella sua voce maledettamente dolce e il sorriso ancora stampato sulle labbra.
«No Carter, si sta facendo tardi, devo andare a casa a preparare la cena» gli risposi, mentendo.
«Lo so che è una bugia, dai, solo cinque minuti!».
Nemmeno il tempo di ribellarmi che le mie dita già erano intrecciate alle sue e i miei piedi seguivano il suo ritmo. 
Nei momenti come questo mi sentivo in colpa. Perchè quando accarezzavo i suoi capelli, sognavo di accarezzare quelli di Harry. Perchè quando ridevo con lui, sognavo di ridere con Louis. Perchè quando lo abbracciavo, sognavo di abbracciare Liam. Perchè quando strimpellavo la chitarra con lui, sognavo di farlo con Niall. E perchè quando mi mostrava tutta la sua autostima, fingendosi un duro, sognavo lo stesse facendo Zayn. 
Loro, i miei idoli, sono sempre nella mia mente, non posso farci niente. Provo a mantenere in due posti separati del mio cervello la realtà e i sogni, ma non sono una che raggiunge molto spesso i suoi obiettivi. 
«Domani ho il concerto, sai?» gli dissi.
«Certo che lo so, io so tutto di te, ogni singolo particolare, ogni movimento che fai, ogni azione che compi, io so t-u-t-t-o.» mi rispose guardandomi con un accenno di malizia negli occhi.
«Ah si ? Bene, sentiamo allora, Mr. io-so-tutto, che concerto ho domani?» ribadì ridendo.
«Quello di quei cinque per cui impazzisci» rispose sorprendendomi.
Lo fulminai con lo sguardo. 
«One Direction, hanno un nome».
«Si vabbè fa lo stesso».
«Ora devo andare sul serio... Il pollo non si mette in forno da solo..» protestai, e sciolsi la mia mano dalla sua presa. Sembrano fatte apposte per essere intrecciate, le nostre mani. 
«Ti accompagno, è buio e non ti lascio andare da sola».
«Ma se sono le sette appena ?!».
«Dai, fatti accompagnare, che ti costa?» mi supplicò.
Non potetti fare a meno di accettare, e così facemmo la strada fino a casa mia insieme. Passare il tempo con lui era la cosa che illuminava le mie giornate. Quando non lo vedevo per tanto tempo mi sentivo persa. Avevo bisogno di lui e sentivo che lui aveva bisogno di me. 
Arrivati fuori casa mia mi strinse a se come solo lui sapeva fare e mi sussurrò all'orecchio «Buon concerto principessa». Risi e mi diressi verso la porta, lui era ancora li, aspettando che io entrassi in casa, così mentre chiudevo la porta sfoggiai il mio sorriso a trentadue denti e dissi 
«Grazie oh mio principe».

 

 

  
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