Un re ambizioso, un criminale spaventoso o un cavaliere orgoglioso. Chi riuscirà a bloccare la temibile lancia del viandante coraggioso?
Seconda classificata al contest "Red&Black contest ; Rosso come il fuoco Nero come la notte"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Il
carretto attraversò rapidamente buona parte del piccolo ma
bellicoso reame.
Garria si accorse di quanta strada ancora avrebbe dovuto percorrere e,
da una
parte, fu felice d’essere stato catturato. Aveva almeno
rimediato un passaggio.
Il suo animo non si scompose, rimase per la maggior parte del tempo
seduto, a
gambe incrociate, al centro del carro. L’acqua che gli veniva
offerta era in
parte bevuta e in parte gettata ai bordi del carro. Beltza non
comprendeva il
perché si stesse comportando in quel modo, ma si
limitò a sonnecchiare per la
maggior parte del tempo o narrare vecchie storie su di sé al
povero
prigioniero.
Aveva raccontato di aver stuprato una donna un giorno e di aver
massacrato il
marito, obbligando lei a confessare alle autorità che il
marito ucciso fosse in
realtà Beltza, il cacciatore di teste. Aveva raccontato di
come un giorno
dovette impiccare un bambino, poiché avrebbe potuto rivelare
alle guardie la
sua presenza. Le storie erano piene di morte e ingiustizie degne di un
demonio,
ma il criminale le raccontava quasi fossero avvenimenti comici dei cari
bei
vecchi tempi passati.
Garria rimaneva seduto ad ascoltare ma il suo cuore non si
caricò mai d’odio.
Non provava alcun sentimento verso quel derelitto. E Beltza si accorse
anche di
questo.
Passarono due intere giornate di viaggio ma il castello fu finalmente
in vista.
La massiccia struttura troneggiava sulla cittadina di Almadia, la quale
donava
il nome al regno, circondata da una cinta muraria piuttosto antica e
mal messa.
Più che una città sembrava un villaggio. Il
signore locale ebbe il coraggio di
nominare i suoi possedimenti come “regno” e si
alleò con i veri regni solo per
ottenerne un aiuto di tipo economico e un velato rispetto da parte
degli altri
sovrani. Il carretto fu vicino all’ingresso e il prigioniero
notò un secondo
sentiero che conduceva alla prigione, in vista anch’essa, in
cima alla collina
adiacente. A fianco del carretto, stava un piccolo contingente di
quattro
uomini che, in vista del carro, lo avevano scortato per buona parte del
percorso fino all’entrata. Uno dei soldati portava con
sé un cavallo bardato e
Garria sfruttò finalmente l’occasione.
L’acqua aveva avuto il compito di indebolire il
già marcio legno che reggeva le
corte sbarre di ferro del carro-prigione. Il viandante si appese alla
trave
superiore e, con uno slanciò, sfondo a calci la sbarra di
ferro di fronte a
lui. Il legno sottostance cedette e la sbarra finì tra le
mani di Garria. Le
guardie rimasero perplesse e, a vedere il prigioniero, fuggito dalla
cella e
con un’asta di ferro in mano, ebbero un attimo di esitazione,
conoscendo la sua
reputazione. Beltza, svegliato dal frastuono, fece appena in tempo a
voltarsi
che Garria aveva già steso i due uomini e rubato il cavallo
di uno di essi. Il
viandante si lanciò in una corsa sfrenata verso le prigioni
e il nero cacciatore,
imprecando, lasciò le redini, sganciò
l’asse del carro dal giogo e seguì la sua
preda in groppa al cavallo.
<< Dannazione, non succede mai niente di interessante
qui! Mi sono
arruolato per combattere, non per fare la guardia a questi…
cani. >>
Bofonchiò delusa una giovane guardia. Il compagno,
più anziano, lo confortò
sull’importanza del loro compito ma qualcosa distrusse
quell’aria di
tranquillità: la porta d’ingresso alle miniere
venne sfondata e subito un
bastone ferrato spaccò la rotula del più giovane
per poi urtare il petto del
più vecchio. Un fantasma avvolto nel nero scivolò
nella prigione, percorrendo
gli stretti budelli con velocità e precisione. Tutte le
guardie che
intralciavano il suo cammino venivano sbattute contro le pareti della
miniera o
messe a tacere con mirati colpi alla gola. Garria correva con decisione
ed era
ormai lontano quando Beltza entrò. L’anziana
guardia, ancora in grado di
parlare, rivelò al cacciatore la posizione della cella della
donna in questione
e gli indicò la strada più breve. Beltza,
percorrendo i cunicoli, pensò che
Garria avesse già interrogato un carceriere in precedenza o
forse aveva
contatti all’interno del corpo guardia o magari avesse
prestato servizio
proprio in quel luogo poiché non era possibile che, dalle
parole del vecchio,
il viandante stesse attraversando la prigione senza esitazioni, quasi
sapesse
la via giusta per giungere dalla sua sposa. Poco importava
però, era arrivato e
Garria non era presente. Beltza si prese un secondo per riprendere
fiato, fissando
il cunicolo. Si voltò poi verso la cella e,
nell’oscurità, vi era in effetti
una donna. Una bellissima donna dai capelli rossi e ricci, coi boccoli
che
cadevano, sporchi, oltre le spalle. Le grida dei prigionieri vicini si
fecero
alte: chiedevano pietà, aiuto, cibo e qualcuna ebbe il
coraggio di insultare la
donna e il cacciatore. Quest’ultimo si voltò e
ringhiò a tutti quanti come un
cane feroce. Calò il silenzio e la paura
attanagliò le membra di chi lo aveva
riconosciuto ma la donna, spaventata dal volto dell’uomo, non
aveva proferito
parola, non pianse e non si mosse. Il cacciatore restò
sorpreso da tanta
fermezza di spirito, tale moglie tale marito. Si aggrappò
alle sbarre e scrutò
nella cella, per vedere meglio, ma qualcosa di silenzioso si
schiantò sul suo
fianco. Nel cadere a terra, lo sguardo cadde sulla figura di Garria che
lo
aveva colpito con entrambi i piedi. Il dolore lancinante gli
impedì di alzarsi
prontamente ed ebbe l’impressione d’essere colpito
da un momento all’altro, ma
ciò non avvenne. Garria era attaccato alle sbarre e la donna
gli si era messa
di fronte. I due si guardarono e gli occhi del freddo viandante parvero
subito
sciogliersi in lacrime. La donna carezzava il viso del marito e le
labbra di
quest’ultimo finalmente si aprirono:
<< Sono qui, amore. Non preoccuparti, ti
tirerò fuori. >>
Beltza non poté credere alle sue orecchie, finalmente udiva
la voce del
guerriero. Le sue congetture erano esatte ma qualcosa non quadrava: si
sentiva
fremere dentro. Una strana sensazione aveva pervaso le sue membra,
senza dargli
tregua.
Una voce però ruppe quel fatidico momento:
<< Eccolo! E’ qua! >>
Una guardia, dal fondo del corridoio, incoccò una freccia e
rilasciò la corda.
Il dardo sibilò nel cunicolo e, tra le urla spaventate degli
altri prigionieri,
risuonò forte quella del cacciatore:
<< Noooooooo! >>
La freccia si era fermata nel petto di Garria, poco sotto al cuore. Del
sangue
iniziò a colare lungo il fianco del viandante. La giovane
donna si portò le
mani alla bocca e delle lacrime pulirono le sue guancie, piene di
polvere. La
rabbia del cacciatore era inesprimibile. Si alzò rapido ed
estrasse un coltello
dalla cintola. Il pugnale volò attraverso il budello di
roccia e finì tra le
scapole dell’arciere. Nel momento in cui il corpo cadde
morto, altre guardie
avevano raggiunto la postazione. I loro sguardi si fecero coraggiosi,
poiché né
il cacciatore né il viandante potevano nulla in uno spazio
così ristretto. Ma i
loro cuori furono smossi da un’onda di rabbia:
<< Lui è mio! >>
Beltza urlò quasi fosse un demone: il suo sguardo era
contorto dall’ira e le
sue fattezze, già mostruose, erano ancora più
raccapriccianti. I prigionieri
vicini piansero o tacquero, nella paura d’essere ammazzati, e
a qualche guardia
iniziarono a tremare le gambe. Ma la situazione sembrò
precipitare bruscamente.
Beltza si sentì spingere alle spalle; cadde a terra. Il
cacciatore aveva
dimenticato del passaggio dal quale lui stesso era giunto fin
lì. Tre guardie
sbucarono alle sue spalle e le altre, incoraggiate
dall’arrivo dei rinforzi, si
gettarono nella mischia.
Garria riprese il suo corto bastone di ferro e lo menò sul
naso di uno dei
soldati. Beltza, rialzandosi, tagliò la gola di un altro. Le
forze iniziarono
ad abbandonare il viandante e i due nemici, il cacciatore e il
viandante,
furono costretti a combattere fianco a fianco. Uno per proteggere se
stesso e
l’amore della sua vita; l’altro per proteggere la
sua preda e la libertà che
gli avrebbe donato il re per il conseguimento della missione. Ma
qualcosa
continuava a formicolare dentro Beltza.
Le corte lame ebbero la meglio sui soldati; i movimenti flessuosi e
precisi del
cacciatore incontrarono spesso la carne e i tendini dei nemici ma il
corto
bastone iniziava a creare non pochi problemi. Garria poteva solo
parare, privo
di forze. Non c’era spazio per caricare i colpi e fu
costretto in un angolo,
dove una guardia riuscì finalmente a ferirlo alle costole.
Un’altra recise il
tendine di una spalla e un’altra ancora lo colpì
con l’elsa al naso. Il
viandante cadde a terra, ricoperto di sangue e sul punto di svenire o
morire.
Una lama stava per cadere sui suoi occhi ma un’altra
intervenne e recise la
mano della guardia urlante. Beltza stava dando prova di tutta la sua
ferocia
abbattendosi sulle guardie in arrivo con forza devastante. Il cunicolo
fu sul
punto di colmarsi per la quantità di cadaveri in uno spazio
così ristretto.
Ma caduta l’ultima guardia, il cacciatore prese a respirare
affannosamente. Non
era affatto stanco ma qualcosa stava divagando nella sua mente. Tutte
le sue
scorrerie, i suoi furti, gli omicidi, gli stupri, gli inganni e le
frodi, gli
volavano davanti agli occhi. Poi un bagliore cancellò quelle
losche immagini e
ai suoi occhi si mostrò la figura di Garria. Il viandante
aveva dato prova
d’essere un uomo d’onore. Valoroso e instancabile
combattente, aveva sconfitto
centinaia di soldati pur senza ucciderli. Aveva perseguito il suo scopo
con
successo: arrivare dalla sua amata, rapita e imprigionata dal suo
odioso
sovrano. Beltza ripensò alle sue di motivazioni.
Perché aveva fatto tutte
quelle angherie a tutte quelle persone sconosciute? Per soldi, si
giustificava,
o per fama, forse? O semplicemente perché il suo aspetto non
era gradito alla
gente del suo villaggio? Le sue riflessioni però furono
interrotte dal pianto
della donna:
<< Salvalo. >>
Sussurrava in lacrime. Beltza, dal cuore di pietra, ebbe un colpo al
cuore. Ne
aveva viste di donne in quello stato, anche a causa sua, ma non le
avevano mai
fatto quell’effetto. Fissò il suo rivale,
ricoperto di sangue. Aveva sempre
ucciso uomini, fin dalla maggiore età, ma questo non era un
uomo qualunque. Era
la sua nemesi per eccellenza. Avevano principi morali totalmente
diversi ed era
stato l’unico, in anni e anni di vita criminosa, ad aver
tenuto testa al grande
Beltza, signore dei demoni.
Si chinò su Garria ed estrasse uno dei pugnali. Tolse la
freccia da sotto al
cuore e vi posizionò la punta del suo coltello, sullo stesso
punto. Poi parlò:
<< Non posso salvarlo. E’ ridotto troppo male.
Morirà. >>
La donna si disperò ancora di più e chiuse gli
occhi, pieni di lacrime. Beltza
continuò:
<< Guardalo, guarda tuo marito. Ha affrontato molti
soldati, ha sconfitto
Zuria, il Santo Campione, ed ha tenuto testa a me. Mi è
sfuggito da sotto al
naso e ha più volte rischiato di ammazzarmi.
Quest’uomo sta morendo con quanto
più onore possibile. >>
La donna continuò a piangere, sussurrando parole
d’amore al suo morente sposo.
Garria rispose:
<< L’ho fatto solo per lei. Ho versato sangue
per amore, ed ora sono
ricoperto dal mio sangue e morirò. Con la mia morte sarai
libero, valoroso
demone. Prenditi cura di lei, te ne prego. >>
Il cuore di Beltza fece per uscire dalla cassa toracica. Gli occhi del
cacciatore si fecero lucidi e i suoi pensieri si bloccarono.
<< Hai commesso molte atrocità in passato. Ma
in fondo sei un uomo abile
ed intelligente. Prendi la mia vita, prendi la tua libertà e
usala per donare a
mia moglie un’altra vita. Che non marcisca in queste dannate
celle. Ci sei
passato anche tu, sai quanto sia orribile vivere e morire qui dentro.
Lei non
ha colpa se io ho disertato. >>
Beltza non volle saperne oltre. Strinse i denti, si morse le labbra e,
con mani
tremanti, affondò il coltello nella carne, fin dentro al
cuore. La risposta del
nero cacciatore fu una:
<< Lo farò. >>
Il vecchio re Rac sedeva tranquillo sul suo trono d’ebano.
Gli occhi si
illuminarono alla vista del suo sicario preferito, seguito da un
lenzuolo
bianco su un piccolo carretto.
<< Dunque? >>
Fu l’accoglienza del re. Beltza portò il carretto
e il suo orribile volto di
fronte al sovrano e lentamente scostò il velo bianco
rivelando il volto di
Garria, ormai freddo ma con una strana espressione.
<< Oh, meraviglioso! Hai dato pieno compimento alle mie
aspettative! Ed
io darò compimento alle tue, che non si dica che non sono un
uomo d’onore.
>>
Il sorriso beffardo del re non convinse il cacciatore. Ma Beltza non
era così
stupido da farsi cogliere impreparato. Se un re voleva invadere i regni
alleati, tradendoli, perché avrebbe dovuto concedere la
libertà ad un criminale
con una taglia sulla testa superiore alla somma di qualsiasi altro
criminale in
circolazione?
Il re diede il segnale ai suoi soldati che avrebbero dovuto ucciderlo,
ma ciò
non avvenne. Anzi, una delle guardie avanzò lentamente e
consegnò la propria
balestra al nero cacciatore.
<< Tradisci i tuoi alleati, fai giustiziare i tuoi stessi
uomini solo
perché si rifiutano di combattere nel nome di una causa
così stupida e,
soprattutto, non mantieni la parola data con un individuo come me. Tre
errori
che ti porteranno alla morte. >>
La balestra venne puntata in direzione del re, il quale, vedendo che
nessuno
aveva la benché minima intenzione di salvarlo, si
rannicchiò spaventato sul suo
trono.
Beltza ordinò:
<< Ora io andrò via e porterò con
me una donna. Non ti ammazzo perché
voglio che tu tolga dalla circolazione la taglia sulla mia testa. Mi
hai
promesso e negato la libertà e io me la prenderò
con la forza. >>
La balestra cadde a terra e Beltza girò i tacchi e si
diresse verso l’uscita,
trascinando con sé il carretto funebre.
<< Darò una degna sepoltura a
quest’uomo. Prenderò la donna e sparirò
per
sempre da queste terre. Se vedrò ancora un avviso di taglia
e se sentirò ancora
parlare di te e delle tue stupide decisioni, tornerò a
staccarti quella lurida
testa dal collo. >>
Le guardie fecero passare il brigante, sogghignando. Nessuno aveva mai
parlato
in quel modo al loro re e sapevano benissimo che d’ora in
avanti sarebbe
cambiato tutto; il re era stato umiliato e il cacciatore di uomini
aveva miracolosamente
trovato redenzione.