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Autore: SparkingJester    11/08/2012    1 recensioni
Un re ambizioso, un criminale spaventoso o un cavaliere orgoglioso. Chi riuscirà a bloccare la temibile lancia del viandante coraggioso?
Seconda classificata al contest "Red&Black contest ; Rosso come il fuoco Nero come la notte"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il carretto attraversò rapidamente buona parte del piccolo ma bellicoso reame. Garria si accorse di quanta strada ancora avrebbe dovuto percorrere e, da una parte, fu felice d’essere stato catturato. Aveva almeno rimediato un passaggio. Il suo animo non si scompose, rimase per la maggior parte del tempo seduto, a gambe incrociate, al centro del carro. L’acqua che gli veniva offerta era in parte bevuta e in parte gettata ai bordi del carro. Beltza non comprendeva il perché si stesse comportando in quel modo, ma si limitò a sonnecchiare per la maggior parte del tempo o narrare vecchie storie su di sé al povero prigioniero.
Aveva raccontato di aver stuprato una donna un giorno e di aver massacrato il marito, obbligando lei a confessare alle autorità che il marito ucciso fosse in realtà Beltza, il cacciatore di teste. Aveva raccontato di come un giorno dovette impiccare un bambino, poiché avrebbe potuto rivelare alle guardie la sua presenza. Le storie erano piene di morte e ingiustizie degne di un demonio, ma il criminale le raccontava quasi fossero avvenimenti comici dei cari bei vecchi tempi passati.
Garria rimaneva seduto ad ascoltare ma il suo cuore non si caricò mai d’odio. Non provava alcun sentimento verso quel derelitto. E Beltza si accorse anche di questo.
Passarono due intere giornate di viaggio ma il castello fu finalmente in vista. La massiccia struttura troneggiava sulla cittadina di Almadia, la quale donava il nome al regno, circondata da una cinta muraria piuttosto antica e mal messa. Più che una città sembrava un villaggio. Il signore locale ebbe il coraggio di nominare i suoi possedimenti come “regno” e si alleò con i veri regni solo per ottenerne un aiuto di tipo economico e un velato rispetto da parte degli altri sovrani. Il carretto fu vicino all’ingresso e il prigioniero notò un secondo sentiero che conduceva alla prigione, in vista anch’essa, in cima alla collina adiacente. A fianco del carretto, stava un piccolo contingente di quattro uomini che, in vista del carro, lo avevano scortato per buona parte del percorso fino all’entrata. Uno dei soldati portava con sé un cavallo bardato e Garria sfruttò finalmente l’occasione.
L’acqua aveva avuto il compito di indebolire il già marcio legno che reggeva le corte sbarre di ferro del carro-prigione. Il viandante si appese alla trave superiore e, con uno slanciò, sfondo a calci la sbarra di ferro di fronte a lui. Il legno sottostance cedette e la sbarra finì tra le mani di Garria. Le guardie rimasero perplesse e, a vedere il prigioniero, fuggito dalla cella e con un’asta di ferro in mano, ebbero un attimo di esitazione, conoscendo la sua reputazione. Beltza, svegliato dal frastuono, fece appena in tempo a voltarsi che Garria aveva già steso i due uomini e rubato il cavallo di uno di essi. Il viandante si lanciò in una corsa sfrenata verso le prigioni e il nero cacciatore, imprecando, lasciò le redini, sganciò l’asse del carro dal giogo e seguì la sua preda in groppa al cavallo.

<< Dannazione, non succede mai niente di interessante qui! Mi sono arruolato per combattere, non per fare la guardia a questi… cani. >>
Bofonchiò delusa una giovane guardia. Il compagno, più anziano, lo confortò sull’importanza del loro compito ma qualcosa distrusse quell’aria di tranquillità: la porta d’ingresso alle miniere venne sfondata e subito un bastone ferrato spaccò la rotula del più giovane per poi urtare il petto del più vecchio. Un fantasma avvolto nel nero scivolò nella prigione, percorrendo gli stretti budelli con velocità e precisione. Tutte le guardie che intralciavano il suo cammino venivano sbattute contro le pareti della miniera o messe a tacere con mirati colpi alla gola. Garria correva con decisione ed era ormai lontano quando Beltza entrò. L’anziana guardia, ancora in grado di parlare, rivelò al cacciatore la posizione della cella della donna in questione e gli indicò la strada più breve. Beltza, percorrendo i cunicoli, pensò che Garria avesse già interrogato un carceriere in precedenza o forse aveva contatti all’interno del corpo guardia o magari avesse prestato servizio proprio in quel luogo poiché non era possibile che, dalle parole del vecchio, il viandante stesse attraversando la prigione senza esitazioni, quasi sapesse la via giusta per giungere dalla sua sposa. Poco importava però, era arrivato e Garria non era presente. Beltza si prese un secondo per riprendere fiato, fissando il cunicolo. Si voltò poi verso la cella e, nell’oscurità, vi era in effetti una donna. Una bellissima donna dai capelli rossi e ricci, coi boccoli che cadevano, sporchi, oltre le spalle. Le grida dei prigionieri vicini si fecero alte: chiedevano pietà, aiuto, cibo e qualcuna ebbe il coraggio di insultare la donna e il cacciatore. Quest’ultimo si voltò e ringhiò a tutti quanti come un cane feroce. Calò il silenzio e la paura attanagliò le membra di chi lo aveva riconosciuto ma la donna, spaventata dal volto dell’uomo, non aveva proferito parola, non pianse e non si mosse. Il cacciatore restò sorpreso da tanta fermezza di spirito, tale moglie tale marito. Si aggrappò alle sbarre e scrutò nella cella, per vedere meglio, ma qualcosa di silenzioso si schiantò sul suo fianco. Nel cadere a terra, lo sguardo cadde sulla figura di Garria che lo aveva colpito con entrambi i piedi. Il dolore lancinante gli impedì di alzarsi prontamente ed ebbe l’impressione d’essere colpito da un momento all’altro, ma ciò non avvenne. Garria era attaccato alle sbarre e la donna gli si era messa di fronte. I due si guardarono e gli occhi del freddo viandante parvero subito sciogliersi in lacrime. La donna carezzava il viso del marito e le labbra di quest’ultimo finalmente si aprirono:
<< Sono qui, amore. Non preoccuparti, ti tirerò fuori. >>
Beltza non poté credere alle sue orecchie, finalmente udiva la voce del guerriero. Le sue congetture erano esatte ma qualcosa non quadrava: si sentiva fremere dentro. Una strana sensazione aveva pervaso le sue membra, senza dargli tregua.
Una voce però ruppe quel fatidico momento:
<< Eccolo! E’ qua! >>
Una guardia, dal fondo del corridoio, incoccò una freccia e rilasciò la corda. Il dardo sibilò nel cunicolo e, tra le urla spaventate degli altri prigionieri, risuonò forte quella del cacciatore:
<< Noooooooo! >>
La freccia si era fermata nel petto di Garria, poco sotto al cuore. Del sangue iniziò a colare lungo il fianco del viandante. La giovane donna si portò le mani alla bocca e delle lacrime pulirono le sue guancie, piene di polvere. La rabbia del cacciatore era inesprimibile. Si alzò rapido ed estrasse un coltello dalla cintola. Il pugnale volò attraverso il budello di roccia e finì tra le scapole dell’arciere. Nel momento in cui il corpo cadde morto, altre guardie avevano raggiunto la postazione. I loro sguardi si fecero coraggiosi, poiché né il cacciatore né il viandante potevano nulla in uno spazio così ristretto. Ma i loro cuori furono smossi da un’onda di rabbia:
<< Lui è mio! >>
Beltza urlò quasi fosse un demone: il suo sguardo era contorto dall’ira e le sue fattezze, già mostruose, erano ancora più raccapriccianti. I prigionieri vicini piansero o tacquero, nella paura d’essere ammazzati, e a qualche guardia iniziarono a tremare le gambe. Ma la situazione sembrò precipitare bruscamente.
Beltza si sentì spingere alle spalle; cadde a terra. Il cacciatore aveva dimenticato del passaggio dal quale lui stesso era giunto fin lì. Tre guardie sbucarono alle sue spalle e le altre, incoraggiate dall’arrivo dei rinforzi, si gettarono nella mischia.
Garria riprese il suo corto bastone di ferro e lo menò sul naso di uno dei soldati. Beltza, rialzandosi, tagliò la gola di un altro. Le forze iniziarono ad abbandonare il viandante e i due nemici, il cacciatore e il viandante, furono costretti a combattere fianco a fianco. Uno per proteggere se stesso e l’amore della sua vita; l’altro per proteggere la sua preda e la libertà che gli avrebbe donato il re per il conseguimento della missione. Ma qualcosa continuava a formicolare dentro Beltza.
Le corte lame ebbero la meglio sui soldati; i movimenti flessuosi e precisi del cacciatore incontrarono spesso la carne e i tendini dei nemici ma il corto bastone iniziava a creare non pochi problemi. Garria poteva solo parare, privo di forze. Non c’era spazio per caricare i colpi e fu costretto in un angolo, dove una guardia riuscì finalmente a ferirlo alle costole. Un’altra recise il tendine di una spalla e un’altra ancora lo colpì con l’elsa al naso. Il viandante cadde a terra, ricoperto di sangue e sul punto di svenire o morire. Una lama stava per cadere sui suoi occhi ma un’altra intervenne e recise la mano della guardia urlante. Beltza stava dando prova di tutta la sua ferocia abbattendosi sulle guardie in arrivo con forza devastante. Il cunicolo fu sul punto di colmarsi per la quantità di cadaveri in uno spazio così ristretto.
Ma caduta l’ultima guardia, il cacciatore prese a respirare affannosamente. Non era affatto stanco ma qualcosa stava divagando nella sua mente. Tutte le sue scorrerie, i suoi furti, gli omicidi, gli stupri, gli inganni e le frodi, gli volavano davanti agli occhi. Poi un bagliore cancellò quelle losche immagini e ai suoi occhi si mostrò la figura di Garria. Il viandante aveva dato prova d’essere un uomo d’onore. Valoroso e instancabile combattente, aveva sconfitto centinaia di soldati pur senza ucciderli. Aveva perseguito il suo scopo con successo: arrivare dalla sua amata, rapita e imprigionata dal suo odioso sovrano. Beltza ripensò alle sue di motivazioni. Perché aveva fatto tutte quelle angherie a tutte quelle persone sconosciute? Per soldi, si giustificava, o per fama, forse? O semplicemente perché il suo aspetto non era gradito alla gente del suo villaggio? Le sue riflessioni però furono interrotte dal pianto della donna:
<< Salvalo. >>
Sussurrava in lacrime. Beltza, dal cuore di pietra, ebbe un colpo al cuore. Ne aveva viste di donne in quello stato, anche a causa sua, ma non le avevano mai fatto quell’effetto. Fissò il suo rivale, ricoperto di sangue. Aveva sempre ucciso uomini, fin dalla maggiore età, ma questo non era un uomo qualunque. Era la sua nemesi per eccellenza. Avevano principi morali totalmente diversi ed era stato l’unico, in anni e anni di vita criminosa, ad aver tenuto testa al grande Beltza, signore dei demoni.
Si chinò su Garria ed estrasse uno dei pugnali. Tolse la freccia da sotto al cuore e vi posizionò la punta del suo coltello, sullo stesso punto. Poi parlò:
<< Non posso salvarlo. E’ ridotto troppo male. Morirà. >>
La donna si disperò ancora di più e chiuse gli occhi, pieni di lacrime. Beltza continuò:
<< Guardalo, guarda tuo marito. Ha affrontato molti soldati, ha sconfitto Zuria, il Santo Campione, ed ha tenuto testa a me. Mi è sfuggito da sotto al naso e ha più volte rischiato di ammazzarmi. Quest’uomo sta morendo con quanto più onore possibile. >>
La donna continuò a piangere, sussurrando parole d’amore al suo morente sposo. Garria rispose:
<< L’ho fatto solo per lei. Ho versato sangue per amore, ed ora sono ricoperto dal mio sangue e morirò. Con la mia morte sarai libero, valoroso demone. Prenditi cura di lei, te ne prego. >>
Il cuore di Beltza fece per uscire dalla cassa toracica. Gli occhi del cacciatore si fecero lucidi e i suoi pensieri si bloccarono.
<< Hai commesso molte atrocità in passato. Ma in fondo sei un uomo abile ed intelligente. Prendi la mia vita, prendi la tua libertà e usala per donare a mia moglie un’altra vita. Che non marcisca in queste dannate celle. Ci sei passato anche tu, sai quanto sia orribile vivere e morire qui dentro. Lei non ha colpa se io ho disertato. >>
Beltza non volle saperne oltre. Strinse i denti, si morse le labbra e, con mani tremanti, affondò il coltello nella carne, fin dentro al cuore. La risposta del nero cacciatore fu una:
<< Lo farò. >>

Il vecchio re Rac sedeva tranquillo sul suo trono d’ebano. Gli occhi si illuminarono alla vista del suo sicario preferito, seguito da un lenzuolo bianco su un piccolo carretto.
<< Dunque? >>
Fu l’accoglienza del re. Beltza portò il carretto e il suo orribile volto di fronte al sovrano e lentamente scostò il velo bianco rivelando il volto di Garria, ormai freddo ma con una strana espressione.
<< Oh, meraviglioso! Hai dato pieno compimento alle mie aspettative! Ed io darò compimento alle tue, che non si dica che non sono un uomo d’onore. >>
Il sorriso beffardo del re non convinse il cacciatore. Ma Beltza non era così stupido da farsi cogliere impreparato. Se un re voleva invadere i regni alleati, tradendoli, perché avrebbe dovuto concedere la libertà ad un criminale con una taglia sulla testa superiore alla somma di qualsiasi altro criminale in circolazione?
Il re diede il segnale ai suoi soldati che avrebbero dovuto ucciderlo, ma ciò non avvenne. Anzi, una delle guardie avanzò lentamente e consegnò la propria balestra al nero cacciatore.
<< Tradisci i tuoi alleati, fai giustiziare i tuoi stessi uomini solo perché si rifiutano di combattere nel nome di una causa così stupida e, soprattutto, non mantieni la parola data con un individuo come me. Tre errori che ti porteranno alla morte. >>
La balestra venne puntata in direzione del re, il quale, vedendo che nessuno aveva la benché minima intenzione di salvarlo, si rannicchiò spaventato sul suo trono.
Beltza ordinò:
<< Ora io andrò via e porterò con me una donna. Non ti ammazzo perché voglio che tu tolga dalla circolazione la taglia sulla mia testa. Mi hai promesso e negato la libertà e io me la prenderò con la forza. >>
La balestra cadde a terra e Beltza girò i tacchi e si diresse verso l’uscita, trascinando con sé il carretto funebre.
<< Darò una degna sepoltura a quest’uomo. Prenderò la donna e sparirò per sempre da queste terre. Se vedrò ancora un avviso di taglia e se sentirò ancora parlare di te e delle tue stupide decisioni, tornerò a staccarti quella lurida testa dal collo. >>
Le guardie fecero passare il brigante, sogghignando. Nessuno aveva mai parlato in quel modo al loro re e sapevano benissimo che d’ora in avanti sarebbe cambiato tutto; il re era stato umiliato e il cacciatore di uomini aveva miracolosamente trovato redenzione.
  
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