Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Dernier Orage    12/08/2012    1 recensioni
Seguito di No Human Can Drown.
Michelle richiedeva le coccole del padre quanto Louise tendeva ad esasperarlo. Forse era genetico oppure una questione di abitudini; Annik Alunir, la nonna delle bambine, trovava come spiegazione la massima “non si sa quale forma possa prendere un desiderio, può manifestarsi in un figlio concepito pensando involontariamente ad un’altra persona” – Stéphane era certo che la madre se la fosse inventata. Quando andava a prendere a scuola la figlia minore tendeva ad accontentare ogni sua richiesta di soste lungo i giardini, tazze di cioccolata calda alla ricerca di un café che le accompagnasse con un piattino di caldi churros.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'No Human Can Drown '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A






Your Smile and the Other Lies





Le vacanze di Primavera erano cominciate il quinto giorno d’Aprile, un sabato, e sarebbero durate fino al ventidue, un martedì, per Stéphane giorni adatti per approfittarne e ritornare nella casa materna, troppo piccola per la convivenza armonica di cinque persone ma ugualmente piacevole. Se i genitori dei compagni di classe di Michelle si affidavano a babysitter o doposcuola per ritagliare dei momenti di tempo libero, lo scrittore contava sulla madre nelle settimane passate a Brest.
Marc, che conosceva Ismaël da diciotto anni, affermava che mai l’amico aveva trascurato così tanto la libreria; Charlez, suo dipendente ed amico da dieci, confermava ma si diceva contento della nuova collega. Carole, commessa nella libreria da quattro mesi, era contenta del cambiamento e della conseguente assunzione. Per Ismaël era stato inconscio il progressivo abbandono dell’attività, dipendeva probabilmente dal bisogno di creare una coppia chiusa ed indissolubile, un’inscindibilità dopo i…
- Da quanto, ormai?- Il salotto del padre di Ismaël, dai mobili moderni e contemporanei, le vetrinette illuminate con le statue indiane, le automobili in latta riciclata del Sudamerica, le maschere giapponesi e i vasi cinesi. Le tende di rafia e conchiglie addolcivano la luce metallica del pomeriggio.
- Sei anni il mese scorso.- Stéphane, stretto nella vecchia maglietta di Greenpeace presa a São Paulo nel 1990, sorrise. Lo fece perché ogni attimo era inaspettato in previsione della domanda attesa, poteva esser posta in qualsiasi modo, distrattamente o curiosamente, in correlazione con i discorsi o separatamente.
- E’ tanto.- Eveline sorseggiò il caffè d’orzo e posò la tazzina sulla tovaglia patchwork.- Michelle e Sebastien quando escono stanno a tre metri di distanza, lei davanti e lui dietro. Hanno paura di essere presi per fidanzatini.-
- Una decisione di mia figlia, immagino. Dovrò farle una lavata di capo.- Mugugnò Stéphane in previsione della richiesta di spiegazioni da porre alla figlia, lo spiegarle che così facendo feriva il cugino e che poi, quello che pensavano gli altri di loro non era così importante.
- Sono divertenti.- Ridacchiò Eveline, nei panni di padrona di casa scartò il rivestimento di un vassoio di pasticcini, rivelando dei mini éclairs con la glassa al caffè e al cioccolato. Al suono del citofono si alzò per aprire la porta.- Sono già arrivati.-
- Dubito che Sebastien si diverta.- Sbuffò Stéphane sentendo in corridoio i saluti, i commenti al non aver aspettato per fare il caffè.
- Domani verranno dei parenti di vostro padre, tremo all’idea.- Disse Eveline tendendo le labbra e facendo strada a Ismaël e Neven.
- Evelle, scoprirai il grande errore di traslitterazione dei Tzhaim-Chalm. Non rimanerne sconvolta.- Commentò Neven facendo ridere i presenti.
Somigliava parecchio al fratello ma aveva i capelli di colore più scuro, gli occhi castani e la pelle abbronzata da viaggiatore. Il sorriso caloroso contrastava con i bronci o l’aria annoiata di Ismaël. Era appena tornato da Mombasa e aveva portato dei kanga multicolore a tutte le donne della famiglia. Uscirono; era metà pomeriggio, faceva caldo e il cielo era nuvoloso.
- Un gioiellino, vero?- Accennò Neven indicando il nuovo fuoristrada dalle finiture cromate.
- Veramente.- Sospirò Stéphane girandogli attorno per osservare i cerchioni, le ruote, la carrozzeria. Neven gli lanciò le chiavi e gli cedette il posto dell’autista. Il vecchio appartamento materno non distava molto da rue de Denver, Stéphane parcheggiò nel vialetto coperto davanti al cancello, sperando che i vicini non necessitassero del passaggio per almeno mezzoretta. Il cortile era diverso da come lo ricordava, non c’erano più aiuole verdi di bossi e agrifogli ma contenevano piccoli alberi di palma, nelle fessure tra le piastrelle si raccoglieva la sabbia, i colori della facciata erano sbiaditi e scrostati.
- C’è il progetto di rifare il cortile, ridefinendo gli spazi si riuscirebbe a ricavarne tre parcheggi.- Neven tirò fuori le chiavi dalla tasca dei pantaloni, aprì il portone nero e con un sibilo accese la luce. Rimanevano i mobili antichi appoggiati alla tappezzeria di tessuto, l’assenza di suppellettili svuotava visivamente la casa, la ingrandiva e rendeva fredda. Neven si accucciò davanti al divanetto e rivoltò i cuscini per mostrare gli strappi e i tagli.- Gli ultimi anni per lei devono esser stati un inferno, era impazzita, totalmente.-
Ismaël ignorò ogni riferimento alla madre, girovagò per l’appartamento, i tre piccoli salottini, la sala da pranzo, le camere degli ospiti e i quattro bagni, le grandi cucine, le camere delle domestiche, i lunghi corridoi, quella che in gioventù fu la sua stanza. I mobili rimasti erano coperti da teloni bianchi, i letti a baldacchino si ergevano nel loro scheletro di legno, vele ammainate. I quadri e gli specchi trovavano appoggio contro il muro, le cornici e i lampadari sul pavimento, i tappeti arrotolati ai lati delle stanze, le finestre spoglie delle tende e dei tendaggi, i materassi delle lenzuola.
- C’è parecchio lavoro da fare.- Borbottò Stéphane cercando Ismaël con lo sguardo. Lo perdeva, perdeva la sua nota vicina, il suo calore, alzava gli occhi e lo ritrovava, appoggiato al davanzale, con alcuni ospiti ad una festa, vicino alla testata del letto.
- Non ne hai idea.- Asserì entusiasta Neven, srotolò le carte e le piantine, il progetto e le varie fasi stampati su carta millimetrata sulla consolle nella sala da pranzo, la più illuminata.- Un appartamento da centodieci metri quadrati, per me. Il resto si dividerebbe in tre monolocali soppalcabili, bisogna buttare giù tutto. In cinque mesi di lavoro, neanche, sarà tutto pronto.-
Ismaël tentò di immaginare tutti i cambiamenti da fare, quanto avrebbero richiesto, se ne sarebbe valsa la pena. Non amava particolarmente quella casa ma l’idea di un monolocale a Brest era allettante.
- Devo pensarci.- Mormorò imbronciato. Poneva Stéphane in degli stati di esitazione permanente, una tensione continua, qualcosa che permetteva di sentire lo stomaco avvolto tra le spire di un serpente, un pizzicore alla bocca.- Potremmo rimanere per stanotte.-
- Fate pure, passerò domani a prendere le chiavi.- Ghignò malizioso Neven raggruppando le carte.

Erano rimasti, una telefonata a casa, un’incursione nel bar in strada per prendere due croque tartiflette e il caffè, serviti da una gentile ragazza in piatti e bicchierini di plastica avvolti in carta stagnola e tovaglioli, poco tempo per consumarli, il necessario per raggiungere la passata camera da letto, la sua finestra al piano terra, la parete più chiara dove una volta si appoggiava il pianoforte, l’odore del cuoio che ricopriva lo scrittoio, il legno dei mobili rimasti.
Ismaël e Stéphane si amavano rabbiosamente sul raso trapuntato del materasso, il letto cigolava e graffiava il parquet. Quel calore bastava, l’infinito era nella pelle che sfiorava, accarezzava, sfregava, stringeva, lambiva altra pelle. Nei baci disorientati, cercati ad occhi chiusi tra scapole e spalle, la linea simmetrica della mandibola o la curva della schiena. Era cominciato con il cielo livido riflesso dalle tende sottili, propagato sui muri, gli occhi di Ismaël si erano scuriti nell’inchiostro della notte, morbido grigio ardesia allagato dal nero delle pupille, sommerso dall’alta marea.
Sul corpo di Ismaël rimanevano i segni, la pelle troppo chiara accoglieva i graffi rossi che premendo le mani di Stéphane sul petto si infliggeva, i morsi che scoprendo il collo reclamava. Le tracce, i marchi che ironicamente indicavano il possesso, rilucevano richiamando tutto il calore del sangue. Ismaël non si rendeva conto che la sua luminosità e le sue ombre lo rendevano così amabile agli occhi dei cercatori di stelle, Stéphane e Marc, il suo prestigio risiedeva nella sua debolezza, il suo viso era quello forgiato dai rintocchi dell’amore, su altre persone ed altri corpi per poi risplendere in un’unica persona.
Stéphane si svegliò con un brivido di freddo, aggrappato ad Ismaël, imprigionato nei movimenti del sonno, riscaldato a tratti sull’addome e nel viso, negli avambracci nell’amplesso, le gambe al gelo.
L’orologio da polso abbandonato sul pavimento riportava le ore sei e dieci.
- Amore, svegliati, svegliati che andiamo a vedere l’alba.- Provò a sussurrare contro la tempia dell’amato. Nell’aria si mischiavano l’odore consunto di polvere e la fragranza proveniente da una boulangerie, vicina, dall’altra parte della strada, appena.
- E’ così presto?- Borbottò quasi indistintamente Ismaël. Dopo pochi secondi il ritmo del respiro era tornato quello di un addormentato.
Stéphane si alzò e si vestì; una maglietta, i jeans e la giacca leggera. Sperò che nel bagagliaio ci fosse una coperta e, non riuscendo a svegliare Ismaël nonostante i baci a cui rispondeva sonnacchioso ed incosciente, si impegnò per infilargli i pantaloni, allacciargli la camicia.
A separarli dall’auto erano mezza dozzina di isolati, in discesa, verso l’entrata dell’area portuale, tra i primi negozianti che provavano ad alzare le serrande, i baristi, i panettieri, i giornalai, le persone che smontavano dal turno di notte e stanchi tornavano a casa, si fermavano a prendere le petit déjeuner per i famigliari, si trascinavano dietro delle sporte, avanzavano lentamente come una marcia ben calibrata.
Stéphane guidò inoltrandosi nella rada finché non colse i primi bagliori perlati e rosati, poi caldi e aranciati, lottavano contro le tenebre, le stelle erano strappi e bruciature in un lenzuolo nero.

- Dovrei dire che lo accetto soltanto perché è mio figlio e i figli vanno amati sempre? Oppure dovrei dire che, okay, conosco un paio di omosessuali e non mi stanno antipatici, ma lo fosse mio figlio non lo accetterei? Agathe, mia cara, io non accetto un bel niente.- Il tavolino era apparecchiato per quattro, con colori chiari, azzurrino e giallino, due tazzine da caffè, due tazze da caffelatte e due bicchieri di succo di mela, fette di pane, un quadrato di burro, un barattolo di marmellata di lamponi. In due piatti rimanevano poche briciole, una sbavatura rosso scuro, segni della sazietà e della successiva noia delle nipoti. Annik si era data un gran daffare per ordinare e rendere il tutto carino e familiare, non aveva molte amiche ma ci teneva a fare bella figura. Ormai era diventata un’abitudine, ricevere visite a colazione e farne altrettante.- Io non accetto “gli altri”, io non accetto mio figlio. Non credo che l’omosessualità sia innaturale. Non la reputo una cosa strana o sbagliata; okay, non è frequente. Stef dice un dieci per cento, è abbastanza, vero? Non è normale inteso come regolata da norme, però è naturale. Ed in ogni caso la maggioranza eterosessuale non può arrogarsi il diritto di considerare sbagliate le altre varianti, nessuno può considerarsi giusto.-
- Ma Annik, ascolta, è normale un attimo di costernazione, sai, le prime cose a cui si pensano sono i nipoti, devi anche capirla l’Yvette, ha scoperto la figlia, quarantenne, a letto con una donna. Ovvio che vederla svolazzare da un uomo all’altro senza serietà, e poi, beccarla con una donna, l’ha sconvolta.- Agathe era più anziana e ne aveva passate di tutti i colori. Con una reputazione ancora peggiore aveva difeso quella di Annik, più volte, in gioventù. Aveva gli occhi bistrati e i capelli ossigenati, gli anelli d’oro roteavano e tintinnavano tra le dita.
- Agathe, capisco benissimo. Sapessi quanto ho pianto, non riuscivo a smettere, mi sembrava di essere vissuta nelle bugie per anni. E poi mi mancava, mi mancava tantissimo ed era lontano più di mille chilometri. Forse aveva paura che reagissi come sta facendo adesso Yvette.- Sospirò Annik ritornando al figlio come spesso faceva, c’erano sempre troppi chilometri a separarli e vivere in quel modo, in cinque incastrati in due stanze, non le dispiaceva affatto.
Annik lasciò vagare la mente mentre Agathe guarniva di ricciolini di burro il pane. Avrebbe cucinato del riso per pranzo, riso con striscioline di omelette e pezzetti d’ananas. Poteva aggiungerci degli straccetti di pollo per il figlio, Louise invece non li avrebbe mangiati, Michelle probabilmente no ed Ismaël neanche a pensarci. Forse sarebbe stato meglio ripiegare su una minestra, sì, la minestra di nonna Annik piace a tutti.











   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Dernier Orage