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Autore: _Sihaya    12/08/2012    1 recensioni
Finale alternativo per la saga di Harry Potter!
- Dimenticate l’epilogo di Harry Potter e i doni della morte (Diciannove anni dopo);
- eliminate circa le ultime otto pagine del finale e precisamente fermatevi alle seguenti parole (cito testualmente): “[…] L’alba fu lacerata dalle urla e Neville prese fuoco, immobilizzato. Harry non poté sopportarlo: doveva intervenire… Poi accaddero molte cose contemporaneamente.
- Ora domandatevi: “Quali cose sono accadute? E se fossero state dimenticate?”
[Ai capitoli 13, 19 e 27 trovate un breve riassunto degli eventi!]
Genere: Guerra, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Angelina/George, Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Lost Memories - Capitolo 39

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Ed ecco, finalmente, l’epilogo di questa lunga fic. La più lunga che io abbia mai scritto, così lunga, secondo i miei parametri, che temevo sinceramente di non arrivarci in fondo. L’ho diviso in due parti per agevolare la lettura, ma le pubblico contemporaneamente perché è così che le ho scritte e rappresentano un unico capitolo.

 

* * *

 

Poi non è che la vita vada come tu te la immagini.

Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada.

Baricco, Oceano Mare

 

* * *

 

Epilogo – Scelte (I Parte)

 

A due settimane dalla definitiva sconfitta di Lord Voldemort, con votazione unanime, il neo-eletto Consiglio dei Ministri aveva affidato a Kingsley Shacklebolt la carica di Presidente del Wizengamot. Nel giro di qualche giorno, con perfetta efficienza, Kingsley aveva formato una commissione di Auror per processare i Mangiamorte: tutti erano stati condannati al Bacio dei Dissennatori, eccetto un paio.

 

Il Consiglio aveva anche delegato all’Esercito di Silente il compito di ricostruire la Scuola di Magia e Stregoneria. Ogni area dell’edificio doveva essere ripristinata sulla base del progetto originale; eventuali modifiche avrebbero dovuto essere esaminate e autorizzate dal futuro Preside, la cui elezione era fissata per settembre, a ridosso della riapertura della scuola.

Intanto si raccoglievano le candidature e si cercava di rimettere in piedi Hogwarts: costituire un team di docenti, convocare le nuove matricole, organizzare percorsi di riabilitazione per gli attuali studenti e corsi intensivi per i ragazzi ormai fuori età che intendevano recuperare rapidamente gli anni perduti a causa della guerra.

 

Mentre ministri e Auror provvedevano alle questioni organizzative, i membri dell’Esercito s’apprestavano a occuparsi della parte operativa.

Era il primo di febbraio; fuori il cielo era coperto, ma la temperatura mite faceva respirare aria di primavera. Il freddo di quel terribile inverno sembrava un ricordo lontano.

 

Neville aveva convocato tutti per le otto del mattino nella Sala Grande del Castello.

 

La Sala era priva del suo più spettacolare incantesimo e mostrava solo uno spoglio soffitto a volta; l’illuminazione tenue era offerta dalle poche torce accese lungo le pareti. In fondo, al posto del tavolo dei professori, splendeva il trono sfarzoso usato in quegli anni da Bellatrix. Studenti ed ex-studenti sedevano, come ai vecchi tempi, alle tavolate delle rispettive Case, ma nonostante il brusio e il vociare fossero quasi frastornanti, la maggior parte dei posti non era occupata; il tavolo di Grifondoro era il più affollato, quello di Serpeverde era vuoto.

 

C’era una grande agitazione, sollevata per lo più da alcune copie della Gazzetta del Profeta, fresche di stampa, che stavano passando di mano in mano.

 

Harry, entrato nella Sala insieme a Hermione, si fermò sulla soglia e, chinandosi verso di lei, le bisbigliò qualcosa all’orecchio. Hermione, senza distogliere gli occhi dalla tavolata, fece un cenno d’assenso con la testa e deviò verso la Sala Professori. Harry la seguì, apparentemente inosservato.

 

« Facciamo questa cosa e poi ce ne sbarazziamo definitivamente, » disse Hermione risoluta, appena Harry chiuse la porta della Sala Professori.

 

« OK. » annuì Harry mentre estraeva la bacchetta di agrifoglio, irrimediabilmente spezzata, dalla custodia che Ginny gli aveva consegnato prima della missione.

 

Hermione vi poggiò sopra la punta della Bacchetta di Sambuco: « Reparo. »

 

Il legno si ricompose sotto gli occhi commossi di Harry. « È davvero potente, » mormorò.

 

« Per questo è necessario nasconderla, » ribadì Hermione, « in modo che nessuno possa mai più impossessarsene. »

 

« È la bacchetta a scegliere il mago… » citò Harry sovrappensiero, « a chi credi che appartenga veramente? »

 

« Cosa? »

 

« La Bacchetta di Sambuco. Credevo di esserne il proprietario ma, mentre combattevo contro Voldemort, non reagiva in mio favore. Forse l’Incantesimo di Disarmo non è sufficiente per appropriarsene… » rifletté ad alta voce. « Credi che appartenga ancora a Silente? Perché… in tal caso… potremmo restituirgliela, » propose mestamente.

 

Hermione rimase alcuni istanti in silenzio, sorpresa (ma non più di tanto) per quella domanda: durante lo scontro finale, probabilmente, il rapido susseguirsi di eventi drammatici aveva confuso Harry impedendogli di seguire il percorso della Bacchetta di Sambuco.

 

Hermione, invece, non l’aveva persa di vista un istante e ricordava perfettamente che un Mangiamorte aveva disarmato Harry mentre tentava di salvare Ginny dal tavolo di tortura.

 

Non era difficile trarre le conclusioni: se, come diceva Harry, la bacchetta gli apparteneva e bastava un Incantesimo di Disarmo per impossessarsene, a quel punto la proprietà era passata al Mangiamorte, nonostante il potente oggetto fosse nelle mani di Voldemort.

Harry non aveva tenuto conto di quel passaggio e aveva sfidato il Signore Oscuro. Malfoy, accortosi dell’imminente fallimento, era intervenuto con la Spada di Godric Grifondoro e ovviamente, come accade ogni volta che si agisce in modo avventato e illogico - Hermione fece una smorfia di disappunto - non era riuscito nel proprio intento, tuttavia aveva indebolito il Signore Oscuro abbastanza per consentire a Harry di disarmarlo. La Bacchetta di Sambuco era volata in aria e Hermione era corsa a raccoglierla; consapevole del potere dell’oggetto e dei rischi ad esso collegati, si era ben guardata dall’utilizzarlo e aveva preferito pietrificare con la propria bacchetta un Mangiamorte accorso in aiuto al Lord Oscuro.

 

Lo stesso Mangiamorte che poco prima aveva disarmato Harry.

 

Dedurre le conseguenze di quell’azione, per Hermione, era stato facile come fare “due più due”.

 

Si morse il labbro inferiore.

 

Non era il caso di rivelarlo a Harry, né ad altri.

 

E non c’era motivo per opporsi alla sua proposta: era un gesto nostalgico, di riconoscenza e di affetto, al quale l’amico probabilmente pensava da tempo.

 

« Non ho idea di chi sia il proprietario, » mentì scuotendo la testa vigorosamente, « ma penso che Silente sia un nascondiglio perfetto, » commentò consegnandogli la Bacchetta di Sambuco.

 

« Nascondila tu, » suggerì. « E non dire a nessuno dove l’hai messa. »

 

Harry annuì riconoscente e lei gli sorrise complice. Si fidava pienamente di lui.

 

* * *

 

Come al solito, l’aula di Pozioni era gelida.

 

Malfoy si strinse nel mantello che Aberforth gli aveva dato alla Testa di Porco. C’erano dei motivi pratici per non sbarazzarsi di un oggetto del genere: scaldava e riparava in modo efficiente… e poi c’erano altri motivi, che solo alcuni mesi prima non avrebbe mai preso in considerazione. Aveva imparato a guardare gli oggetti magici in modo diverso, non solo valutandone la qualità e l’utilità. Ognuno di essi rappresentava un frammento di memoria recuperato con fatica. In quei giorni Malfoy ci aveva riflettuto molto: quando perdi tutto eccetto il nome - che è come una maledizione perché a causa sua non potrai più possedere nulla - i ricordi sono l’unica cosa che rimane.

 

L’unica cosa in grado di non farti perdere anche te stesso.

 

Avvolto dal mantello caldo, seduto sul tavolo impolverato che una volta rappresentava il suo banco di lavoro, con le braccia incrociate sul petto, un piede a terra e l’altro su una vecchia seggiola, Malfoy si guardò la punta delle scarpe babbane, sporche e sdrucite, che ancora indossava: come avesse fatto della roba tanto scadente a sopravvivere ad una battaglia di maghi poteva saperlo solo Merlino... Con un colpo di bacchetta le rimise in sesto, poi tornò ai propri pensieri.

 

Assolto.

 

Ancora stentava a credere alla sentenza.

 

Si era rifiutato di parlare con chiunque, non aveva mostrato pentimento, né aveva mendicato perdono. Non che fosse pronto a pagare l’enorme debito che la sua famiglia gli aveva scaricato addosso, era soltanto convinto che per lui, Draco Lucius Malfoy, non ci fosse altro destino.

 

Il Wizengamot, invece, doveva essere di altro avviso perché la commissione aveva deciso di assolverlo.

 

“Non possiamo ignorare il male che la sua famiglia ha fatto, né i debiti che ha contratto con il Mondo Magico…” Aveva detto Shacklebolt.

 

Ma la sua famiglia non c’era più.

 

“Pertanto ogni bene intestato ai Malfoy verrà confiscato e utilizzato per la ricostruzione.”

 

Come s’aspettava: gli avevano tolto tutto.

 

La lista delle proprietà confiscate che Shacklebolt aveva letto ad alta voce gli era sembrata infinita, c’era addirittura un castello norvegese di cui ignorava l’esistenza.... Persino la Villa babbana di Londra era in elenco.

 

Stranamente mancava la baita segreta.

 

Possibile che la Granger non avesse spiattellato alla giustizia quel particolare?

 

E - sorprendente generosità! - gli avevano lasciato pure una parte del denaro depositato alla Gringott.

 

“Tuttavia…”, aveva aggiunto Shacklebolt dopo una pausa ad effetto.

 

Tuttavia?

 

In quel momento Malfoy era rimasto davvero col fiato sospeso a domandarsi quale fosse la sentenza emessa per lui.

 

 “Considerate le testimonianze delle persone che le sono rimaste vicine in quegli ultimi mesi…”

 

Malfoy aveva aperto la bocca e poi l’aveva subito richiusa, perché ci voleva poco a capire quel riferimento: l’unica persona con cui aveva, suo malgrado, interagito era Hermione Granger.

 

Considerata, quindi, la testimonianza della Granger…

 

Malfoy sospirò nel silenzio dell’aula di Pozioni e il suo fiato prese forma condensandosi nell’aria.

 

Merlino! Continuava a contrarre debiti con lei… 

 

“E valutato il suo ruolo nella battaglia finale…”

 

Su questo non poteva biasimarli, dato che lo Sfregiato sperava di salvare il mondo a colpi di Expelliarmus…

 

“La giuria ha deciso per la sua assoluzione.”

 

A quel punto, lo ricordava terribilmente bene, lo stomaco gli era balzato in gola, come se il pavimento si fosse aperto sotto di lui facendolo precipitare nel vuoto.

 

Ora, il ricordo di quelle parole aveva assunto un sapore fin troppo amaro.

 

Assolto, ma umiliato e privato di ogni ricchezza.

 

Con tutta l’ingenuità di cui era capace, il codardo che era in lui aveva guardato il giudice sgranando gli occhi e aveva domandato: “E io, ora, cosa faccio?”

 

Nonostante avesse davanti un ex-Mangiamorte, Shacklebolt aveva dovuto sforzarsi non poco per reprimere un sorriso di tenerezza e, assumendo l’espressione severa che il proprio ruolo e il retaggio dell’imputato imponevano, aveva risposto:

 

“Faccia quello che vuole, Signor Malfoy.”

 

Che è un po’ come dire: “Rifatti una vita altrove e non farti più vedere in giro.”

 

E in fin dei conti, pensò Malfoy, avrebbe potuto farlo, ma purtroppo per Shakelbolt, il Ministero e compagnia bella, le cose di cui aveva bisogno erano tutte a Hogwarts.

 

Compresa lei.

 

Certi pensieri arrivano all’improvviso, nel momento meno opportuno. Malfoy aveva potuto verificarlo mentre era là, al banco degli imputati.

 

Aveva scosso la testa con vigore e i giudici lo avevano guardato preoccupati.

 

“Si sente bene?”

 

La domanda era caduta nel silenzio.

 

No. Stava malissimo, decisamente. In preda ad un forte stordimento e con la sensazione di dover vomitare da un momento all’altro.

 

Pensando che non avesse compreso, Shaklebolt aveva aggiunto: “Da ora è un libero cittadino del Mondo Magico.”

 

A quel punto, sotto gli occhi turbati della commissione, Draco aveva inspirato profondamente, aveva abbandonato la propria postazione ed era uscito dal tribunale senza biascicare parola.

 

Un libero cittadino.

 

Non c’era nulla di nuovo. Dopotutto, lui era sempre stato un libero cittadino, anche quando aveva accettato di farsi marchiare, anche quando aveva tentato di uccidere Silente.

 

La differenza stava nel fatto che ora non c’era più suo padre a sollevarlo da ogni responsabilità.

 

Il che rendeva quella libertà un tantino opprimente e lo costringeva a fare i conti con se stesso.

 

Lo costringeva a riflettere prima di scegliere e gli ricordava in ogni momento che ogni decisione presa per puro tornaconto personale aveva delle ripercussioni sulle proprie emozioni.

 

E viceversa.

 

* * *

 

Ron spalancò la porta della Sala Professori senza bussare. Era rosso in viso e teneva in mano una copia della Gazzetta del Profeta. Raggiunse Hermione e gliela sventagliò davanti agli occhi con sdegno.

 

« Ti rendi conto che la colpa di questo è anche tua? » Esordì.

 

Respirando aria di tempesta, Harry sgattaiolò fuori dalla stanza lasciandoli soli: avrebbe ringraziato Hermione più tardi. Sapeva perfettamente cosa faceva imbestialire Ron, che poi era la stessa cosa che quella mattina agitava la Sala Grande: il trafiletto in prima pagina (approfondimenti a pagina sette) che annunciava la candidatura di Draco Malfoy alla carica di Preside di Hogwarts.

 

In realtà, ciò che infastidiva Ron non era la candidatura, ma il fatto che Malfoy non avesse trascorso ad Azkaban nemmeno un giorno.

 

Il tribunale supremo dei maghi aveva emesso quasi tutte le condanne con estrema rapidità, ma per Pansy Parkinson e Draco Malfoy erano stati ascoltati molti testimoni. Nel caso di Pansy, la pena era stata ridotta a qualche mese di reclusione. Malfoy, invece, era stato assolto. Per decidere della sua sorte erano stati interpellati anche Neville, Harry ed Hermione. L’obiettivo era comprendere quali fossero le vere motivazioni che l’avevano indotto a ribellarsi al Signore Oscuro, dato che il Serpeverde si rifiutava di comunicare civilmente con chiunque. Hermione era stata ascoltata per ultima. Aveva raccontato quello che era accaduto fin dal loro primo incontro a Londra, dichiarandosi fermamente convinta del sincero pentimento di Malfoy.

Era rimasta in tribunale per ore. Ron ed Harry, nell’attesa, avevano rischiato – testuali parole – di morire di fame.

Uscendo aveva riferito loro la propria posizione e, se Harry si era dichiarato alquanto perplesso, Ron l’aveva presa come una terribile offesa personale: non gli andava proprio giù che lei avesse testimoniato in favore del furetto rimbalzante.

 

« Quello è più viscido di un serpente! Hai dimenticato come ci trattava a scuola?! » Continuò Ron senza accorgersi che Harry se la dava a gambe.

 

« Per l’amor del cielo, Ron! Non puoi far baciare da un Dissennatore tutti quelli che a scuola ti prendevano in giro! » ribatté lei.

 

« Non posso crederci, questa tua… clemenza… è priva di qualsiasi buonsenso! Da te, Hermione, proprio non me l’aspettavo. »

 

« Le persone cambiano. » Commentò secca Hermione, ormai spossata da quell’inutile discussione.

 

Erano giorni che Ron insisteva rifiutandosi di ascoltare le sue ragioni. Per lui Malfoy non era altro che un meschino Serpeverde e un Mangiamorte a piede libero; non era disposto nemmeno a riconoscere che il suo intervento, per quanto lontano dagli obiettivi dell’Esercito, era stato determinante nella vittoria contro Voldemort.

 

« Non ho fatto altro che testimoniare, » si difese ancora, « ho descritto quello che ho vissuto, la sentenza finale è opera degli Auror. »

 

« Infatti mi sorprendo che gente di quel livello si sia lasciata abbindolare così facilmente… » masticò Ron con disprezzo.

 

« Non dirmi che è per questo che hai deciso di mollare gli studi! » Esclamò Hermione con un briciolo di rabbia nella voce.

 

Se per Ron era incomprensibile l’assoluzione di Malfoy, per lei era inconcepibile lasciare la scuola senza un valido motivo.

 

E Ron, quel motivo, sembrava proprio non averlo. Con semplicità, scrollò le spalle: «  È che non mi va più di studiare, te l’ho detto. Lavorerò con George ai Tiri Vispi. » disse abbassando lo sguardo per evitare di vedere la disapprovazione negli occhi di lei.

 

Sul viso di Hermione, però, non c’erano né biasimo, né delusione, solo una sottile amarezza. Imitandolo, alzò le spalle.

 

« Lo vedi? » Disse con il tono di una professoressa la cui ragione non può essere messa in discussione, « le persone cambiano. »

 

E quello fu tutto ciò che riuscì a dirgli.

 

Le parole, quelle complicate ma sincere, quelle che avrebbero dovuto descrivere i suoi sentimenti, spiegargli il motivo di quel distacco, della scelta di non provare nemmeno a incominciare una storia insieme, rimasero dentro di lei.

 

Forse per il timore di ferirlo ulteriormente.

 

O forse perché, in fondo, qualsiasi parola avesse usato per descrivere quello che provava sarebbe giunta a Ron come una provocazione.

 

In un anno possono accadere un’infinità di cose in grado di stravolgere la vita di una persona; nel loro caso, gli anni erano due.

La loro memoria era stata violata, i legami erano stati stravolti e i ricordi sostituiti da menzogne.

 

Che lo volesse o meno, prima o poi Ron avrebbe dovuto accettare i segni indelebili che gli eventi di quella guerra avevano lasciato in ognuno di loro.

 

Non era possibile spazzare via tutto con un colpo di spugna.

 

La sua testardaggine rendeva solo le cose più dolorose del previsto. Hermione avrebbe voluto essere compresa e forse, paradossalmente, approvata, ma lui si rifiutava persino di ascoltare.

 

« Io ti voglio bene Ron, qualsiasi cosa accada continuerò a volerti bene! » Gli disse con voce spezzata.

 

Lui le voltò le spalle bruscamente. Le lacrime gli riempivano gli occhi.

 

Io, invece, ti amo.

 

« Due anni sono tanti… sono successe delle cose che… non posso ignorare… » insistette lei.

 

Ron fece una smorfia.

 

Era davvero convinta che il semplice scorrere delle stagioni potesse alleviare il suo dolore?

 

Non voleva più ascoltare nessuna scusa.

 

Con un nodo in gola sempre più stretto, uscì dalla stanza a testa bassa, senza salutarla, per nascondere le lacrime che ormai gli rigavano le guance.

 

Hermione Granger dava la colpa al tempo.

 

Lui, invece, era convinto che la colpa fosse proprio di Malfoy.

 

Forse le aveva fatto qualcosa di terribile, alla Villa, che lei nemmeno ricordava.

 

O forse, come sosteneva lei, la vicinanza con il Serpeverde l’aveva semplicemente cambiata: quando gli aveva chiesto aiuto, lui nemmeno ricordava chi fosse. Senza volerlo l’aveva lasciata scivolare nella tana della Serpe costringendola ad arrangiarsi da sola per sopravvivere.

 

E lei, immancabilmente, non aveva fallito.

 

* * *


 

   
 
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