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Autore: murdershewrote    13/08/2012    3 recensioni
Dieci persone bloccate in una villa splendida, maestosa. Il loro mausoleo. Si, perchè oltre la pittoresca facciata, tra i sinistri corridoi è nascosta un'inquietante realtà che li condurrà inevitabilmente alla morte, uno dopo l'altro. Erano dieci...e poi non ne rimase nessuno.
Genere: Avventura, Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nine little niggers...

Nove piccoli negretti
fino a notte alta vegliar,
uno cadde addormentato
solo otto ne restar.

Mentre un uomo affogava nel suo stesso sangue, una ragazza impaurita e stanca vagava lungo i corridoi bui e deserti della magione.
La missione era iniziata decisamente male e la scelta di dividersi per indagare singolarmente le era sembrata davvero pessima. Insomma, erano dieci...potevano almeno formare delle coppie.
Cosa che non era stata fatta.
Ma la giovane Rebecca non aveva protestato. Non voleva sembrare una bambina agli occhi dei colleghi. Era già difficile confrontarsi ogni giorno con loro, più grandi e con più esperienza.
Dopotutto, cosa pretendere da lei?
Era solo una ragazzina con l’unico compito di curare le persone...non di andare in battaglia.
La ragazza si fermò un momento per guardarsi attorno. Stava attraversando un lungo corridoio calpestando una soffice moquette rosso fuoco. Il colore delle pareti, un verde antico molto intenso, era reso visibile grazie alle svariate lampade che si alternavano tra una porta e l’altra, poggiate sopra eleganti mobiletti d’epoca in perfetto stato. Talmente perfetto che la ragazza si chiese se quella casa fosse davvero disabitata.
La risposta non tardò ad arrivare...anche se sotto forma di lamenti sommessi.
Si voltò indietro ma non vide nulla. Udì solo degli strani passi strascicati.
“Chi c’è?”
Nessuna risposta.
Solo qualcuno che svoltava l’angolo che poco prima aveva passato anche lei.
Rebecca aguzzò la vista, abbagliata dalla luce di una lampada posta accanto a lei mentre un sagoma scura si stagliava in fondo al corridoio.
“Ma chi è..? Joseph, sei tu? Guarda che non è affatto divertente!”
Sfortunatamente, non si trattava di Frost.
La sagoma riprese la sua lenta avanzata e non appena raggiunse il primo alone luminoso diffuso da una delle lampade la ragazza sussultò violentemente.
La sua giovane e brillante mente la classificò immediatamente come “morto vivente” o, più semplicemente, “zombie”.
Ne aveva visti tanti di film con protagonisti quegli esseri non morti ma nemmeno vivi. Non era difficile riconoscerli: il colorito terribilmente pallido o tendente al verdognolo, la pelle marcescente e cascante, lo sguardo vacuo e le braccia tese in avanti o tenute penzoloni lungo i fianchi.
Un campanello d’allarme iniziò a trillare nella sua testa ma Rebecca non si mosse, intenta a cercare una spiegazione logica a quanto aveva di fronte.
Non poteva esistere sul serio.
Solo quando lo zombie arrivò a qualche metro di distanza da lei, investendola col suo tanfo di cadavere, si decise a voltarsi e a iniziare a correre.
Se c’era una cosa che aveva imparato da quegli stupidi film era che quelle creature non si muovevano velocemente, dato la figura piuttosto decadente.
Non si fermò finché anche l’ultima eco di quella macabra sinfonia di morte non si dissolse nell’aria. Allora rallentò il passo e l’unica cosa che sentì furono i furiosi battiti del suo cuore che cercava di pompare la quantità maggiore possibile di ossigeno fino ai polmoni per permetterle di riprendersi. Anche le gambe però reclamavano un po’ di tregua dopo quelle ore di ininterrotta camminata. Così, imboccato l’ennesimo corridoio, si fermò di fronte ad una porta. Soffermò a lungo lo sguardo sulle curiose decorazioni incise con maestria sul legno scuro, poi ruotò la maniglia e l’apri con cautela.
All’interno, solo il buio.
Tese le orecchie per capire se doveva attendersi qualche altra sorpresa. Poi, escluso ciò, fece qualche passo avanti. Fece passare una mano rasente alla parete in cerca di un interruttore e andò invece a sbattere contro un tavolino facendo rovesciare qualcosa al di sopra di esso.
Almeno aveva trovato una lampada.
Provò ad accenderla e, dopo qualche lampo incerto, quella gettò una calda luce tutt’intorno permettendo così alla ragazza di capire dove si trovava.
Per prima cosa Rebecca chiuse la porta lanciando un’imprecazione al cielo per la mancanza di un chiavistello per bloccarla. Sospirò cercando di mantenere la calma e seguitò a guardarsi intorno.
Si trovava in una camera da letto costituita da mobili di legno scuro sormontati alcuni da bianche statuine di porcellana, altri da una gran varietà di centrini di morbida lana, pizzi e merletti. Le pareti erano rivestite da una tappezzeria beige, macchiate qua e là da qualche quadro raffigurante paesaggi e nature morte. Al centro della stanza spiccava però il vero pezzo forte: su di una pedana che fungeva da scala stava un enorme letto a baldacchino che avrebbe fatto tranquillamente concorrenza a quelli di tutte le principesse che Rebecca aveva sentito nominare nelle favole quando era bambina. Si avvicinò di più al mobile attratta dalla sua grandiosità e dalle minuziose decorazioni incisevi sopra, in linea con quelle della porta. Ammirò il pesante copriletto dai ricami dorati estremamente elaborati su uno sfondo bordeaux.
Sembrava molto comodo...e lei era tanto stanca.
Se voleva continuare ad esplorare quella villa doveva pur riposarsi un attimo.
Si arrampicò sul materasso senza curarsi di sfilare gli anfibi. Non ci sarebbe stata molto, giusto il tempo di rilassare un po’ i muscoli. Vi gattonò sopra fino a raggiungere i due guanciali. Erano così morbidi! Per un attimo affondò il viso in uno dei due, beandosi di quel contatto delicato e fresco. Poi alzò la testa, sbuffando.
“Rebecca, che ti salta in mente? Ti sembra il momento di abbassare la guardia?” disse rimproverandosi.
Si appoggiò allora contro la testiera del letto sistemandosi meglio i cuscini dietro la schiena. Non le sarebbe successo niente se fosse rimasta vigile.
Forse.
Nonostante i buoni propositi la ragazza faticò non poco a mantenere le palpebre sollevate.
“Dai, posso farcela...devo stare sveglia. Mi riposo qualche minuto, solo qualche minuto...Poi esco di qui, trovo gli altri e poi...e poi..”
E poi, cadde addormentata.
Posso immaginare ora le vostre esclamazioni concitate...Ma che volete farci? Ve l’ho già detto che non era fatta per le missioni pesanti.
Ma a volte la stanchezza può giocare brutti scherzi.
Rebecca si svegliò di soprassalto, disturbata da un ronzio proveniente dalla lampada all’ingresso che aveva ricominciato ad avere problemi. Ma ciò che la turbò di più fu il constatare che la porta era socchiusa, quando invece lei l’aveva chiusa. Poteva essere stata una corrente d’aria, anche se tutte le finestre che aveva incontrato erano chiuse e la camera stessa ne fosse priva.
In realtà, la piccola Rebecca era scivolata in un sonno così profondo da non farle percepire lo scatto della maniglia che ruotava e il cigolio della porta che si apriva lentamente. E, soprattutto, non aveva sentito i passi pesanti e irregolari che avevano costeggiato il letto dove lei, ignara di tutto, dormiva beata.
Rebecca si sedette sul ciglio del letto e si accorse di alcune macchie scure che andavano dall’ingresso ad un armadio a muro, che fino ad allora non aveva notato, con un’anta dischiusa. Anche stavolta la coscienza le urlò di lasciare subito quella stanza ma la curiosità ebbe la meglio e Rebecca avanzò fino all’armadio. Allungò una mano e lo aprì con uno scatto. Un corpo, semisepolto dai vestiti scivolati dalle grucce, giaceva in un angolo. Allora Rebecca si decise ad ascoltare la sua coscienza...ma ormai era tardi.
Mentre il tizio nell’armadio si rianimava con qualche brontolio, altri tre zombie fecero capolino dalla porta, bloccando così l’unica via di fuga.
Rebecca li guardò un  momento, disgustata, poi fece uno scatto verso di loro nel tentativo di confondere i loro sensi bacati e poterli aggirare.
Ma chi si trova tra le braccia della morte cosa altro può temere?
I quattro avanzarono inesorabili verso la ragazza che, non sapendo cosa fare, salì nuovamente in piedi sul letto in preda al panico.
Era in trappola, definitivamente.
Se, alla fine di tutto, qualcuno avesse mai avuto l’intenzione di tornare nella villa in cerca del più giovane medico del Dipartimento, avrebbe trovato solo un corpicino esile disteso scompostamente su un elegante e grandioso letto, degno proprio di una principessa.
Ma stavolta nessun principe azzurro, ammesso che avesse avuto il coraggio di baciarla, sarebbe riuscito a svegliarla.

   
 
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