Solo il tempo…
Capitolo
1
Spinsi
in avanti la porta di uscita dell’aeroporto, lasciando la piacevole frescura di
quel posto, e sentii subito sulla mia pelle l’aria calda e afosa che c’era
all’esterno dell’edificio, che mi colpì in pieno.
Ci
avrei sicuramente impiegato un po’ per abituarmi a quelle nuove temperature, così
alte rispetto a quelle a cui ero sempre stata abituata, però ero contenta di
essermi lasciata alle spalle il freddo della penisola di Olympia.
I miei
capelli non avrebbero avuto invece lo stesso beneficio; avevano preso già
abbastanza umidità a Forks, fino a poche ore fa, e di certo ne avrebbero presa
abbastanza anche a Los Angeles.
Los
Angeles, la “città degli angeli”. La mia nuova casa… mi faceva uno strano
effetto pensarla così, ma era la realtà e mi sarei dovuta abituare anche a quel
nuovo particolare.
-
Mamma! Mamma! – mi voltai subito non appena sentii la vocetta un po’ stridula
di mia figlia, che mi stava chiamando.
Allyson
se ne stava appollaiata in cima alle nostre numerose valige, posizionate sul
carrello portabagagli che uno dei facchini dell’aeroporto si era gentilmente
offerto di trasportare.
Io non
ce l’avrei fatta di certo, erano troppo pesanti – papà si era offerto di
trasportarle al posto mio quando ero partita da Seattle - e poi c’era anche
Allyson che dovevo controllare… quella bambina era davvero vivace, un piccolo
pericolo pubblico.
Non
aveva aspettato neanche un secondo prima di decidere di arrampicarsi sopra ai
nostri bagagli, sotto lo sguardo divertito di Bob il facchino, che aveva da
subito preso in simpatia mia figlia.
-
Mamma, aspettami! – esclamò ancora Allie, dimenandosi da sopra le valige per
poter riuscire a scendere.
-
Aspetta un secondo, signorina! – Bob, palesemente divertito dalla vivacità
della piccola, fermò il carrello e fece il giro per poterla aiutare a scendere;
la prese in braccio e poi la depositò sul pavimento, ridacchiando quando Allie sbucò
via dalle sue braccia per potermi raggiungere.
-
Amore, non correre… - la ammonii bonariamente, ma non ottenni nessun risultato,
come sempre. In due secondi Allyson era già ancorata alle mie gambe, con il
respiro leggermente più veloce del normale per via della corsetta. Alzò il
viso, osservandomi con i suoi occhietti azzurri e vispi.
-
Mamma, ma qui fa caldo! – esclamò ancora.
Risi,
carezzandole i capelli biondi e ricci. – Sì, fa tanto caldo…
- È
vero che dopo andiamo a vedere il mare? Me l’avevi promesso… - mi guardava con
il faccino pieno di aspettativa e di speranza, ed era così tenera che quasi non
risposi subito di sì alla sua proposta.
-
Allie, amore… - mi inginocchiai, mettendomi alla sua altezza; approfittai di
quella posizione per sistemarle la gonna del vestitino ed il piccolo fermaglio
a forma di farfalla che le teneva indietro la frangia. – Oggi non si può,
dobbiamo mettere a posto la casa nuova… però domani pomeriggio ci possiamo
andare. Che ne dici?
La
bimba mi sorrise, mostrandomi i suoi piccoli e perfetti dentini da latte. – Va
bene, però me lo compri il gelato adesso?
Beh, un
gelato era un bel compromesso. Si poteva fare.
- Lo
compriamo per strada e poi ce lo mangiamo a casa, ok? – Allie annuì con la
testa, facendo ballonzolare i riccioli biondi.
Mi
rimisi in piedi, e aggiustai con una mano la tracolla della borsa mentre con
l’altra prendevo quella di Allyson. Insieme raggiungemmo l’uscita
dell’aeroporto, dove Bob ci stava aspettando insieme ai nostri bagagli.
Nell’enorme
parcheggio esterno impiegammo una decina di minuti per cercare e trovare la mia
auto; la settimana prima era stata ‘spedita’ e lasciata nel parcheggio fino a
quando non saremmo arrivate noi. Avevo ritirato le chiavi mentre aspettavo,
insieme a Allyson, che arrivassero le nostre valige e mi avevano detto che
l’avrei trovata lì… e infatti fu così.
Avrei
riconosciuto tra mille il mio catorcio, che poi tanto catorcio non era. Aveva
qualche annetto, sì, ma la mia Polo era ancora una meraviglia!
- È
questa qui, signora? – chiese Bob, non appena mi avvicinai alla macchina.
Storsi
il naso. ‘Signora’… non ero poi così vecchia, e non mi piaceva quando mi
chiamavano in quel modo. Ma il fatto di avere una bambina di tre anni spesso
portava la gente a riferirsi a me con quell’appellativo, anche se dovevo compiere
ancora ventidue anni e ne dimostravo addirittura qualcuno in meno.
A
sentire mio padre, era proprio così.
- Sì, è
questa qui. – risposi a Bob e poi premetti il pulsantino che fece scattare la
sicura dell’auto, aprendola.
Bob
caricò con velocità e efficienza le valige nel bagagliaio – chissà quante altre
volte lo aveva fatto, per diventare così rapido – mentre io mi preoccupavo di
far sedere una Allyson parecchio scocciata e capricciosa nel suo seggiolino,
sul sedile posteriore. I bagagli si scoprirono essere più voluminosi di quanto
immaginassi, tanto che alla fine sistemammo le ultime due valige, le più
piccoline, accanto al seggiolino di Allyson e sul sedile del passeggero, che
era libero.
- Non
dovrebbero dare problemi, sistemate in questo modo. – Bob assicurò l’ultima
valigia fissandola con la cintura di sicurezza.
- La
ringrazio moltissimo… Allie, non toccare! – sgridai prontamente mia figlia, che
stava già cominciando ad esplorare il suo interessante ‘vicino’ di viaggio.
- Ma
mamma, è la valigia di Kitty! – disse, con fare ovvio, indicando l’irritante
micetto bianco dotato di fiocco rosa che decorava il trolley: un regalo da
parte di mia madre per la sua adorata nipotina.
Mamma mia, quanto odiavo Hello Kitty.
- Già,
mamma, è la valigia di Kitty! – Bob le fece il verso, divertito. – A parte gli
scherzi, signora mia, parta tranquilla perché quelle valige non si muoveranno
neanche se vorrebbero. – concluse, dando una pacca al borsone che si trovava
sul sedile del passeggero.
-
Questo mi farà stare davvero tranquilla. – sorrisi riconoscente a quella
persona così gentile e cercai nel borsone in stile Mary Poppins il portafoglio,
dopodiché lasciai a Bob una generosa mancia che cercò quasi di rifiutare.
- Su,
non si faccia pregare! – esclamai, ficcando quasi a forza le banconote nella
sua mano.
Vedendo
che non mi sarei arresa tanto facilmente, Bob alla fine accettò la mancia…
allungando una banconota da cinque dollari a mia figlia, che la afferrò con uno
slancio per quanto glielo permettevano le cinture del seggiolino.
- Waw,
grazie! – urlò, contenta.
- Fatti
comprare un bel gelato dalla mamma. – le sorrise dolcemente e poi sorrise anche
a me, facendomi un cenno col capo. – Benvenute a Los Angeles! – esclamò prima
di allontanarsi, e fare così ritorno in aeroporto.
-
Mamma, che cos’è Loz Angeles? – mi chiese Allie non appena presi posto al
volante.
- Los Angeles, tesoro, Los Angeles. – la
corressi mentre mettevo la cintura di sicurezza. - È il nome di questa città,
ti piace?
La
osservai dallo specchietto retrovisore, che stavo aggiustando, mentre scuoteva
rapidamente la testa. – No, non mi piace! A me piace di più Focks!
Scoppiai
a ridere; le riusciva ancora male pronunciare qualche parola, anche se il suo
vocabolario era bello ricco e parlava abbastanza bene per essere una bambina di
soli tre anni. Sembrava più grande, e alcune volte mi confondevo persino io…
- Forks amore, si dice Forks…
-
Focks! – disse ancora, ridendo.
Risi
con lei, e contemporaneamente avviai il motore dell’auto.
-
Fermai
la macchina davanti alla palazzina dove, se non avevo sbagliato ad inserire l’indirizzo
sul navigatore, si trovava la nostra nuova casa. Dall’esterno il posto
prometteva davvero bene: la palazzina era tutta dipinta di bianco, con le
imposte delle finestre di un simpatico verde bottiglia. Non sembrava neanche
troppo malandato, il che mi fece smettere di preoccuparmi subito. Anche il
quartiere sembrava promettere bene… beh, sperai che fosse davvero così.
-
Allie, siamo arrivate. – dissi, mentre osservavo ancora la palazzina.
La
bambina non mi rispose, così mi voltai per controllarla e scoprii che aveva gli
occhi chiusi; doveva essersi appisolata durante il viaggetto in macchina.
Ecco perché non chiacchierava,
pensai con un sorriso.
Slacciai
la cintura di sicurezza e mi sporsi all’indietro, fino a scrollare piano la
spalla della bambina. Allyson socchiuse gli occhi dopo qualche secondo,
osservandomi un po’ confusa.
- Siamo
a casa, tesoro. – le sussurrai, carezzandole piano il braccino scoperto.
Lei
sbadigliò, e si strofinò gli occhi con le manine chiuse. – Ma… ma non mi hai
ancora comprato il gelato… - disse, borbottando.
- Ci
andiamo tra poco, adesso andiamo a vedere la casa, okay?
Dopo
essere scesa dalla macchina la aiutai a scendere dal seggiolino e poi,
tenendola per mano ancora assonnata, salimmo l’unico gradino che c’era prima
del portone della palazzina; era leggermente socchiuso, quindi mi bastò
spingerlo un po’ per poter entrare. Una leggera frescura, forse causata dal
condizionatore, ci accolse insieme allo sguardo un po’ confuso di quello che
doveva essere il portiere, che aveva appena alzato lo sguardo da una rivista.
- Buon
pomeriggio. – dissi, sospingendo piano Allyson fino al banco dove si trovava
l’uomo; dovevo spiegargli il motivo per cui eravamo lì, oltre che a prendere le
chiavi dell’appartamento.
- Buon
pomeriggio… - il suo sopracciglio destro si inarcò verso l’alto, in attesa che
aggiungessi qualcosa che non fosse solo un semplice saluto.
- Sono…
sono Isabella Swan, e lei è Allyson, - indicai con una mano la bambina, - siamo
qui per…
- Oh,
ma certo! Lei è la nuova proprietaria dell’appartamento 7D! – mi interruppe, e adesso
sul volto del portiere era comparso un bel sorriso, tra il sollevato e il
sorpreso. – Piacere di conoscerla, signora Swan, io sono Stanley Johnson, ma mi
può semplicemente chiamare Stan. Non immaginavo di vederla così presto…
- Oh… -
mi morsi il labbro, in un riflesso incondizionato. – Beh, abbiamo approfittato
della prima occasione per venire qui. – Non volevo già spifferare gli affari
miei, o almeno non alla prima persona che mi capitava davanti.
- Sono
sicuro che vi troverete entrambe bene qui… ecco. – Stan, che si era messo a
frugare all’interno di alcuni cassetti, mi porse un semplice portachiavi al
quale vi erano inserite tre chiavi argentate. – Le due in più sono di riserva,
naturalmente ne ho una anche io se dovessero insorgere delle emergenze… però
queste le può avere lei tranquillamente.
-
Grazie. – mi schiarii la voce. – Però… se non le dispiace, Stan, mi chiami pure
Bella.
- Ma
certamente! Allora, Bella, adesso ti accompagno a vedere la casa… - abbassò lo
sguardo e lo puntò sul visetto di mia figlia, che si vedeva a malapena visto
che era seminascosta dal banco della portineria, e poi le sorrise. – Tieni,
Allyson, vuoi portare tu le chiavi?
Allyson
allungò il braccino e prese il portachiavi che Stan le porgeva, e cominciò
subito ad agitarlo come se fosse un sonaglio. – Grazieeeeeeee! – esclamò.
Si
entusiasmava veramente con poco, dovevo dirlo.
- Non
le perdere, mi raccomando! – Stan le fece l’occhiolino prima di uscire dal
banco della portineria. – Ok, adesso andiamo a vedere il vostro nuovo
appartamento…
Stan,
come se fosse stata una guida professionista, ci accompagnò fino al terzo piano
della palazzina, dove si trovava la nostra casa; aiutò Allie ad aprire la porta
con le chiavi e poi ci fece fare il giro della casa, mostrandoci tutte le
stanze.
Sapevo
già più o meno com’era fatto l’appartamento – il servizio online dell’agenzia
immobiliare che avevo contattato era stato davvero molto utile -, ma non
pensavo davvero che potesse essere così bella… e grande!
Cucina,
salottino, sala da pranzo, due camere da letto – una con bagno annesso –, bagno
che affacciava sul corridoio e un bel balcone che poteva anche essere
considerato un piccolo terrazzo… era stupenda, contando anche che era già arredata
di tutto lo stretto necessario.
E tutto
questo, mi veniva a costare soltanto trecento dollari al mese… beh, non potevo
mica lamentarmi, contando che a Seattle il buco di appartamento dove abitavo
prima con Allyson mi costava quasi il doppio!
-
Allora signorina, ti piace la casa? – ovviamente, Stan non si stava riferendo a
me, ma a mia figlia.
- Sì! –
non disse altro, ma si limitò ad abbracciarmi le gambe e a cominciare a saltare
sul posto. – Mamma, voglio il gelato!
Alzai
gli occhi al cielo. – Allie, portiamo su le valige e poi andiamo a comprarlo…
un po’ di pazienza, su!
Sentii
Stan ridacchiare, accanto a noi. – C’è un bar davvero carino a pochi passi da
qui, puoi portare lì la bambina a prendere il gelato… si chiama “Il mondo di Alice”.
- Ah,
che carino! Ce la porterò sicuramente… però adesso andiamo a prendere le
valige.
- No
mamma, adesso andiamo a prendere il gelato! Per favoreeeeeeeee! – Allie non
smetteva più di saltellare, impaziente.
Sospirai.
Quando cominciava a fare i capricci in quel modo non la sopportavo proprio… era
più forte di me, anche se era mia figlia e avrei dovuto ‘sopportarla’ anche
quando diventava più lamentosa del solito.
-
Allyson… - la ammonii, ma come sempre il mio tentativo fu vano.
Dio,
non riuscivo ad essere più severa di così con lei!
-
Bella, se posso permettermi… porta la bambina a prendere il gelato, mi occupo
io delle vostre valige. Le porto qui, non ho nessun problema a farlo. – Stan
venne in mio soccorso, ed io stavo ancora cercando di capire quello che mi
aveva appena detto quando Allyson rispose al mio posto.
- Va
bene, va bene! Mamma, andiamooooooooo!
Sospirai
di nuovo, con un sorriso sconfitto sulle labbra. – Va bene, andiamo.
Una
volta consegnate a Stan le chiavi della macchina e quelle dell’appartamento, io
e Allie ci avventurammo verso la direzione che ci aveva indicato il nostro
nuovo amico; secondo la sua descrizione, “Il
mondo di Alice” era distante solo qualche decina di metri dalla palazzina e
lo avremmo riconosciuto subito.
-
Allora… - osservai mia figlia che, al mio fianco, zompettava e camminava allo
stesso tempo, guardando i suoi piedi. – Che gusti ci vuoi, nel gelato?
-
Cioccolato, fragola, cocco… limone, caramello, e zuppa inglese! E anche la
panna! – elencò i gusti tutti sulle dita della mano libera, facendomi rabbrividire
ad ogni cosa che diceva.
Oddio, che accozzaglia disgustosa di gusti! Per
fortuna che lei aveva uno stomaco forte…
- Oh
bene, io invece prendo solo nocciola e menta. – ridacchiai, riportando lo
sguardo sui pochi negozietti che incontravamo, fino a riconoscere il bar che ci
aveva raccomandato Stan. – Hey, guarda Allie, siamo arrivate!
-
Evvivaaaaa! Gelato, gelato, gelato!
Beh,
almeno così era contenta.
Aprii
la porta del bar, che assomigliava davvero molto ad un posto delle favole –
oltre al nome, naturalmente. I tavolini sparsi per il locale, il bancone e la
maggior parte delle pareti erano tutte di un bel color verde bosco, spezzato
qua e là da alcune decorazioni colorate e simpatiche di fatine e gnomi; al lato
del bancone, ad altezza di bambino, c’era un bel cartonato di Trilli, la fatina
di Peter Pan.
-
Mamma, guarda! – Allie la indicò subito, contenta; lei adorava quel
personaggio.
- Poi
chiediamo al proprietario se ce lo regala. – dissi, più per gioco, ma con
Allyson vicino non era tanto sensato dire cose del genere. Mi prendeva sempre
sul serio, la birbante!
- Sì,
dai, la voglio in cameretta! – infatti…
- Oh,
per la miseria! – non ero stata io a parlare, in risposta a quello che mi aveva
appena detto mia figlia, ma un’altra persona. La voce di questa persona, poi,
mi sembrò anche piuttosto familiare.
Vagai
un po’ con lo sguardo all’interno del locale e poi interruppi la mia ricerca;
sgranai gli occhi non appena questi ultimi si soffermarono su un viso
conosciuto, simpatico e dalla bellezza mozzafiato.
- Oh,
cavolo!
- Ma
sei davvero tu? – la ragazza, che sembrava più sorpresa di me, fece il giro del
bancone e si fermò a pochi centimetri di distanza da me e da Allyson; aveva un
sorriso che andava da una guancia all’altra, e i suoi occhi blu brillavano di
gioia. – Isabella Swan a Los Angeles, non ci credo! Ma che ci fai qui?
Detto
questo, mi abbracciò di slancio e quasi mi soffocò nella sua stretta.
- A…
Alice! – dissi, con voce strozzata, ricambiando l’abbraccio.
Alice
Brandon, la ragazza che in quel momento mi stava sbriciolando nella sua
stretta, era stata una delle mie migliori amiche ai tempi del liceo, a Forks.
Passavamo sempre il nostro tempo libero insieme e non ci separavamo mai, tanto
che spesso e volentieri la gente pensava che fossimo sorelle separate alla
nascita.
Subito
dopo il diploma, però, Alice decise di trasferirsi e di aprire una attività
tutta sua; il college, a detta sua, non faceva proprio per lei, e aiutata dai
suoi genitori si era trasferita a Los Angeles – “la città dei suoi sogni”, per
citare le sue parole – pronta a cominciare una nuova vita lì.
Sapevo
che si era creata un posticino tutto suo e che gli affari le andavano piuttosto
bene – i coniugi Brandon mi avevano sempre tenuta informata, anche quando ormai
i nostri contatti si erano chiusi improvvisamente -, ma non immaginavo proprio
che avesse aperto un bar!
Il nome
che gli aveva dato, poi, doveva in qualche modo suggerirmi qualcosa.
- Non
ci credo, non ci credo! La mia migliore amica a Los Angeles! Sei in vacanza? Ma
che sorpresaaaaaaaaa! – urlò mentre scioglieva l’abbraccio.
Non era
cambiata per niente, anche se la rivedevo dopo ben quattro anni; era sempre
allegra, sempre solare, sempre bella… e sempre bassa. Nonostante i tacchi alti
e rossi che aveva ai piedi, non raggiungeva la mia spalla.
- Dio,
Alice, non pensavo che avessi un bar! – ammisi, davvero felice di rivederla. –
Come stai?
Lei mi
prese le mani tra le sue e le strinse, ridendo di cuore. – A meraviglia,
davvero! Va tutto benissimo… tu, invece, che mi dici? Hai finito gli studi?
Sapevo che studiavi infermieristica…
- Beh, sì…
mi sono laureata a luglio… - mi interruppi quando sentii qualcosa tirare l’orlo
dei pantaloncini che indossavo; abbassando lo sguardo, trovai Allyson
aggrappata ad essi, e seminascosta dalle mie gambe.
Oh,
dio, mi ero completamente dimenticata di lei! La sorpresa di ritrovare la mia
vecchia amica mi aveva completamente fatto passare per la mente che insieme a
me c’era anche mia figlia… che madre svampita che ero, altro che Reneè!
- Oh! –
il sussurro di Alice mi fece capire che anche lei si era accorta della presenza
della bambina.
-
Alice… - dissi, sentendomi improvvisamente strana all’idea che dovessi
presentarle mia figlia. Non perché non volessi, ma perché quello era un
‘dettaglio’ della mia vita di cui lei non doveva essere proprio a conoscenza. –
Alice, lei è… è Allyson, mia figlia.
- Tua
figlia?! – Alice sgranò gli occhi, facendoli scorrere dal mio viso a quello
seminascosto di Allie. – Bella, hai… ma come…
Sospirai.
– Ci sono alcune cose che… che dovrei raccontarti, ma non credo che questo sia
il momento giusto per farlo. – accennai un sorriso, alla fine. – Siamo venute
qui per prendere un gelato, Allie lo cerca da un sacco di tempo.
-
Davvero? Aw! – anche Alice riprese il sorriso, e si inginocchiò subito
mettendosi così alla stessa altezza di Allie. – Ciao Allyson, io sono Alice. Lo
andiamo a prendere questo bel gelato, che ne pensi?
Allyson
si affacciò attraverso lo spiraglio delle mie gambe, studiando attentamente il
viso della mia amica; aveva le labbra imbronciate, cosa che faceva sempre
quando stava pensando a qualcosa, ed era ancora più buffa del solito. Alla fine
sorrise. – Sembri un folletto! – esclamò, allungando una manina per toccare i
capelli corti e sbarazzini di Alice.
Lei
rise. – Ah, lo so, me lo dicono tutti… e forse lo sono anche! Vuoi vedere come
faccio bene i gelati?
- Sì!
- Vieni
con me, allora!
Allyson
alzò il viso, osservandomi attentamente. – Posso, mamma?
- Siamo
qui per questo… - dissi, un po’ sconcertata del fatto che mi avesse chiesto il
permesso.
-
Sììììììì! –
Allie sgusciò via dal suo nascondiglio preferito e si
buttò tra le
braccia di Alice, che mi lanciò un occhiata divertita e allo
stesso tempo
confusa.
Sapevo
per quale motivo era confusa.
-
- Non
ci credo ancora che hai una bambina così dolce… Bella! Potevi dirmelo! –
esclamò per l’ennesima volta, poggiando i gomiti sul bancone mentre osservava
mia figlia da lontano.
Seguii
il suo sguardo; Allyson era seduta ad un tavolo, a poca distanza da noi, ed era
impegnata a mangiare il suo tanto agognato gelato ‘tutti gusti’. Aveva addosso
una specie di grembiule di plastica con la stampa di Mickey Mouse, gentilmente
prestato da Alice, per evitare che si sporcasse il vestitino bianco che
indossava.
- Eh, e
come facevo a dirti una cosa simile? – tornai ad osservare la mia amica, che
ancora non si capacitava del fatto che a neanche ventidue anni compiuti, ero
già una mamma. - È accaduto tutto così in fretta, Alice, che per poco non
riuscivo a realizzarlo neppure io!
- Lo
immagino, tesoro… no, non posso proprio immaginarlo. – scosse la testa in
fretta, agitando allo stesso tempo anche le braccia, poi tornò a guardarmi. –
Senti, so che molto probabilmente non vorrai parlarne con me, ma… per caso è la
figlia di Mike?
- Mike
Newton? – chiesi, sbalordita che potesse pensare una cosa del genere. Quando
Alice annuì silenziosamente, scoppiai a riderle in faccia.
- Questo
mi fa pensare che non è sua figlia… - borbottò la mia amica, mentre io ancora
mi sganasciavo dalle risate.
- Tu
sei pazza! – dissi, ridacchiando. – Io e Mike ci siamo lasciati un paio di
settimane dopo che sei partita per la California. Il padre di Allie è… è un
altro, uno che ho conosciuto all’università.
- Ah.
Sai, è perché l’ho vista così bionda…
- Suo
padre è altrettanto biondo. – lo dissi con un tono secco, quasi acido, tanto
che Alice cominciò a guardarmi assumendo un cipiglio dubbioso.
- Non
ne vuoi parlare, vero? – mi chiese dopo un po’, tornando a poggiare i gomiti
sul bancone. – Se non vuoi ti capisco…
- Non è
che non voglio, Alice. – sospirai, posando gli occhi sulla coppetta di vetro
che conteneva il mio gelato alla vaniglia, ormai sciolto; dovevo cercare di spiegarle
quello che sentivo senza innervosirmi troppo, e senza demoralizzarmi subito. -
È solo che non è il posto giusto per parlare di certe cose, e poi non voglio
che la bambina senta tutto… so che ha solo tre anni e che è ancora piccola, ma
è parecchio sveglia.
Alice
annuì. – Ho capito. Però, voglio che tu sappia che se vuoi confidarti con
qualcuno, o se hai bisogno di una mano, puoi contare su di me. – mi mostrò un
enorme sorriso, degno davvero di un folletto dei boschi.
Le
sorrisi anche io. – Va bene.
- Ora,
per cambiare argomento… hai trovato una casa, oppure per il momento hai dovuto
ripiegare per un albergo?
- Casa
in affitto! – risposi prontamente. – Si trova a una trentina di metri da qui… e
forse conosci il portiere, Stan. È stato lui a consigliarmi il tuo bar, anche
se non sapevo che era il tuo.
- Ah,
ma certo che lo conosco! Brava persona, Stan. E in quale appartamento siete? –
chiese, curiosa; dovevo dire che anche la sua curiosità non era andata persa,
anzi, era cresciuta in quegli ultimi anni in cui non l’avevo più sentita.
- Il
7D, ed è anche più grande di quanto pensassi… io e Allie ci troveremo bene, lì.
- Ne
sono sicura…
-
Mamma! – mi voltai verso la voce di mia figlia; la bimba ci aveva raggiunto, e
adesso se ne stava ferma accanto allo sgabello su cui ero seduta reggendo tra
le mani la sua coppetta di gelato… vuota. – L’ho mangiato tutto!
- Oh,
ma che brava! Adesso vieni qui, che ti pulisco per bene…
Pescai
dalla borsa, che avevo posato sullo sgabello accanto, la confezione di
salviettine imbevute che mi portavo sempre dietro – con Allie non si poteva mai
stare tranquilli - e con una le pulii per bene il viso e le manine,
appiccicaticce di gelato.
-
Accidenti, se l’è mangiato tutto! – esclamò Alice, colpita. – Era enorme… non
le verrà il mal di pancia?
- Se
imparerai a conoscerla meglio, capirai che le piace mangiare un sacco… e un
sacco di schifezze. – ridacchiai, togliendo ad Allie quella specie di scafandro
di plastica e riconsegnandolo alla mia amica. Poi, presi in braccio la bambina
e la feci sedere sulle mie gambe. – E niente mal di pancia, te lo posso
assicurare.
Alice,
nel frattempo, aveva tolto dal bancone sia la coppetta vuota di Allyson che la
mia – non avevo toccato quasi per niente quel gelato - ed era poi tornata
davanti a noi. Osservava con attenzione mia figlia, come se fosse alla ricerca
di qualche dettaglio interessante.
- Ha il
tuo naso. – disse alla fine, sorridendo.
Annuii.
– Una delle poche cose che ha ripreso da me, oltre alla timidezza…
- Me la
ricordo, la tua timidezza: alcune volte non riuscivi neanche a comprarti le
caramelle da sola, da piccina! – mi morsi il labbro ricordando quanto la mia
timidezza mi avesse frenato, nella mia infanzia.
-
Oddio, non me lo ricordare! – esclamai, ridacchiando insieme a Alice; poi, alla
fine, dovetti ammettere a me stessa che era ora di tornare all’appartamento per
cominciare a sistemarlo, anche se stare in compagnia di Alice era bello proprio
come ai vecchi tempi. – Su, amore, è ora di tornare a casa.
-
Noooo! Io voglio stare qui, mamma… - si lamentò Allyson, guardandomi tristemente.
- Ma
dobbiamo mettere a posto i bagagli, e tra poco chiamerà anche nonna. Non le
vuoi parlare? – tentai di convincerla, carezzandole i capelli.
Sbuffò,
e mugugnò un “Occhei” mentre cercava di scendere dalle mie gambe; l’aiutai,
rimettendomi in piedi a mia volta.
-
Alice, quanto ti devo per i gelati? – le domandai non appena recuperai la
borsa.
- Non
ci provare neanche a pagare che ti strozzo! Oggi offre la casa… - si sporse sul
bancone, arrampicandosi quasi sulla superficie di legno lucido, - …e domani
sera venite a cena a casa mia! È il giorno di chiusura del bar, quindi sono
libera ed è libero anche Jazz!
- Chi è
Jazz? – adesso era arrivato il mio momento di essere curiosa.
- Jazz…
Jasper, è il mio ragazzo. – arrossì, tirandosi una corta ciocca di capelli. –
Conviviamo da un paio di mesi…
Le
sorrisi estatica, davvero contenta di sapere quelle cose. – Ma che bello Cece!
Non vedo l’ora di conoscerlo!
-
Aspetta che ti scrivo il mio indirizzo, così non ti perdi… hai il navigatore in
macchina, vero? Oddio, dimmi che hai la macchina ti prego!
- Certo
che ho la macchina, e ho anche il navigatore… ti preoccupi, per caso? – mi
venne quasi da ridere.
- Beh,
così almeno so che la strada la trovi tranquillamente e non ti perdi. –
ridacchiò, ma smise subito imbronciandosi nel giro di pochi istanti. – E non mi
chiamare Cece, l’ho sempre odiato! Anche Jazz mi chiama così, che palle!
-
Alice, la bambina! – la ammonii; non volevo che mia figlia imparasse già le
parolacce.
Alice mi
porse un foglietto di carta, ridendo di cuore. - Ma non mi ha sentito, se ci
hai fatto caso è scappata via.
Mi
guardai attorno, improvvisamente preoccupata per mia figlia, ma la trovai
subito; era a poca distanza da me, tutta impegnata a contemplare da vicino il
cartonato di Trilli. La raggiunsi in fretta, sollevata.
-
Allie, saluta Cece che adesso andiamo a casa. - le dissi, dandole una leggera
pacca sulle spalle.
- Ma
chi è Sese? – mi domandò, storpiando anche quel nomignolo.
- È
Alice, tesoro.
Lei
subito si voltò verso di Alice, che ci aveva raggiunto e che mi stava guardando
arrabbiata; quasi mi strozzai per soffocare una risata. Odiava davvero tanto
quel soprannome, nonostante non lo usasse più nessuno da anni.
- Ciao
ciao Sese! – la salutò Allyson, usando anche le manine.
- Aw,
ma ciao Allie! – la mia amica si inginocchiò e la abbracciò, dandole un bacino
sulla guancia che venne subito ricambiato. – Se vuoi, puoi portare a casa
Trilli… ne ho un’altra in magazzino.
Gli
occhi di mia figlia si sgranarono per la felicità.
-
Davvero? Grazieeeeeeeeee! – e si buttò tra le sue braccia.
- Ma di
niente! – esclamò lei. – E la tua mamma… divertiti pure a chiamarla Sissi!
-
Alice! – sbraitai contro di lei.
Odiavo
quel cavolo di soprannome… mannaggia a mia madre!
-
- Allora, tesoro, va tutto bene lì? – era
la terza volta che mia madre me lo chiedeva, mentre mi osservava attentamente
grazie allo schermo del computer.
Sbuffai.
– Sì, mamma, va tutto bene… e sto sistemando tutti i nostri averi, se non te ne
sei ancora accorta! – agitai una delle tante maglie che, fino a qualche minuto
prima, si trovava in una delle mie valige.
Mia
madre socchiuse gli occhi. – Bella, non
fare del sarcasmo, che poi non ti riesce neanche bene!
Alzai
gli occhi al cielo, incurante del fatto che la mamma mi stesse osservando.
Erano
le sette di sera, eravamo tornate a casa da un paio di ore dalla visita al bar
di Alice, e ancora ero in alto mare con lo svuotamento delle valige; mi ero
occupata, prima di tutto il resto, di sistemare il letto di Allyson ed i suoi
vestiti, così che non avesse nessun problema. Poi ero passata a sistemare la
mia roba, ed avevo appena iniziato.
Non
avevo neppure pensato a comprare qualcosa per cena – cosa che avevo evitato
scrupolosamente di rendere noto a mia madre -, e alla fine mi ero fatta
consigliare da Stan una buona pizzeria che facesse anche servizio a domicilio.
Stavo aspettando che arrivasse il fattorino con la nostra cena, mentre
procedevo nei miei compiti.
- Sai che non sapevo se avevi Internet, lì,
Bella? Mi sono collegata e ho temuto per tutto il tempo che non potessi parlare
con te…
- No,
qui Internet è a posto, funziona anche il telefono! – la misi al corrente di
tutto, mentre ripiegavo i miei jeans e li mettevo da parte. – La casa è da
abbellire un po’, ma per ora va bene anche così.
- Ma certo che va bene…
- Papà
dov’è? A lavoro?
La
sentii sbuffare, tanto che alla fine tornai a guardare lo schermo del pc. – No, è a cena con alcuni colleghi. Stasera
sono sola soletta, e mi guarderò in santa pace Dirty Dancing, senza
interruzioni!
- Ecco
perché non l’ho trovato, prima! Ce l’hai tu! Mamma! – le urlai contro.
- Ma Bella, sai che è il mio film preferito!
Non potevo lasciartelo portare in California… ne comprerai un’altra copia, che
sarà mai.
Eh già,
che sarà mai…
-
Senti, mamma… - mi interruppi, indecisa se chiederle o no quello che volevo
sapere sin da quando ero partita con mia figlia, ma alla fine decisi che era
meglio non rimandare. – Mamma, lui si
è fatto vedere? Ci ha cercato, oppure…
- No, no tesoro mio. Non l’ho visto per niente
qui, e farebbe meglio a non farsi vedere! Sa meglio di me e di te quello che
gli può accadere.
Annuii,
sentendomi un po’ più sollevata. Un impiccio in meno.
- Bella, davvero non devi assolutamente
preoccuparti. Lui non sa dove siete e non verrà di certo a saperlo tanto
facilmente. – continuò a dirmi mamma.
-
Cercherò di ricordarlo…
- Ma dov’è Allie? Mi manca di già la mia
piccolina!
- È di
là, sta… giocando. – non appena mia madre la nominò, mia figlia uscì di corsa
dalla sua nuova cameretta e corse verso di me, che me ne stavo ancora
inginocchiata sul pavimento del salotto. Si trascinava dietro la sagoma di
Trilli, che era il doppio più grande di lei.
-
Nonnaaaaaaaaa! – urlò, mentre mi si buttava addosso.
- Tesoro, la nonna è qui, non buttarti sopra a
tua madre! – la ammonì mia madre, ridendo.
- Sì,
ma voglio abbracciarti e tu non sei qui con noi, così abbraccio mamma. – la sua
logica non faceva una piega.
- Verrò a trovarvi il prima possibile,
promesso.
- Vieni
per il compleanno di mamma? – chiese Allie, guardando fisso lo schermo del
computer.
- Certo, se riesco a ottenere qualche giorno
di ferie…
-
Mamma, sai che non è necessario, eh? – in quel momento mi sentii parecchio a
disagio; avevo sempre odiato il mio compleanno, invece a mia figlia piaceva
molto festeggiare “la mamma che diventava tanto grande”.
- E invece ci vengo, se ce la faccio! Anche
per darti un piccolo aiuto, Bella… quand’è che cominci a lavorare?
- Lunedì
prossimo… - il mio primo giorno di lavoro come infermiera al Good Samaritan
Hospital si avvicinava, e quello era stato il motivo per cui avevo voluto
trasferirmi a Los Angeles alla prima occasione giusta. La casa l’avevo già
presa, tanto, e non appena avevo visto che avevano accettato il mio
trasferimento/ammissione all’ospedale non ci avevo pensato due volte a fare i
biglietti e a preparare le valige.
- Ecco, visto? Chissà quanto dovrai lavorare,
e la bambina da sola non ci può proprio stare, è troppo piccola… avrai bisogno
di una mano.
-
Domani io e Allie andiamo a cercare una scuola per lei, non è vero amore? –
abbracciai mia figlia, baciandole i capelli. – Vero che non vedi l’ora di
andare a conoscere gli altri bambini?
- No,
io non ci vado a scuola! – quella solfa andava avanti già da un po’, ma sarei
riuscita a convincerla presto... o almeno, ci speravo.
In quel
momento, il citofono cominciò a suonare.
- Ah,
questo è il fattorino della pizza! Amore di mamma, stai qui a parlare con la
nonna mentre vado a pagare, va bene?
Mi
alzai dal pavimento non appena Allie mi disse di sì, e volai all’ingresso per
aprire al fattorino; due minuti dopo, con i cartoni contenenti la nostra cena
tra le mani e con tredici dollari in meno, andai in salotto per richiamare la
bambina e per salutare mia madre.
-
Mamma, ti dobbiamo lasciare altrimenti le pizze si raffreddano! – le dissi,
mentre prendevo di nuovo posto sul pavimento e posavo i cartoni sul basso
tavolino di legno.
- Allora vi lascio mangiare in pace, care! Ci
sentiamo domani, va bene? E faccio restare anche il nonno, così parlate anche con
lui.
- Nonno
Charlie! Gli dai un bacio da parte mia? – mia figlia era davvero affezionata a
suo nonno materno, anzi, a dire tutta la verità era letteralmente innamorata di
lui.
- Ma certo amore mio! Vai a mangiare adesso…
noi ci sentiamo domani.
- Ciao
mamma.
- Ciao
nonnaaaaa!
Chiusi
Skype non appena mia madre chiuse la video chiamata, e subito dopo spensi il
pc; poi, acchiappai mia figlia tra le braccia.
-
Adesso tu mangi la pizza, poi io mangio te! – cominciai a mordicchiarle piano
il collo e le guance, mentre lei rideva a crepapelle e si dimenava tra le mie
braccia.
-
Lasciami! Lasssciami! Aaaaaah! Basta!
Dio,
quanto amavo mia figlia!
-
Ehm…
buon pomeriggio, innanzitutto.
Quello che
avete appena letto è una piccola idea che mi è sbucata in testa qualche giorno
fa; ho cominciato subito a scrivere il primo capitolo, visto che lo avevo tutto
sviluppato per benino, e… e niente, non so che altro dire XD
No,
ecco… molto probabilmente con questa idea verrà fuori una nuova longfic, ma non
penso di svilupparla tutta adesso. Ho comunque un’altra storia all’attivo e una
sospesa, quindi molto probabilmente gli aggiornamenti saranno un po’ sporadici.
Però la aggiornerò, state sicure :)
Per il
momento è tutto… vi saluto, vi abbraccio e vi aspetto alla prossima! Se vi va,
fatemi sapere cosa ne pensate di questo prologo/primo capitolo, ci tengo
davvero molto nel sapere le vostre considerazioni ;)
Un
bacio!