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Autore: CharlotteisnotReal__    16/08/2012    6 recensioni
ATTENZIONE: RATING ROSSO!
Mi risvegliai frastornata, dolorante e con un forte sapore rugginoso in bocca. Aprii gli occhi sgranandoli, sorpresa di trovare del sangue sulle mie labbra, e fu allora che lo vidi. Josh era accasciato, privo di sensi, sull'airbag del volante, ormai scoppiato, il volto rigato da goccioline di un rosso intenso. Senza pensarci gli carezzai una guancia, pulendola da una breve scia di sangue che scendeva dalla fronte. «Josh?- lo chiamai- Josh?!» Tentai di alzar il tono della voce ma niente, non rispondeva. Presi a scuoterlo per il braccio penzolante, sperando che potesse riprendere conoscenza, ma era tutto inutile.
Genere: Dark, Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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II

"Just gonna stand there and watch me burn.
But that's alright because I love the way it hurts"



 

Mancavo da casa da circa due giorni. Dopo la disastrosa serata, dalla quale ero uscita con due nuovi piercing, conclusa ad Hyde Park e la notte passata a casa di Harry e del suo amico mi ero decisa a rientrare.
Quando misi la mano sul pomello della porta d’ingresso mi accorsi di non aver le chiavi per aprirla, così cercai sotto lo zerbino la chiave d’emergenza ma niente, era come sparita, il che era molto strano. Per quanto mia madre ed io potessimo esser due casi “particolari” sapevamo entrambe che quella chiave sarebbe dovuta rimanere lì, qualsiasi cosa fosse successa e la sparizione di quell’ oggetto mi preoccupò. Era strano, troppo strano. Che fosse successo qualcosa ad Anthea? Lo avrei scoperto solo se fossi riuscita ad entrare in casa. Dopo qualche minuto, sprecato a rimuginare sul perché mancasse la chiave da sotto lo zerbino, mi ricordai della serratura difettosa così tirai la porta verso di me un paio di volte per poi esercitare una forte pressione su di essa aprendola e riuscendo ad eludere la scarsa sicurezza di quella serratura. 
Varcata la soglia trovai la casa esattamente come l'avevo lasciata. Le squallide pareti grigiastro sporco –che un tempo eran bianche-  presentavano le stesse crepe di sempre, i vecchi quadri di mio padre appesi su esse eran in condizioni improponibili, con i vetri rotti e le cornici dal legno rigonfio per via dell'umidità. I mobili antichi pullulanti di solchi e dalle ante scassate eran ricoperti da uno smesso strato di polvere ed il vecchio televisore anni '90, sintonizzato su un canale morto, emanava un fastidioso rumore gracchiante. Feci un passo in avanti facendo attenzione a non inciampare su uno dei tanti vestiti, lattine vuote e cartoni di pizza per terra, evitandomi un rovinosa caduta dagli alti tacchi che portavo. Non mi curai neanche di chiudere la porta d'ingresso, nessuno avrebbe avuto il coraggio di entrare in quel caos, e mi diressi in cucina alla ricerca di Anthea. Come previsto la trovai lì, i lunghi capelli biondo platino arruffati in una coda, la macchiata vestaglietta rosa pallido, la sigaretta consumata fra le screpolate labbra e gli occhi contornati da grandi borse fissi sul giornale. La sentii borbotta qualcosa su di un mancato pagamento di una qualche bolletta a causa dell'aumento del prezzo di qualcos'altro. I solidi discorsi da donna frustrata, insomma. Mi appoggiai allo stipite della porta urtando involontariamente con i tacchi dei coccio di vetro sparsi sul pavimento, facendo sussultare mia madre. «Ah, sei tornata. -disse degnandomi di una fugace occhiata- Bé avresti anche potuto evitar di disturbare la mia lettura e rientrare in casa nello stesso modo in cui ne sei uscita la scorsa sera.» Ignorai la provocazione alludente alla mia ultima fuga perlustrando con gli occhi la vecchia cucina. «Sbaglio o quella nel lavandino è muffa?» Chiesi quando il mio interesse si fermò al lavabo sul quale eran stati accatastati, l’uno sopra l’altro, decine di piatti sporchi. «E anche se fosse, cosa te ne importa?» Ribatté lei lasciando perdere il giornale e concentrandosi su di me. Per quanto potesse esser irritante, insulsa, inutile ed un parassita della società non potevo non rispettare quel suo lato di lei. Era di una spavalderia dannatamente troppo simile alla mia, era proprio mia madre, mi costava ammetterlo ma era così. La ripudiavo, l’avevo sempre odiata per via della sua scarsa forza, era una debole, una stupida autolesionista che non si meritava di stare al mondo. «E’ pur sempre casa mia, questa.» Una forzata risata arrivò alle orecchie, come osava ridermi in faccia? Proprio lei che era un presa in giro di se stessa. Dopo quello che aveva fatto non sarebbe dovuto esserle concesso di ridere. «Non ci sei mai, come puoi definirla casa tua? Non so neanche come hai fatto ad entrare.» Disse mostrandomi la chiave d’emergenza.
Era stata lei. Dovevo immaginarlo, mi voleva fuori casa. Non si era mai guardata dal non farmi sentire di troppo per lei, come io non mi ero mai guardata dal non farla sentire un’estranea nella mia vita, ma non avrei mai pensato che avesse così coraggio da sfrattarmi. Nonostante avesse lei il coltello dalla parte del manico non mi sarei mai abbassata a quella donna. Non era nel mio carattere, per non dire stile, farmi sottomettere e non avrei lasciato che potesse esser proprio quella donna, mia madre, a farlo. «Non preoccuparti, Anthea, son di passaggio. Sarò di nuovo via prima ancora che tu te ne accorga.» Le dissi con tono di sfida. Scatto dalla sedia in legno, sulla quale era seduta, facendola sbatter a terra. «Sono tua madre, con che coraggio mi chiami per nome?! Sei solo una lurida cagna! Tu e quel bastardo di tuo padre, dovete lasciarmi in pace!» Mi gridò più forte che potesse. Il dottore aveva detto che sarebbe potuto accadere, che avrebbe potuto avere delle ricadute, ma mai avrei immaginato una cosa simile. Prima che potessi dire o fare qualcosa ebbe un'altro scatto, prese di fretta e furia un piatto dal lavandino e me lo scagliò contro. Fortunatamente si andò a frantumare contro il muro di fianco a me, ma ciò non impedì ai piccoli frammenti di ceramica di graffiarmi la pelle. «Ma guardati- dissi asciugandomi con il dorso della mano una gocciolina di sangue uscita da un taglietto sulla guancia- sei solo una fallita, Anthea. Persino tua figlia ti ripudia e tuo marito a preferito il suicidio ad una vita accanto a te. Sai, non riesco ad incazzarmi con te, per quanto tu possa insultarmi, ferirmi fisicamente o quant'altro la pena che provo per te mi impedisce di reagire.»  Un grido isterico le si fece largo tra i denti, prima che mi venisse incontro colpendomi con dei deboli pugni sul petto dimenandosi fra le lacrime. «Vattene via! Sei solo d'impiccio qui! Vattene via!» Urlò infine, isterica, in preda ad un attacco di rabbia. In tre anni che si era “ammalata” quella fu la prima volta che la vidi perdere il controllo in proporzioni così grandi. Per quanti attacchi emotivi potesse aver avuto non si era mai scomposta così tanto fino a recare danni fisici ad una persona, all’infuori di lei.
Andai in camera, presi un po’ della mia roba, la misi in un borsone e me ne uscii da quell'inferno lasciando quella donna a fare i conti con i suoi demoni.
Non sapevo dove andare, andare da Harry era fuori discussione, mi avrebbe costretta a tornar a casa e a portar mia madre dallo psicologo che l'avrebbe nuovamente riempita di farmaci e, sinceramente, di Anthea non me ne importava niente, nonostante fosse mia madre. Ho sempre condiviso il pensiero che ognuno sia artefice del proprio destino, lei ha scelto quella vita ed io non c'entro niente e tantomeno potrei farci qualcosa, non posso far altro che lavarmene le mani. Non sapendo dove andare imboccai involontariamente l'unico vicolo stretto del paese, quello che portava all’unico quartiere in degrado di Holmes Chapel, proprio dove abitava Josh. Pensai che fosse un segno del destino così arrivai in prossimità della sua abitazione. Erano i resti di ciò che un giorno era stata una graziosa casetta appartenuta ai Benson, una famiglia perbene della quale il padre aveva un buon lavoro, la madre casalinga, il figlio capitano della squadra di rugby e presidente del club del libro mentre la figlia era una smorfiosa biondina tutta casa e chiesa. Si erano trasferiti da quella cittadella con la scusa che fosse troppo triste e opprimente per loro e che cercavano un qualcosa di più allegro e vivace, come Barcellona, aveva detto il signor Benson. In realtà erano scappati prima che i pettegolezzi di paese potessero inondarli, la loro cara Susan, la verginella per eccellenza, l’aveva data al primo ragazzotto pompato che gliel’avesse chiesta e la voce si era sparsa. Josh vedendo la casa abbandonata, al suo arrivo, ci si era trasferito dopo esser scappato di casa a soli quattordici anni. Un ghigno divertito mi si formò in viso al ricordo di quei giorni. All’epoca ero molto meno bionda platino e più bionda miele, meno sfacciata e più dolce, frequentavo gli amici di Harry, avevo la media della “A+”ed ero presidentessa di classe. Avevo una vita perfetta, una famiglia perfetta ed ero entusiasta di ciò. Poi mio padre perse il lavoro, mia madre cadde in depressione ed io mi sentii come privata di qualcosa. Fu proprio allora che conobbi Josh. Il mio mondo stava crollando, pezzo dopo pezzo ed io mi dannavo perché non sapevo cosa fare, mentre lui era semplicemente se stesso, il suo mondo era sprofondato nell’oblio da tempo, il padre era in carcere e la madre abusava violenza su di lui, scaricando la rabbia, eppure Josh era ancora lì, con un sorriso strafottente sulle labbra e la voglia di vivere la vita giorno per giorno, felice di esser scappato da quell’incubo che era la sua vita.
Come scordarsi il nostro primo incontro, era una fresca mattina di settembre, quel giorno avrei avuto un importante test di storia così mi ero svegliata prima per ripassare. Dopo neanche dieci minuti, stanca delle inutili strategie tattiche di Napoleone in guerra, portai il mio sguardo oltre la finestra e così lo vidi. Era chino sull’auto di mio padre e cercava di aprirla. I suoi capelli neri erano arruffati, gli occhi scuri contornati da profonde occhiaie, la pelle cerea, in contrasto e il viso solcato dai segni della fame. Spinta da non so cosa uscii fuori. Quando mi vide si bloccò, palesemente scioccato. «Non troverai niente lì, papà tiene soldi e oggetti di valore nella cassaforte.» Dissi con una strana sicurezza, una sicurezza che, in quel frangente, non sapevo di avere. Josh mi sorrise beffardo prima di schernirmi. «Ed ora che farai? Andrai a dirlo a “papino”?» Potrei dire che mi ritenni offesa dalle sue parole ma la verità era che quel ragazzo mi incuriosiva. Mi incuriosiva la sua persona, l’apparizione dal nulla in quel paesino del Cheshire ed il fatto che, in qualche modo, fossi attratta da lui, come se lui fosse il fuoco ed io la bimba pronta a scottarsi, solo per provare. «No, ma se mi dici cosa stai cercando posso aiutarti.» Lui mi rise in faccia, «Ho fame, sono sporco e stavo tentando di fottervi qualcosa dalla macchina, cosa potrei volere?» chiese lui con tono retorico. «Bé, puoi volere cibo, una doccia ma credo che dei soldi possano darti entrambi.» Gli risposi con fare da saputella e lui, in risposta, mi rivolse un sorriso indecifrabile così gli dissi di aspettarmi fuori. Entrai in casa e ne uscii con una qualche banconota che lui accettò senza troppi complimenti. Il vuoto che la mia situazione familiare mi stava creando veniva colmato dalla sua presenza e ciò, oltre che incuriosirmi, mi spaventava. Non mi era chiaro come facesse, come potesse essere successo, ma quel ragazzo sembrava completarmi. Passati i giorni ero riuscita ad avvicinarmi a quell’anima incompresa, fino a riuscire a capirla e farmi accettare con fiducia fino a... Il resto preferirei non ricordarlo, troppo triste, troppo doloroso, troppo vicino, solo brutti ricordi di una vecchia e nuova vita.
Presi a riosservare la casa, il tetto era in via di crollo e le pareti erano ricoperte di pitture nere e di scritte con bombolette. I simboli dell’anarchia, del punk e di vari gruppi musicali quali i Nirvana, Green Day, Slipknot, Rammstein, Blink-182, Sex Pistols, NOFX erano l’incarnazione perfetta del degrado del punk e della vita senza regole qual’era quella di un anarchico. Feci un grosso respiro e bussai alla porta, quasi impaziente. «È aperto!» La voce roca impastata dal sonno di Josh mi tranquillizzò. Entrai in casa, come mi aveva invitato a fare, lo trovai sdraiato sul suo vecchio divano, sprofondato nel tessuto ormai rovinato. Non potei pensar altro che quanto fosse bello, era una meraviglia. L’espressione gli era imbronciata, con le sopracciglia aggrottate e la bocca storta in una smorfia, i capelli color pece spettinati come sempre e gli occhi verdi contornati dal trucco nero. Per me era come una visione celestiale, una tenebrosa visione celestiale, peccatrice e tremendamente afrodisiaca nel suo essere. «È così che si accoglie la propria ragazza?» chiesi sedendomi accanto a lui sul divano. «Ehii dolcezza- disse baciandomi- che ci fai qui?» concluse iniziando a giocare con il lembo della maglietta che Harry mi aveva prestato. «C’è chi potrebbe dire che Anthea mi abbia sbattuta fuori casa, c’è chi invece sostiene a dire che son stata io ad andarmene, ma io personalmente insisto nel dire che me ne son andata di mia spontanea volontà.» Gli risposi in un sussurro all’orecchio. Divertito dalla cosa scoppiò in una fragorosa risata, «Chi lo avrebbe mai detto che Anthea avesse le palle di farlo! –disse prima di scoppiar nuovamente a ridere- se vuoi rimanere qui mi sta bene, avremo più tempo per star insieme e fottere, far cose come fottere, fottere ancora e infine fottere. – prese a carezzarmi un capezzolo da sopra la maglietta prima di accorgersi del logo della “Jack Wills” sulla T-shirt che indossavo e accorgersi che non rientrava certo fra le preferenze del mio vestiario. «Ehi, di chi cazzo è quella maglietta?» Domandò confuso. «Di Styles.» Risposi superficiale prendendo a giocare con i suoi capelli. «Oh, ancora quella checca?» Disse deridendolo. «Si da al caso che "quella checca" mi abbia parato il culo l'altro giorno a Londra. Cosa che tu non hai fatto.» Risposi inacidita. Per quanto adorassi Josh, Harry era pur sempre il mio unico vero amico in quella feccia di mondo e, se c’era una cosa che non tolleravo, era quando i ragazzi della compagnia lo tiravano in causa insultandolo o prendendolo per i fondelli. «Ehi, ehi, piccola. Non mi dirai che ti sei offesa? Lo sai, son solo geloso, nessuno può toccare la mia bambolina o, se lo fa, preferirei non fosse uno come lui. Se vuoi fottere con qualcuno, lo sai, non mi faccio problemi solo fatti uno come Peter se proprio devi.» Vedendomi irritata cercò di trovare una scusante ma peggiorò solo la situazione. «Oh, andiamo, Josh! Se è Maddie a farti pompini tutto va bene ma se io fotto con Harry le cose cambiano?» Chiesi palesemente stralunata «Jay, sai benissimo che non me ne frega un cazzo se fotti con altri mi infastidisce il fatto che fotti con lui. Tu sei la mia Jay, La mia piccola Jay. Mia e di nessun' altro.» Mi prese in viso fra le mani e il suo caldo respiro mi sfiorò la pelle, la cosa era inebriante. «Stai tranquillo, io sono qui, per te. Non vado da nessuna parte. Tu hai il mio cuore, lui al massimo ha la mia micetta per pochi minuti.» dissi soave, prima di fiondarmi sulle sue labbra. Lui affondò la mano nei miei capelli mentre io tracciavo linee immaginare con le dita sulle sue spalle, che tenevo possessivamente. Josh non era mai stato un bravo fidanzato, era più un “amatore”, il mio amatore e me ne stava dando prova…



 

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«Ah, sei tornata» 
 

 


Ehilà dolcezze! :3 (Ho corretto anche i dialoghi, scusate ancora)
Cielo: 10 Preferite, 2 Ricordate e 15 Seguite solo dopo il prologo e il primo capitolo? Voi mi volete morta! **
Vi ringrazio di cuore: sia voi che chi recensisce!
Oh, prima che mi dimentichi, ecco che anche il primo capitolo è corretto e pubblicato! Scusate se vi ho fatte dannate ma son fatta così, fatta molto MALE. Lol.
Se cliccate sull'introduzione al capitolo vi manderà direttamente al link YouTube della canzone da cui è tratto il pezzo. 
Canzone che mi ha ispirato il capitolo di cui sono autori i The Pretty Reckless, la band appunto di Taylor Momsen, la nostra Jay.
Bene, fatemi sapere che ne pensate. Io vi saluto!

A presto, Carlotta. :)

P.S.: Come sempre vi ho lasciato il link della cover/mash up di "Love The Way You Lie" nell'intro, se interessate. :)

  
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