Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: rabbyra    16/08/2012    3 recensioni
Prima di tutto grazie a "ChiaraLuna21" per aver accettato questa collaborazione! Parliamo di un Cross-Over: Gerkhan e Kranich, inviati a New York da un Generale dell'Interpool, hanno il compito di arrestare il vigilante Frank Castle noto come "The Punisher". La storia è stata scritta a quattro mani da me, che sono un fanboy del Punitore (che è un personaggio dei fumetti Marvel), e da "ChiaraLuna21", fangirl di "Squadra Speciale Cobra 11". Il prologo è in realtà solo una "descrizione" dei personaggi principali, naturalmente ognuno ha raccontato i suoi (xD)!!
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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N.B. by RabbyRa: Ricordo che sono due gli autori di questo crossover: RabbyRa e ChiaraLuna21! :) Quando ci sono i nostri nomi tra parentesi in rosso significa che la parte che leggerete è stata scritta esclusivamente da me o da Chiara. Tutto il resto l'ho scritto io, con la consulenza, supervisione e l'aiuto di Chiara! ^^



CAPITOLO II
BRACCATO

 
Il telefono del seminterrato della stazione di polizia di New York squillò per tutta la mattina. Budiansky alzò la cornetta e rispose, un po' seccato per le continue interruzioni.
Semir, che era di fronte a lui, quasi coperto da una pila enorme di documenti lo guardò sbuffare e portare una mano alla fronte per asciugarsi il sudore.
 
«Sì, sissignore... Gerkhan e Kranich sono qui da ieri sera... ci siamo già messi al lavoro...»
 
Tom, che era in piedi alle spalle di Semir, bevve un sorso di caffé da un bicchiere di plastica.
Budiansky ruotò la sedia e si spostò di lato, si adagiò comodamente sulla poltrona e avvicinò la cornetta alla bocca. Tom svuotò il bicchiere tutto d'un sorso, poi lo pose sulla scrivania, non trovando spazio lo adagiò sulla torre cartacea di fascicoli.
 
«Sì, Generale Perìno... Castle ha preso di mira la mafia irlandese ora...»
 
Semir fulminò bonariamente Tom con lo sguardo. Indicò il bicchiere scuotendo la testa di lato. Tom alzò le sopracciglia e aggrottò la fronte, riprese il bicchiere e lo lanciò tra il completo disordine già presente su tutto il pavimento, cercando di centrare un cestino dell'immondizia già saturo.
 
«... Semtex, signore. Esplosivo plastico fatto in casa. Lo sa che è nel loro stile...»
 
Tom si strinse nelle spalle guardando il compagno. Semir scosse la testa, si voltò di nuovo e sorrise furtivo. Tom, a braccia conserte, aspettava che Budiansky finisse la sua conversazione al telefono.
 
«Castle ne è rimasto coinvolto, era anche lui in quel bar... e ora sta cercando i colpevoli e pensiamo voglia prendere di mira le attività dei Doherty...» Budiansky fece una breve pausa, per ascoltare il suo interlocutore all'altro capo del telefono, poi scosse la testa.
 
«Gerkhan e Kranich saranno sul campo, sarò io a guidarli dalla mia postazione... lo prenderemo!» e detto questo colpì violentemente il telefono con la cornetta per riagganciare. Sbuffò annoiato.
 
«Beh?» disse Tom alzando il capo.
 
Semir guardò Budiansky con pena. Tornò al suo fascicolo, lo lesse, poi si rivolse all'americano che era di fronte a lui amareggiato.
 
«E' uno stratega, capitano... fa quello che faremmo noi per arrestare i criminali, prende di mira una famiglia e non le da tregua. Mi dia il resoconto dei suoi ultimi attacchi ai Wesdiez... »
 
«Westies, Semir... Westies...» lo interruppe Tom alle sue spalle, come per rimproverarlo di un grave reato.
 
«Lo so, Tom! Permetti che sia ancora legato al nostro accento?»
 
«Perchè non dici "Mafia Irlandese"? Così ti risparmi le mie prediche, amico» gli diede dei colpetti sulla spalla, bonariamente voglioso di cercar rogne. Semir scosse la testa.
 
«Allora!?» intervenne Budiansky gelido.
 
«Come ha detto Semir, ci serve il resoconto di tutti i suoi attacchi... studieremo quali famiglie ha colpito maggiormente nelle ultime settimane, e andremo verso quelle che hanno ricevuto meno danni di altre...» rispose Tom.
 
«Perchè mai...?» Budiansky sembrava non comprendere il loro piano.
 
«E' semplice, sappiamo bene che le famiglie mafiose ricevono spesso aiuti dall'esterno, in questo caso penso da delegazioni irlandesi o infiltrati sul posto» aggiunse Semir, poi mostrò al capitano una pagina del fascicolo.
 
«Guardi... ha attaccato i Doherty cinque volte in una settimana, è molto improbabile che ci ritorni. Aspetterà che qualcuno si faccia vivo per farla risorgere per così stanarlo, o che qualche altra famiglia criminale gli dia il colpo di grazia approfittando della loro debolezza. In ogni caso va tutto a suo vantaggio. Lui studia tutto questo, calcola e agisce freddamente... come noi stesso facciamo»
 
«Quando ci riesce, Semir...» lo interruppe di nuovo il compagno.
 
«Quando "tu" ci riesci, Tom! Quando non ti infiltri come un ladro in case di spacciatori per cercare prove inconfutabili...» Tom alzò le braccia, come per dargli ragione, e allo stesso tempo scusarsi per l'ennesima volta... inutilmente.
 
«Per arrivare al dunque, Capitano Budiansky... terremo sotto controllo i rivali dei Doherty, quelli che non attacca da tempo. Tornerà per indebolirli prima che possano acquisire il potere che ha fatto perdere alle altre famiglie...» concluse Semir.
 
«Quindi... vediamo...» Tom prese il fascicolo dalle mani di Budiansky «Dateci tutto quello che ha sui Murphy, gli O' Connor e gli O' Callazgherz»
 
«Callagher, Tom... Callagher... dì pure "quest'altra famiglia" così ti risparmi le mie prediche» Semir aspettava questo momento con ansia, per rispondere a tono il compagno come lui stesso aveva fatto poco prima.
 
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«Cos'è questo? Un nome turistico? "Clinton"... Ora è così che chiamano Hell's Kitchen...»
 
Frank Castle passeggiava su di un marciapiede dove giacevano qua e là vecchi ubriaconi. L'odore di birra era nauseante, lui rimase impassibile. Continuò il suo pensiero, dopo aver dato un'occhiata a quei poveri derelitti.
 
«Una volta erano i Westies a mandar avanti la barca... a loro dire hanno trasformano bordelli in case di carità, bische clandestine in caffetterie, palazzi fatiscenti in appartamenti per yuppie depressi...»
 
Attraversò la strada ancora bagnata dalla pioggia battente di qualche minuto prima. Le auto deteriorate dal tempo e dai teppisti erano parcheggiate ai due lati della strada, anche dirimpetto ad un pub che recava l'insegna metallica di un quadrifoglio, che ora cigolava con il vento forte e pungente. Castle guardò l'interno del locale attraverso le vetrate su cui era dipinto con la vernice un nome: "Doherty".
 
«La gente civile che vive in questo luogo non scappa, non ne avrebbe modo. Non possono far altro che prenderne atto e bere alla mensa dei poveri»
 
Passarono diversi minuti. Poi iniziarono ad uscire tutte le persone. In pochi secondi la strada fu deserta. Qualcuno girò il cartello appeso alla porta di vetro dell'ingresso per sancire la chiusura. Castle rimase fermo, le mani in tasca. Dopo qualche secondo si allontanò a passo svelto.
 
«Conferme del passato... e se il passato è solo illusione della brava gente?»
 
Improvvisamente, una tremenda esplosione fece tremare la terra. La vetrata del bar che Castle aveva di fronte esplose in mille pezzi lanciati contro la parete all'altro lato della strada strada. Le auto più vicine al bar esplosero finendo in strada, alcune cappottate per l'onda d'urto. Gli antifurti delle altre iniziarono a suonare e fu il caos totale.
 
«Quando sei a corto di personale, per i Westies sei già morto. O almeno ti scavano la fossa, risparmiandoti il dolore dell'attesa...»
 
Il Punitore guardò le fiamme divamparsi, sentì le sirene della polizia e dei pompieri in lontananza, poi scomparve in un vicolo buio che dava all'altro isolato. Un vento gelido si alzò tra i due vecchi palazzi. Si fermò, portò una mano alla giacca ed estrasse agilmente la pistola voltandosi di spalle per puntarla alla cieca. Semir era dietro di lui, la pistola rivoltagli contro.
 
«E' proprio perchè sapevamo non avresti attaccato i Doherty che siamo qui. L'imprevedibilità a volte costa cara, Punitore...»
 
«Siamo?» Castle tirò a se il cane della 1911 che aveva in pugno, come per incitare lo sconosciuto che aveva davanti a vuotare il sacco.
 
Udì un tonfo. Tom apparve alle spalle di Castle, puntandogli anch'esso la pistola contro.
 
«Getta l'artiglieria» gli intimò.
 
Castle alzò le sopracciglia, lo sguardo impassibile. Guardò Tom con la coda dell'occhio. Con un' iniziativa fulminea balzò all'indietro. Tom tentò di sparargli ad una gamba, ma errò il colpo quando fu urtato dal braccio teso del punitore che riuscì a disarmarlo e ad afferrarlo per la gola. Semir fece un passo avanti, rinunciò a sparare nella direzione del compagno tenuto in ostaggio.
 
«Mi avreste già sparato. Mi volete vivo. Siete dei poliziotti europei a giudicare dalle P88 e dall'accento, quindi vi manda qualcuno. Chi?» Castle analizzò la situazione cercando di non sprecarsi in troppe parole.
 
«Poche chiacchiere! Ti dichiaro in arresto!» Semir fece un passo avanti. Castle tenne la pistola lungo il fianco, non cercò nemmeno di puntarla su Tom, che era bloccato nella sua morsa forzuta.
 
«Quanti anni sono che non vedevi l'ora di dirlo come in un poliziesco americano, eh?» disse Tom ironico. Il compagno scosse la testa e sorrise rassegnato, proprio in quella situazione!
Tom cercò di divincolarsi, ma inutilmente. Castle indietreggiò e con lui il suo scudo umano. Semir guardò il compagno, come per dirgli qualcosa. Lui rispose scuotendo la testa. Non era in grado di metterlo a tappeto, era di una stazza troppo grande.
Semir si avvicinò ancora. Castle pose un piede sul polpaccio di Tom e lo spinse violentemente contro il suo compagno. Caddero entrambi, uno sull'altro e quando si rialzarono Castle era sparito.
 
«Mi basta poterlo dire nella nostra lingua... solo non mi avrebbe capito» Semir diede una mano a Tom per farlo rialzare.
 
«Forza! Teniamoci in contatto io lo anticipo dall'altra parte!» disse. Semir annuì poi corsero in direzioni opposte. Arrivarono entrambi ai due lati della strada. Semir cercò di scrutare attraverso le fiamme che ancora illuminavano quella notte di sangue davanti al Pub irlandese. Aguzzò la vista, non vide nessuno. Portò una mano all'orecchio sinistro a cui era collegato un auricolare.
 
«Tom! E' scappato nella tua direzione, qui non c'è!» disse al microfono.
 
«Si ora lo vedo, gli sto dietro! Raggiungimi tra la quarta e la quinta di Mott Street! Lo intercettiamo lì!»
 
Semir ricominciò a correre. Tom guardò la figura del Punitore scomparire in un'altra stradina.
Estrasse la pistola in corsa. Vide Castle salire una rampa di scale di servizio d'acciaio.
 
«Semir! Sta salendo al numero dieci di Mott Street! Prendi le scale principali, ci vediamo sul tetto!»
 
«Ricevuto!»
 
Tom continuò a correre lungo le scale più velocemente che poteva, la pistola tra le mani. Arrivò in cima e saltò oltre il cornicione fino al tetto. Puntò la pistola, era deserto. Guardò il cassone dell'acqua che aveva al lato, era lì! Spalancò gli occhi quando si ritrovò l'enorme sagoma del Punitore a caricarlo.
Lo lanciò a terra, gli mollò due cazzotti sul viso e afferrò la pistola. Premette l'estrattore per far cadere il caricatore pieno, poi lanciò l'arma scarica e inutilizzabile dalla cima della struttura fino in strada.
Tom cercò di divincolarsi dalla presa, Castle lo tenne fermo piazzandogli un piede sulla gola e con l'altro lo tramortì violentemente calciandolo alla nuca.
Lo frugò in tasca, gli prese qualcosa e scappò verso per le scale principali.
La porta di alluminio chiusa si spalancò di colpo quando apparve Semir, puntandogli contro la pistola. Guardò il compagno a terra afflitto dal dolore e impossibilitato ad alzarsi, strinse i denti dalla rabbia e fissò Castle con ferocia.
 
«Ultima fermata, Punitore!» appena finito di dirlo una voragine si aprì sotto i suoi piedi.
Cadde di sotto! Si aggrappò ad una tubatura dell'acqua che percorreva il sottotetto, scivolò lasciando cadere la pistola. Castle lo agguantò per una mano, prima che potesse cadere nel vuoto.
 
«Siamo in una catapecchia da demolire... allora? chi vi manda?» disse.
 
«E tu credi che io te lo dica!?» gli abbaiò Semir, la voce fece eco tra le scale in ferro del palazzo.
 
«Giusto, perchè non ho modo di minacciarti visto che sai che non ti lascerò morire... »
 
Prese dalla tasca del trench delle manette, probabilmente prese a Tom. Ne agganciò una al polso di Semir, l'altra alla tubatura. Lo lasciò andare lasciandolo sospeso nel vuoto.
Semir guardò giù, strinse i denti e cercò di portare anche l'altra mano alla tubatura d'acciaio. Tutto il peso caricato sulla catena glielo impedì. Tremò per un attimo per lo spavento. Guardò Castle con rabbia, imperturbabile, sul tetto che lo fissava.
 
«Non preoccuparti, sono sempre le ultime a cadere quando c'è un terremoto...» e detto questo scomparve. Scese le scale più veloce che poteva. Uscì dal palazzo, si riabbottonò il lungo cappotto di pelle e si dileguò dando le spalle al fumo nero e denso che si levava dai focolari che i pompieri tentavano disperatamente di spegnere.
 
Semir, ancora appeso per un braccio, pensava di non farcela. Fu allora che apparve Tom, oltre la buca. Aveva un occhio gonfio e perdeva sangue dal labbro sinistro. Scosse la testa.
 
«Come vorrei avere una fotocamera per immortalare questo storico momento!» disse, mentre le pupille luccicavano come invase da lacrime di gioia.
 
«Certo... avessi avuto io il modo di immortalare tutte le volte che t'ho salvato il culo...» obiettò Tom, con naturalezza, come se si trovasse nella più comoda delle posizioni.
 
«Eh già...» continuò Tom «A quest'ora potevamo cambiare mestiere per fare soldi coi book-fotografici di un idiota in difficoltà!»
 
«No... sei stato grande, amico...  ora magari mi liberi da queste manette!? ... cioè no... aiutami prima a risalire e poi mi liberi dalle manette!» si corresse subito Semir.
 
«Hey, ho detto di essere idiota... ma ora non approfittarne...» obiettò ancora Tom sarcastico. Tese il braccio destro all'amico, lo aiutò a risalire. Si ritrovarono entrambi distesi a terra, stanchi e stremati. Tom si mise a sedere per primo. Raccolse il cellulare da una delle tasche della giacca e lo portò all'orecchio.
 
«Budiansky... è attiva?»
 
Semir poggiò una mano a terra per aiutare le gambe stanche a rialzarsi dopo la lunga ed estenuante corsa. Si spazzò via la polvere dal pantalone e guardò il compagno annuire al telefono. Sorrise compiaciuto e perse un'altra goccia di sangue dal labbro. Poi chiuse il telefono e lo avvicinò alla fronte, sbarrò per un attimo gli occhi, come per dormire.
 
«Ci sei riuscito, gli hai messo la cimice addosso...?» Semir gli pose la mano. Tom aprì gli occhi e la accettò per rimettersi anche lui in piedi.
 
«Beh? Cosa credevi? Che mi facessi picchiare da quel novellino per niente? Tutto calcolato qui!» rispose orgoglioso, portò una mano alla fronte e diede dei colpetti con l'indice.
 
«Anche quell'occhio nero è calcolato, vero? Serve per fare scena?»
 
«Per entrare nella parte, no!?» si giustificò Tom, facendo credere di arrampicarsi pateticamente sugli specchi, ma solo per scherzare con il compagno.
 
«Bah! Torniamo alla macchina, forza...» Semir poggiò il braccio sulla spalla dell'amico, poi scesero giù per le scale del palazzo fino al portone.
 
«Semir, la mia pistola. Senza non posso vivere!» gli disse, una volta fuori. Indicò la strada sottostante al tetto da cui poco prima era volata l'arma.
 
«Già, che cattivone quel Castle. Non è questo il modo di trattare questi gioiellini tedeschi!»
  
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