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Autore: marguerite_murcielago    16/08/2012    3 recensioni
Revisionato completamente capitolo 10
Il dipinto – numero di catalogo 423B – custodito nei recessi della National Gallery di Edimburgo non è mai stato esposto al pubblico. Per divertimento dei suoi proprietari, i maggiori esperti di arte sono stati convocati in gran segreto nella stanza: il loro verdetto è stato unanime.
La storia celata da questo dipinto va da ricercarsi nell'anno 1561: vi troverete tracce di una guerra subdola e dimenticata nel tempo, gli "Amanti delle Regine", una dama con poteri extrasensoriali, avvenenti soldati e, infine, il contrasto tra due Regine - due tra le più belle e forti Regine della loro epoca: Elizabeth Tudor e Mary Stuart.
Desiderate scoprire il significato del quadro 423B?
Cit./ Questa dunque è la storia del dipinto 423B; è una storia vecchia e pochi la ricordano.
È anche Storia, ma non ci sono scritti o testimonianze di altra natura che possano chiarire eventuali punti oscuri; dopotutto, i fatti sono stati un poco romanzati. Ma che ne è stato di tutti i protagonisti di quel quadro?
Genere: Avventura, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
Capitoli:
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Fallen angel,
Tell me why
What is the reason,
The thorn in your eye?

(Angels, Within Temptation)

 

L’imponente portone era spalancato e la luce del tramonto vi entrava a fiotti.
Catherine sentì una mano invisibile, ma fortissima serrarle la gola mentre rallentava l’andatura; fissò la prima cosa che le capitò sotto gli occhi, ovvero la chioma lussureggiante di Elizabeth, ritta ed immobile sull’ultimo gradino come una sentinella, o una Dea pagana.
Poi, trattenendo il fiato in attesa del colpo finale, spostò il viso sull’uomo che saliva faticosamente la scalinata: capelli indorati dal sole, ma occhi di un verde cupo, Arthur zoppicava e guardava lei.
Ma lei, lei era fatalmente attratta dal fagotto che teneva tra le braccia forti: un mantello di feltro, sgualcito e macchiato di sangue e fango, quasi indurito dalla sporcizia e una mano grigia abbandonata tra le pieghe scure.
- Dio! oh Dio!
Lui si fermò di fronte a lei per un attimo, mentre le lacrime le inondavano le guance e il sangue colava in un rivolo sottile dall’angolo della bocca, essendosi morsa la lingua durante la corsa. Dentro di lei nacque il desiderio di bestemmiare e di farsi uccidere da Dio nel medesimo istante, perché era tremendo che Henry fosse morto e che Arthur le avesse portato, memento mori, il suo corpo.

 

***

 

Lo cercò nei meandri più oscuri e vuoti del castello, chiamandolo a gran voce.
- Arthur! Arthur! Arthur! – trovò la stanza che era stata preparata per lui solo perché ne vide uscire una fila impressionanti di luminari della medicina, che borbottavano e scuotevano la testa con aria irata.
- Farci trattare così!
Li schivò ed entrò nella stanza. In un angolo un braciere mandava una luce calda, mentre Arthur si affannava a raccogliere oggetti in giro per la camera, zoppicando vistosamente. – Entrate, milady.
Dietro di lui c’era un letto, ai piedi del letto un mucchio di stoffa lercia che lei riconobbe subito.
- Catherine, avvicinatevi. Guardatelo – le sussurrò con voce morbida, ancora mosso da quella frenesia innaturale. Lei deglutì e si portò accanto al letto; allora, il suo cuore prese un ritmo irregolare.
Lui giaceva sotto le coperte di lana, ottenebrato dalla febbre alta che gli coloriva orribilmente le guance, ma il viso era sfatto e la pelle grigia e sudata: gli occhi contornati da pesanti occhiaie, le palpebre per metà abbassate.
Arthur l’affiancò e scostò le lenzuola, rivelando una ferita sporca e infiammata.
- I medici non possono fare più niente – le disse a bassa voce. Lei tremò.
- Voi potreste aiutarmi, solo se giurate che non mi fermerete, qualunque cosa io faccia.
- Lo giuro – rispose subito Catherine. Arthur annuì gravemente e posò una mano sulla ferita di Henry; Catherine faticò a trattenere un conato di vomito: c’era carne gonfia e pus e acqua giallastra.
- No, no. Guardatemi. Dovete guardarmi, perché guarisca. Ho bisogno di sentire la Magia che scorre tra noi… - lei distolse lo sguardo dagli occhi opachi di Henry (era solo una sua idea, o vi ballava un bagliore verde?) e lo rivolse, a malincuore, al Marchese.
- Lord Henry Sidney – scandì lui con voce tonante – la Magia può salvarvi. Rivelate dunque, sinceramente, che credete in questa Magia che scorre nei nostri due corpi?
- Non può rispondervi – disse Catherine, osservando il modo irregolare in cui il suo petto si sollevava.
- Ma lo farà -  e così dicendo Arthur premette la mano contro la ferita: del sangue gli schizzò tra le dita ed Henry inspirò violentemente, rivolgendogli gli occhi stralunati. Il Marchese di Pembroke ripeté la domanda e lui annuì.
- Adesso potete udirmi – continuò Arthur – e mi direte se volete essere salvato!
- Vi pre… go… - Henry chiuse gli occhi di nuovo.
- Parlate! La vostra vita dipende dalle vostre risposte! – ruggì l’altro e affondò le dita nella carne, senza alcuna pietà. Catherine provò l’impulso di fermarlo, ma era trattenuta in quella posizione da una forza incredibile, che le schiacciava le spalle e le appesantiva le gambe.
Si rese conto che non avrebbe potuto far niente per fermare la pazzia di Arthur.
Henry gemette, il pomo d’Adamo che andava su e giù nei singulti, le lacrime gli scorrevano sulle tempie e la schiena si inarcava, nel tentativo disperato di sottrarsi a quella lenta tortura. – Io… voglio… ah!
Arthur l’afferrò per i capelli, rabbioso. – Parlate! – tuonò.
- Vi prego, milord… farò tutto quel che volete, ma non fatelo soffrire così!
- Taci, Catherine!
- Vi prego, milord. Vi prego! – giunse le mani tremanti davanti al volto.
Le sembrava ormai chiaro che l’agonia di Henry era giunta al termine: la sua resistenza era minima. Secondo lei, non poteva neppure più comprendere gli ordini e gli improperi lanciategli da Arthur.
Alla fine, emettendo quello che pareva un sospiro affranto, lui rantolò: - Sì – e si afflosciò contro il cuscino.

 

- Sapete molto di me, milady?
Catherine negò.
- Allora, sarà meglio che vi racconti la verità, non una delle solite fuorvianti bugie. E continuate a guardarmi. Sono nato nell’anno del Signore millequarantacinque, di modo che nel millesessantasei, l’anno in cui giunse Guglielmo il Conquistatore avevo venticinque anni… ma, per una serie di eventi a cui nemmeno una persona come voi crederebbe, acquisii un potere… - si perse nei ricordi per un attimo, poi tornò a sorriderle – Non c’è più bisogno di tremare, starà bene. Avete la mia parola.
Lei si lasciò massaggiare le spalle, ancora scossa da quanto era appena accaduto.
- Capita spesso di sentirsi deboli dopo uno spreco di magia – continuò lui.
- Pensavo che l’aveste ucciso.
- Un pensiero logico; ma sta bene, milady. Henry sta bene.
Si coprì gli occhi con le mani, sentendo ancora le ginocchia deboli per il terrore.
- Siete un mostro ed un eretico – affermò meccanicamente. Lui rise allegramente.
Si alzò, poggiandosi ad un bastone intagliato: - Farò portare dell’ulmaria per la febbre.
Con la sua andatura irregolare, raggiunse la porta, prima che lei lo trattenesse.
- Milord?
Arthur si voltò, incuriosito.
Catherine indugiò, temendo di essere troppo indiscreta con le sue parole.
- Quello che mi avete raccontato era una… fuorviante bugia?
Il Marchese sorrise.
- Milady, queste sono domande assurde, che non dovreste porvi.
- Ma…
- Ascoltate le parole dei giullari, celano più verità di quanto crediate.

 

***

La pergamena su cui stava scrivendo slittò sotto la penna e svolazzò in alto.
- Umilmente e affranta vi scrivo, Vostra Santità, affinché possiate dispensare il mio amato e buon suddito… dall’ombra di un omicidio assolutamente involontario, perpetrato nel nome della giusta dottrina… dispensarlo da un orribile duello, ovviamente voluto da un eret e qui si interrompe la vostra commovente missiva per il Santo Padre – concluse Wallace, irrisorio.
Mary arrossì e tentò di strappargli il foglio dalle mani, cosa peraltro non impossibile per una donna della sua altezza, ma lui lo nascose sotto il farsetto. La Regina lo afferrò per la gola con le mani delicate.
- Vi chiuderò nelle segrete come un volgarissimo criminale, se tenterete di andare in Inghilterra!
- Mi minacciate, Vostra Grazia! Mi minacciate! – Wallace rise crudelmente, premendosi una mano sul petto, come a simulare un mancamento, ed emise un sospiro svenevole.

***

Harry vergò le prime parole con tratti incerti e, in una certa misura, reticenti.
- Non posso farlo, milord. Non posso.
Arthur spostò la gamba ferita con una smorfia, per avvicinarsi a lui.
- Harry… da quanti anni lavorate a corte?
- Non so che risposta vogliate, milord.
Il Marchese intinse la penna nel calamaio, fece asciugare l’inchiostro eccedente e gliela passò di nuovo. Non aveva la solita espressione supponente, né lo apostrofò con parole crude e insofferenti.
Harry indicò il ginocchio rigido dell’uomo e il bastone intarsiato con cui camminava.
- E come farete, quando Wallace giungerà ad affrontarvi?
Arthur sospirò.
- In qualche modo ce la farò.
- Allora, trovate consono quanto ho scritto? Nella giornata di ieri milord il Marchese è tornato dalla missione che l’aveva impegnato; poiché mi è stato ingiunto di partire con la Regina, mi trovavo nelle scuderie di Pontefract, quando mi è stato affidato il cavallo del Marchese.

Ora egli se ne va in giro proclamando a gran voce un duello imminente, e sia lui che la Regina si mostrano assai dispiaciuti nei confronti del signore di Pontefract, che ha visto arrivare in un feretro improvvisato il corpo del fratello.
- Non potevate fare di meglio, Harry. Adesso potete spedirla di nascosto, sperando che io o uno dei miei agenti la intercetti prima che raggiunga Edimburgo – scherzò Arthur.
- Ho una sola domanda, milord!
- Ditemi pure, vi ascolto.
- Pensate di uccidere vostro cugino come se nulla fosse?
Arthur finse di rifletterci. Poi disse, serio: - Farò quello che Dio comanda.

***

 

- Non hai mai fatto richieste in merito alla dote di nostra madre – osservò Joaquin, spiccio.
Henry sollevò a fatica la testa dal cuscino: era ancora debilitato dalla febbre.
Lady Eleanor gli rivolse un’occhiata di glaciale rimprovero e lo stesso fece suo fratello. – Sta’ giù.
- Non ho più sette anni e soprattutto non ho più la febbre – osservò Henry, stizzito. I due non gli prestarono la benché minima attenzione: Joaquin svolse il minuscolo pacchetto che aveva portato e lady Eleanor gli versò un’altra coppa di vino annacquato.
- Trattala bene – commentò mettendogliela in mano; la spilla era grande, le perle e il grande cuore di lapislazzuli che la decoravano emettevano un bagliore delicatissimo. Henry ricordava molte occasioni in cui aveva potuto ammirarla, appuntata sul petto di sua madre.
- Meravigliosa – soffiò, sfiorandola appena con la punta delle dita.
Lady Eleanor scoppiò in una risata argentina: - Quando Joaquin me la mostrò, credo che avrei potuto praticare un buco nel legno della scatola per l’ardore e l’intensità con cui desideravo che quella spilla fosse mia. È una fortuna che mi abbia detto che era parte della vostra eredità – scosse benevolmente il capo, come se quanto era accaduto non più di cinque anni prima facesse parte di un passato tanto remoto che non valeva la pena rivangarlo.
- Volete che faccia venire qui lady Catherine? – continuò compita, lisciandosi la gonna marrone.
Henry scosse la testa. – Non sono nemmeno in grado di star seduto – mormorò – non è il momento.

 

***

 

- Milady? Milord Henry mi ha incaricato di riferirvi che si sente molto meglio e desidera godere della vostra compagnia il prima possibile – Catherine fissò lady Ann, che appariva sconvolta quanto si sentiva lei, intimamente. Mise da parte i dolcetti che stava piluccando nell’attesa che Sua Maestà uscisse dalla stanza in cui si era rinchiusa assieme ad Arthur, con gli occhi scuri che lampeggiavano di stizza.
- Davvero? – sussurrò evitando il suo sguardo.
- Sì, milady. L’ho trovato molto ansioso – disse l’altra, in tono confidenziale.

 
- Mi volevate? – bussò piano sullo stipite. Henry, seduto allo scrittoio, le rivolse un sorriso abbacinante.
- Certo che vi volevo – rispose con voce suadente, battendo le nocche contro una scatolina di legno intagliato che stava tra loro.
Catherine raccolse un ricciolo scuro, che le era piovuto sulla tempia, e si sedette davanti a lui, abbastanza discosta da non poter essere toccata con facilità. Lui sembrò leggermente incupito.
- Perché mi volevate, milord?
- Per consegnarvi una cosa – Catherine sgranò gli occhi pallidi, le guance improvvisamente rosate.
Con un “clic” la serratura brunita della scatola scattò e il coperchio si sollevò; Henry la prese con due dita per lato e la sollevò completamente.
Lei trattenne bruscamente il fiato.
- Milord… io… non so cosa dire.
- Non è necessario che diciate nulla: poche cose al mondo sono belle e delicate come questa spilla – corrugò la fronte pallida, eppure non smise di sorridere – o come voi, milady.

 

***

 

- Gli amanti si donano anime e pegni d’amore. E voi, Arthur, portate guerra e oro.
Arthur chinò la testa, incassando quella stoccata in ammirevole silenzio.
Elizabeth rimase con lui, comunque, ad osservare gli ultimi bagliori sanguigni del tramonto.

   
 
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