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Autore: I n o r i    17/08/2012    1 recensioni
"Non capì cosa la portò a fidarsi di lui, a quel tempo. Quella persona avrebbe veramente potuto essere un assassino satanico desideroso di farla a pezzettini, eppure lo seguì con decisione fino a che non raggiunsero le fine del bosco. In mezzo a tutto quel buio, le bastò continuare a sentire il calore di quella mano, per sentirsi più tranquilla."
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Judith ha solamente sedici anni quando si trasferisce a casa del padre, a Buldwick: un paesino estraniato dal resto del mondo, piccolo, dove tutti conoscono tutti. Per quanto possa pensare il contrario, è un'adolescente come tutte le altre: crede di sapere tutto di sé, di conoscere perfettamente se stessa. Ed è convinta di potercela fare benissimo con le sue sole forze in qualsiasi situazione: perché Judith è forte e non si lascia trasportare dai sentimenti come tutte le ragazzine della sua età.
Ma, come in ogni altra banale storia d'amore, tutte le sue convinzioni vengono abbattute nel momento in cui incontra lui, Nathan.
Un lago ad accomunarli, una strana luce che spingerà Judith ad avvicinarsi sempre di più a quel ragazzino così strano e misterioso...ed una leggenda, la leggenda della Divinità del lago di Buldwick.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Appena entrata in quella che sarebbe divenuta la sua nuova camera da letto -da quel momento in poi- Judith rabbrividì, leggermente sconcertata.

<< Allora? Ti piace? >> La voce bassa e profonda di suo padre le penetrò le orecchie e non poté fare a meno di deglutire, cominciando immediatamente a pensare a cosa avrebbe potuto dire per non farcelo rimanere male.

Guardò fugacemente le pareti dipinte di un rosa che più rosa di quello non l'aveva mai visto, ed il letto a baldacchino difronte al grande armadio bianco; per non parlare delle coperte argentate e del tappeto con disegnate sopra le sagome di qualcuna delle principesse Disney...

<< Sembra proprio la camera di una principessa. >> Gli rispose, spostando lo sguardo su di lui e notando il suo sorriso felice e soddisfatto.

Dopotutto, aveva solamente detto la verità. Senza specificare se la cosa fosse di suo gradimento o meno.

<< Bene, era questo il mio intento! >> Esclamò di rimando, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia e una mano a scompigliare i capelli di Judith.

Oh, perfetto. Sospirò e si allontanò quel tanto che bastava per far capire a Mark che non voleva far diventare la sua testa un ammasso informe di capelli. Se lo ricorderà che non ho più dodici anni?

L'uomo ritrasse la mano e ridacchiò imbarazzato, per poi spostare lo sguardo sull'orologio che teneva legato al polso. << Ormai è tardi, sarà meglio che vada a preparare la cena. >>

Judith annuì e si vide poggiare difronte ai piedi l'unica valigia che possedeva, ma che tanto le bastava e avanzava per contenere i suoi averi.

<< Tu intanto sistema la tua roba. >> Detto questo, suo padre scivolò via dalla sua visuale scendendo le scale in fretta e furia, desideroso di uscire fuori da quella situazione un po' tesa e imbarazzante per entrambi.

Judith, quindi, si tirò su le maniche della felpa e trascinò la valigia all'interno della stanza, chiudendosi poi la porta alle spalle.

La lasciò cadere a terra e si avvicinò alla finestra a grandi falcate: l'aria della sera era fresca e pulita, al contrario di quella che era solita respirare nella città in cui aveva vissuto i sedici lunghi anni della sua vita. Ed anche la visuale che aveva modo di vedere dalla finestra di quella camera era completamente differente: difronte ai suoi occhi, in quel momento, si espandeva un sacco di verde. Il verde degli alberi, delle foglie, dei prati. E, in lontananza, si poteva scorgere un lago non molto grande, contornato da tante rocce e tanti alberi.

Tutta un'altra cosa, rispetto alla città -questo doveva ammetterlo.

Se si fosse trovata affacciata alla finestra della sua vecchia camera, avrebbe sicuramente sentito la vecchia signora del piano di sotto brontolare suo marito per qualcosa di sciocco come al solito, oppure avrebbe percepito l'odore di fumo proveniente dal locale che stava proprio davanti al suo condominio.

Era tutto così strano, in quel momento. Tutto così diverso.

Sospirò e fece per riprendere la valigia che aveva bellamente mollato a terra, ma qualcosa la fermò: si sporse un po' di più dalla finestra e vide che, davanti al lago, c'era una luce. Più che una luce in sé, era un oggetto particolarmente luminoso. Non sembrava la luce di un fuoco, quella l'avrebbe riconosciuta, nonostante la lontananza. E dubitava anche del fatto che potesse provenire da un motorino o da una macchina: chi è che andrebbe in un posto simile a quell'ora della sera?

Ma lei non conosceva niente di Buldwick e della gente che popolava questo paese, indi per cui decise solamente di farti i fatti suoi e di scendere a mangiare non appena suo padre l'avesse chiamata.

 


 

<< Papà? >>

Mark, che ancora non si era abituato alla presenza di un'altra persona alla sua tavola -dopo tutti quegli anni trascorsi da solo-, distolse lo sguardo dal cibo e guardò sua figlia con un espressione curiosa sul volto.

<< Come si chiama il lago che si vede dalla finestra della mia camera? >> Gli chiese quest'ultima, versandosi un po' di succo d'arancia nel bicchiere.

La domanda era strana e lui non riuscì a capire il motivo per cui gli avesse chiesto qualcosa di simile. Ma, dopotutto, forse sua figlia si stava semplicemente comportando da sedicenne curiosa di sapere qualcosa in più sul posto in cui sarebbe stata costretta a vivere da quel momento in poi.

Storse il naso a tale pensiero. Costretta. Un termine esatto, dato che non era venuta a Buldwick di sua spontanea volontà.

<< Non credo abbia un nome. È piccolo e si trova in un posto sperduto, nessuno va mai a visitarlo, neanche la gente del paese -nonostante sia l'unico luogo in cui potersi fare un bel bagno nelle giornate afose d'estate, qui a Buldwick. >> Cercò di essere il più esauriente possibile e Judith assunse un'espressione decisamente pensierosa.

<< Davvero non ci va mai nessuno? Eppure, io ho visto qualcosa laggiù, prima di scendere a mangiare... >>

Mark non seppe interpretare il silenzio che seguì alla frase di sua figlia. Forse avrebbe dovuto rispondere qualcosa, ma era decisamente impreparato a tutto questo, quindi non seppe cosa dire e rimase semplicemente zitto.

Quei tre anni in cui erano stati lontani si stavano facendo sentire, alla fine: gli sembrava di non riconoscere neanche più la sua stessa bambina. Che bambina non era più, dopotutto.

La guardò di sottecchi e fu stranito nel constatare che, osservandola meglio, gli ricordava sempre di più Rachel. La donna che aveva abbandonato lui tre anni prima e, solamente due mesi prima, persino Judith, la figlia che lei stessa aveva cresciuto con tanto amore e devozione.

Si, le assomigliava sempre di più. Perfino nel più semplice dei gesti, tipo quello di portare la forchetta alla bocca, Judith gli ricordava la sua prima -ed unica- moglie: i capelli biondi e mossi erano gli stessi, come gli occhi azzurri -tendenti al grigio-, il naso a punta e le labbra piene e carnose.

Aveva perfino quelle poche lentiggini sparse qua e là che caratterizzavano il viso di sua madre.

<< Io ho finito. >> Alle parole di sua figlia Mark si destò dai suoi pensieri, e quando vide Judith alzarsi con il piatto in mano in direzione dell'acquaio la fermò, quasi allarmato. << Tranquilla, ci penso io qui! Tu vai a letto, sarai stanca dopo il viaggio. E poi domani inizia la scuola, devi riposare. >>

Judith annuì -sempre pronta a farsi da parte pur di non svolgere i lavori di casa, pigra com'era- e si stiracchiò, andando in direzione delle scale.

<< Buonanotte. >> La voce di suo padre era gentile, quasi dolce.

<< 'Notte. >> La sua, invece, apparve a dir poco seccata: non era più abituata a ricevere certi atteggiamenti affettuosi. Soprattutto da Mark.

 


 

Stesa sul suo letto, Judith guardava il soffitto. Riusciva a vedere tutto il rosa che invadeva la sua camera persino al buio.

Le sembrava di essere in un posto non suo, che non le apparteneva fino in fondo: era in vacanza, certo. E sarebbe tornata a casa sua e nella sua città prima che se lo immaginasse.

Sospirò, alzandosi a sedere e stropicciandosi gli occhi. Sogna Judith, sogna.

Guardò lo schermo del suo cellulare: c'erano così tante chiamate senza risposta che non aveva nemmeno il coraggio di contarle. Dopotutto, non aveva detto a nessuno dei suoi amici che sarebbe partita. Per sempre.

Era un'egoista, se ne rendeva conto anche da sola. Ma odiava gli addii.

In fondo, era identica alla madre che diceva di detestare.

Sospirò nuovamente, questa volta cercando di cacciare le lacrime che le stavano pizzicando gli occhi, e si avvicinò alla finestra: da lì le stelle si potevano vedere benissimo, al contrario della città. Forse perché l'aria era più pulita, dopotutto erano sempre in campagna.

Ridacchiò, malinconica: lei non sarebbe mai diventata una campagnola come suo padre.

Abbassò lo sguardo dal cielo e riguardò il lago, constatando che la luce che aveva visto prima era ancora presente. Ma questa volta era in movimento. Non avrebbe davvero saputo spiegarsi cosa fosse: era una luce debole, non molto intensa.

Se non avesse saputo che gli esseri umani non brillano, avrebbe pensato si trattasse di una persona: sembrava nuotare nelle acque del lago, aggraziata, delicata.

E lei si sentiva attirata, quasi incantata, tanto che non poté fare a meno di mettersi le scarpe e uscire di casa ancora in pigiama, solo per vederla da vicino e con i suoi occhi, quella luce.

Alla fine, avrebbe dovuto solamente camminare sempre dritto fra gli alberi finché non avesse trovato il lago.

Ed era impaziente, per cui cominciò a correre senza sapere precisamente dove fosse e perché stesse facendo qualcosa di simile a quell'ora di notte, quando sapeva che il giorno dopo si sarebbe dovuta svegliare alle otto del mattino per andare in quella stupida scuola per campagnoli.

Era un gesto totalmente irrazionale, lo sapeva benissimo anche lei.

Eppure, lei d'irrazionale non aveva un bel niente.

Quando si ritrovo all'interno del bosco, però, si rese conto che ciò che aveva fatto, oltre che irrazionale, era anche dannatamente stupido: non riusciva a vedere niente di niente, si era ritrovata in un posto di cui non conosceva assolutamente nulla e, quando fermò la sua corsa in preda al panico dopo aver sentito un rumore fra gli alberi, probabilmente provocato da un uccello o qualcosa di simile, capì che non sarebbe neanche riuscita a tornare indietro, dato che non riusciva a vedere ad un palmo dal proprio naso.

Stupida, stupida, stupida, pensò non appena sentì un altro rumore che lei stessa, nella sua mente contorta, reputò decisamente inquietante.

Era in una situazione in cui non si sarebbe mai voluta trovare e si maledisse fino allo sfinimento, accovacciata a terra e indecisa sul da farsi.

Tutto ciò che era in grado di vedere era il buio assoluto.

Dannazione!

Non era più in grado neanche di riconoscere la direzione in cui era diretta e verso cui stava correndo.

E, quando sentì un rumore di passi provenire dalla sua sinistra, non poté fare a meno di cacciare fuori dalla gola un urlo di puro terrore: ecco, morire a sedici anni per mano di un pericoloso assassino che vaga in un bosco nel cuore della notte in cerca di ragazze vergini da utilizzare nei suoi riti satanici. Questa sarebbe stata la sua fine.

Va bene, forse stava vagando un po' troppo con la fantasia, ma era comunque spaventata a morte e non ebbe neanche il coraggio di muovere un muscolo, quando sentì il rumore di passi divenire sempre più vicino.

Se magari fosse rimasta immobile così com'era, l'assassino satanico non l'avrebbe sentita e avrebbe continuato a camminare, così la sua vita sarebbe stata salva e suo padre, notando la sua assenza, sarebbe venuto a cercarla e l'avrebbe riportata a casa.

<< Ohi. >>

Judith spalancò gli occhi e le sembrò che il cuore le fosse uscito dal petto, non appena sentì quella voce fin troppo vicina e che si stava sicuramente riferendo a lei.

Ancora accovacciata a terra, iniziò ad urlare frasi e parole scollegate fra loro e prive di senso logico, della serie “Non sono vergine, non sono buona per i tuoi riti satanici!”

I passi si fecero più vicini e lei si rannicchiò ancora di più, senza avere il coraggio di riaprire gli occhi ormai pieni di lacrime.

<< E-ehi, ma che hai da urlare? >> Quella voce -che doveva appartenere ad un ragazzo, se l'udito non la stava ingannando- le apparve più vicina di quanto si potesse immaginare.

Così sussultò, e, quando rialzò lo sguardo ed incontrò i suoi occhi, avvertì la stessa sensazione che l'aveva spinta ad uscire di casa e a dirigersi verso il lago. La stessa attrazione magnetica che aveva provato alla vista di quella luce.

Quindi, improvvisamente, si rilassò. Come se la visione di quel ragazzo avesse avuto un effetto calmante su di lei.

<< Tutto apposto? >> Le chiese lui, accovacciandosi e accendendo la torcia che teneva in mano, per poi puntarla sul viso di Judith. Quest'ultima, impreparata, si coprì il viso e fu sorpresa di sentire le proprie guance umide e bagnate dalle sue stesse lacrime.

<< S-si. >> Rispose, con una voce più roca e decisamente meno pimpante del solito.

Sentì la mano di quel ragazzo poggiarsi sulla sua spalla e, questa volta, grazie alla luce della torcia, poté vederlo davvero: la prima cosa che notò furono i suoi capelli neri e ribelli, che gli contornavano il viso chiaro e fine; e gli occhi -verdi quasi quanto le foglie degli alberi all'interno del bosco, non troppo grandi ma fin troppo profondi, così tanto che le parve di poterci annegare dentro- la scrutavano intensamente, quasi impazienti.

E la sentì ancora, quella sensazione: la sensazione di un tuono che fende il corpo, il calore, la luce. Un misto di eccitazione e paura.

<< Forza, andiamo. >> Quando quelle parole la destarono dai suoi pensieri, vide che il ragazzo si era già alzato e che le stava porgendo una mano. Judith non esitò a prenderla e si alzò a sua volta, silenziosa. E, con sua grande sorpresa, anche quando iniziarono a camminare lui non mollò la presa.

Non capì cosa la portò a fidarsi di lui, a quel tempo. Quella persona avrebbe veramente potuto essere un assassino satanico desideroso di farla a pezzettini, eppure lo seguì con decisione fino a che non raggiunsero le fine del bosco. In mezzo a tutto quel buio, le bastò continuare a sentire il calore di quella mano, per sentirsi più tranquilla.

 

<< Siamo arrivati. >> Judith alzò lo sguardo, sentendo la mano del ragazzo lasciare la sua, e vide la casa di suo padre proprio davanti ai suoi occhi. Per quanto tempo avevano camminato? Le sembrava che fossero trascorsi solo pochi minuti da quando l'aveva trascinata fuori dal bosco.

Poi, cosa più importante, un'altra domanda le spuntò in testa.

<< Come facevi a sapere dove si trovava casa mia? >>

Lui, sentita la nota di disappunto nella sua voce, ridacchiò.

<< Sei la figlia di Mark Nichols, giusto? Ho sentito parlare di te da tuo padre. >>

Judith deglutì, imbarazzata. Chissà a quante altre persone suo padre aveva parlato di lei, a questo punto...

<< Comunque, perché strillavi come una pazza prima? >> Chiese l'altro, ridendosela bellamente sotto i baffi.

Il viso di Judith andò completamente in fiamme e lo guardò malamente. << Sei tu che mi hai spaventata! >>

Lui assunse un espressione stranita e poi alzò un sopracciglio. << Ma se ti ho perfino aiutata! Ti eri persa, ammettilo. >> Detto ciò, le puntò un dito sulla fronte e la spinse un poco all'indietro, per poi avvicinarsi pericolosamente al suo viso, non dandole neanche il tempo di rispondergli a tono.

<< Dovresti ringraziarmi. >>

Lei, sempre più rossa in viso, sbuffò contrariata: chi era quello sbruffone del cavolo?

Voltò la faccia dalla parte opposta e chiuse gli occhi. << Grazie. >> Sputò fuori dalla bocca, per niente sincera.

Doveva ammetterlo: aveva un orgoglio insormontabile.

Il ragazzo sorrise e indietreggiò di qualche passo.

<< Beh, adesso devo andare. Cerca di non perderti più nel bosco a quell'ora di notte, o potresti morire per mano di un assassino satanico! >> Esclamò, e Judith, se avesse potuto esprimere un desiderio, avrebbe chiesto sicuramente di potersi nascondere sotto terra in quel preciso istante.

Che idiota. Non la conosceva neanche e già la stava prendendo in giro?

<< Divertente. >> Rispose lei, sarcastica.

Il ragazzo sorrise nuovamente e la salutò con un “Ci si vede!” per poi iniziare a camminare nella direzione opposta alla casa di suo padre.

Notò con stupore che le sue spalle erano grandi, sembravano quasi quelle di un uomo, nonostante fosse anche lui un ragazzino di sedici anni o poco più.

A proposito, ma chi era quel ragazzo?

<< A-aspetta! >> Lui, al richiamo di Judith, si voltò e rimase in silenzio, in attesa di un continuo.

<< Come ti chiami? >> Gli chiese, quasi inconsapevolmente.

Lui inizialmente sembrò perplesso, ma infine l'unica espressione che si venne a creare sul suo volto fu un ghigno soddisfatto.

<< Johnny Depp! >> Le rispose ricominciando a correre, ma non prima di averle donato l'ennesimo sorriso strafottente.

Judith sospirò, sconsolata, e quando rialzò lo sguardo notò che era già parecchi metri lontano da lei.

<< Stupido! >> Gli gridò, sperando che la sentisse e che non tutti in quella città fossero così dannatamente stupidi.

Si lasciò trascinare dai suoi piedi ormai al limite delle forze fino alla porta di casa, e quando se la richiuse alle spalle e si guardò al piccolo specchio nel corridoio, fu decisamente poco felice di constatare che era davvero uscita con addosso il suo pigiama con gli orsacchiotti.

Se avesse rivisto quel ragazzo -e sicuramente l'avrebbe rivisto, dato che c'era solamente una scuola superiore, a Buldwick-, l'avrebbe presa in giro fino allo sfinimento.

Già lo detestava.

 

Eppure, sentiva ancora la strana sensazione di prima provocarle un certo fastidio proprio lì, all'altezza dello stomaco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Angolo autrice-

Ed eccomi tornata con il primo capitolo :D

Adesso, finalmente, è iniziata la storia vera e sono comparsi tre personaggi: Judith, Mark e Johnny Depp. LOL no dai, volevo cercare di essere simpatica ma non mi riesce. Comunque, se avete anche letto l'introduzione della fic, penso avrete già capito chi sia questo ragazzo che ha salvato Judith dalle grinfie del suo assassino immaginario xD

Che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Io non sono molto convinta dell'ultima parte, la trovo un po' confusionaria...ma è stato il meglio che ho saputo fare D:

Per adesso non abbiamo ancora scoperto il perché del trasferimento della nostra protagonista, anche se qualcosa ho accennato. Comunque, nei prossimi capitoli spiegherò tutto!

Ringrazio chiunque abbia letto sia il prologo sia questo capitolo, chi ha inserito la fic fra le seguite e chi addirittura fra le preferite *-* Davvero, non me l'aspettavo. Grazie!

E un ringraziamento speciale va alla mia compagna di sproloqui senza né capo né coda, che continua a leggere le cavolate che scrivo e che si è premurata di lasciarmi una recensione che mi ha reso estremamente felice.

Lo sai che ti adoro <3

Detto questo, a presto!

  
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