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Autore: Dernier Orage    17/08/2012    1 recensioni
Seguito di No Human Can Drown.
Michelle richiedeva le coccole del padre quanto Louise tendeva ad esasperarlo. Forse era genetico oppure una questione di abitudini; Annik Alunir, la nonna delle bambine, trovava come spiegazione la massima “non si sa quale forma possa prendere un desiderio, può manifestarsi in un figlio concepito pensando involontariamente ad un’altra persona” – Stéphane era certo che la madre se la fosse inventata. Quando andava a prendere a scuola la figlia minore tendeva ad accontentare ogni sua richiesta di soste lungo i giardini, tazze di cioccolata calda alla ricerca di un café che le accompagnasse con un piattino di caldi churros.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'No Human Can Drown '
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Your Smile and the Other Lies





I giorni scorrevano e davano opportunità all’ozio e al libero svago, senza i vincoli degli orari degli allenamenti di pallacanestro, il turno al maneggio nei fine settimana, gli impegni degli amici per andare a pattinare o al cinema. Le ore di studio, il preparare la cartella ogni giorno, ricordarsi di aggiungere i pantaloncini, la maglietta e le scarpe da ginnastica il giovedì sera.
Bastava una bicicletta, la discesa di rue de l'Église, il parcheggio di rue Neuve, i flash delle macchine fotografiche dei turisti in rue de la Tour in direzione della bastille de Quilbignon e del pont de Recouvrance. Il richiamo della nonna alla finestra avrebbe distolto Michelle dai raggi della bici e l’avrebbe fatta rientrare per cena.
Louise era china sul tavolo di cucina a fare i compiti che la professoressa di Francese si era ostinata a dare, in contrasto con il resto degli insegnanti. Le sembrava che la ruota angosciante delle interrogazioni e delle verifiche non si fosse arrestata nemmeno in quelle due settimane di vacanza. La conosceva bene, temeva il culmine della domenica sera, tirava un sospiro di sollievo a dormire fino a tardi il mercoledì. Grammatica, noia. Avrebbe preferito avere qualche libro da leggere e di cui fare una scheda, ma niente, interminabili esercizi di grammatica. Il padre, dall’altro lato del tavolo, lentamente sfogliava il giornale, soltanto per controllare che facesse i compiti, rimarcando quanto tempo stesse perdendo allo scoccare degli orari tondi.
Sei e dieci; “non mi importa dei compiti”.
Sei e quindici; “Louise, non ti alzi finché non li finisci”.
Sei e venti; “sei noioso e antipatico”.
Sei e venticinque; “tu non mi vuoi bene”.
- Papà, voglio soltanto sapere a chi rinunceresti!- Sbottò Louise posando violentemente la tazza contro il tavolo della cucina. Dopo minuti di urla e pretese, collegamenti assurdi tra argomenti e lacrime, a cui aveva risposto a bassa voce, Stéphane si era alzato e stancamente camminava per la cucina.
- Louise, basta. Stop, terminiamo qui la discussione.- Mormorò debolmente Stéphane, quei litigi per il niente, sfoghi e voglia d’urlare, trovare le parole per ferire, lo disturbavano principalmente per la durata spropositata e la risoluzione nello sfiancamento.- Non mi importa se i… “complessi del patrigno” te li sei fatti venire a scoppio ritardato. Smettila.-
- Non sono “complessi del patrigno”, voglio sapere. E’ legittimo.- Chiarì Louise aggrappandosi all’importanza passeggera nella speranza che non perdesse senso in pochi minuti. Spesso le questioni lo facevano, pungolavano, tormentavano, non permettevano di dormire e poi si risolvevano con una semplicità disarmante ed umiliante. Mostravano la pochezza di cui si sentiva intrisa.
- Avrei rinunciato alla mia felicità per voi.- Aggiunse suo padre, appoggiato al davanzale della finestra, i riflessi aranciati contro la chiara camicia di jeans. Il roteare di pochi gradi verso l’alto delle pupille, spostarsi dalla tazza stretta nuovamente tra le mani della figlia alle lacrime sulle sue guance.- Adesso sei contenta?-
- Abnegazione, Louise, è normale che tuo padre abbia risposto così. Qual è il problema?- La nonna incrociò le braccia sopra la tovaglia evidenziando le macchie caffelatte sul dorso delle mani.
I demoni dell’età sospesa, ancora bambina, ormai ragazza, dovevano uscire fuori per esser combattuti. Annik desiderava soltanto abbracciarla e dirle di smetterla.
- Non c’è nessun problema, volevo soltanto sapere.- Brontolò Louise distogliendo lo sguardo.
- Non puoi capire, non ancora. Ti tenevo nel marsupio e dormivi, chinavi la testa e dormivi, non avevi paura, non cercavi di aggrapparti perché ti fidavi. Eri… piccolissima.- Intervenne Stéphane, quasi balbettava nella dimensione dolorosa della sincerità. Tentò di riscuotersi per proseguire.- E bellissima. Dico, se vorrai avere figli, in ogni caso li amerai ma ti auguro che siano come te e Michelle, perché è una cosa pazzesca. E’ incredibile, è qualcosa di talmente immenso.-
- Papà…- Singhiozzò Louise stringendosi nelle spalle e guardandolo preoccupata.- Scusami, mi dispiace.-

La tensione diveniva tenera, fluiva dolce sul volto di Louise e sulle sue lacrime. Appariva scarmigliata ed imbarazzata, più piccola dei suoi quasi dodici anni, un cucciolo assonnato dagli occhi appannati e il sorriso piccolo e sincero. Annik la guardava, la capiva in parte, cercava di comprenderla in tutto.
Per lei la preadolescenza era stata diversa, speranzosa, ignorava tutto della vita, era convinta che si sarebbe divertita, aveva immaginato balli sulla spiaggia, le spalle forti degli ufficiali di Marina nelle sere libere, gonne roteare nei furori delle danze; per poi ritrovarsi chiusa in camera, i fratelli più grandi che, mangiando carne fredda ed erbe bollite dai piatti scompagnati, quando tornavano da lavoro, parlavano dell’apertura di fabbriche nella Germania Ovest o in Inghilterra. Lei cantava per far addormentare Alice, la sorella minore, la cullava e provava a trasmetterle gli stessi sogni.
L’indipendenza l’aveva trovata come commessa in un’edicola, e poi gli amori, un figlio, la rottura con i genitori e il trasferimento.
Ismaël volontariamente si era dimenticato di comprare le scatolette di tonno e Louise rideva cercando con lo sguardo il padre, l’espressione ilare ed incuriosita. Le bambine erano vegetariane perché erano cresciute compiendo mentalmente un collegamento in più: lo stufato, le salsicce, il petto di pollo, non erano semplicemente carne ma erano le carni degli animali uccisi. Così Annik si era ritrovata ad imparare da Ismaël a fare il seitan, lavare via l’amido dalla farina manitoba, pressare bene la pasta glutinosa ottenuta e bollirla con due cucchiai di salsa di soia e del dado di legumi, o di spezie, o vegetale.
Ismaël scese nuovamente in strada per far rientrare Michelle e Sebastien. Parecchie persone che incrociava lo salutavano, compagni di scuola, compagni di classe, un italiano che più trentanni prima girava con un carretto vicino alle scuole, con uno scalpello rompeva il ghiaccio, lo passava in un tritacarne e lo serviva in dei bicchieri di carta con sciroppo di amarena, di limone o di menta, solo tre gusti. Ancora proprietari di negozi; una sarta che veniva spesso in casa a mostrare le nuove stoffe appena arrivate dall’Inghilterra. Il vivere lontano creava amicizie dove in passato c’era soltanto il conoscersi di vista.
- Sebastien, rimani a cena?- Domandò Ismaël al nipote. Trovava assurdo l’aver quasi assistito alla sua nascita e non a quelle di Louise e Michelle. Era molto legato alla madre, Anais, prima e durante i nove mesi di gravidanza avevano avuto un fitto scambio epistolare, da due capi del mondo, due estremi separati dall’oceano Atlantico, Brest e Puerto Cabezas, nella costa dei Miskito.
Lei era stata abbandonata dal marito, lui si sentiva vedovo di Morgan. Ismaël era tornato poco prima della nascita di Sebastien; Anais era rimasta qualche mese a casa sua nel tentativo di rimettere insieme i pezzi, fino ad innamorarsi e non potendo accettarlo andarsene.
- Sì, poi viene a prendermi zia Gwenna.- Esclamò Sebastien. Ismaël vide chiaramente che desiderava aggiungere qualcosa ma cercava di trattenersi. Decise di aspettare prima di chiedergli di cosa si trattasse.
Annik era splendida ad improvvisare piatti d’effetto; aveva preparato una crema di funghi e delle polpette di riso, avevano cenato velocemente e mentre gli adulti erano rimasti a conversare, Sebastien, Louise e Michelle si erano spostati sul divano per guardare qualche cartone animato. Quasi a farlo apposta, prima dell’arrivo della zia, Sebastien si era addormentato abbracciato ad un cuscino.
Gwenna l’aveva osservato sospirando, si era seduta al tavolo e aveva lasciato scivolare i bottoni della giacca leggera fuori dalle asole.
- Sebastian non vi ha detto niente?- Aveva accennato lisciandosi distratta i capelli. L’henné li rendeva lucidi e color fuoco, in contrasto con le sopracciglia ramate e le ciglia incrostate di mascara. Proseguì incapace di contenere la dolcezza nello sguardo:- A novembre io e Neven avremo un bambino.-
- Ma è una notizia stupenda!- Esclamò Annik in un gridolino, si alzò per abbracciarla.- Potremmo stappare una bottiglia di vino ma non credo che tu berrai, vero?-
- No, tranquilla Annik. Bene, io ve l’ho detto. Maël, probabilmente subirai tuo fratello per la questione della casa, vorrebbe accelerare i lavori e il trasferimento. Possibile che sia più agitato lui di me?- Mormorò Gwenna sorridendo e districandosi lentamente dalla stretta.- Lo vado a dire alle bambine e poi scendo, ho la macchina in seconda fila e Anais che ci aspetta.-
Nonostante le esclamazioni e il chiasso fatto dalle bambine, Sebastien non si era svegliato e Ismaël aveva preferito prenderlo in braccio e portarlo in macchina. Gwenna teneva spalancata l’anta del portone e commentava riguardo al peso del bambino, a possibili ernie e divagava sui colori delle tutine unisex, non sapeva scegliere tra il verde menta o il giallo pastello.
Anais aspettava dentro l’utilitaria, i capelli biondi scarmigliati, la pelle tirata, illuminata dalle poche luci dagli svariati colori, i lampioni arancioni, le insegne azzurre del café, gli spioncini rossi e verdi nel cruscotto. Scese velocemente per tirare giù lo schienale ed aiutare Ismaël ad adagiare il bambino nei sedili posteriori.
- Grazie, sei stato gentilissimo.- Mormorò stancamente schioccando un bacio sullo zigomo di Ismaël, si era alzata in punta di piedi e per un istante lui aveva visto i suoi occhi blu, il suo caos e la sua solitudine.

Erano tornati a Parigi il sabato prima della fine delle vacanze primaverili, era il diciannove Aprile, il trentanovesimo compleanno di Ismaël. Avevano portato le camicie perfettamente stirate da Annik, i compiti faticosamente finiti di Louise, sensi di colpa nei confronti della libreria da parte di Ismaël ed un’idea persistente, da provare a sviluppare nella scrittura, per Stéphane.
Dopo il viaggio, il pomeriggio a fare lavatrici e rispondere al telefono per gli auguri da parte di mezza Montparnasse, era la calma e la tranquillità potersi coricare sul divano, attendere qualcosa come lo sbiadire della luce dietro le palpebre abbassate o pigramente rigirarsi tra i cuscini.
Nella sala c’erano molti ricordi, sparsi e confusi nei ripiani degli scaffali, ninnoli, oggettini, curiosità, disegni tratteggiati al carboncino o con i pennarelli colorati, biglietti con inviti a matrimoni, a compleanni, a feste. La porta a vetri e le finestre speculari permettevano di creare una corrente di aria tiepida, dei piccoli ganci nelle pareti oblique avrebbero presto accolto delle lenzuola bianche per isolare l’afa estiva tanto discussa dai telegiornali.
Solo la lampada dal paralume di carta di riso era accesa e diffondeva un chiarore soffuso, lo stereo portatile era appoggiato sopra la teca di plastica del giradischi, il televisore spento, utilizzato esclusivamente per le notizie e le videocassette. Il silenzio era morbido, sonnolento, pacifico.
Stéphane si appoggiava al divano con la schiena, le gambe distese sul ruvido tappeto rosso; leggeva Thomas l'imposteur di Jean Cocteau.
Ismaël lasciò scorrere le dita tra i capelli di Stéphane. L’appagamento in un momento sommesso, sussurrato, disteso. A volte le attenzioni piene d’affetto riuscivano a sciogliere anche gli animi più scontrosi, le persone che vivono con grazia sull’orlo del nulla. Le predilezioni per qualche esponente del genere umano potevano sovvertire stati di calma raggiunti con anni di lavoro. Sarebbe stato un passo avanti o un passo indietro, in nessun caso sarebbe stato sbagliato.
- Lunedì tornerai a fare il Bernard Black della situazione.- Considerò Stéphane chiudendo il libro e appoggiandolo sulle ginocchia, chinò la testa all’indietro per lasciarsi sfiorare il volto, la fronte, le tempie, tocchi morbidi sugli zigomi e lungo il collo. Si sentiva assuefatto, in sua balìa. Veniva sedotto nella sua contemplazione muta, prima distratto dalla visione di mani che ben conosceva, poi ipnotizzato dal loro tocco.
Abbandonò il libro al suo destino: il battere la costa di cartoncino bianco e blu contro il pavimento e emettere uno schiocco impolverato alla chiusura. Si voltò ed inginocchiò e si aggrappò ai suoi capelli per baciarlo sulla fronte, sul naso, sulla bocca.
Lo amava e lo cercava mordendogli le labbra, piano, solo per arrossarle.












   
 
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