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Autore: 31luglio    17/08/2012    14 recensioni
Scusa mamma, scusa papà, scusa Jonah.
E scusa anche a te, Justin.
Non ce l'ho fatta.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  fourth chapter / trust.

Aprii gli occhi e mi ritrovai in una stanza dalle pareti bianche che odorava di farmaci. Quindi era questo che c'era dopo la vita? Mi guardai attorno: una finestra che permetteva ai raggi del sole di entrare, un tavolo con una sedia, un'altra sedia con qualcuno sedutocisi sopra. Mi stropicciai gli occhi per individuare la persona.

«Justin...», sussurrai, facendolo sussultare. No, questo decisamente non era oltre la vita: questa era la vita. Io non ero morta.

Lui alzò lo sguardo e sul suo viso si formò un sorriso. Si alzò dalla sedia e mi venne vicino. Ebbi l'impressione che volesse prendermi in braccio e farmi girare, ma si trattenne. Forse ero ancora troppo debole. «Alison!», gridò lui, «Mi sei mancata da morire!».

«Sì. Perché?». Gli ero mancata? Non ci conoscevamo neanche e poi avrò dormito sì e no dieci ore. Alzai un sopracciglio, guardandolo come se gli mancasse qualche rotella.

«Tu sei stata in... coma per sei settimane».

Mi alzai di colpo dal letto. «Cosa?», sbottai.

«Oh cazzo, non so nemmeno se potevo dirtelo», disse, più a se stesso che a me.

«No, non potevi, tu dovevi! E voglio sapere anche tutto il resto!».

«Non muoverti, Alison, sei molto debole. Devo chiamare un dottore e farti visitare».

«Debole? Ma se non mi sono mai sentita tanto in forma!», gli urlai dietro, mentre scompariva dietro una porta bianca.

Alzai le spalle e mi presi qualche minuto per controllare il mio corpo: avevo una gamba ingessata, dei punti nell'altra e in entrambe le braccia e sul ventre. Mi avevano ridotto proprio male, ma ce l'avevo fatta lo stesso. Ora volevo solo sapere tutto quello che mi era successo, ma, a quanto pareva, Justin non me lo poteva dire. Sì, okay che ero debole, ma era quello che era successo a me! Era mio diritto saperlo, cavolo!

Il biondo ricomparve poco dopo, dietro un medico. Lo guardai di sottecchi, come per intimidirlo, ma non funzionò. Accidenti. Mi visitò per una decina di minuti, poi mi disse che ero meno debole di quanto pensasse, perciò l'indomani sarei potuta tornare a casa, ma con me doveva starci qualcuno e dovevo prendere un po' di antibiotici, qualche pillola per i danni psicologici e degli antidolorifici e tornare all'ospedale circa due settimane dopo la mia dimissione. La cosa che mi interessò di più, fu che sarei stata pronta a sapere tutto per il fine settimana. Infine, il dottore mi lasciò sola con il ragazzo.

«Visto che sono quasi pronta a sapere?», dissi, con aria di superiorità.

«Quasi», ripeté lui. «Dovrai aspettare un altro po'».

«Ci sei solo tu qua con me?».

«Ora sì».

«E per le sei settimane di... beh, sì, hai capito. Qualcuno è venuto?».

«Tua mamma, che è a casa a darsi una rinfrescata e tuo fratello che si sta riposando. Poi sono venuti anche i tuoi nonni e qualcuno di scuola».

«E Phil? È in libertà?».

«Alison, ti ho detto che non sei pronta a saperlo».

«Ti prego, dimmelo!», lo implorai.

Lui sorrise. «Sei dolce».

«Ma cosa c'entra, voglio saperlo!».

«Sarà venerdì solo fra tre giorni, puoi aspettare».

«Bella merda, speravo che quest'estate sarebbe stata indimenticabile, ma non per questo», sbuffai. «Volevo trovare qualcuno con cui passare le mie giornate».

«Ce l'avrai, quel qualcuno».

«Non intendevo mamma o Jonah», dissi acida.

«Tua madre deve tornare al lavoro e sai meglio di me che nemmeno tuo fratello non può stare qui».

«Nemmeno passarle con te è la mia massima aspirazione».

«Vaffanculo». Fece per uscire, irritato, ma all'ultimò si girò e quasi mi urlò: «Se non fosse stato per me non saresti qui, e te ne esci così?», poi scomparve di nuovo dietro la porta, sbattendola. Così, ero di nuovo sola. No, aspetta: aveva detto che se non fosse stato per lui io non mi sarei trovata in ospedale? Oh, merda. Mi aveva salvata e io l'avevo trattato di merda. Okay, non era stata mia intenzione, stavo solo scherzando, ma... e poi io mica sapevo che mi avesse salvata lui!

Mi alzai dal letto ed uscii dalla stanza saltellando sulla gamba messa meglio, cercando quel ragazzo e trovandolo seduto su una sedia a due metri da me. Lui mi guardò sprezzante, facendomi sentire piccola e meschina. Gli feci un cenno con la testa, indicando la camera, sperando che capisse che volevo entrasse, poi tornai seduta a letto.

«Parla», sentii dire dalla sua voce. Era così freddo, mi faceva stare male.

«Io, Justin... non volevo offenderti. Non sapevo che mi avessi salvata e poi... e poi stavo scherzando, adoro la tua compagnia», confessai a testa bassa.

Lui mi sorrise. «Non so come io abbia fatto senza te e i nostri litigi per sei settimane. Ho una tale voglia di stritolarmi per ricordarmi che, grazie a Dio, sei ancora qua...».

«Permettimi di rimediare!», esclamai, allegra. Mi alzai dal letto stando attenta alla gamba rotta e mi fiondai tra le sue braccia, che mi accolsero dolcemente. Mi sentivo protetta, quando mi abbracciava, come se, per quei pochi secondi, nessuno potesse farmi nulla.

 

Era possibile che un ragazzo che conoscevo da un po' più di un mese, il quale avevo trascorso quasi tutto in coma, fosse diventato il mio migliore amico? Io ci avevo provato, a non affezionarmi troppo, ma lui mi aveva salvato da una morte certa, come faceva ad essermi indifferente? Non poteva, ecco cosa. Nei tre giorni successivi, non feci altro che raccontargli la mia vita per filo e per segno, dal primo ricordo che avevo all'ultimo, mentre lui mi stringeva a sé come per dirmi di stare tranquilla. Non ero sicura che gli facesse esattamente piacere sapere della mia vita, ma lui non contestava niente. Mi lasciava semplicemente parlare, parlare e parlare. Era un ottimo ascoltatore e, per la prima volta nella mia vita, sentii di importare a qualcuno che non faceva parte della mia famiglia.

Mia madre e mio fratello, dopo essersi assicurati che stessi bene e nelle mani di un buon infermiere – Justin – partirono, la prima per Londra e il secondo per Stanford. Mi fecero promettere che avrei chiamato almeno una volta ogni tre giorni e che gli avrei detto subito qualsiasi comunicazione da parte del dottore. Erano stati un po' insistenti, ma era capibile: erano preoccupati per me.

Era venerdì pomeriggio ed io ed il biondo eravamo a casa mia. Lui sapeva perfettamente che io volevo sapere tutto e per questo era visibilmente nervoso. Tuttavia, mi fece sistemare tra le sue braccia e mi strinse a sé, prima di iniziare a raccontare.

«Sei sicura di volerlo sapere?», mi chiese per l'ennesima volta.

Alzai gli occhi al cielo. «Te l'ho già detto, dimmi tutto. Non tralasciare nulla».

«Okay», cedette lui, facendo un respiro profondo. «Dopo che Phil ti aveva rapita, ho girato tutta la città per cercarti, ma non ti ho trovata. Quando mi sono ricordato di quello che mi avevi detto tu quella mattina – il quasi stupro nel vicolo – ho deciso di cercare quel vicolo cieco, tra il locale nel quale eri andata e casa tua. C'era un bel po' di gente lì dentro, ma sono riuscito ad arrivare a te». Fece una pausa, chiuse gli occhi e deglutì rumorosamente. «Avevo temuto il peggio che potessi immaginare, ma non era nemmeno un quarto di quello che ti avevano fatto. Eri stesa a terra, con le gambe aperte. Avevi tanti tagli per tutto il corpo, anche profondi, la faccia era gonfia, avevi gli occhi neri... e non era trucco sbavato. Davanti a te c'erano Phil, immagino, e un'altra decina di ragazzi, in fila. Il primo aveva i pantaloni abbassati e stava per venirti vicino e... Dio, Alison, non voglio nemmeno pensarci. Prima che potesse fare qualsiasi cosa, ho spintonato tutti e ti sono venuto vicino. Ho rischiato di essere picchiato anche io, e qualche pugno l'ho persino preso, ma non è stato niente in confronto a te. Ti ho presa in braccio e ti ho sdraiata sul marciapiede appena lì fuori, sotto un lampione, mentre aspettavo che polizia ed ambulanza arrivassero». Un'altra pausa. Mi strinse ancora più forte, notando che mi ero irrigidita. Mi guardò, come per dire che, se non volevo ascoltare, poteva continuare un'altra volta, ma io annuii ed aspettai che riprendesse a parlare, con la testa poggiata al suo petto. «In quei minuti, che mi sono sembrati infiniti, ti ho guardata ed ho realmente capito che saresti morta nel giro di pochissimo, se non ti avessi portata io stesso all'ospedale. Non c'era tempo per l'ambulanza, davvero. Quindi ti ho adagiata sul sedile posteriore dell'auto, ho messo in moto ed ho guidato più velocemente che potevo. Ho fatto in meno di cinque minuti un tragitto di quasi un quarto d'ora. Ti ho portata dentro l'ospedale correndo, mentre dietro di me c'era una scia del tuo sangue. I medici ti hanno portata subito in sala operatoria ed hanno fatto tutto quello che potevano, ma non sono riusciti ad evitare il coma vascolare, causato da una brutta emorragia cerebrale. Mi hanno fatto tante, troppe domande. Domande su noi due, su di te, sulle compagnie che frequentavi, domande a cui non sapevo rispondere! Insomma, ti conoscevo da un giorno neanche, come potevo sapere tutte quelle cose su di te? Ma ho fatto il nome di Phil Davis ed ho detto loro che era uno dei tanti bulli che ti perseguitavano e lui l'ha ammesso, facendo il nome di tutti coloro che lo avevano aiutato. Sono in prigione, Ali, non ti faranno più del male, mai più. Sei al sicuro, ma da ora studierai a casa».

«Non posso studiare a casa... Voglio farmi degli amici, io...», provai a dire, prima di scoppiare a piangere, senza nemmeno sapere il motivo. Forse perché avevo saputo tutto quello che era successo, o forse ero felice che non potessero più darmi fastidio. Ero sicura che non fosse perché avrei studiato a casa, avevo sempre sognato di farlo, e poi gli amici si potevano fare anche per strada, no?

«Sssh, piccolina», sussurrò, cullandomi. «Va tutto bene, è finita, sei al sicuro».

«Ho avuto tanta paura», singhiozzai. «Mi hanno ridotta malissimo. Sono brutta e poi... e poi ora il mio corpo sarà pieno di cicatrici e non avrò una vera prima volta...».

«Sì che ce l'avrai», mi disse, accarezzandomi piano una spalla. «Non sono riusciti a farti nulla, in quel senso. Ti ho salvata prima che potessero sfiorare la tua purezza». Mi baciò delicatamente la fronte, quasi solo sfiorandomela.

«Grazie», dissi, con un filo di voce. Mi strinsi ancora di più a lui e lasciai che mi cullasse ancora un po'. Non l'avrei mai ringraziato abbastanza. Lui era il mio angelo, mi aveva salvata. Eppure, tutto era iniziato con soli litigi. Durante quel primo giorno di conoscenza, non avevamo fatto altro che litigare. Avevo pensato che non fossimo destinati, ed invece ora ero tra le sue braccia a farmi calmare.

«Ah, Alison?», mi chiamò lui, in un sussurro.

Alzai il viso per guardarlo negli occhi. «Sì?».

«Sei la ragazza più bella che abbia mai visto», disse. Era sincero, glielo vedevo in quelle iridi color miele.

Gli sorrisi. «La cosa è reciproca, diciamo».

Lui mi diede un altro bacio sulla fronte. «Ah, volevo chiederti una cosa».

«Tutto quello che vuoi, Bieber».

«Quella volta che abbiamo litigato hai detto che non racconti la tua vita alle persone di cui non ti fidi, no?».

«Sì, perciò?».

«Dato che me l'hai raccontata, io... io mi chiedevo: ti fidi di me o...», lasciò la frase in sospeso, guardando una delle numerose foto di famiglia.

Già, mi fidavo? L'avevo detto per anni che avrei raccontato la mia vita solo a chi avesse avuto la mia piena fiducia. E ora l'avevo spifferata ad un ragazzo che non conoscevo per niente bene, che era, oltretutto, una superstar. Un ragazzo che mi aveva letteralmente salvato la vita, ma non con la sua musica. Un ragazzo che mi aveva regalato un mazzo di peonie colorate per chiedermi di perdonarlo, quando sarebbe dovuto essere il contrario. Un ragazzo che, pur non conoscendomi, per le sei settimane nelle quali ero stata in coma per colpa di certe bestie che mi avevano picchiata fino quasi ad uccidermi, mi era stato vicino ogni giorno, ventiquattro ore su ventiquattro e sette giorni su sette.

Mi fidavo?

Ma soprattutto, perché questa domanda?

Sapevo benissimo la risposta.

«Sì», risposi, guardandolo negli occhi color miele. «Mi fido di te».








































buongiorno!
vi posto oggi il capitolo per tre ragioni:
1. l'avevo già scritto (mi sentivo ispirata lol)
2. non so se posso aggiornare per due settimane
3. qualcuno (mariadele) ha insistito (vero mariadele? lol)
okay, io sono abbastanza soddisfatta di questo kvnhfvk
fatemi sapere se vi piace con una recensione :)
eee poi niente, grazie per le cinque recensioni che ho avuto quasi immediatamente.
siete stuppppende. <3
love,
andrea c:

   
 
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