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Autore: ermete    18/08/2012    12 recensioni
Prima che John possa stupirsi del gesto del micino, si sente gravare addosso un peso ben diverso: abbassa lo sguardo e si ritrova sdraiato su di sè un nudissimo Sherlock con tanto di orecchie feline ed una lunga coda nera ciondolante per aria.
“Sh-Sh-Sherlock?” indietreggia John, quasi sdraiato, facente perno sui gomiti “Cosa... diavolo...?”
“E’ un sogno, Jawn.” risponde Sherlock, gattonando verso John.
“Perchè diavolo dovrei sognarti nudo?” balbetta John, toccando con la schiena un muro bianco che gli impedisce di allontanarsi ulteriormente dall’uomo-gatto.
“Perchè è così che mi vuoi. Ovviamente.” Sherlock posa le mani sulle ginocchia di John, aprendole per riuscire a strusciarsi sopra di lui, per raggiungergli nuovamente il viso “Tu mi vuoi.”

Note: dream!catlock
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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***Ok ahahahah (beh, come inizio non c'è male XD) inizia la pubblicazione di questa mia storia malata (i pomodori sono ben accetti, mi ci faccio una bruschetta!) ispiratami dalle fanart di sevnilock (cercate il suo tumblr!) dove c'è niente meno che il tema CATLOCK! XD piccola precisazione dovuta: il tema catlock sarà nei sogni di John, dove i sogni sono scritti in un font diverso e in corsivo :D altra precisazione! Volevo scrivere una oneshot, ma siccome dopo 10mila parole ho visto che ero praticamente a metà, ho deciso di dividerla :) così pubblico questa prima parte la cui fine spero vi lasci una profonda curiosità su cosa accadrà in seguito XD (ve la divido proprio prima di una scena che ho già scritto e che mi piace molto, mi spiace, ma la divisione del capitolo sta bene lì!) altre scuse fondamentali... 8 note uahahah scusate *_* spero che questa storia vi piaccia almeno la metà di quanto piace a me, perchè sarei già enormemente soddisfatta XD e poi... basta <3 vi voglio bene <3 BACIO!!!***


Rendez-vous notturno

Una sera, quando Sherlock rientrò a casa alle 21 passate, John era seduto sul divano davanti alla televisione, con le gambe alzate comodamente sul tavolino da caffè: stava guardando un episodio del 
Doctor Who, già in pigiama, con una tazza di the appoggiata in grembo e tenuta con entrambe le mani.

“Bentornato.” salutò il dottore, staccando per qualche istante lo sguardo dallo schermo “Come va?”

“John.” lo salutò Sherlock, distrattamente, per poi sparire in camera sua, glissando la domanda dell’altro che, molto probabilmente, aveva sentito ma non ascoltato.

“Oh, beh, almeno si è accorto che ci sono.” fece spallucce, rassegnato di fronte all’attenzione selettiva di Sherlock che spesso lo catalogava come input non abbastanza interessante da essere percepito. Bevve gli ultimi sorsi di the rimasti, quindi appoggiò la tazza sul tavolino, dedicandosi nuovamente alla puntata che stava guardando in silenzio, in pace con se stesso e con il mondo.

Sherlock uscì dalla propria stanza una decina di minuti dopo: il vestito classico aveva lasciato posto al comodo pigiama e alla vestaglia che, svolazzando, segnalava gli spostamenti di colui che la stava indossando.

John lo seguì con la coda dell’occhio finchè non lo vide sparire in cucina: sentì rumore di stoviglie e per un attimo sperò che Sherlock avesse deciso di mangiare qualcosa, ma non si stupì più di tanto quando lo vide tornare nel soggiorno con in mano una sola tazza di the. Sospirò e, attirato da un miagolio, riportò lo sguardo sullo schermo sul quale vide il Dottore giocare con una cucciolata di gattini: rise, intenerito, lasciandosi scappare un mugolio che attirò l’attenzione di Sherlock che decise di raggiungerlo e sederglisi affianco.

“Cosa stai guardando?” domandò, stranamente interessato alla vicenda, ma non tanto per il programma trasmesso, quanto per la reazione che aveva suscitato in John.

John alternò lo sguardo tra lo schermo e il viso di Sherlock, iniziando a spiegare “E’ una puntata in cui il Dottore deve salvare la sua compagna, che tanto per cambiare si è messa nei guai, quindi si ritrova in questa automobile in cui viaggiano quel tipo lì, quell’uomo-gatto assieme alla sua moglie umana. E hanno da poco avuto dei figli...” arricciò il labbro e si corresse “...dei cuccioli insomma e hanno inquadrato i gattini ed erano favolosi.”(1)

Sherlock assottigliò lo sguardo sull’uomo-gatto, quindi tornò su John “Un uomo-gatto?” si lasciò andare ad una risata sarcastica.

“Sherlock, è fantascienza.” giustificò John “E’ il Doctor Who, sono alieni, non è strano trovare un uomo-gatto.”

“Mi stupisco ancora di come tu possa trovare interessanti queste stupidaggini dopo tutto il tempo passato in mia compagnia.” Sherlock avvicinò la tazza alle labbra, prendendosi una pausa a dir poco teatrale dopo quella frase pronunciata con finta rassegnazione “Evidentemente l’ingegno non si trasmette per osmosi.”

John sospirò con una rassegnazione che, a differenza di Sherlock, provava realmente “Evidentemente no. E neanche la simpatia purtroppo.”

Sherlock rise di nascosto dietro la tazza, divertendosi ogni qual volta riusciva a stuzzicare John “Dai, sto scherzando, lo sai che il Doctor Who piace anche a me.” risparmiò il suo amico per qualche istante prima di ricominciare a parlare “Ragionando per assurdo, se io fossi un uomo-gatto...”

“...probabilmente saresti più simpatico di così.” lo interruppe John, sbirciandolo di sottecchi.

“Solo perchè dipenderei da te.” rispose Sherlock, prontamente, come se si aspettasse quell’intervento. Bevve qualche sorso di the, quindi proseguì con la propria ipotesi “E allora, da buon gatto opportunista e arrivista, sarei costretto ad arruffianarmi per avere un po’ di cibo in cambio e, di tanto in tanto, strusciarmi su di te per farti credere che sei tu quello che comanda.”

John lo osservò in silenzio per qualche istante, catalogando velocemente le differenze tra l’ipotetico gatto di cui aveva appena sentito la descrizione e lo stesso Sherlock: coccole a parte, non vedeva poi molte discrepanze. In fondo Sherlock lo cercava, quasi sempre, solo quando aveva bisogno di qualcosa, quindi sbuffò un sussurro rassegnato “Mi chiedo ancora perchè ho scelto di avere un coinquilino e non un gatto.”

Il viso di Sherlock si illuminò perchè aveva raggiunto l’esatto risultato che andava cercando “Vuoi un gatto?” posò la tazza sul tavolo e si sdraiò su un fianco chinandosi fino a posarsi con il volto sulle gambe di John in una posizione che sembrava alquanto comoda e confortevole “Gatto sia.”

“Sherlock, che fai?” sbuffò John, alzando le braccia e irrigidendo i muscoli sotto quel contatto fisico “Perchè non te ne vai in cucina a fare esplodere qualcosa e mi lasci vedere il Doctor Who in santa pace?”

“Faccio quello che farebbe un gatto.” spiegò Sherlock con la stessa tranquillità con cui smonterebbe l’alibi di un serial killer “Ti dò la dose periodica di coccole, fattela bastare per un po’.”

John s’arrese, rilassando anche le braccia che posò inevitabilmente sopra a Sherlock, una all’altezza del torace, l’altra in modo che la mano gli finisse sui capelli, simulando qualche carezza distratta e casuale “Puntavi a dormirmi addosso fin dall’inizio, vero?”

Sherlock, rivolto verso la televisione, sorrise scaltramente “Sono un po’ gatto, in fondo.”

“Opportunista, furbo e irriconoscente?” domandò John, con un pizzico di ironia mista ad una punta di divertimento.

“Ehi, non sono irriconoscente!” protestò Sherlock, ma prima che John potesse ribattere si corresse “A volte.” per dare man forte alla propria tesi, prese la mano che John gli aveva posato sul torace nella propria, stringendola appena. Il sorriso che accompagnò quel gesto, seppur rivolto alla televisione, era sincero.

John non rispose, ma mentre tornava a guardare la televisione, mosse la mano destra sul capo di Sherlock, giocando coi suoi riccioli per tutta la durata della puntata del Doctor Who. Quando l’episodio finì, John slittò con delicatezza da sotto la testa dell’ormai addormentato Sherlock che protestò mugolando senza tuttavia svegliarsi, stringendo il bracciolo del divano per sopperire all’improvvisa mancanza di un cuscino sotto di sè.

John sorrise di fronte alla rarità di un dormiente Sherlock: spense la televisione e dopo aver coperto il proprio coinquilino con un plaid di lana, si recò nella propria camera da letto, andando a dormire a sua volta.

 

°oOo°

 

John apre gli occhi ed è come se fosse circondato solo da un’atmosfera tutta, completamente bianca: il cielo è bianco, la spazio infinito che lo circonda a destra e a sinistra è bianco, gli abiti che indossa ancora, irrimediabilmente, noiosamente, bianchi. Un luogo completamente asettico, atono, inodore: neanche le camere di decontaminazione e di isolamento sono così pulite e bianche. A John sembra di stare in un’enorme e sconfinata perla, un tesoro dentro ad un altro tesoro, nascosto dall’avido proprietario di una particolarissima e preziosissima conchiglia.

“Oh, è un sogno.” intuisce John, paradossalmente lucido nel suo stato di inconscienza.

Si alza dal letto, iniziando a curiosare la spazio circostante: non sembra esserci nulla tranne un punto nero, immobile, a pochi metri di distanza. Decide di raggiungerlo ed una volta arrivato a pochi passi di distanza, il punto nero si muove: si rivela essere un gatto, un gatto molto particolare, sembra che abbia il musetto caratterizzato da tratti umani(2), ma John non lo trova poi molto strano, in fondo è solo un sogno. Colpa della puntata del Doctor Who, si dice.

“Gattino?” si siede a terra, lasciando che il colore del suo vestiario si confonda col bianco lucido del pavimento, quindi allunga una mano verso il micio che, dopo pochi secondi di incertezza gli si avvicina, arrampicandoglisi sulle gambe.

“Bello, micio.” sorride John, carezzando il dorso del gattino nero: osservandolo meglio si accorge che ha gli occhi azzurri e uno sguardo tagliente, ma è troppo distratto dalla giocosità dell’animaletto per accorgersi del campanello d’allarme che dovrebbe iniziare a rimbombargli nella testa. Ride appena, continuando a coccolare quello strano micio che ricambia con sonore fusa e che fa di tutto per raggiungere il suo viso. John è così divertito dal temperamento festoso del gatto, che decide di accontentarlo, alzandolo fino al proprio viso, offrendogli il naso ed il mento come sfogo per i propri giochi. Ma inaspettatamente, quello che decide di fare il gatto è ben diverso: allunga il musino verso il volto di John, sfiorandogli le labbra con le proprie.

Prima che John possa stupirsi del gesto del micino, si sente gravare addosso un peso ben diverso: abbassa lo sguardo e si ritrova sdraiato su di sè un nudissimo Sherlock con tanto di orecchie feline ed una lunga coda nera ciondolante per aria.

“Sh-Sh-Sherlock?” indietreggia John, quasi sdraiato, facente perno sui gomiti “Cosa... diavolo...?”

“E’ un sogno, Jawn.” risponde Sherlock, gattonando verso John.

“Perchè diavolo dovrei sognarti nudo?” balbetta John, toccando con la schiena un muro bianco che gli impedisce di allontanarsi ulteriormente dall’uomo-gatto.

“Perchè è così che mi vuoi. Ovviamente.” Sherlock posa le mani sulle ginocchia di John, aprendole per riuscire a strusciarsi sopra di lui, per raggiungergli nuovamente il viso “Tu mi vuoi.”

“No, no... non dire cavolate...” John non può far a meno di fissare il corpo del gatto-uomo, trasalendo per l’infinita sensualità delle movenze a metà tra il felino e l’umano: nota le mani di Sherlock muoversi sinuose nella lenta risalita verso il suo viso “Sh-Sherlock...”

“Jawn.” miagola Sherlock, strusciando la fronte sotto il mento dell’altro “Jawn.” ripete, prendendogli il volto tra le mani: con entrambi i pollici gli disegna il contorno delle labbra alle quali si avvicina sempre di più.

“Sherlock...” prega John, immobile, non riuscendo neanche a capire se voglia veramente fermare l’uomo-gatto o se lo stia implorando di andare avanti “Sherlock...”

“Jawn.” lo chiama Sherlock un’ultima volta, per poi avvicinare le labbra a quelle di John.

 

John si svegliò di soprassalto al suono della sveglia, sedendosi di scatto sul letto con il respiro affannoso ed il cuore che batteva ad una velocità maggiore rispetto alla sua normale frequenza cardiaca.

“Cosa diavolo...” imprecò John, strofinandosi il volto con entrambe le mani, ma nel momento in cui chiuse gli occhi i ricordi ancora vividi del sogno appena fatto gli si presentarono come un marchio a fuoco nello sfondo nero delle palpebre abbassate.

Imprecò nuovamente, imponendosi di pensare alle malattie più schifose e purulente che avesse mai visto per riuscire a smorzare l’ingombrante e fastidiosa erezione con la quale, sicuramente, non poteva scendere al piano inferiore.

Sospirò, nel frattempo, iniziando a domandarsi quando avesse iniziato a pensare a Sherlock come a qualcosa di più che ad un amico: non individuò un momento preciso, perchè quando ricordava un episodio qualsiasi che lo riguardasse, vi trovò almeno un dettaglio romantico e sentimentale che confermò la tesi e al tempo stesso distrusse un pezzetto della propria autocoscienza.

“Ok, voglio bene a Sherlock...” poi si corresse “Ok, è sicuramente la persona più importante della mia vita, ma da lì a sognarmelo nudo...” sbuffò per poi trovare la forza di uscire dal letto e continuare quella riflessione mentre cercava la propria vestaglia. John sapeva di provare qualcosa per Sherlock, nonostante lo negasse a chiunque e in qualunque circostanza, ma aveva sempre catalogato quel tipo di affetto come innocuo e controllabile: continuava ad uscire con le donne e se le sue storie non duravano non era perchè non gli piacessero abbastanza, ma perchè le metteva comunque in secondo piano rispetto al suo lavoro da assistente dell’unico consulente investigativo del mondo. Non si era mai preoccupato, anzi, era convinto del fatto che prima o poi avrebbe trovato una donna che gli sarebbe piaciuta al punto da riuscire a dire di no a Sherlock. Ma questa donna non era ancora arrivata e, forse, il sentimento che provava per Sherlock e che aveva sempre soppresso in un angolino del suo cuore e in un cassetto del suo cervello, gli stava pericolosamente fuggendo di mano. Non doveva permetterlo, perchè pensò che se Sherlock fosse riuscito a capire che provava qualcosa per lui, allora si sarebbero create situazioni imbarazzanti che avrebbero rischiato di rovinare la loro amicizia. Fortunatamente, pensò ancora John, mentre scendeva le scale, mentre Sherlock era un genio per tutto ciò che riguardava la logica e la razionalità, era altrettanto inesperto nell’individuare i coinvolgimenti emotivi che lo riguardavano. Pensò alla povera Molly e scosse il capo, riuscendo ad immedesimarsi in lei almeno in parte, quindi si ritenne al sicuro: doveva solo cercare di comportarsi normalmente, come al solito, e cercare di non destare sospetti.

Quando John arrivò nel soggiorno, fu contento di non vedere Sherlock sul divano: per quella mattina sarebbe stato meglio se lo avesse evitato. Andò in bagno e, dopo essersi vestito per andare al lavoro, decise di prepararsi la colazione.

“Buongiorno.” lo salutò Sherlock, distrattamente, mentre lo oltrepassava per recuperare due tazze.

“Buong...” John si bloccò quando, voltandosi, vide il proprio coinquilino avvolto da un lenzuolo bianco: inspirò a lungo, riportando l’attenzione sul bollitore che iniziò a fissare con sguardo accigliato.

“Ambulatorio o pronto soccorso?” domandò Sherlock, recuperando il cartone del latte dal frigo.

“Ambulatorio.” rispose John, mentre faceva tamburellare le dita delle mani sul bancone, in attesa che il bollitore fischiasse “E tu? Buckingham Palace?” provò a buttarla sull’ironico per fuggire dai propri pensieri di natura carnale.

Sherlock ridacchiò “Divertente.” lo fiancheggiò, in attesa a sua volta dell’acqua per il the “Comunque no. Non per ora, quanto meno.”

John trasalì per la vicinanza del proprio coinquilino avvolto da quel lenzuolo bianco, che in controluce lasciava ben poco all’immaginazione “Sai che c’è? Faccio colazione al bar oggi.” sbottò per poi allontanarsi da Sherlock e dalla cucina, andando a recuperare il cellulare e la borsa dal tavolo del soggiorno: doveva uscire, assolutamente “Quel bollitore... è lento, lento. Lentissimo.”

“Non sei mica in ritardo.” gli fece notare Sherlock, alternando lo sguardo tra l’orologio e il proprio coinquilino che guardò di sottecchi, ma prima che potesse osservarlo e dedurre, lo vide sparire sulle rampe delle scale. Sentì un lontano e frettoloso saluto provenire dal piano di sotto, poi il portone che veniva chiuso con veemenza. Sherlock sbuffò e scosse il capo “Umpf. Umani.”

John si appoggiò al portone del 221B di Baker Street, sbuffò un po’ d’aria dalla bocca e dopo aver preso coraggio, si incamminò verso l’ospedale, scansando con abile maestria tutti i negozi di animali che incontrò sulla propria strada finchè, dalla vetrina di uno di essi, non vide spuntare il musetto di un micio nero con gli occhi azzurri. Sospirò e non potè fare a meno di avvicinarsi per osservarlo meglio.

Il proprietario del negozio di animali lo notò quasi subito, quindi uscì dal bancone e gli si avvicinò “Buongiorno. Sembra le piaccia molto, vuole sapere il prezzo?”

John sorrise al negoziante, ma scosse il capo “No, grazie. E’ molto bello ma non posso prenderlo.”

“E’ perchè è nero?” domandò l’uomo con un sorriso.

“No, non credo a queste superstizioni. Un gatto nero è bello quanto un gatto bianco, rosso, tigrato...” sorrise poi, ripensando alla parte iniziale del proprio sogno “Se non di più.”

“Sa cosa si dice a proposito dei gatti neri?” il negoziante abbassò poi il tono di voce, come se stesse rivelando uno dei segreti del mondo “Nella casa dove vive un gatto nero non mancherà mai l’amore.” (3)

John inarcò le sopracciglia, titubante circa quella credenza popolare tipicamente inglese “Guardi, io a casa ho una sottospecie di gatto nero... ma di amore proprio non se ne parla.” allargò le braccia verso l’esterno in un gesto di plateale arresa, quindi si voltò per riprendere il proprio cammino verso l’ospedale “Buona giornata, signore.”

“Buona giornata anche a lei.” ricambiò il negoziante, osservando a sua volta il gattino nero che si arrampicava sulla gabbietta in cerca di attenzioni “Speriamo che lo trovi l’amore, eh micetto? Sembra un così bravo ragazzo.”

 

°oOo°

 

John apre gli occhi e riconosce in un secondo il posto in cui si trova. Ruota il capo a destra, poi a sinistra, quindi davanti a sè: è di nuovo tutto bianco. Sospira, tuttavia, quando non vede il gatto nero colorare la distesa monocromatica che si staglia tutto attorno a lui.

Sta dunque per scendere dal letto quando, posando il primo piede a terra, percepisce la stessa sensazione di morbidezza che può donare una pelliccia, unita ad un leggere miagolio.

“Oh.” si china dunque, prendendo in braccio lo stesso gatto nero che aveva già incontrato nei propri sogni: si sdraia nuovamente, posando sul proprio petto il piccolo felino che si muove insistentemente alla ricerca delle sue carezze che non tardano ad arrivare.

“Cosa devo fare con te?” sospira, frenando poi la corsa del gatto che vorrebbe fiondarsi nuovamente sulle sue labbra “Se mi baci poi ti trasformi?”

Ma John non controlla più le proprie mani: mentre la mente gli dice di trattenere i movimenti del felino, il corpo risponde diversamente, così che le proprie labbra possano essere raggiunte dal gatto in uno sfiorare di tessuto vivo.

John chiude gli occhi e quando li riapre vede spuntare le due orecchie nere appartenenti all’uomo-gatto che si ritrova ancora una volta sdraiato addosso: sullo sfondo della propria visuale la lunga coda nera spennella il bianco infinito dell’area circostante.

“Jawn.” mugola Sherlock, troppo impegnato ad annusare il collo di John per alzare il viso su di lui “Sei qui anche questa notte.”

“Sherlock.” rimane immobile sotto il corpo dell’uomo-gatto che, oggi, s’accorge essere coperto da uno dei suoi tipici abiti neri di taglio classico “Oggi sei vestito.”

“Mi paleso a te a seconda di come tu mi vuoi.” sussurra Sherlock, salendo con il naso e con le labbra fino all’orecchio di John “Sono frutto della tua immaginazione.”

“Perchè non riesco a svegliarmi?” John chiude gli occhi e riesce solo a piegare il collo, assecondando i movimenti di Sherlock.

L’uomo-gatto si libera in una risata argentina che non si espande oltre il letto: i confini di quel sogno sono limitati ai quattro angoli del mobilio, oltre non c’è aria, non c’è suono. Oltre al letto c’è la razionalità, la possibilità di svegliarsi.

Quando la risata smette di rimbalzare nella bolla d’aria che circonda il letto, Sherlock risponde alla domanda di John “Perchè non vuoi farlo, mi sembra ovvio.” il petto inizia poi a tremargli, seguendo il rumore tipico delle fusa feline “Perchè vuoi stare qui con me.”

“Io non posso averti, quindi perchè mi faccio del male? Qui, fingendo di poterti avere.” John continua a non toccare Sherlock, illudendosi di poter mantenere il controllo della propria mente, controllo che, evidentemente, il suo subconscio non gli concede.

“Non posso risponderti.” miagola Sherlock.

“Perchè?” domanda John, fortemente tentato di alzare la mano per carezzare le orecchie feline di Sherlock.

“Perchè tu non conosci questa risposta, quindi non posso dartela.” risponde l’uomo-gatto, per poi iniziare a scendere sul corpo di John, lasciando dietro di sè una scia di baci umidi che, nel sogno, riescono ad oltrepassargli i vestiti bianchi  “Ti ricordo che sono una proiezione creata da te, dalla tua mente.”

John si puntella sui gomiti, alzando il collo e le spalle per seguire con lo sguardo i movimenti dell’uomo-gatto “Ma quando ti chiedo perchè continuo a sognarti, tu mi sai rispondere.”

Sherlock si posiziona tra le gambe divaricate di John, sulle quali passa più volte la mani: alza uno sguardo malizioso verso il padrone del sogno, ammiccando appena “Perchè in cuor tuo sai benissimo di volermi.”

John sospira, rabbrividendo sotto il tocco di Sherlock “Già, suppongo di sì.”

“Jawn.” miagola nuovamente Sherlock, afferrando il bacino di John e appoggiandolo sulle proprie ginocchia piegate “Sono solo un tuo sogno, una fantasia erotica, non arrovellarti così tanto.” si muove un poco, lasciando sfregare i tessuti dei vestiti di entrambi in un desiderio sessuale più volte immaginato dal suo subconscio.

John sussulta per quella sensazione di sfregamento, abbassando inevitabilmente il timbro vocale, trascinato da quel piacere fittizio “Potrei chiedere consiglio...”

“...a Robert Kave, il tuo collega psicologo?” lo anticipa Sherlock, per poi piegarsi nuovamente su di lui, sfiorandogli il viso col proprio respiro.

“E tu come fai a...” si interrompe da solo, scuotendo leggermente il capo “Ah, vero. Lo so io, quindi lo sai tu.”

Sherlock annuisce, per poi miagolare nuovamente “Jawn.” gli si avvicina sempre più con le labbra, ma prima che possa toccare il bianco tutto attorno diventa nero.

 

Quando John aprì gli occhi e si ritrovò nuovamente nella propria stanza da letto, prese in mano la sveglia e la fracassò contro il muro di fronte in un gesto di rabbia e frustrazione.

 

°oOo°

 

Qualche giorno dopo, durante una pausa caffè, John bussò alla porta dello studio del dottor Kave, psicologo e psichiatra, collega e amico.

Dopo alcuni minuti di convenevoli, il dottor Kave offrì una tazza di caffè nero a John, verso il quale sorrise tranquillo “In cosa posso aiutarti? Devi mandarmi qualche tuo paziente?”

“Oh, no no, Robert.” John iniziò a giocare con la tazza offertagli dall’altro, sulla superficie della quale iniziò a tamburellare con le dita “Devo chiederti un consiglio. Se posso.”

“Oh, di natura psicologia immagino.” Robert si sedette di fronte a John “Non ti trovi bene con Ella(4)? So che non ci vai da molto tempo.”

“Oh, non è che io abbia bisogno di una terapia.” bevve nervosamente qualche sorso di caffè, sfuggendo per qualche istante dallo sguardo “Volevo solo un breve consiglio.”

Robert annuì “Beh, dimmi allora.”

“Potresti spiegarmi come funzionano i sogni?” iniziò John, per poi posare la tazza sulla scrivania “Perchè ultimamente ho una specie di sogno ricorrente...”

Robert lo interruppe prontamente, caricando la propria voce con una vena sarcastica “Mi parli di sogni e mi chiedi un consiglio veloce?”

John sospirò, arricciando le labbra in avanti in una supplica infantile “Ti prego.”

“Ok.” concesse Robert, che poi si sporse in avanti anticipando un piccolo preambolo “Premettendo che io sono di scuola Freudiana, quindi poi magari esci di qui, incontri un Junghiano e ti dice una cosa completamente diversa...”

“No, no, va bene Freudiano.” lo bloccò John a sua volta “Insomma è un sogno di natura erotica.”

Robert agitò l’indice della mano destra in aria “In realtà questa è una svista abbastanza comune.” asserì professionalmente, preparandosi a spiegare quello che riteneva un malinteso comune “Non è che Freud fosse fissato col sesso, era solo...”

John lo interruppe nuovamente “Consiglio veloce, Robert.” strinse le mani a pugno, mimando una certa fretta.

Robert annuì, borbottando tra sè e sè qualche insulto rivolto agli Psicologi del Senso Comune’(5) prima di procedere con la propria spiegazione “Ok. Dunque, secondo Freud la nostra psiche è divisa in tre istanze psicologiche: IoEs Super Io. Per farla breve, l’Io è la tua parte conscia, quella che interagisce col mondo esterno, quella vigile e attiva in superficie.” numerò quanto appena spiegato alzando il pollice, per poi alzare anche l’indice “Il Super Io è la parte morale, quella che opera la censura ai nostri pensieri ed è presente sia nel conscio che nell’inconscio.” concluse alzando il medio della mano destra, terminando quella semplice conta “Infine c’è l’Es che è la parte inconscia, quella più sepolta dentro di noi, quella che contiene le pulsioni di carattere erotico e violento.”

John prestò molta attenzione, quindi annuì a Robert “Ok, ci sono.”

“Quindi, a parte in casi di natura psicopatologica, cosa ci ferma dal prendere a schiaffi il tizio che ci ruba il parcheggio o di ingropparci l’infermiera carina direttamente sulle nostre scrivanie?” alzò le spalle, senza neanche provare a negare di aver preso quegli esempi direttamente dalla sua stessa vita “Il Super Io, ovviamente. La nostra censura morale interviene e ci dice cosa sia giusto o sbagliato.”

John rise di gusto per quegli esempi, ma spostò istintivamente le mani dalla scrivania, poggiandole in grembo “Ok.”

“Ebbene, cosa succede nei sogni?” Robert allargò le braccia verso l’esterno, andando a spiegare qualcosa che per lui era profondamente scontato “Nei sogni l’Io dorme, quindi non è presente, ma lascia spazio all’Es che può finalmente scatenarsi, riempiendoci la mente di infermiere sexy e di automobilisti con la testa rotta da un cric. Ora, perchè a volte facciamo sogni erotici o violenti e a volte no? Dipende dal Super Io, che se è abbastanza vigile, filtra i nostri desideri censurandoli, mentre a volte li lascia passare. Ed ecco spiegati i sogni erotici e violenti.” concluse ricongiungendo le mani e appoggiandole sulla scrivania “Compriende?”

“Sì.” John ripetè tutto nella propria mente e la conclusione sembrò non soddisfarlo molto “Ma questo vuol dire che io non posso fermare questi sogni?”

Robert fece spallucce “Esatto.”

John sbuffò e scosse il capo da una parte all’altra “E allora a cosa serve venire da voi psicologi e psichiatri?”

Robert ridacchiò “Serve perchè a lungo andare, se i desideri prodotti dal tuo Es non vengono soddisfatti, interviene la frustrazione.” lo disse quasi con rassegnazione, consapevole di guadagnarsi da vivere sulle paranoie altrui “E nel tuo caso, Johnny caro, che sei una persona normale, puoi gestirla tranquillamente. Ma se capita ad una persona vulnerabile o appena appena instabile, può sfociare in una forma di depressione o, ancor più grave, di violenza patologica.”

“Ah.” John schioccò la lingua sul palato, annuendo percettibilmente “Frustrazione, già.”

Robert rimase in silenzio qualche istante, studiandolo di sottecchi “Senti, ma è così zozzo questo sogno?” domandò dunque, sporgendosi nuovamente in avanti “No perchè è probabile che nel momento in cui soddisfi quella fantasia, ovviamente se non è nociva per te o per qualcun’altro, potrebbe cessare.”

John inspirò a lungo e lasciò ciondolare le braccia verso il basso, imbarazzato “Non è che è particolarmente zozzo...”

“Allora è la persona presente nel sogno che nella vita reale ti non permette di soddisfarlo.” l’anticipò Robert, pur non volendoci le sue lauree in Psicologia e in Psichiatria per capirlo.

“Diciamo di sì.” confessò John “Sì, è quello il problema.”

“Beh, allora non posso aiutarti più di così, John. Non è un problema psicologico, devi solo parlare con questa persona.” propose Robert “Se ti vuole anche lei bene, altrimenti cerca di andare avanti.”

“Sì.” annuì John, alzandosi in piedi ed avvicinandosi alla porta “Grazie Robert, sei stato molto gentile.”

“La mia porta è sempre aperta.” Robert si alzò e gli aprì educatamente la porta, quindi, dopo aver salutato John, la richiuse dietro di sè, pronto a ricevere il suo prossimo paziente.

 

°oOo°

 

Quando John rientrò a casa, trovò il tavolo della cucina stranamente ripulito da qualsiasi vetrino, reagente chimico, schifezze biologiche da analizzare e, anzi, cosa ancor più rara, lo vide apparecchiato per due. Al centro, in bella vista, una bottiglia di vino rosso e diverse confezioni di take away del ristorante cinese da cui era solito ordinare la cena.

“Bentornato, John.” Sherlock gli arrivò alle spalle e lo aiutò a togliersi la giacca con incredibile premura “Tutto bene a lavoro?”

John si fece aiutare con piacere, ma non potè fare a meno di rivolgersi a Sherlock con un tono quanto meno sospettoso “Ciao. Hai combinato qualcosa?” lo seguì con lo sguardo, curiosamente stupito da quelle attenzioni.

Sherlock appoggiò la giacca di John sulla sua poltrona prima di tornare in cucina “Non lo so, John.” disse con tono lineare, sinceramente ignaro di quella risposta “Dimmelo tu.”

“Io?” domandò John, chinandosi per annusare le confezioni del take away per provare ad indovinarne il contenuto.

“Sì, tu.” confermò Sherlock, iniziando ad aprire la bottiglia di vino rosso “E’ da più di una settimana che sei strano, distante, freddo.” pur impegnato col cavatappi, non distolse lo sguardo neanche per un istante da John “Ho forse fatto qualcosa di sbagliato?”

John si perse nello sguardo di Sherlock per qualche istante: era praticamente sicuro del fatto di essere già un’enorme eccezione per il sociopatico iperattivo con cui viveva. Sapeva di essere l’unica persona con la quale Sherlock riusciva a scendere, seppur di poco, dal piedistallo e mettere in discussione il suo carattere difficile, esercitando quella minima quantità di empatia che permetteva di vivere insieme in modo quasi del tutto tranquillo, senza discutere o litigare per la maggior parte delle assurdità compiute dal detective. Era ben conscio di essere il privilegiato che veniva ripagato per l’infinita dose di pazienza con cui affrontava le manie e le stranezze di Sherlock giorno per giorno, ed era grazie anche a quelle rare ma significative dimostrazioni di gratitudine che John si era accorto di provare dei sentimenti per l’unico consulente investigativo del mondo.

John sorrise, dunque, avvicinandosi a Sherlock fino a posargli una mano sull’avambraccio “No Sherlock, tranquillo. Non hai fatto nulla di sbagliato.” indicò poi la tavola imbandita con un cenno del mento “Grazie per il pensiero e per la cena.”

Sherlock sorrise sinceramente come solo con John riusciva a fare: stappò la bottiglia, riempiendo i due bicchieri alla stessa altezza, con precisione maniacale “Però non cambia che sei strano.” bisbigliò tagliente. Non gli piaceva non capire qualcosa e soprattutto non amava l’idea che John potesse avere dei segreti con lui. Il resto del mondo avrebbe potuto fare quel che voleva, nascondere segreti di stato o un noioso e scontato adulterio, ma non John: doveva sapere tutto di lui.

“Strano?” John provò a dissimulare il tutto scuotendo il capo e facendo spallucce: sapeva che non era facile nascondere qualcosa al grande Sherlock Holmes, ma doveva pur provarci “No, sai, il lavoro.” sbuffò fingendo una maggiore stanchezza rispetto a quella che provava realmente “Pieno di ipocondriaci, mi sto stufando. Quasi quasi passo fisso al pronto soccorso.”

Sherlock lo studiò a lungo e raggiunse la conclusione che John stava mentendo, o quanto meno che gli stava nascondendo qualcosa. Si domandò perchè avrebbe dovuto farlo, perchè avrebbe dovuto nascondere qualcosa a lui che era il suo migliore amico, ma non trovò una risposta plausibile. Provò a convincersi che, come talvolta capitava, le proprie intuizioni riguardanti l’umore e i sentimenti di John fossero sbagliate in quanto influenzate a loro volta dall’affetto che provava nei suoi confronti. Non riuscì a nascondere il proprio disappunto nel tono di voce “Vino?” domandò, con una punta di acidità.

John colse il disappunto di Sherlock, ma finse di non accorgersene onde non complicare la situazione “Sì, grazie.” prese in mano il bicchiere e provò a pensare rapidamente ad una scusa più plausibile da inventare e proporre all’altro, in modo da sviare i suoi sospetti “La verità è che... mi sento un po’ stupido a dirlo.” prese teatralmente quella pausa, spostando altrove lo sguardo.

“Sarebbe troppo facile fare una battuta sullo sembrare più stupido del solito, quindi eviterò.” replicò Sherlock, per poi spingere John fino a farlo sedere ed iniziare a servire la cena “Forza, dimmi.”

“Sarebbe troppo scontato farti notare che è come se l’avessi fatta quella battuta, quindi eviterò.” lo scimmiottò John, per poi accomodarsi meglio sulla sedia sulla quale Sherlock l’aveva praticamente fatto cadere, sentendosi almeno in parte lusingato da tutte quelle attenzioni. Si bloccò in silenzio per qualche istante, osservando Sherlock che, dopo aver riempito entrambi i piatti, si sedette di fronte a lui.

“Allora?” incalzò Sherlock, per poi bere qualche sorso di vino.

“Ah sì. Scusa è che mi imbarazza un po’.” recitò John, giocherellando con il cibo cinese che si ritrovava nel piatto “E’ che... diciamo... sto attraversando una crisi di mezza età, ecco.” dopo aver concluso quella falsa confessione, spostò lo sguardo altrove, mordendo con decisione mezzo involtino primavera “Ma non ne voglio parlare.”

“Una crisi di mezza età?” Sherlock inarcò il sopracciglio destro, guardandolo di sottecchi “Sei il quarantenne più in forma che conosca. Hai un ottimo lavoro, nella vita sei stato un soldato e hai salvato delle vite umane. Hai saldi principi morali, una volontà di ferro e hai la pazienza per sopportare un geniale rompiscatole come me.” allargò le braccia verso l’esterno, non capacitandosi di quella paranoia “Come puoi essere migliore di così?”

John rimase ad ascoltare la risposta di Sherlock in un silenzio attonito, domandandosi se l’altro si fosse anche lontanamente reso conto di avergli regalato delle bellissime parole e con una naturalezza disarmante. Aprì più volte la bocca, ma in verità gli ci volle qualche secondo per formulare una vera frase “Oh. Beh, grazie, Sherlock.” abbassò lo sguardo sugli spaghetti di soia, giocherellandovi con la forchetta “Grazie davvero.”

Sherlock fece spallucce “Davvero avevi dubbi a riguardo?”

John alzò a sua volta le spalle in un gesto di circostanza, evitando ancora lo sguardo di Sherlock “Eh, che ci vuoi fare.” sospirò poi, strofinandosi la fronte con la mano libera: avrebbe voluto alzarsi e andare a farsi un giro per conto suo perchè gli dispiaceva mentire a Sherlock, soprattutto dopo la bella serata che aveva organizzato.

Sherlock sospirò a sua volta, profondamente sicuro che John gli stesse nascondendo qualcosa. Che avesse trovato una donna con cui voleva andare a convivere? Quel pensiero gli fece andare di traverso un pezzo di maiale in agrodolce, tanto che iniziò a tossire a battersi il pugno chiuso sul petto.

“Ehi.” lo richiamò John che si alzò in fretta per strofinargli la parte superiore della schiena “Guarda in alto. Sù, guarda sù.”

“John.” mormorò Sherlock con la voca ancora arrochita dalla tosse che andò via via smorzandosi “Non è che te ne vuoi andare dall’appartamento e non sai come dirmelo?”

“Cosa? No!” rispose John, sedendoglisi accanto “Era questo che ti preoccupava?” sospirò nuovamente nell’incontrare gli occhi di Sherlock, resi languidi dalla tosse, le sopracciglia incurvate in un’espressione leggermente intristita. Sembrava anche più dolce del gatto che incontrava nei suoi sogni, così tenero che John si lasciò scappare un sospiro “Non me ne andrò mai da questo appartamento, Sherlock. Niente e nessuno rovinerà la nostra amicizia.” ed è per questo, pensò, che non potrà mai provare a scoprire se potrebbe esserci qualcosa di più grande tra di loro.

Sherlock potè finalmente sorridere, annuendo più volte con piccoli cenni del capo “Molto bene, allora.” tornò quindi alla propria cena, invitando John a fare lo stesso. Dopo qualche attimo di silenzio, bisbigliò quello che era diventato il loro motto “Sarei perso senza il mio blogger.”

“E io senza di te.” ammise John, sorridendogli a sua volta, perchè era vero: senza Sherlock andrebbe ancora dall’analista, starebbe zoppicando e probabilmente sarebbe un uomo molto infelice. E invece era lì, con Sherlock, con cui viveva felicemente, nonostante la mancanza di un amore che, però, era rimpiazzato dall’amicizia più bella che qualsiasi persona potesse mai desiderare.

Entrambi forti delle proprie, differenti, convinzioni, John e Sherlock riuscirono finalmente a godersi la cena, raccontando ciascuno la propria giornata, felici di essere seduti allo stesso tavolo in compagnia del proprio migliore amico.

 

°oOo°

 

Quando ebbero finito di cenare, John rassettò la cucina alla bene e meglio, stanco dalla giornata, sfibrato dai propri pensieri. Una volta raggiunto il soggiorno, vide Sherlock sdraiato sul divano con il telecomando in mano, pronto ad accendere la televisione.

“Ci guardiamo il Doctor Who?” propose Sherlock, accendendo la televisione e cercando il canale giusto “Magari ci sono gli uomini-gatto anche questa sera.”

“Ehm...” John trasalì appena, non potendo fare a meno di immaginare lo Sherlock dei propri sogni, l’uomo-gatto che amava provocarlo con miagolii e sfregamenti vari “La puntata di stasera non mi piace.” si inventò sul momento, allargando le braccia in un cenno rassegnato.

Sherlock inarcò un sopracciglio, riportando lo sguardo su John “Perchè, tu sai che puntata c’è stasera?”

“Sì, insomma...” annuì John, gesticolando un poco “C’è il Dottore che va in quel pianeta col TARDIS, Martha si caccia nei guai, incontrano degli alieni, poi lui usa il cacciavite sonico e la salva...” tossicchiò distrattamente, rendendosi conto solo alla fine del proprio discorso di aver descritto lo schema stardard di ogni episodio, come se per riassumere una tipica fiaba di stampo classico avesse detto che il principe doveva salvare la principessa dal cattivone di turno.

Sherlock, manco a dirlo, lo notò “Come in ogni puntata del Doctor Who.”

“Già.” John allungò l’ultima vocale, facendo via via un passetto verso la rampa di scale che portava alla propria camera da letto “Noiosetto a quanto pare.”

Sherlock si riportò seduto sul divano con un colpo di reni, osservando il proprio coinquilino con fare indagatorio “Tu adori il Doctor Who, John.”

“Sì...” confermò John, cercando una qualsiasi scusa per potersela svignare “Ma Martha è antipatica.”

“Ma che ti importa, ci facciamo due risate.” minimizzò Sherlock, deciso ad ottenere quello che voleva a tutti i costi “O c’è qualche motivo per cui non dovremmo guardarci un po’ di televisione insieme?” domandò poi, a bruciapelo, osservando la reazione dell’altro.

John, invece, provò a cambiare discorso “Da quando ti interessa così tanto guardare la televisione?”

Sherlock fece spallucce, quindi si preparò a dire l’unica ovvietà che valeva la pena esser pronunciata “Beh, il Doctor Who è una delle migliori cose che gli Inglesi abbiano mai inventato.”(6)

John, whoviano fin da quando era bambino(7), non potè che essere d’accordo con Sherlock ed inoltre, non volendo insospettirlo troppo, accettò la sua richiesta “Va bene.”

“Vieni qui.” Sherlock battè con la mano nello stesso punto del divano in cui John era solito sedersi, intento a replicare la posizione assunta poco più di una settimana prima “Questa sera mi sento gatto.”

John, ripensando ai propri sogni, rise quasi istericamente per quella battuta, ma finì con l’assecondarlo, sedendosi nel punto deciso da Sherlock e permettendogli di appoggiare la testa sulle proprie gambe “Devo iniziare a comprarti i croccantini?”

“Devo iniziare a graffiarti?” ribattè Sherlock, sistemandosi al meglio sulle gambe di John, cercando il punto più comodo su cui far aderire la propria guancia.

“Devo iniziare a portarti dal veterinario?” minacciò John, tenendo le braccia alzate fino a che Sherlock non riuscì a trovare una posizione comoda.

“Shhh! Inizia.” lo zittì Sherlock, cercando a tastoni la mano sinistra di John, per riprodurre la stessa postura della sera in cui videro assieme la puntata dell’uomo-gatto “Woooweeewooo!” intonò poi, modulando la voce con le note elettroniche della particolare canzone d’apertura del telefilm.

“Non ti avevo ancora sentito canticchiare la sigla.” John aiutò Sherlock nel suo intento, sistemando la mano destra a cavallo del suo torace e la sinistra sopra i ricci che iniziò ad accarezzare. Lo sentì mugolare e pensò che neanche il peggior incubo afghano lo avrebbe esentato dal sognare il proprio gatto-Sherlock quella stessa notte. Non sembrò, tuttavia, troppo dispiaciuto.

Sherlock si strinse nelle spalle, accoccolandosi piacevolmente in quella posizione, con la testa nel grembo del suo dottore, la mano destra di John stretta nella sua e la sinistra sui propri capelli “C’è una prima volta per tutto.”

 

°oOo°

 

Quando John apre gli occhi, non si stupisce di trovarsi avvolto nella bianca atmosfera del suo sogno: come ogni volta, ruota il capo a sinitra e, al solito, non trova nulla a parte il colore lattiginoso che si estende a perdita d’occhio. Nel momento in cui ruota il capo a destra, invece, trova il gatto nero steso affianco a lui, col pancino all’aria e gli occhi azzurri fissi su di lui.

John si gira su un fianco, posando la mano sinistra sul ventre dell’animale che risponde con sonore ed entusiaste fusa “Beh? Oggi non fai di tutto per farti baciare in modo da poterti trasformare?”

Il musetto antropomorfizzato del micino sorride a John, ma non sembra intenzionato a muoversi ulteriormente: il felino si limita ad aprire e chiudere gli occhi languidamente e a riempire l’aria con le note gutturali delle sue fusa.

John ringhia di frustrazione “Oh, al diavolo.” si china dunque e per la prima volta da quando ha iniziato a sognare quelle particolari situazioni, bacia per primo il muso del gatto, volontariamente e con la smania che il felino si trasformi in Sherlock al più presto.

“Aw, Jawn.” mugola appagato l’uomo-gatto, apparso dopo il primo battito di ciglia di John “Sapevo che avresti fatto il primo passo pur di incontrarmi.”

“Certo che lo sapevi, sei parte di me.” John muove la mano sinistra, quella che prima carezzava il pelo del ventre del gatto, scoprendo la piacevole sensazione della pelle umana sotto di sè “E sei nudo, questa volta.”

“Proprio come mi desideri.” l’uomo-gatto inarca la schiena sotto la mano di John che, sempre per la prima volta, lo tocca intenzionalmente.

“Sei bellissimo.” sussurra John, alzando la mano destra verso il capo di Sherlock, accarezzandolo con curiosità “Anche con le orecchie e la coda.” abbassa lo sguardo, poi, osservando divertito la lunga e sottile appendice caudale dell’uomo-gatto attorcigliarsi attorno al suo braccio sinistro.

Sherlock miagola sotto quelle carezze e finalmente, dopo diversi attimi di passività, allunga a sua volta le mani, posandole sul torace di John “Lo so.”

“Lo so che lo sai.” risponde John, lasciando scendere la mano dalle orecchie feline fino al volto di Sherlock, accarezzandolo con un po’ di insicurezza celata da un temperamente docile e delicato.

“Toccami ancora.” sussurra Sherlock, girandosi a sua volta su un fianco, trovandosi faccia a faccia con John “Almeno qui puoi farlo.” il modo in cui guarda e sfiora il proprietario del sogno è un misto di dolcezza ed erotismo, il perfetto connubio di ciò che vorrebbe fosse realizzato “Sfoga qui la tua frustrazione.”

John inspira il dolce profumo proveniente dall’uomo-gatto, ansimando appena quando si sente sfiorare il volto dal respiro dell’altro “Oh, qualcuno è stato attento alla lezione di Robert.”

“Sì. Tu. E per estensione anche io.” l’uomo-gatto alza la gamba destra oltre il fianco di John, aggrappandosi alla sua schiena per cercare di annullare la benchè minima distanza tra di loro “Jawn.”

John asseconda il fare di Sherlock e, viziandosi con la sua stessa fantasia, chiude le braccia attorno all’esile corpo dell’altro “Perchè quando stiamo per baciarci mi sveglio sempre?” gli sfiora il volto con le labbra, senza mai, in verità, toccarlo veramente.

“Perchè lo desideri troppo.” mormora Sherlock reclinando appena il capo, iniziando a cercare il giusto incastro per poterlo baciare “E allora sei così spaventato che ti svegli.” dal suo petto inizia a sprigionarsi il tipico verso delle fusa quando è ormai ad un millimetro dalle labbra di John “Proprio come sta per succedere adesso.”

 

Il bianco della perla onirica venne nuovamente sostituito dal nero della stanza buia di John. Sbuffò frustrato ed osservò l’ora nella nuova sveglia che aveva comprato dopo l’incidente dei giorni precedenti: erano solo le cinque del mattino, avrebbe potuto dormire ancora, ma alla fine decise di alzarsi. Non aveva più voglia di dormire, non dopo quel sogno, non dopo l’illusione di aver quasi assaggiato le labbra del suo Sherlock.

 

°oOo°

 

Erano le 9 di sera quando John ebbe finito il proprio turno al pronto soccorso. Dopo essersi fatto la doccia ed essersi cambiato, decise di sedersi ad uno dei tavoli del bar dell’ospedale, alla ricerca di un po’ di riposo e di qualsiasi pretesto per rientrare a casa il più tardi possibile: quella, infatti era sera in cui la BBC avrebbe trasmesso una puntata del Doctor Who e non voleva rischiare di dover sopportare un’altra sessione di platoniche carezze con un reale Sherlock che fingeva, inconsapevole delle sue fantasie, di essere un gatto.

A John non spiaceva sognare gatto-Sherlock, non del tutto, ma non poteva rischiare di smascherare i propri sentimenti col suo vero coinquilino, quello senza orecchie, sprovvisto di coda e incapace di rapportarsi dal punto di vista sentimentale.

Decise di sfogliare il quotidiano mentre addentava il toast che aveva ordinato al bar, scorrendo rapidamente i titoli degli articoli e soffermandosi a leggere solo quelli di cronaca e di cultura generale. Estrasse poi il cellulare dalla tasca dei pantaloni quando riconobbe la suoneria assegnata agli sms.

 

Finito il turno? Ordino cinese? Facciamo ancora in tempo a vedere il Doctor Who. SH

 

“Appunto.” borbottò John tra sè, per poi appoggiare il cellulare sul tavolo, decidendo di non rispondere subito, fingendo di essere ancora impegnato al lavoro.

Quando girò la pagina del quotidiano finendo nella sezione riservata agli eventi culturali della giornata, l’occhio non potè che cadergli sulla pubblicità di una serata a tema intitolata ‘Cats are purrrfect!’.(8)

John rise, dapprima incredulo, poi avvicinò il volto al giornale e lesse con molta attenzione la descrizione di quel particolare evento con un sorrisetto sghembo dipinto sul volto: la curiosità lo divorò, soprattutto quando trovò la nota a margine, marcata con un asterisco, che riportava l’avvertimento che si ritrovò a recitare a voce alta “Chi si presenta all’evento vestito a tema verrà omaggiato con un cocktail gratis.”

John rise un po’ meno quando sentì una mezza erezione occupargli l’angusto spazio dei jeans, ma ancor più, sospirò affranto all’idea di non riuscire più a pensare ad un gatto senza che gli venisse in mente lo Sherlock dei suoi sogni, con tanto di coda, orecchie ed irrimediabilmente nudo. Ma la curiosità era troppa e dato che l’alternativa era passare la serata ad alimentare la propria frustrazione sul divano assieme a Sherlock, decise che sarebbe andato a quell’evento. Almeno si sarebbe fatto qualche risata, pensò.

Prese l’indirizzo del locale e, dopo aver preso il cellulare in mano, digitò velocemente un sms a Sherlock.

 

Finito ora il turno. Grazie per il pensiero, ma esco a bere qualcosa con dei colleghi. Non fare esplodere la casa mentre sono via. Buona notte. JW

 

Dopo aver riposto il cellulare in tasca, uscì dall’ospedale e alzò il braccio verso il primo taxi che vide spuntare in fondo alla via.

 

 

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(1) Doctor Who - 3x03 - L’ingorgo

(2) Per “muso di gatto caratterizzato da tratti umani” intendo questo http://www.gatto999.it/images/stories/TeleFilms/doctor%20who%20(04)%20Cat.jpg

(3) Su google l’ho trovato come detto popolare inglese! :D

(4) Ella, nel telefilm, è l’analista di John.

(5) La psicologia del senso comune, o “psicologia ingenua” è, a grandi linee e senza entrare nello specifico, la psicologia da strada, quella che possiamo estrapolare tutti noi per “sentito dire”, un insieme di pregiudizi possiamo dire, oppure una serie di teorie causa->effetto non sempre giustificate da studi ed osservazioni scientifiche che, invece, sono richieste dalla psicologia in quanto scienza.

(6) Citazione di Steven Moffat che al red carpet degli ultimi Bafta (grrrrrr) aveva detto “The Doctor Who and Sherlock Holmes, the two best things the British have ever done.” per ovvie ragioni ho dovuto toglierci “Sherlock Holmes” XD

(7) I whoviani sono i fans del Doctor Who, e John è fan fin da bambino perchè in realtà le vecchie stagioni del Doctor Who sono iniziate nel 1963

(8) Ok, non mi veniva in mente niente così ho preso il nome di un gruppo su facebook che si chiama per l’appunto “Cats are purrrfect” :)

   
 
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