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Autore: Kimmy_90    19/08/2012    1 recensioni
[Sequel de "I Frutti dell'Oblio"]
Un battito dopo l’altro, ed uno ancora per abitudine.
Fame, bisogno, bisogno e fame. Non erano quelle le giuste parole. Le parole non dovevano far parte del suo mondo, assai superiore a questo.
Non importava.
Un battito dopo l’altro, avrebbe aspettato. Ancora ed ancora.

Chi è tua madre?, aveva chiesto Obito.
Kushina si era drizzata tutta, prendendo un paio di centimetri nella sola estensione della colonna vertebrale. Aveva levato il mento e aveva risposto con inaudita sicurezza: "Io non ho madre".
Minato aveva sentito un moto di comprensione per l’altra, la quale, a quanto pareva, come lui era orfana di un genitore.
Ma poi Obito era andato avanti, mantenendo una voce insolitamente salda: "Chi è tuo padre?"
E lei: "Io non ho padre."
Minato aveva osservato la bambina gonfiarsi, impettirsi, senza riuscire a capire il perché di tale atteggiamento.
Tu, cittadino, sei figlio del passato e padre del futuro. Apprendi e insegna, non dimenticare mai. Vivi il presente costruendo dalle macerie del passato: ciò che fai appartiene ai tuoi figli, ciò che sei lo devi ai tuoi avi. Sii un buon figlio, sii un buon avo."
[ Warning: "inversione generazionale"]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kushina Uzumaki, Nuovo Personaggio, Yondaime | Coppie: Minato/Kushina
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cristallo di sale'
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3





(3) – [ Caos calmo ]




"Bisogna aumentare la sorveglianza interna, queste cose non possono accadere –"

"E come, eh? Abbiamo già imposto il coprifuoco, quante altre vuoi dargliene vinte?"

"Dargliene vinte? Che diavolo stai dicendo, io li voglio combattere, non farli vincere!"

"Ma non capisci che è esattamente quello che vogliono? Cosa vorresti fare, mettere posti di blocco, controlli, mettere nell’ansia tutta la popolazione sospettando di tutto e di tutti?!"

"E tu cosa intendi fare, eh?" si intromise una terza voce "Aspettare? Piangere i morti mentre loro si fanno gli affaracci propri?"

"Non possiamo permettergli di andare avanti così, questo è il limite!" soggiunge una quarta. "Più di venti bambini sono morti! Venti!"

"Ah, bhe – " s’inserì la quinta, astiosa "perché quando morivano i figli dei bianchi non era importante, ma adesso che muoiono i figli dei neri,oh, allora adesso panico, vero?"

"COME OSI!" gridò il terzo – o forse era il primo? "Mi stai forse dando del secessionista?"

"Bisognerebbe essere ciechi per non notare come il vedere i vostri bambini morire sotto le macerie abbia suscitato ben più panico del sentire di intere famiglie dei bianchi divorate dalle fiamme! Bene! Abbiamo i secessionisti in consiglio, fantastico!"

"Tu non capisci – è stata attaccata una Scuola, le scuole sono dei bianchi, dei neri e della progenie mista – di tutti! Il fatto che non ci fossero bianchi è dovuto solo alle tensioni dei secessionisti!"

"Solo?" questa voce era la sesta. Era inaspettatamente giovane, e più che parlare ad un volume elevato come gli altri, pareva proprio aver urlato. "Solo?!" ripeté la ragazza, incredula "Mi spieghi dove sta l’uguaglianza in una nazione che non garantisce nemmeno la scuola a tutti? Eh? Solo perchè quattro idioti se ne vanno in giro a seminare il panico, a predicare la secessione, urlando e sfasciando tutto ciò che appartiene ai bianchi? Era troppo poco per fare qualcosa prima? Avreste dovuto farvi in quattro per evitare che i bianchi smettessero di frequentare la Scuola, di recarsi agli istituti d’igene, di vivere in pace la loro vita – ma evidentemente non era poi così importante."

"Ma se sono anni che in consiglio non si parla d’altro!" proruppe il settimo, dal vocione basso e potente, il quale parve letteralmente esplodere nella sala del consiglio, scuotendo tutto.

La ragazza, però, sembrava del tutto disinteressata a quell’effetto: non lo calcolava, non sembrava calcolare niente. Fosse stato anche Jiraiya in persona a parlare, con quella sua voce di tuono, imperante e lapidaria, non se ne sarebbe assolutamente resa conto. Rispose con rapidità, quasi senza lasciare finire all’altro la frase: "Si parla! E cosa si fa, eh? Cosa?"

Sakura non aveva mai assistito ad una discussione del genere, in consiglio.

Sì, aveva sentito discussioni accese. Nella sua vita, aveva partecipato a molte di esse. A volte, seppur raramente, il consiglio andava richiamato all’ordine.

Le voci si addossavano, l’un l’altra. Si urlava.

Si iniziava a non rispondere più a nessun ordine, a nessuna precedenza. Uno iniziava la frase, e a metà altri tre già gli davano contro.

Succedeva – raramente, ma succedeva.

V’era però qualcosa di peggio, quel giorno – quei giorni. C’era un’immensa paura, c’era lo sconforto, e il panico, e l’odio che iniziava a crescere anche dove non avrebbe dovuto, per motivi che non avrebbero dovuto alimentarlo – e, peggio di tutto, veniva rivolto verso le persone sbagliate.

E poi c’era quell’atteggiamento, già vagamente presente, ma adesso esploso: Noi e Voi.

Una cosa era avere dei rappresentanti. Sarebbe stato stupido non riconoscere che erano comunque due popoli originariamente diversi, che arrivavano da culture diverse.

Era naturale che ognuno avanzasse le proprie necessità e desideri.

Ma non era mai stato Noi e Voi.

O meglio, non era mai stato Noi contro Voi.

Non era colpa Vostra, causa Vostra, problema Nostro. Non sino ad allora.

Nel consiglio iniziavano a ridelinearsi due fazioni – Noi e Voi.

Noi abbiamo fatto così, Voi avete reagito colì.

Quando nessuno dei presenti, non uno, aveva realmente fatto niente.

Non avevano appiccato gli incendi.

Non avevano piazzato le bombe.

Non avevano devastato le case, i negozi.

Quello lo facevano i secessionisti.

Loro, in consiglio, cosa avevano fatto?

Forse, al più, reagito in modo sbagliato.

Ma qual era il modo giusto per reagire, allora?

Noi e Voi.

O Noi, O Voi.

Mentre Loro, i secessionisti veri, i violenti, i creatori di tutto, lentamente, uscivano dalla discussione del consiglio. Loro erano un’entità a sé stante, quasi una calamità naturale.

Che fossero della fazione dei bianchi o dei neri non aveva importanza.

Ora era Noi e Voi.

Stava per ridiventare Noi contro Voi.

Bisognava fare qualcosa, prima che si degenerasse troppo. O forse, la degenerazione era già avvenuta.

Sakura non riusciva a capirlo.

Si alzò lentamente, incamminandosi verso l’uscita della sala. Attorno a lei, ormai, c’erano solo urla che non riusciva a seguire. C’era solo ira.

Parole che rotolano le une sulle altre.

Qualcuno saltava, nell’atto di alzarsi per prender parola.

" – com’è possibile che i Mutanti non vedano mai niente, eh? Dove sono? Eh? I signori Rinnegan e i signori Byakugan?"

A metà strada fra il suo seggio e l’uscita, catturata da quelle frasi, l’anziana Sakura si fermò: lentamente, volse lo sguardo verso i giovani, i vecchi, gli adulti intenti a scannarsi.

Era una delle rare volte in cui veniva chiamato in causa chi aveva una mutazione. ‘Mutanti’ non era esattamente un termine gentile per parlare di loro.

La vecchia ebbe il tempo di far scivolare gli occhi sulla schiena di Kankuro, immobile e statuario nella bolgia del consiglio, prima di notare che proprio quelle affermazioni, quelle sui ‘mutanti’, avevano zittito i presenti.

Ritornò a guardare verso quelli, intenti evidentemente a riordinare le idee per il brusco cambiamento di soggetto che aveva avuto la discussione.

"Allora?" incalzò chi aveva introdotto l’argomento.

Nessuno rispose. Sguardi sconcertati balzavano dall’una all’altra parte della sala, accompagnati da qualche stanco sospiro od infastidito schiocco di lingua.

"Coloro che tu chiami mutanti – " scandì, senza nemmeno alzarsi, l’anziano Kankuro – le braccia incrociate al petto, lo sguardo basso, forse addirittura gli occhi chiusi " – servono quando e come possibile la Magna Regio. Molti attacchi sono stati prevenuti da loro – ad ogni modo, nessuno si sarebbe aspettato un attacco ad un edificio della Scuola, e questo è il motivo per cui nessuno ha controllato."

Quella discussione avrebbe potuto andare avanti all’infinito.

E, chiamando ora in causa anche le mutazioni – che solo i neri o l’eventuale progenie mista poteva possedere – si arrischiava a divenire ancora più complessa.

Non che fosse stata semplice, sino ad ora.

Non che il mondo, di per sé, fosse semplice.

"Invece" continuò Kankuro, dopo che dal silenzio non si era levata obiezione alcuna "non è da escludere che tra i secessionisti neri ci siano persone con una mutazione. E questo sarebbe un enorme problema."

Dapprima apparentemente sedato, il consiglio sembrava essere stato riportato sul piano della realtà.

A partire dalla coerente distinzione tra secessionisti attivi e non.

Qualcuno parlò, ma parlò a voce bassa, forse con il vicino di posto.

Poi il parlottio aumentò.

L’anziana Sakura riprese a camminare, scuotendo vagamente la testa.




***


Erano passati dodici giorni dall’attentato agli edifici della Scuola.

I secessionisti ne avevano fatti saltare sei, fortunatamente in modo non sincronizzato, per cui solo il primo crollò addosso agli studenti: i successivi erano già stati evacuati una volta che si era vista la prima esplosione. Anche il fatto che gli edifici abbattuti fossero relativamente vicini l’un l’altro aveva aiutato, dato che nelle zone più lontane di Konoha non si era subito capito che vi fossero state delle esplosioni. Quella città, dopotutto, era enorme.

Oramai i più erano convinti che questo attentato fosse stato mosso dai secessionisti bianchi – in un qualche modo, sembrava la risposta agli anni di sevizie che aveva patito quella parte della popolazione. Certo, di per sé suonava incoerente – tanto valeva lasciare la città e tornare a Suna, nel deserto; ma probabilmente i sentimenti di vendetta avevano avuto la meglio sulla logica.

C’era chi, pur non giustificandoli, ammetteva di capire un tale gesto.

C’era anche chi il gesto lo giustificava pure, e questo sembrava essere l’ennesimo sintomo della degenerazione cui si stava andando incontro.

Ventisei bambini erano morti, di cui tre sotto i ferri. Altri tre ancora lottavano, ed una trentina, invece, era più o meno gravemente ferita, anche se non in pericolo di vita. Di questi ultimi, i più erano bambini che si trovavano in edifici fatti saltare successivamente il primo, per cui erano risultati meno coinvolti dai crolli.

Fra loro v’era anche Minato.

Sakura faceva su e giù dal consiglio all’ospedale per assicurarsi che il pronipote stesse bene, controllandolo ogni tanto lei stessa, che, nonostante i suoi quasi cent’anni, non aveva certo perso tutte le nozioni mediche che aveva imparato e sfruttato nella sua vita.

Quando l’anziana entrò nella camera di Minato, il bambino pareva dormire. Mebuki si alzò per salutarla, sospirando. Ma prima ancora di dirle ‘ciao’, iniziò con la sua solita ramanzina:

"Nonna, devi smetterla di muoverti così tanto da sola, fatti almeno assistere da una scorta – "

Sakura non parlò, avvicinandosi al bambino per studiarlo attentamente. Aveva una fasciatura in testa, dove lo avevano operato per risolvergli il trauma cranico e rimuovergli l’emorragia cerebrale. Poco ci mancava che dovessero fargli una craniotomia completa.

Sakura aveva avuto paura, una paura viscerale e profonda che non ricordava di aver mai provato. Sentiva che era un sentimento anomalo, variegato di sfumature dal sentore bagliato, errato, incoerente – o forse troppo coerente. Aveva difficoltà a gestirla. E l’aveva riportata violentemente a dover considerare il rapporto che esisteva tra lei e il bambino.

Sospirò, sedendosi accanto a Mebuki.

"Ciao." sfiatò poi, solo un pochino di fiato a uscirle dalle labbra.

"Lo devono svegliare fra un po’ per il controllo, ma non sono sicura che stia dormendo, ora come ora. Minato?"

Minato non rispose.

"Mebuki, dovremmo parlare." mormorò Sakura, dopo aver fissato a lungo Minato, che palesemente dormiva.

La donna sospirò, scuotendo il capo.

"Per favore."

Inutile specificare che i ‘per favore’ dell’anziana Sakura andavano intesi come ordini insindacabili.

"Sì, ma non qui."

Le due si alzarono, lasciando il bambino intento a dormire.





Quando Mebuki rimise piede nella stanza di Minato, guardava in basso con espressione assorta e meditabonda. Era talmente concentrata sui suoi pensieri che arrivò ai piedi del letto del figlio senza mai sollevare lo sguardo. Ma non appena fu abbastanza vicina, vide entrare nel suo campo visivo un piccolo camice bianco: con uno scatto ed un guizzo di sopracciglia scostò gli occhi, passando dal pavimento alla figurina che gli sostava accanto, convinta che fosse Minato.

Era pronta a fargli una ramanzina infinita – non doveva assolutamente alzarsi –, ma fece appena in tempo a schiudere le labbra per realizzare che il bambino in camice da ricoverato davanti a lei non era decisamente suo figlio.

"Oh – " fece la donna, espellendo in tono più che sorpreso il fiato che aveva accumulato ai fini della predica – "Sasori!"

Lei se n’era totalmente dimenticata, di Sasori: dovette ammetterlo.

Dunque era vivo.

Ma questo non lo disse.

Voltò il capo verso il letto di Minato, allegra, cercando il figlio – sarà felicissimo di rivedere il suo amico, pensò.

Si ritrovò davanti il volto più serio che avesse mai visto in tutta la sua vita. L’anziano Kankuro era meno serio. Neji – si ricordava di Neji, lo aveva conosciuto da bambina – era stato molto meno serio in tutta la sua vita di quanto non lo fosse stato Minato in quell’istante.

"Bhé?" domandò, perplessa, vedendo il bambino con quell’espressione più che inadatta alla sua età ed alla situazione.

Minato, seduto sul letto con le braccia e le gambe incrociate, si limitava a guardarla fisso, muto, un sasso con espressione umana – o viceversa.

"Che succede?" domandò avanti Mebuki, guardando Sasori interrogativa. Il bambino, che le era apparso dapprima sereno, ora le restituiva uno sguardo a sua volta perplesso: fece spallucce, arricciando le labbra.

La donna corrugò la fronte, tornando sul figlio. Accanto a lei comparve anche Sakura, a cui Minato dedicò una rapidissima occhiata serena, per poi tornare a fare il sin troppo serio fissando sua madre.

"Ciao, Sasori" fece l’anziana, posando una mano sul capo del bambino. "Come stai?"

"Benone!" rispose quello, sollevandosi sulle punte dei piedi. "Guarda!" si girò, di fianco, la spalla sinistra verso di lei. Rimase immobile, apparentemente concentrato per qualche istante, finché non alzò, di colpo, il braccio. "Woh!" fece, resosi conto della rapidità con cui aveva effettuato il gesto. "Accidenti, non mi era mai successo di tirarlo così tanto su! Wow!"

Sakura e Mebuki rimasero ad osservare il braccio del bambino, la prima con occhio clinico, attento, la seconda più che sorpresa.

"Ma che bella protesi." disse poi Sakura, posando la mano sulle dita metalliche del finto braccio. Le articolazioni rotonde rilucevano, cromate, ed ogni tanto qualche tendine sintetico scattava. Più che un braccio, sembrava un osso smembrato – ma che differenza faceva? L’importante era che Sasori riuscisse ad utilizzarlo.

"Manca qualche ritocco, ma prima devo imparare ad usarlo" disse il bambino, prendendosi la protesi con il braccio sano e dunque rimettendola al suo posto, a riposo lungo il fianco.

"Matre."

La voce di Minato richiamò Mebuki, che si volse verso il figlio.

L’espressione del bambino non era cambiata.

"Che hai, Minato?" domandò la donna, fra la preoccupazione e la scocciatura per quell’atteggiamento.

"Tu, quel giorno, non mi avevi fatto ascoltare la radio."

Mebuki ci mise un po’ a collegare – e sì che quello che aveva avuto un trauma cranico era Minato, e non lei. Quando capì di cosa stesse parlando, intuendo dove stesse per andare a parare il discorso, fece prima un’espressione sorpresa, per poi passare ad una vaga colpevolezza e preoccupazione.

"Minato..."

"Mi hai mentito."

Il bambino si sforzò di rimanere serio ed impassibile, ma la cosa non gli riuscì molto bene. Le labbra, i cui estremi si andavano sempre più affossando, erano sempre più sottili. Gli occhi, lucidi, avevano assunto la tipica espressione di chi sta cercando con tutte le sue forze di non far uscire le lacrime.

"Oh, Minato..."

"Bugiarda!" esplose quello, adirato e sconfortato "Non mi hai detto niente! Bugiarda! Bugiarda! Io sono uscito di casa senza sapere niente! Sasori ha rischiato la vita e io non sapevo niente!" continuò, mentre qualche lacrima sfuggiva al suo controllo. Sasori lo guardava preoccupato, senza ben sapere cosa fare.

"Oh, bambino mio..." intervenne Sakura, avvicinandosi a lui nel tentativo di calmarlo.

Minato sentì la mano della bisnonna, rugosa, carezzargli una guancia. In realtà quel poco di contatto umano lo tranquillizzò, in parte, anche se lui rimaneva del tutto intenzionato a dirigere il suo odio verso la madre.

"Mi spiace, Minato, io non volevo che ti preoccupassi..." cercava Mebuki di giustificarsi, colta in flagrante, incapace, in quel momento, di porre la cosa su un piano sufficientemente logico.

Minato tacque, intento a trattenere le lacrime, odio e delusione ad alternarglisi sul volto infantile.

"Calmati, bambino mio..." gli sussurrava Sakura, con il suo solito filo di voce"L’ha fatto per te, te l’avrebbe detto al momento giusto... Non si sapeva niente..." Ma, per quanto fosse solo un filo, quella voce riusciva a rassicurare il bambino. Almeno un po’.

Continuò a stare zitto, come se stesse comprimendo le emozioni che aveva fatto esplodere poco prima: capace che, entro breve, tornasse a lasciarle fluire, tutte, in un colpo solo.

Sakura si odiava nel doversi dare ragione: Minato era giunto ad odiare la madre.

Il bambino tirò su con il naso.

"Io.." mormorò, in un mugugno che lasciava intendere quale enorme nodo in gola esso avesse "Io..."

"Mi spiace, Minato, io... non volevo mentirti, volevo essere sicura di cosa è successo.. vedi che Sasori sta bene..."

"Non sta bene!" sbottò di nuovo Minato "Ha perso un braccio! E i suoi genitori sono in coma! Sasori non sta affatto bene!"

Sasori corrugò la fronte, iniziandosi a sentire leggermente fuori posto.

"Oh, insomma –" Mebuki parve aver ripreso carica, infastidita da quelle parole, ritornata sul suo solito piano pragmatico " – piantala di preoccuparti così tanto per gli altri, sei eccessivo! Guarda come sei ridotto tu! Pensa io che male che ci sono stata, hai rischiato di morire, lo sai?"

"Certo che lo so!" ma perché un bambino di otto anni si ostinava così tanto a dar testa alla madre? si domandava Mebuki, sull’orlo dell’ennesima crisi di nervi dovuta ai litigi con il figlioletto – che diavolo sarebbe successo quando sarebbe entrato nell’adolescenza? Un cataclisma?

"E allora piantala! Siete vivi tutti e due, e questo è quello che ora importa! Non puoi metterti a rimuginare così tanto! Ti fa male!"

Minato tornò a serrare le labbra, i denti palesemente stretti dietro di esse.

Tacque.

Sakura sospirò, carezzandogli il capo, ben attenta a non toccare i punti in cui vi erano le fasciature.

E poi, di colpo, Minato si mise a singhiozzare, a piangere disperato, a perdere il respiro.

Sasori guardava ora Sakura, ora Mebuki, ora l’amico scosso dai singulti del pianto.

Sì, era decisamente nel posto sbagliato al momento sbagliato.

"E io non ho sentito niente!" sfiatò Minato, fra un singhiozzo e l’altro, allungando l’ultima vocale nel pianto che continuava a dominarlo. "Nienteehe! – L’odore del fuoco, della cenere – niente – niente! Perché? Niente – Perché?"

Mebuki scosse la testa, scrutando Sakura, la quale le restituì lo sguardo: come si era previsto, in fondo. Minato si era arrabbiato ferocemente per la bugia della madre, ma non al punto di odiarla. Semmai odiava se stesso, per la sua incapacità di notare che in quella notte c’era stato un incendio.

Sempre così, Minato.

Mentre la madre lo andava ad abbracciare, quello si sciolse definitivamente, tornando a mostrarsi il bambino ferito e sconvolto che era. Com’era giusto che fosse.

Sakura si volse verso Sasori, palesemente imbarazzato e perplesso.

"Sasori, c’è tua nonna qui?"

Il bambino annuì.

"Vieni, ti porto da lei. Lasciamo questi due da soli."




***



Non appena uscito sulla terrazza del palazzo del consiglio, l’uomo si stiracchiò, concludendo il gesto con un enorme sbuffo.

"Che palle!"

"Shikaku, ti pare il modo di commentare una seduta?" lo rimproverò una voce maschile.

I due si guardarono, senza sapere se tornare tutti e due sospirare profondamente o lasciarsi svicolare in una lunga risata.

Dopo un vago abbozzo di sorriso, optarono per la prima opzione.

"La vuoi una sigaretta, Obito?" fece il primo, tirando fuori un pacchetto di tabacco.

"No, grazie. Quella roba mi pare sia solo che fonte di male."

"Sì, questo è indubbio." fece Shikaku, iniziando a rollare "ma dopo sedute del consiglio come questa, è l’unico modo per sopravvivere."

Obito scosse il capo, passandosi una mano fra i capelli corvini e disordinati. "Sembri tuo nonno, quando parli così."

"Possibile."

"Soprattutto sui tuoi commenti riguardo le sedute."

Shikaku ridacchiò, accendendosi poi la sigaretta. "Mio nonno era meno scurrile."

"Pura questione generazionale."

Sospirarono, per l’ennesima volta. Mentre l’uno aspirava il fumo, l’altro, a pieni polmoni, aspirava l’aria, il vento, l’odore di aperto. Muovendo qualche passo lungo la terrazza, finirono per appoggiarsi alla balaustra, intenti, ambedue, a fissare il panorama. Da dove si trovavano loro si riusciva a vedere una buona fetta di Konoha, nonostante il palazzo non fosse particolarmente alto. Allungando un po’ lo sguardo, si riuscivano a distinguere le macerie dell’H09A, uno degli edifici della scuola fatti saltare dai secessionisti qualche giorno prima.

Obito, rimasto a fissare quella specie di buco nel panorama abituale, scosse leggermente il capo. "Che palle." mormorò poi.

"Ah, bene." fece Shikaku, ridacchiando. "Allora ti sto contagiando."

Obito sbuffò. "Guarda –" indicò con un cenno del capo nella direzione delle macerie "– ormai sto iniziando ad abituarmi a non vederlo più. Non mi fa nemmeno più impressione."

"... già. Nemmeno a me." rispose l’altro. Inspirò, tirando, e dunque espirò fumo.

"Non ti pare surreale? Sembra quasi che non sia cambiato niente."

Shikaku annuì minimamente. "Non facciamo altro che fare sedute del consiglio, ma qui la gente continua a svegliarsi e ad andare a lavorare, ogni mattina, come se non fosse successo niente. E noi ce ne stiamo chiusi a far discussioni inconcludenti."

"Dovrebbe essere un caos, dopo un colpo del genere – e invece no."

"Il fatto, Obito" fece Shikaku, staccandosi dalla ringhiera "è che la vita va avanti lo stesso. Secessionisti, incendi, esplosioni. E’ un casino, ma nel casino si va avanti lo stesso. Sempre e comunque."

"Uno si aspetta urla, paura, una città congelata dal terrore e dallo sconforto..."

"E cosa bisognerebbe fare?" domandò l’altro, voltandosi verso di lui "Rimanere immobili finché non succede qualcosa? E cosa dovrebbe succedere?"

Obito si strinse nelle spalle, apparentemente rassegnato. "Non lo so. Ma sembra tutto così... assurdo. Ventisei bambini sono morti."

"Già. Ed altra gente morirà ancora."

"E noi staremo chiusi, giorni e notti, nella sala del consiglio."

"A non concludere niente." Shikaku lasciò cadere il mozzicone di sigaretta a terra, spegnendolo con la suola dello scarpone.

"No" mormorò Obito, gli occhi nuovamente fissi sulle macerie dell’H09A. "Se va avanti così, riusciremo a far scatenare una guerra civile."

"Ci vuole impegno a far scatenare una guerra civile, eh. Non è mica roba da due giorni."

L’altro roteò gli occhi, lontanamente infastidito dal commento sarcastico di Shikaku. "Già." rispose, leggermente acido. "Ci vuole un intero consiglio per far scatenare una guerra civile come si deve."

L’altro, notando che Obito andava deprimendosi sempre più, gli piazzò una potente pacca sulla spalla nel tentativo di rinsavirlo. "Forza. Bisogna tornare a discutere dei massimi sistemi mentre il resto della vita va avanti."

... "Che palle."




***


Quando Sakura, con il suo solito passo lento, traballante ma deciso, rimise piede nella stanza dove era ricoverato Minato, trovò madre e figlio riappacificati. Il bambino, ogni tanto, si passava le mani sugli occhi, nel tentativo di mandar via le ultime lacrime – ma il volto, ormai, era ridiventato sereno.

"Ciao, bisnonna Sakura" mormorò Minato, resosi conto di non averla salutata a dovere, ed arrossendo leggermente per quella piccola scortesia.

"Stai meglio?" gli domandò l’anziana, mentre copriva gli ultimi metri che la dividevano dal letto del bambino.

Quello annuì leggermente, mordicchiandosi le labbra con una vaga aria colpevole.

"Gli fa male la testa" intervenne Mebuki, preoccupata.

"Mmh..." finalmente, l’anziana Sakura poté sedersi. "Minato, devi stare attento, sei convalescente... e con quel colpo che hai preso in testa ... non è il caso di sforzarla troppo, per ora – mi spiego?"

Il bambino annuì, mogio.

Ad ogni modo era calmo, e questo importava.

"Dov’è Sasori?" domandò poi, resosi conto che il suo amico era sparito. Era stato troppo preso dalle emozioni per capire cosa gli stava succedendo attorno.

"Da sua nonna" rispose Mebuki per Sakura, con l’intento di non farla sforzare troppo. "In mani sicure, vedrai."

"Quando staremo meglio, potrò andare a trovarlo?"chiese il bambino, ridimostrando, finalmente, l’ingenuità dei suoi anni.

Le due donne tacquero, cercando una risposta sensata da dargli.

Il fatto era che nessuno sapeva cosa sarebbe successo, di lì in avanti. Loro per prime.

Sarebbe stato chiamato l’Esodo?

Avrebbero creato uno stato di sicurezza estrema? Con coprifuochi insindacabili e controlli serrati ad ogni angolo della città?

I secessionisti bianchi – se, in fondo, tali realmente erano gli autori di quell’attentato, perché nessuno ancora sapeva nulla né rivendicava nulla – avrebbero continuato su quella linea? I secessionisti neri avrebbero risposto?

Tutto lasciava presagire scenari distopici – ma realtà era che, sino ad ora, non era successo assolutamente niente.

La gente continuava a camminare per le strade, magari con rinnovata attenzione, i bianchi a gruppetti si spostavano di casa in casa, alcuni decidendo di tornare in patria, e la vita scorreva. Tutti attendevano reazioni, ma la realtà era che nessuno reagiva.

Non succedeva niente.

Tanta paura, tanto sconforto, ma in dodici giorni, niente.

Addirittura non v’era stata nessuna scorreria dei secessionisti neri.

Che si stessero preparando a qualcosa di grosso?

Non c’era modo di saperlo. In genere erano gruppi disorganizzati – ragion per cui era molto difficile fare un lavoro spionistico – che si muovevano caoticamente per lo stesso fine, ovvero la secessione. Gli ultimi attentati erano di tutt’altra natura.

E forse matrice.

Chissà.

"Vedremo." fece Mebuki, ricordandosi, nel silenzio, di dover rispondere alla domanda di Minato.

Minato storse le labbra, non certo entusiasta di una risposta del genere.

"Dipende da come si mettono le cose."

Il bambino fece un grande respiro rassegnato.

Ormai anche lui si rendeva conto che c’erano dei limiti alle azioni possibili – dei limiti non considerati dalla Politeia.

Alla madre parve quasi di vedere un cambio d’espressione, come se, alla fine, fosse riuscito a digerire quell’ardua lezione: il mondo non è come vorremmo. E peggio ancora, non è come ce lo descrivono. Ma questo, probabilmente, sarebbe venuto più avanti.

"Minato."

Il bambino volse lo sguardo verso la bisnonna, che lo aveva richiamato per ottenerne l’attenzione.

"Appena ti dimettono, io e tua mamma abbiamo deciso di portarti in un posto speciale."

La bisnonna appariva allegra, nell’intento di proporgli quella che doveva essere una sorpresa, un qualcosa di felicemente inaspettato.

"Ah, sì? Dove? Dove andiamo?"

Mebuki sorrise, passandogli la mano fra i capelli.

"Andiamo all’altipiano del Ludus."

Le labbra del bambino si schiusero, esterrefatte.

"Sul serio?"



______________________________________________




[NdA]


Obito e Shikaku.

Che a occhio dovrebbero avere al massimo dieci anni di differenza. Non si saran mai visti in tutta la loro vita, nel manga.

Ma mi serviva un po’ di gente per rimpinguare le generazioni ‘nuove’, continuando sulla discronia. Io spero che questa ‘confusione’ con i personaggi non dia troppo fastidio.

Ah, ed eccovi il caro Sasorino =3 con tanto di protesi, sto cercando, almeno lui, di dargli qualche similitudine all’edizione del manga. Forse per il momento è troppo allegro, ma è pur sempre un bambino.



 Vivi e sentiti ringraziamenti a chi mi continua a seguire e per le magnifiche recensioni. Spero che il proseguimento non vi deluda. Specie LaGren*, mi stupisce xD attendo qualcosa su cui tu abbia da ridire, come ai vecchi tempi. =P


   
 
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