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Autore: Artemis Hide    20/08/2012    7 recensioni
In un quartiere poco lontano dal centro di Londra, un altro uomo viene trovato morto, pugnalato e derubato dei propri averi. Chi si cela dietro questi omicidi identici l'uno all'altro?
L'indagine porterà Holmes fino nel cuore del Club Flaubert, un club letterario che maschera all'interno un bordello d'alto borgo in cui le ragazze di Madame Bovary hanno nomi letterari e sanno conversare oltre che essere esperte d'amore. Ma cosa ha in comune quel luogo di dolce perdizione con la serie di omicidi?
La risposta può essere più complessa di quel che sembra e la missione rischierà di spezzare il delicato equilibrio che lo lega al proprio inseparabile collega, il dottor Watson. Quanto sarà disposto ad osare per risolvere il caso? Il tempo stringe e forse per i due la posta potrebbe essere troppo alta.
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[Ambientato prima di 'Gioco di Ombre']
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++ 1° classificata al contest 'Potere alla lemon!' di AkaneMikael ++
Genere: Avventura, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Watson rimase immobile, guardando la porta chiudersi dietro il suo collega. Poi con un gemito frustrato si accasciò sul letto. Prese la testa fra le mani sforzandosi con tutto se stesso di pensare, di chiarire quella massa di emozioni che sentiva vorticare dentro e serrargli lo stomaco. Si sforzò di respirare in modo regolare. Era chiaro che l’intera situazione l’aveva esasperato e, probabilmente, quel ba… quello che aveva fatto Holmes era la cosa più logica. Forse era il luogo ad averlo suggestionato, non era stato nulla più che un’azione di copertura, per quanto scioccante. Ma perché non riusciva a convincersene del tutto? ‘Perché, caro John Watson’, disse la sua coscienza ‘sai benissimo che è andato oltre la semplice farsa dell’occasione. Lui ti ha baciato. Ti ha baciato davvero, e tu lo sai. Tu hai risposto’. Scosse la testa, scacciando quell’insulsa vocina. Anche il solo pensiero di provar qualcosa di più che attaccamento da camerata per Holmes lo scuoteva profondamente. Era pericoloso, quasi quanto lo era il suo collega, era assurdo! Holmes era scostante, trasandato, completamente privo di senso comune ed incapace di gestire i rapporti umani. Lo esasperava fino allo sfinimento e non sapeva far altro che cacciarsi nei guai in continuazione o distruggergli l’appartamento. Però era anche geniale, unico e, per qualche assurdo motivo, si fidava ciecamente di lui al punto da affidargli la propria vita. E c’era qualcosa nei suoi occhi che riusciva a smuoverlo ogni volta, per quanto assurda fosse la richiesta, per quanto improbabile, per quanto spericolata. Gli bastava guardarlo e, presto o tardi, lui cedeva. Inevitabilmente.
Si chiese se sarebbe successo anche quella volta e un brivido gli corse lungo la schiena.
Poi udì dei rumori nel corridoio. I suoi sensi di soldato presero il sopravvento. Distinse chiaramente i passi di due persone e li isolò in mezzo a tutti gli altri provenienti dalle camere e dal piano di sotto: quelli di una erano leggeri e aggraziati, quelli dell’altra più pesanti e cadenzati, per lui inconfondibili. Li sentì avvicinarsi; una porta si aprì e si chiuse dietro di loro. D’istinto balzò in piedi, prendendo la pistola pronto ad agire. Poi si bloccò.
Era davvero quello che voleva fare, rispondere ancora una volta al piano di Holmes? Era ancora in tempo per prendere le sue cose e andarsene, mandarlo al diavolo per una volta, dimostrargli che non poteva usarlo a suo piacimento. Se la sarebbe cavata come sempre, di certo aveva già calcolato tutto. Probabilmente aveva anche un piano di riserva. Per un attimo accarezzò davvero l’idea: uscì in corridoio e si incamminò verso la porta che dava all’uscita, come per sfida.
Fece solo qualche passo. Poi imprecò e tornò indietro.
Si maledì per la propria incapacità di lasciarlo perdere. In ogni caso, decise, non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederlo cedere così palesemente, no, nemmeno per sogno! Avrebbe controllato cosa succedeva, proprio come previsto, ma sarebbe intervenuto solo se ce ne fosse stato davvero bisogno. In alternativa avrebbe comunque fatto in tempo ad andarsene prima che lo vedesse.
Attento a non fare rumore, si avvicinò alla porta. All’interno si udivano delle voci sommesse.
Controllò il corridoio per essere certo che non lo vedesse nessuno, ma stranamente sembrava deserto. Tanto meglio.
Ad uno sguardo attento, notò che la porta in realtà non era stata chiusa, lo sembrava soltanto: qualcosa aveva bloccato il meccanismo per permettere di scostarla senza fare rumore: di certo opera di Holmes. Con cautela la tirò verso di sé aprendone uno spiraglio. La moquette rese lo spostamento perfettamente silenzioso.
Gettò una rapida occhiata alla stanza: era elegante, dai colori caldi, con un grande letto poggiato sulla parete di fronte e poco più indietro, ai lati, rispettivamente un enorme paravento decorato ed un grande armadio a muro dal legno pregiato. Holmes sedeva sopra ad un baule ai piedi del letto rivolgendosi verso la parete, apparentemente parlando con nessuno.
- …e come Le ho detto, non sono il tipo che accetta qualunque compromesso - stava finendo di dire, la bocca atteggiata a un lieve sorriso sornione.
Da dietro il paravento venne una risata, musicale e delicata come Watson non ne aveva mai sentite.
- Non ne dubito Mr. Holmes - disse soavemente la voce a cui apparteneva, e il dottore fu certo che non potesse appartenere che ad una creatura bellissima, la più bella che riuscisse a immaginare.
Una mano dalle dita affusolate comparve appoggiandosi al legno decorato e una figura uscì da dietro il paravento, con un movimento simile ad un passo di danza. Watson trattenne il fiato: la fanciulla doveva avere poco più di vent’anni ed era di una bellezza incredibile, alta e flessuosa, dagli occhi color cielo e i capelli biondi. Pareva una di quelle visioni sacre usate per ritrarre la natura. Era di una sensualità particolare, quasi virginea eppure terribilmente seducente ed esperta.
In quel momento era vestita solo con un bustino bianco, ricamato, lungo poco oltre i fianchi, da cui spuntavano un paio di piccoli fermagli a trattenere delle lunghe calze bianche che coprivano le gambe snelle fino ad un paio di stivaletti coi tacchi scuri. Era una vista che toglieva il fiato.
Avanzò lentamente verso il detective, sorridendo di rimando - Tuttavia, vorrei che ascoltasse la mia proposta prima… -
Si fermò a pochi centimetri da lui e solo allora Watson si accorse che non aveva più addosso la giacca, che giaceva abbandonata sul letto.
- La ascolto - mormorò lui accattivante.
Lei si avvicinò ulteriormente fino a scivolare sopra le sue ginocchia, sedendosi delicatamente.
- Vede, Mr. Holmes, io non sono cattiva - disse piano e la sua voce risuono di un’innocenza perfetta mentre con le mani gli accarezzava lievemente il colletto della camicia - e vorrei tanto dimostrarglielo. Ha detto tante cose brutte su di me e questo mio…fratello, ma come vede in realtà siamo soli qui…soli Lei ed io, proprio come dovremmo essere. -
Le ultime parole si caricarono di sensualità, mentre con le mani slacciava alcuni dei bottoni della camicia per sfiorare sotto e Watson vide distintamente il suo compagno sospirare e appoggiarle le mani sui fianchi, accarezzandola fino alla schiena per raggiungere i lacci del bustino. Lei gemette piano e prese a baciargli il collo facendogli spingere d’istinto la testa all’indietro mentre la attirava possessivamente a sé con un trasporto che il dottore non gli aveva mai visto.
Si trovò improvvisamente con la bocca completamente secca. In tutti quegli anni aveva imparato a conoscere ogni lato di Holmes, ma soltanto ora si rendeva conto di non averlo mai visto in un momento di intimità. Lo colpì l’impressione netta di quanto potesse essere appassionato, sensibile con quelle mani abituate di solito a maneggiare armi o strane sostanze chimiche e si ritrovò a rabbrividire immaginando lo stesso tocco sopra di sé. Deglutì a vuoto quando lei gli prese le labbra, intrecciando le dita fra i suoi capelli quando lui rispose con altrettanto trasporto. Era uno spettacolo da cui  non riusciva a staccare lo sguardo ed una parte di lui provò una fitta bruciante di gelosia al pensiero che poco prima quella bocca era stata premuta contro la sua con una passione che lui aveva ricambiato. E poi respinto. L’ultimo, involontario pensiero gli strinse lo stomaco.
Era così preso da ciò che aveva davanti che quasi gli sfuggì quando la porta dell’armadio a muro iniziò ad aprirsi. Fu un movimento fluido, privo di rumore, e da quello spiraglio lentamente uscì una figura: un uomo, alto e muscoloso, dai capelli castani e gli occhi chiari come quelli della ragazza; indossava un’inconfondibile abbigliamento da mozzo. Era il fratello di Lady Isolde, Holmes aveva ragione!
Le luci soffuse si infransero con uno scintillio sulla lama che impugnava. Teneva lo sguardo fisso verso il detective girato di schiena, preso dal bacio appassionato che aveva ovviamente l’unico scopo di bloccarlo in quella posizione. L’istinto di Watson lo fece quasi scattare, ma riuscì a trattenersi: nessuna aveva l’udito più fine di Holmes, doveva averlo percepito per forza. Per quanto silenzioso rimaneva pur sempre un marinaio, pesante e per nulla delicato. E il detective percepiva qualunque cosa. L’uomo avanzò ancora di qualche passo, lento ma esperto, ed iniziava ad essere pericolosamente vicino. Perché Holmes non si muoveva? Era davvero così coinvolto da aver perso la sua normale acutezza dei sensi? Pochi metri ancora e avrebbe rischiato di finire come le altre vittime.
- Avanti Holmes… - sussurrò Watson a denti stretti sollevando lentamente la pistola.
L’uomo avanzò ancora di mezzo metro.
- Avanti… -
E ancora.
- Si giri, perdio, so che l’ha sentito… -
E ancora.
- Andiamo, non mi costringa ad intervenire… -
Arrivò ai piedi del baule.
- Holmes, La prego… -
Poi l’uomo sollevò il pugnale.
- Holmes! -
Il grido infranse il silenzio insieme al rumore della porta che si spalancava. Sparò senza esitare un istante.
Il detective, come fosse un segnale, cinse con un braccio la ragazza e facendo leva sulle gambe si lanciò a terra. Il pugnale gli sfiorò la camicia per un soffio, conficcandosi nel legno mentre una pallottola colpiva di striscio la spalla che l’aveva vibrato strappando un grido al suo possessore. I due rotolarono a terra e Lady Isolde gridò divincolandosi dalla sua stretta. Holmes la lasciò, ma fece appena in tempo a balzare di nuovo all’indietro prima che un fendente cercasse di squarciargli il petto. La lama comparsa all’improvviso nelle sue mani tagliò il tessuto penetrando con la punta nella carne e subito un sottile rivolo rosso macchiò il bianco della camicia. Lei si lanciò in avanti in un affondo pieno di rabbia, ma stavolta il detective fu pronto ad afferrarle un polso sbilanciandola in avanti per poi disarmarla. Le torse un braccio dietro la schiena spingendola a urlare di dolore e il fratello, distratto da quel grido, ricevette il calcio della pistola del dottore in piena fronte, cadendo a terra come un sacco di patate.
- Lavoro eccellente, vecchio mio - disse Holmes, sorridendo soddisfatto.
- Non potrei dire lo stesso di Lei. Si è quasi fatto ammazzare - lo prese in giro Watson, ridendo.
- Era parte del piano, mi pare ovvio… -
Non fece in tempo ad aggiungere altro, perché un enorme trambusto riempì l’edificio. Si udirono voci, grida e un secondo dopo Lestrade irruppe con un gruppo di poliziotti a pistole spianate, invadendo la stanza.
- Oh, ecco qui il braccio armato della legge. - commentò sarcastico il detective - Tempismo perfetto come sempre, Lestrade, abbiamo finito di metterli fuori gioco giusto ora -
- Holmes, farà bene a non fare il furbo con me - abbaiò il poliziotto, deriso nell’orgoglio - mi aveva promesso l’assassino di XXX, che ci fa qui ferito e con una ragazza? -
- Le racconterò una storia, ispettore. Anni fa vi era una famiglia di ricchi mercanti, la cui madre aspettava una bambina. Un giorno, prima della sua nascita, il padre si imbarcò su alcune navi dirette in Francia per affari e non fece più ritorno. Nel frattempo, nacque una bambina bellissima, che la madre allevò con gli agi e l’istruzione del suo rango, aspettando ogni giorno di veder tornare il marito con altri soldi a sostenerle. Non tornò mai. Cadute in disgrazia, la ragazza fu raccolta e ospitata dalla proprietaria di questo Club, Madame Bovary, colpita dalla sua bellezza e dai modi acculturati, perfetti per questo posto. La ragazza smise di pensare alla famiglia perduta, finché un giorno, qualche mese fa, altre navi dalla Francia sbarcarono e lei incontrò una persona che mai avrebbe pensato di vedere: il suo fratellastro. A pochi istanti dalla morte, il padre gli aveva confessato di aver lasciato una famiglia a Londra, certamente bisognosa di mezzi e lui era tornato a cercarli. È stata la sorte a ricongiungerli. Nessuno di loro può permettersi di vivere qui, ma, con abbastanza soldi, in Francia avrebbero avuto l’opportunità di rifarsi una vita sotto un altro nome. Da qui il loro pian perverso. Lady Isolde, la nostra fanciulla, è colei che organizzava tutto: rivelava le abitudini poco lecite dei mariti alle rispettive mogli e per soldi si offriva di eliminarli. L’assassino vero e proprio, invece,  è lui, il marinaio francese gentilmente rabbonito dal mio dottore. Una volta uccise le vittime, le ripulivano ed il corpo era abbandonato nel quartiere appena vicino a questo, dove potevano tranquillamente passare per furti con omicidio. Ecco a lei, dunque, questa storia di sofferenza, avidità e sangue. -
Lestrade l’aveva ascoltato stupito insieme ai suoi uomini. Spostò più volte lo sguardo da lui ai due arrestati che ora indossavano un paio di manette di ordinanza, come incerto se credere ad ogni singola parola senza fiatare o se ribattere.
- Lei è certo di quello che dice, Holmes? - chiese infine, titubante.
- In assoluto. Chieda a loro stessi e troverà confermata la mia storia. Ancora una volta ha risolto brillantemente il caso e assicurato due pericolosi criminali alla giustizia, Lestrade. Congratulazioni! - ribatté quello con ironia.
- Sì, ma dove sono i gioielli delle vittime? Senza di quelli non ci sono prove ad accusarli degli omicidi, solo un’accusa per aggressione nei vostri confronti -
- Eccellente constatazione, ispettore, ammetto che la sua sagacia mi colpisce. I gioielli appartenuti alle vittime fanno parte del bottino, e come tali devono essere ancora in questa stanza insieme ai soldi ricevuti per gli omicidi. -
- Se quei gioielli ci sono li troveremo. Uomini, frugate dappertutto! E portate in cella questi due -
I poliziotti fecero cenno alla ragazza di seguirli, troppo abbagliati dalla sua bellezza per agire rudemente, mentre il fratello fu afferrato per le braccia senza troppe cerimonie e spinto verso l’uscita. Lui si ribellò, divincolandosi come una belva e riuscendo a liberarsi abbastanza da correre verso la sorella e afferrarle il viso fra le mani. ‘Non lascerò che ti uccidano, mia luce. Dirò loro che ti ho costretta a farlo e tu potrai partire lo stesso!’ gridò in francese prima di essere afferrato di nuovo dalle guardie e trascinato fuori. Lei lo fissò, immobile, mentre una lacrima le solcava la guancia. ‘Fratello mio’ sussurrò solo.
Holmes spalancò gli occhi, come se solo allora avesse davvero capito.
- Tu lo ami - le disse, a sua volta in francese, e lei lo guardò senza rispondere mentre le guardie la portavano via.
- Che ha detto? - chiese Lestrade - Se è qualcosa di importante bisogna scriverla per il tribunale. -
- Non era niente - rispose lui, scuotendo la testa - …le ha solo detto addio -
Watson lo guardò, stupito di quella delicatezza, ma lo sguardo che ricevette fu carico di significato.
- Bene. Ora se non avete più bisogno di noi… - iniziò di nuovo il detective, ma un improvviso giramento di testa lo costrinse a fermarsi. Il dottore fu subito al suo fianco per sostenerlo, facendolo sedere sul letto. Solo allora l’attenzione generale si focalizzò sulla sua ferita che, pur poco profonda, si stagliava evidente sopra il petto appena sotto la camicia.
- Ha ripreso a sanguinare, devo suturarla - osservò il medico, pensieroso.
- Ma potreste ancora servirmi per mettere in luce i lati ancora oscuri del caso… - si intromise l’ispettore, preoccupato dei fascicoli di dati che avrebbe dovuto inserire prima di poter definitivamente archiviare il caso.
- Sono certo che Holmes sarà più che disposto a raccontare tutto ad un suo collega tra poco, mi serve giusto il tempo di fermare il sangue e ricucire il taglio. Nella stanza di fronte ho parte della mia strumentazione, dovrebbe bastare a rimetterlo insieme in un’ora -
Il poliziotto annuì soddisfatto. - Perfetto, allora vi farò mandare uno dei miei uomini quando avremo finito di perlustrare la stanza in cerca dei gioielli delle vittime. Potrete raccontare tutto a lui -
- Sempre troppo comprensivo, ispettore Lestrade - bofonchiò il detective, prima che il tentativo d’alzarsi gli strappasse un’imprecazione di dolore. Ora che l’effetto dell’adrenalina stava svanendo, sentiva la ferita pulsare contro lo sterno e la testa girarli leggermente.
Watson lo aiutò a mettersi in piedi passando un suo braccio attorno alle proprie spalle e cingendolo alla vita. Leggermente barcollanti si avviarono all’uscita, mentre un gruppo di poliziotti era impegnato a mettere sottosopra la camera.
Ringraziando che la loro stanza fosse così vicina, Watson varcò la soglia e si chiuse dietro la porta. L’ambiente divenne improvvisamente silenzioso ed entrambi tirarono un sospiro di sollievo. Nonostante tutte le proteste, Holmes venne fatto sdraiare sul letto e fu costretto ad attendere pazientemente che l’altro raggiungesse la propria borsa e si sistemasse sul tavolino accanto a lui. Lasciò che gli aprisse del tutto la camicia e che tamponasse il sangue con una parte del lenzuolo.
- Lady Isolde sapeva dove mirare - commentò osservando la ferita. – E aveva nascosto il coltello  nello stivaletto! Pericolosa anche in lingerie. Mi viene in mente solo un’altra donna da cui mi sarei aspettato una cosa del genere… -
- Irene Adler - completò lui, con un mezzo ghigno. - Lo so. Una donna bellissima che cela armi ed inganni. Mi ero aspettato un trucchetto del genere. -
 - E per fortuna l’ha quasi evitato. La ragazza aveva puntato alla gola. -
Prese alcuni strumenti dalla borsa e li dispose sul tavolo. Poi estrasse una fiaschetta.
- Ne beva un po’ - ordinò, porgendogliela - ma non la finisca. Impiegherò un attimo a sterilizzare gli strumenti e la dovrò ricucire. Farà un po’ male. Ma d’altronde dovrebbe già saperlo. -
Il detective obbedì, ingollando un sorso generoso che gli bruciò fino in fondo alla gola, facendolo tossire. - Niente male dottore – esalò, riprendendo fiato - sono contento di sapere che sulle medicine non lesina. -
- Non la finisca, mi raccomando. -
Holmes ridacchiò e bevve un altro paio di sorsi prima di passargli di nuovo la fiaschetta. Avvertiva il dolore farsi pian piano meno acuto, mentre una piacevole sensazione di leggerezza lo invadeva allentando la tensione. Sussultò quando lo stesso liquido ambrato venne fanno scorrere lungo la ferita.
- Ah! Faccia piano, quella roba brucia! -
- È normale che faccia così, la smetta di fare la femminuccia -
- Avrei dovuto berne di più - bofonchiò scontroso.
Watson afferrò un ago da sutura sterilizzato e si apprestò ad iniziare il lavoro. Ricucire gli strappi di Holmes dopo le loro avventure era diventata quasi una routine, tanto che avrebbe affermato che nessuno conosceva il suo corpo meglio di lui. Ne aveva medicato praticamente ogni centimetro, steccato buona parte e ricucito l’altra metà. Una vicinanza che gli era sempre parsa normale, ma che ora avvertiva con un significato più profondo. Lui era l’unico che conoscesse le sue vecchie ferite e i suoi punti deboli, l’unico da cui il compagno si lasciasse toccare, non importa quanto grave fosse il danno. L’unico ad avere accesso ad un pezzo della sua anima, forse, dato che l’anima reca impressi tutti i segni della vita. Improvvisamente quel corpo solido ed ora leggermente pallido che aveva sotto di sé gli parve qualcosa di speciale, di perfetto, da custodire ad ogni costo.
L’altro parve percepire qualcosa nella sua attesa, perché alzò lo sguardo, quello sguardo così dannatamente profondo e lo guardò. Per un lunghissimo istante si fissarono e Watson si stupì di quanti dettagli ora cogliesse nel suo viso: le ciocche che cadevano spettinate sulla fronte, le pupille leggermente dilatate dall’alcol, le guance arrossate dal caldo, le labbra umide che appena si sfioravano. Trasalì riacquistando l’autocontrollo e distolse lo sguardo. Strinse l’ago fra le dita.
- Farà un po’ male - disse solo.
- Ci son abituato. -
Strinse i denti quando l’ago penetrò nella sua pelle per la prima volta, attraversando gli strati separati dalla lama per legarli di nuovo insieme. Era un lavoro lungo e di precisione, ma nessuno sarebbe stato in grado di farlo meglio di Watson. E lui non l’avrebbe lasciato fare a nessun altro. C’era stato un momento, prima, in cui aveva visto qualcosa passare nei suoi occhi, una scintilla di un attimo, ma abbastanza perché la riconoscesse. Non aveva mai osato sperarci e, in effetti, era inutile farlo ora. Forse era stata la situazione o, forse, un allucinazione dovuta all’alcol.
- Aveva ragione lei, alla fine. - disse sommessamente il dottore - Il fratello era nascosto nella camera di Lady Isolde. -
- È stata una deduzione elementare - ribatté lui - non poteva che essere così. -
L’altro rimase un po’ in silenzio, come indeciso. Alla fine parlò.
- Lei sapeva che era lì. Sapeva dove era nascosto. L’ha sentito muoversi e non ha fatto nulla per impedirlo. -
- Cosa glielo fa credere, di preciso? -
- Non si prenda gioco di me, Holmes. La conosco da abbastanza tempo per sapere che i suoi sensi non si lasciano ottundere da una bella donna, a meno che non sia Irene Adler. Lei era pronto ad agire, ha evitato la coltellata con troppa prontezza per convincermi del contrario. Eppure ha atteso fino all’ultimo secondo, se io non fossi entrato forse ora non sarebbe qui a raccontarlo! Si può sapere cosa aspettava? -
- Mi pare evidente. Aspettavo Lei, dottor Watson. -
Rispose così, semplicemente, e fu come se un fulmine avesse attraversato la stanza.
Watson rimase incredulo, con l’ago ancora in mano, incapace di muoversi. Una parte di sé lo aveva sempre saputo e l’altra lo stava odiando profondamente per averlo messo nel sacco un’altra volta. Eppure sapevano entrambi che questa volta era diverso; non era più un giochetto o uno stupido braccio di ferro.
Senza quasi accorgersene il dottore si ritrovò chinò su di lui, incatenato dalle sue iridi scure, e sentiva distintamente il suo cuore pulsare attraverso il petto contro la propria mano. Provò il desiderio di afferrarlo per i capelli, tirargli la testa all’indietro, gridargli che era un pazzo incosciente e poi chiudergli la bocca con la propria baciandolo come aveva visto fare prima a quella ragazza. Si accorse che il detective aveva iniziato a respirare più velocemente e avvertì una delle sue mani sfiorargli un fianco, titubante, come se gli stesse chiedendo il permesso di toccarlo. I loro visi erano ormai tanto vicini da sfiorarsi e capì che erano vicini a un punto di non ritorno. Sarebbe bastato un soffio e sarebbero caduti entrambi, un solo centimetro in più…
Qualcuno bussò alla porta facendoli sussultare.
Holmes abbassò la mano e Watson si sollevò di scatto spezzando il contatto visivo.
- Avanti. -
Suonò autorevole, calmo. Soltanto il detective vi percepì una nota di stizza.
Un poliziotto comparve sulla porta rivolgendo loro un rigido cenno di saluto.
- L’ispettore Lestrade mi ha mandato a raccogliere la deposizione del Signor Holmes. -
- Ho quasi finito - rispose il dottore, tornando a dedicarsi alla ferita.
Bastò un ultimo punto, poi lo aiutò ad alzarsi per potergli fasciare il busto. Compì l’operazione in silenzio sforzandosi di non toccarlo un centimetro in più del necessario, gli occhi ben fissi al proprio lavoro.
- Se vuole iniziare sono già in grado di risponderle, agente - lo apostrofò Holmes con noncuranza, come se in quel momento non stesse fremendo ad ogni tocco del proprio collega.
- È necessario che mi seguiate in centrale, Signore - rispose quello, ignaro - non ci è permesso trattenerci in questo posto più dello stretto necessario ed i miei colleghi stanno finendo la perquisizione. -
- Immagino che Madame vi abbia messo in riga appena entrati - lo prese in giro il detective, ridacchiando nel vederlo irrigidirsi. - Non appena il mio socio avrà terminato sarò lieto di seguirvi. -
Lasciò che il dottore finisse di sistemare le bende poi scese dal letto e si riabbottonò la camicia ancora sporca di sangue. Il poliziotto sgranò gli occhi - Ma, Signor Holmes, non vorrete uscire in strada in questo modo! -
- Visto che è stato così gentile da chiedermelo, no, non penso uscirò in questo modo. Nell’altra stanza troverete la mia giacca e da qualche parte qui dovrebbe esserci ancora il soprabito… -
- Al momento non può entrare di là. Vado a prendergliela io, Signore. -
Uscì di fretta per tornare subito con la sua giacca. Lui si sistemò con calma, controllando di avere ancora la pipa e solo allora indossò il soprabito che Watson gli porgeva. Alla fine parve soddisfatto.
- Tres bien. Ci faccia strada, agente. -
Quasi due ore dopo, i due si trovarono finalmente fuori dalla centrale, di nuovo immersi nelle fredde strade londinesi.
Il poliziotto era stato oltremodo zelante e li aveva costretti a narrare la storia più volte e nei dettagli, a passare in rassegna ogni deduzione. Era stato solo grazie all’autorevolezza medica di Watson che l’agente si era infine convinto a lasciarli andare per non correre il rischio di vedere il suo testimone stramazzare a terra morto. La scenetta misero su tolse un po’ del broncio al detective e la successiva notizia, – scappata per caso da un tavolo vicino – che i gioielli delle vittime non erano stati trovati nella perquisizione lo ringalluzzì del tutto.
- Holmes, non mi dica che stiamo tornando al Club Flaubert! - sbottò Watson, esasperato, vedendolo imboccare senza esitazione la strada da cui erano arrivati.
- Mi pare logico, caro dottore: se la polizia non ha trovato nulla toccherà farlo a noi! - esclamò vispo - E poi, ho promesso a Madame che avrei risolto il caso entro stanotte. -
L’altro sospirò rassegnato.





   
 
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