Watson
rimase immobile, guardando
la porta chiudersi dietro il suo collega. Poi con un gemito frustrato
si
accasciò sul letto. Prese la testa fra le mani sforzandosi
con tutto se stesso
di pensare, di chiarire quella massa di emozioni che sentiva vorticare
dentro e
serrargli lo stomaco. Si sforzò di respirare in modo
regolare. Era chiaro che
l’intera situazione l’aveva esasperato e,
probabilmente, quel ba… quello che
aveva fatto Holmes era la cosa più logica. Forse era il
luogo ad averlo
suggestionato, non era stato nulla più che
un’azione di copertura, per quanto
scioccante. Ma perché non riusciva a convincersene del
tutto? ‘Perché, caro
John Watson’, disse la sua
coscienza ‘sai benissimo che
è andato
oltre la semplice farsa dell’occasione. Lui ti ha baciato. Ti
ha baciato
davvero, e tu lo sai. Tu hai risposto’. Scosse la
testa, scacciando
quell’insulsa vocina. Anche il solo pensiero di provar
qualcosa di più che
attaccamento da camerata per Holmes lo scuoteva profondamente. Era
pericoloso,
quasi quanto lo era il suo collega, era assurdo! Holmes era scostante,
trasandato, completamente privo di senso comune ed incapace di gestire
i
rapporti umani. Lo esasperava fino allo sfinimento e non sapeva far
altro che
cacciarsi nei guai in continuazione o distruggergli
l’appartamento. Però era
anche geniale, unico e, per qualche assurdo motivo, si fidava
ciecamente di lui
al punto da affidargli la propria vita. E c’era qualcosa nei
suoi occhi che
riusciva a smuoverlo ogni volta, per quanto assurda fosse la richiesta,
per
quanto improbabile, per quanto spericolata. Gli bastava guardarlo e,
presto o
tardi, lui cedeva. Inevitabilmente.
Si chiese se sarebbe successo
anche quella volta e un brivido gli corse lungo la schiena.
Poi udì dei rumori nel corridoio.
I suoi sensi di soldato presero il sopravvento. Distinse chiaramente i
passi di
due persone e li isolò in mezzo a tutti gli altri
provenienti dalle camere e
dal piano di sotto: quelli di una erano leggeri e aggraziati, quelli
dell’altra
più pesanti e cadenzati, per lui inconfondibili. Li
sentì avvicinarsi; una
porta si aprì e si chiuse dietro di loro.
D’istinto balzò in piedi, prendendo
la pistola pronto ad agire. Poi si bloccò.
Era davvero quello che voleva
fare, rispondere ancora una volta al piano di Holmes? Era ancora in
tempo per
prendere le sue cose e andarsene, mandarlo al diavolo per una volta,
dimostrargli che non poteva usarlo a suo piacimento. Se la sarebbe
cavata come
sempre, di certo aveva già calcolato tutto. Probabilmente
aveva anche un piano
di riserva. Per un attimo accarezzò davvero
l’idea: uscì in corridoio e si
incamminò verso la porta che dava all’uscita, come
per sfida.
Fece solo qualche passo. Poi
imprecò e tornò indietro.
Si maledì per la propria incapacità
di lasciarlo perdere. In ogni caso, decise, non gli avrebbe dato la
soddisfazione di vederlo cedere così palesemente, no,
nemmeno per sogno!
Avrebbe controllato cosa succedeva, proprio come previsto, ma sarebbe
intervenuto solo se ce ne fosse stato davvero bisogno. In alternativa
avrebbe
comunque fatto in tempo ad andarsene prima che lo vedesse.
Attento a non fare rumore, si
avvicinò alla porta. All’interno si udivano delle
voci sommesse.
Controllò il corridoio per essere
certo che non lo vedesse nessuno, ma stranamente sembrava deserto.
Tanto
meglio.
Ad uno sguardo attento, notò che
la porta in realtà non era stata chiusa, lo sembrava
soltanto: qualcosa aveva
bloccato il meccanismo per permettere di scostarla senza fare rumore:
di certo
opera di Holmes. Con cautela la tirò verso di sé
aprendone uno spiraglio. La
moquette rese lo spostamento perfettamente silenzioso.
Gettò una rapida occhiata alla
stanza: era elegante, dai colori caldi, con un grande letto poggiato
sulla
parete di fronte e poco più indietro, ai lati,
rispettivamente un enorme
paravento decorato ed un grande armadio a muro dal legno pregiato.
Holmes
sedeva sopra ad un baule ai piedi del letto rivolgendosi verso la
parete,
apparentemente parlando con nessuno.
- …e come Le ho detto, non sono
il tipo che accetta qualunque compromesso - stava finendo di dire, la
bocca
atteggiata a un lieve sorriso sornione.
Da dietro il paravento venne una
risata, musicale e delicata come Watson non ne aveva mai sentite.
- Non ne dubito Mr. Holmes -
disse soavemente la voce a cui apparteneva, e il dottore fu certo che
non
potesse appartenere che ad una creatura bellissima, la più
bella che riuscisse
a immaginare.
Una mano dalle dita affusolate
comparve appoggiandosi al legno decorato e una figura uscì
da dietro il
paravento, con un movimento simile ad un passo di danza. Watson
trattenne il
fiato: la fanciulla doveva avere poco più di
vent’anni ed era di una bellezza
incredibile, alta e flessuosa, dagli occhi color cielo e i capelli
biondi.
Pareva una di quelle visioni sacre usate per ritrarre la natura. Era di
una
sensualità particolare, quasi virginea eppure terribilmente
seducente ed
esperta.
In quel momento era vestita solo
con un bustino bianco, ricamato, lungo poco oltre i fianchi, da cui
spuntavano
un paio di piccoli fermagli a trattenere delle lunghe calze bianche che
coprivano
le gambe snelle fino ad un paio di stivaletti coi tacchi scuri. Era una
vista
che toglieva il fiato.
Avanzò lentamente verso il
detective, sorridendo di rimando - Tuttavia, vorrei che ascoltasse la
mia
proposta prima… -
Si fermò a pochi centimetri da
lui e solo allora Watson si accorse che non aveva più
addosso la giacca, che
giaceva abbandonata sul letto.
- La ascolto - mormorò lui
accattivante.
Lei si avvicinò ulteriormente
fino a scivolare sopra le sue ginocchia, sedendosi delicatamente.
- Vede, Mr. Holmes, io non sono
cattiva - disse piano e la sua voce risuono di un’innocenza
perfetta mentre con
le mani gli accarezzava lievemente il colletto della camicia - e vorrei
tanto
dimostrarglielo. Ha detto tante cose brutte su di me e questo
mio…fratello, ma
come vede in realtà siamo soli qui…soli Lei ed
io, proprio come dovremmo essere.
-
Le ultime parole si caricarono di
sensualità, mentre con le mani slacciava alcuni dei bottoni
della camicia per
sfiorare sotto e Watson vide distintamente il suo compagno sospirare e
appoggiarle le mani sui fianchi, accarezzandola fino alla schiena per
raggiungere i lacci del bustino. Lei gemette piano e prese a baciargli
il collo
facendogli spingere d’istinto la testa all’indietro
mentre la attirava
possessivamente a sé con un trasporto che il dottore non gli
aveva mai visto.
Si trovò improvvisamente con la
bocca completamente secca. In tutti quegli anni aveva imparato a
conoscere ogni
lato di Holmes, ma soltanto ora si rendeva conto di non averlo mai
visto in un
momento di intimità. Lo colpì
l’impressione netta di quanto potesse essere
appassionato, sensibile con quelle mani abituate di solito a maneggiare
armi o
strane sostanze chimiche e si ritrovò a rabbrividire
immaginando lo stesso
tocco sopra di sé. Deglutì a vuoto quando lei gli
prese le labbra, intrecciando
le dita fra i suoi capelli quando lui rispose con altrettanto
trasporto. Era
uno spettacolo da cui non
riusciva a
staccare lo sguardo ed una parte di lui provò una fitta
bruciante di gelosia al
pensiero che poco prima quella bocca era stata premuta contro la sua
con una
passione che lui aveva ricambiato. E poi respinto. L’ultimo,
involontario
pensiero gli strinse lo stomaco.
Era così preso da ciò che aveva
davanti che quasi gli sfuggì quando la porta
dell’armadio a muro iniziò ad
aprirsi. Fu un movimento fluido, privo di rumore, e da quello spiraglio
lentamente uscì una figura: un uomo, alto e muscoloso, dai
capelli castani e
gli occhi chiari come quelli della ragazza; indossava
un’inconfondibile abbigliamento
da mozzo. Era il fratello di Lady Isolde, Holmes aveva ragione!
Le luci soffuse si infransero con
uno scintillio sulla lama che impugnava. Teneva lo sguardo fisso verso
il
detective girato di schiena, preso dal bacio appassionato che aveva
ovviamente
l’unico scopo di bloccarlo in quella posizione.
L’istinto di Watson lo fece
quasi scattare, ma riuscì a trattenersi: nessuna aveva
l’udito più fine di
Holmes, doveva averlo percepito per forza. Per quanto silenzioso
rimaneva pur
sempre un marinaio, pesante e per nulla delicato. E il detective
percepiva
qualunque cosa. L’uomo avanzò ancora di qualche
passo, lento ma esperto, ed
iniziava ad essere pericolosamente vicino. Perché Holmes non
si muoveva? Era
davvero così coinvolto da aver perso la sua normale acutezza
dei sensi? Pochi
metri ancora e avrebbe rischiato di finire come le altre vittime.
- Avanti Holmes… - sussurrò
Watson a denti stretti sollevando lentamente la pistola.
L’uomo avanzò ancora di mezzo
metro.
- Avanti… -
E ancora.
- Si giri, perdio, so che l’ha
sentito… -
E ancora.
- Andiamo, non mi costringa ad
intervenire… -
Arrivò ai piedi del baule.
- Holmes, La prego… -
Poi l’uomo sollevò il pugnale.
- Holmes! -
Il grido infranse il silenzio
insieme al rumore della porta che si spalancava. Sparò senza
esitare un
istante.
Il detective, come fosse un
segnale, cinse con un braccio la ragazza e facendo leva sulle gambe si
lanciò a
terra. Il pugnale gli sfiorò la camicia per un soffio,
conficcandosi nel legno
mentre una pallottola colpiva di striscio la spalla che
l’aveva vibrato
strappando un grido al suo possessore. I due rotolarono a terra e Lady
Isolde
gridò divincolandosi dalla sua stretta. Holmes la
lasciò, ma fece appena in
tempo a balzare di nuovo all’indietro prima che un fendente
cercasse di
squarciargli il petto. La lama comparsa all’improvviso nelle
sue mani tagliò il
tessuto penetrando con la punta nella carne e subito un sottile rivolo
rosso
macchiò il bianco della camicia. Lei si lanciò in
avanti in un affondo pieno di
rabbia, ma stavolta il detective fu pronto ad afferrarle un polso
sbilanciandola in avanti per poi disarmarla. Le torse un braccio dietro
la
schiena spingendola a urlare di dolore e il fratello, distratto da quel
grido, ricevette
il calcio della pistola del dottore in piena fronte, cadendo a terra
come un
sacco di patate.
- Lavoro eccellente, vecchio mio
- disse Holmes, sorridendo soddisfatto.
- Non potrei dire lo stesso di
Lei. Si è quasi fatto ammazzare - lo prese in giro Watson,
ridendo.
- Era parte del piano, mi pare
ovvio… -
Non fece in tempo ad aggiungere
altro, perché un enorme trambusto riempì
l’edificio. Si udirono voci, grida e
un secondo dopo Lestrade irruppe con un gruppo di poliziotti a pistole
spianate,
invadendo la stanza.
- Oh, ecco qui il braccio armato
della legge. - commentò sarcastico il detective - Tempismo
perfetto come
sempre, Lestrade, abbiamo finito di metterli fuori gioco giusto ora -
- Holmes, farà bene a non fare il
furbo con me - abbaiò il poliziotto, deriso
nell’orgoglio - mi aveva promesso
l’assassino di XXX, che ci fa qui ferito e con una ragazza? -
- Le racconterò una storia,
ispettore. Anni fa vi era una famiglia di ricchi mercanti, la cui madre
aspettava una bambina. Un giorno, prima della sua nascita, il padre si
imbarcò
su alcune navi dirette in Francia per affari e non fece più
ritorno. Nel
frattempo, nacque una bambina bellissima, che la madre
allevò con gli agi e
l’istruzione del suo rango, aspettando ogni giorno di veder
tornare il marito
con altri soldi a sostenerle. Non tornò mai. Cadute in
disgrazia, la ragazza fu
raccolta e ospitata dalla proprietaria di questo Club, Madame Bovary,
colpita
dalla sua bellezza e dai modi acculturati, perfetti per questo posto.
La
ragazza smise di pensare alla famiglia perduta, finché un
giorno, qualche mese
fa, altre navi dalla Francia sbarcarono e lei incontrò una
persona che mai
avrebbe pensato di vedere: il suo fratellastro. A pochi istanti dalla
morte, il
padre gli aveva confessato di aver lasciato una famiglia a Londra,
certamente
bisognosa di mezzi e lui era tornato a cercarli. È stata la
sorte a
ricongiungerli. Nessuno di loro può permettersi di vivere
qui, ma, con
abbastanza soldi, in Francia avrebbero avuto
l’opportunità di rifarsi una vita
sotto un altro nome. Da qui il loro pian perverso. Lady Isolde, la
nostra
fanciulla, è colei che organizzava tutto: rivelava le
abitudini poco lecite dei
mariti alle rispettive mogli e per soldi si offriva di eliminarli.
L’assassino
vero e proprio, invece, è
lui, il
marinaio francese gentilmente rabbonito dal mio dottore. Una volta
uccise le
vittime, le ripulivano ed il corpo era abbandonato nel quartiere appena
vicino
a questo, dove potevano tranquillamente passare per furti con omicidio.
Ecco a
lei, dunque, questa storia di sofferenza, avidità e sangue. -
Lestrade l’aveva ascoltato
stupito insieme ai suoi uomini. Spostò più volte
lo sguardo da lui ai due
arrestati che ora indossavano un paio di manette di ordinanza, come
incerto se
credere ad ogni singola parola senza fiatare o se ribattere.
- Lei è certo di quello che dice,
Holmes? - chiese infine, titubante.
- In assoluto. Chieda a loro
stessi e troverà confermata la mia storia. Ancora una volta
ha risolto
brillantemente il caso e assicurato due pericolosi criminali alla
giustizia,
Lestrade. Congratulazioni! - ribatté quello con ironia.
- Sì, ma dove sono i gioielli delle
vittime? Senza di quelli non ci sono prove ad accusarli degli omicidi,
solo
un’accusa per aggressione nei vostri confronti -
- Eccellente constatazione,
ispettore, ammetto che la sua sagacia mi colpisce. I gioielli
appartenuti alle
vittime fanno parte del bottino, e come tali devono essere ancora in
questa
stanza insieme ai soldi ricevuti per gli omicidi. -
- Se quei gioielli ci sono li
troveremo. Uomini, frugate dappertutto! E portate in cella questi due -
I poliziotti fecero cenno alla
ragazza di seguirli, troppo abbagliati dalla sua bellezza per agire
rudemente,
mentre il fratello fu afferrato per le braccia senza troppe cerimonie e
spinto
verso l’uscita. Lui si ribellò, divincolandosi
come una belva e riuscendo a
liberarsi abbastanza da correre verso la sorella e afferrarle il viso
fra le
mani. ‘Non
lascerò che ti uccidano, mia luce. Dirò loro che
ti ho costretta a
farlo e tu potrai partire lo stesso!’
gridò in francese prima di essere
afferrato di nuovo dalle guardie e trascinato fuori. Lei lo
fissò, immobile,
mentre una lacrima le solcava la guancia. ‘Fratello
mio’ sussurrò solo.
Holmes spalancò gli occhi, come
se solo allora avesse davvero capito.
- Tu lo ami
- le disse, a sua
volta in francese, e lei lo guardò senza rispondere mentre
le guardie la
portavano via.
- Che ha detto? - chiese Lestrade
- Se è qualcosa di importante bisogna scriverla per il
tribunale. -
- Non era niente - rispose lui,
scuotendo la testa - …le ha solo detto addio -
Watson lo guardò, stupito di
quella delicatezza, ma lo sguardo che ricevette fu carico di
significato.
- Bene. Ora se non avete più
bisogno di noi… - iniziò di nuovo il detective,
ma un improvviso giramento di
testa lo costrinse a fermarsi. Il dottore fu subito al suo fianco per
sostenerlo, facendolo sedere sul letto. Solo allora
l’attenzione generale si
focalizzò sulla sua ferita che, pur poco profonda, si
stagliava evidente sopra
il petto appena sotto la camicia.
- Ha ripreso a sanguinare, devo
suturarla - osservò il medico, pensieroso.
- Ma potreste ancora servirmi per
mettere in luce i lati ancora oscuri del caso… - si
intromise l’ispettore,
preoccupato dei fascicoli di dati che avrebbe dovuto inserire prima di
poter
definitivamente archiviare il caso.
- Sono certo che Holmes sarà più
che disposto a raccontare tutto ad un suo collega tra poco, mi serve
giusto il
tempo di fermare il sangue e ricucire il taglio. Nella stanza di fronte
ho
parte della mia strumentazione, dovrebbe bastare a rimetterlo insieme
in un’ora
-
Il poliziotto annuì soddisfatto. -
Perfetto, allora vi farò mandare uno dei miei uomini quando
avremo finito di
perlustrare la stanza in cerca dei gioielli delle vittime. Potrete
raccontare
tutto a lui -
- Sempre troppo comprensivo,
ispettore Lestrade - bofonchiò il detective, prima che il
tentativo d’alzarsi
gli strappasse un’imprecazione di dolore. Ora che
l’effetto dell’adrenalina
stava svanendo, sentiva la ferita pulsare contro lo sterno e la testa
girarli
leggermente.
Watson lo aiutò a mettersi in
piedi passando un suo braccio attorno alle proprie spalle e cingendolo
alla
vita. Leggermente barcollanti si avviarono all’uscita, mentre
un gruppo di
poliziotti era impegnato a mettere sottosopra la camera.
Ringraziando che la loro stanza
fosse così vicina, Watson varcò la soglia e si
chiuse dietro la porta.
L’ambiente divenne improvvisamente silenzioso ed entrambi
tirarono un sospiro
di sollievo. Nonostante tutte le proteste, Holmes venne fatto sdraiare
sul
letto e fu costretto ad attendere pazientemente che l’altro
raggiungesse la
propria borsa e si sistemasse sul tavolino accanto a lui.
Lasciò che gli
aprisse del tutto la camicia e che tamponasse il sangue con una parte
del
lenzuolo.
- Lady Isolde sapeva dove mirare
- commentò osservando la ferita. – E aveva
nascosto il coltello nello
stivaletto! Pericolosa anche in
lingerie. Mi viene in mente solo un’altra donna da cui mi
sarei aspettato una
cosa del genere… -
- Irene Adler - completò lui, con
un mezzo ghigno. - Lo so. Una donna bellissima che cela armi ed
inganni. Mi ero
aspettato un trucchetto del genere. -
- E per fortuna
l’ha quasi evitato. La ragazza
aveva puntato alla gola. -
Prese alcuni strumenti dalla
borsa e li dispose sul tavolo. Poi estrasse una fiaschetta.
- Ne beva un po’ - ordinò,
porgendogliela - ma non la finisca. Impiegherò un attimo a
sterilizzare gli
strumenti e la dovrò ricucire. Farà un
po’ male. Ma d’altronde dovrebbe già
saperlo. -
Il detective obbedì, ingollando
un sorso generoso che gli bruciò fino in fondo alla gola,
facendolo tossire. -
Niente male dottore – esalò, riprendendo fiato -
sono contento di sapere che
sulle medicine non lesina. -
- Non la finisca, mi raccomando.
-
Holmes ridacchiò e bevve un altro
paio di sorsi prima di passargli di nuovo la fiaschetta. Avvertiva il
dolore
farsi pian piano meno acuto, mentre una piacevole sensazione di
leggerezza lo
invadeva allentando la tensione. Sussultò quando lo stesso
liquido ambrato
venne fanno scorrere lungo la ferita.
- Ah! Faccia piano, quella roba
brucia! -
- È normale che faccia così, la
smetta di fare la femminuccia -
- Avrei dovuto berne di più -
bofonchiò scontroso.
Watson afferrò un ago da sutura
sterilizzato e si apprestò ad iniziare il lavoro. Ricucire
gli strappi di
Holmes dopo le loro avventure era diventata quasi una routine, tanto
che
avrebbe affermato che nessuno conosceva il suo corpo meglio di lui. Ne
aveva
medicato praticamente ogni centimetro, steccato buona parte e ricucito
l’altra
metà. Una vicinanza che gli era sempre parsa normale, ma che
ora avvertiva con
un significato più profondo. Lui era l’unico che
conoscesse le sue vecchie
ferite e i suoi punti deboli, l’unico da cui il compagno si
lasciasse toccare,
non importa quanto grave fosse il danno. L’unico ad avere
accesso ad un pezzo
della sua anima, forse, dato che l’anima reca impressi tutti
i segni della
vita. Improvvisamente quel corpo solido ed ora leggermente pallido che
aveva
sotto di sé gli parve qualcosa di speciale, di perfetto, da
custodire ad ogni
costo.
L’altro parve percepire qualcosa
nella sua attesa, perché alzò lo sguardo, quello
sguardo così dannatamente
profondo e lo guardò. Per un lunghissimo istante si
fissarono e Watson si stupì
di quanti dettagli ora cogliesse nel suo viso: le ciocche che cadevano
spettinate sulla fronte, le pupille leggermente dilatate
dall’alcol, le guance
arrossate dal caldo, le labbra umide che appena si sfioravano.
Trasalì
riacquistando l’autocontrollo e distolse lo sguardo. Strinse
l’ago fra le dita.
- Farà un po’ male - disse solo.
- Ci son abituato. -
Strinse i denti quando l’ago
penetrò nella sua pelle per la prima volta, attraversando
gli strati separati
dalla lama per legarli di nuovo insieme. Era un lavoro lungo e di
precisione,
ma nessuno sarebbe stato in grado di farlo meglio di Watson. E lui non
l’avrebbe lasciato fare a nessun altro. C’era stato
un momento, prima, in cui
aveva visto qualcosa passare nei suoi occhi, una scintilla di un attimo,
ma
abbastanza perché la riconoscesse. Non aveva mai osato
sperarci e, in effetti,
era inutile farlo ora. Forse era stata la situazione o, forse, un
allucinazione
dovuta all’alcol.
- Aveva ragione lei, alla fine. -
disse sommessamente il dottore - Il fratello era nascosto nella camera
di Lady Isolde.
-
- È stata una deduzione
elementare - ribatté lui - non poteva che essere
così. -
L’altro rimase un po’ in
silenzio, come indeciso. Alla fine parlò.
- Lei sapeva che era lì. Sapeva
dove era nascosto. L’ha sentito muoversi e non ha fatto nulla
per impedirlo. -
- Cosa glielo fa credere, di
preciso? -
- Non si prenda gioco di me,
Holmes. La conosco da abbastanza tempo per sapere che i suoi sensi non
si
lasciano ottundere da una bella donna, a meno che non sia Irene Adler.
Lei era
pronto ad agire, ha evitato la coltellata con troppa prontezza per
convincermi
del contrario. Eppure ha atteso fino all’ultimo secondo, se
io non fossi
entrato forse ora non sarebbe qui a raccontarlo! Si può
sapere cosa aspettava?
-
- Mi pare evidente. Aspettavo
Lei, dottor Watson. -
Rispose così, semplicemente, e fu
come se un fulmine avesse attraversato la stanza.
Watson rimase incredulo, con
l’ago ancora in mano, incapace di muoversi. Una parte di
sé lo aveva sempre
saputo e l’altra lo stava odiando profondamente per averlo
messo nel sacco
un’altra volta. Eppure sapevano entrambi che questa volta era
diverso; non era
più un giochetto o uno stupido braccio di ferro.
Senza quasi accorgersene il
dottore si ritrovò chinò su di lui, incatenato
dalle sue iridi scure, e sentiva
distintamente il suo cuore pulsare attraverso il petto contro la
propria mano.
Provò il desiderio di afferrarlo per i capelli, tirargli la
testa all’indietro,
gridargli che era un pazzo incosciente e poi chiudergli la bocca con la
propria
baciandolo come aveva visto fare prima a quella ragazza. Si accorse che
il
detective aveva iniziato a respirare più velocemente e
avvertì una delle sue
mani sfiorargli un fianco, titubante, come se gli stesse chiedendo il
permesso
di toccarlo. I loro visi erano ormai tanto vicini da sfiorarsi e
capì che erano
vicini a un punto di non ritorno. Sarebbe bastato un soffio e sarebbero
caduti
entrambi, un solo centimetro in più…
Qualcuno bussò alla porta
facendoli sussultare.
Holmes abbassò la mano e Watson
si sollevò di scatto spezzando il contatto visivo.
- Avanti. -
Suonò autorevole, calmo. Soltanto
il detective vi percepì una nota di stizza.
Un poliziotto comparve sulla
porta rivolgendo loro un rigido cenno di saluto.
- L’ispettore Lestrade mi ha
mandato a raccogliere la deposizione del Signor Holmes. -
- Ho quasi finito - rispose il
dottore, tornando a dedicarsi alla ferita.
Bastò un ultimo punto, poi lo
aiutò ad alzarsi per potergli fasciare il busto.
Compì l’operazione in silenzio
sforzandosi di non toccarlo un centimetro in più del
necessario, gli occhi ben
fissi al proprio lavoro.
- Se vuole iniziare sono già in
grado di risponderle, agente - lo apostrofò Holmes con
noncuranza, come se in
quel momento non stesse fremendo ad ogni tocco del proprio collega.
- È necessario che mi seguiate in
centrale, Signore - rispose quello, ignaro - non ci è
permesso trattenerci in
questo posto più dello stretto necessario ed i miei colleghi
stanno finendo la
perquisizione. -
- Immagino che Madame vi abbia
messo in riga appena entrati - lo prese in giro il detective,
ridacchiando nel
vederlo irrigidirsi. - Non appena il mio socio avrà
terminato sarò lieto di
seguirvi. -
Lasciò che il dottore finisse di
sistemare le bende poi scese dal letto e si riabbottonò la
camicia ancora
sporca di sangue. Il poliziotto sgranò gli occhi - Ma,
Signor Holmes, non
vorrete uscire in strada in questo modo! -
- Visto che è stato così gentile
da chiedermelo, no, non penso uscirò in questo modo.
Nell’altra stanza
troverete la mia giacca e da qualche parte qui dovrebbe esserci ancora
il
soprabito… -
- Al momento non può entrare di
là. Vado a prendergliela io, Signore. -
Uscì di fretta per tornare subito
con la sua giacca. Lui si sistemò con calma, controllando di
avere ancora la
pipa e solo allora indossò il soprabito che Watson gli
porgeva. Alla fine parve
soddisfatto.
- Tres bien. Ci faccia strada,
agente. -
Quasi due ore dopo, i due si
trovarono finalmente fuori dalla centrale, di nuovo immersi nelle
fredde strade
londinesi.
Il poliziotto era stato oltremodo
zelante e li aveva costretti a narrare la storia più volte e
nei dettagli, a
passare in rassegna ogni deduzione. Era stato solo grazie
all’autorevolezza
medica di Watson che l’agente si era infine convinto a
lasciarli andare per non
correre il rischio di vedere il suo testimone stramazzare a terra
morto. La scenetta
misero su tolse un po’ del broncio al detective e la
successiva notizia, –
scappata per caso da un tavolo vicino – che i gioielli delle
vittime non erano
stati trovati nella perquisizione lo ringalluzzì del tutto.
- Holmes, non mi dica che stiamo
tornando al Club Flaubert! - sbottò Watson, esasperato,
vedendolo imboccare
senza esitazione la strada da cui erano arrivati.
- Mi pare logico, caro dottore:
se la polizia non ha trovato nulla toccherà farlo a noi! -
esclamò vispo - E
poi, ho promesso a Madame che avrei risolto il caso entro stanotte. -
L’altro sospirò rassegnato.