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Autore: lubitina    22/08/2012    3 recensioni
Due anime nate sotto stelle agli antipodi della Galassia trovano, come antidoto all'orrore della guerra, ciò che mai verrà distrutto: l'amore.
Siamo all'ultimo capitolo: "A brave new World"
Genere: Introspettivo, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'The Last Harvest'
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La speranza è un essere piumato
che si posa sull’anima,
canta melodie senza parole e non finisce mai.
La brezza ne diffonde l’armonia,
e solo una tempesta violentissima
potrebbe sconcertare l’uccellino
che ha consolato tanti.
L’ho ascoltato nella terra più fredda
e sui più strani mari.
Eppure neanche nella necessità
ha chiesto mai una briciola – a me.
Emily Dickinson




Non era mai stato un uomo poetico, né tantomeno aveva mai provato il bisogno di sentirsi dire qualcosa che fosse tale. Era cosciente della scorza dura, quasi una seconda corazza N7, che ricopriva la sua pelle,come un Turian; ed era per questo che era IL comandante, ed aveva, sotto il suo comando, il meglio che la galassia avesse da offrire. O quello che le era rimasto, da offrire, sfiancata da quella guerra voluta da un Dio crudele, un Dio inconcepibile.
La poesia. Quella era sempre mancata nella sua vita, fatta di battaglie e di durezza, di infantile menefreghismo misto ad un innato orgoglio marmoreo. Ricordare se stesso per le vie di New York, solo e abbandonato da tutti, non lo faceva star poi così male. C'era di peggio, c'è sempre di peggio: come morire in una culla criogenica in un pianeta creduto un mito, per esempio. O rimanere l'ultimo della propria razza, condannato a rimembrarla nella solitudine di uno scompartimento di una nave da guerra umana, avendo anche paura di toccare l'Eco della memoria della gente. Questo lo rendeva un inguaribile ottimista, sempre disposto ad aiutare dovunque ci fosse un pur pallido, lontano, barlume di speranza.
Tali spesso si chiedeva se, chissà, Shepard avesse mai riflettuto su se stesso, sul suo essere. Probabilmente no. Non lo interessava. Aveva dimenticato la sua anima in chissà che sudicio angolo di una metropoli sulla Terra, o chissà sul grilletto di quale arma sporca di sangue di Collettori o di liquido di raffreddamento di un Geth.
Tali lo osservava spesso. Lo aveva osservato mentre al centro dei suoi pensieri c'era Saren Arterius, lo Spettro rinnegato ma dalle buone intenzioni. Sotto l'ineluttabile volto del Turian si celava una tremenda paura, ma anche uno smisurato coraggio, tale da far sì che egli fosse in grado di buttarsi tra le braccia del nemico, credendo di poterlo distruggere dall'interno, di asservirlo, di creare una cooperazione pacifica. Era stato così ingenuo, però, nel credere di poter ingannare le Antiche Macchine, il frutto troppo maturo dello zietgeist di chissà quante specie nel corso dei miliardi di anni terrestri che la Via Lattea aveva. Chissà chi ne era l'iniziatore, di quel crudele ciclo.

Eppure, un giorno, sotto il Sole giallo,non ancora oscurato dalle enormi masse delle Antiche Macchine, su di un pianeta verde e blu, un uomo, di nome Vega, aveva aperto una porta; e dietro quella porta un altro uomo, con indosso la sua stessa uniforme, aveva speso le sue giornate di cattività scrivendo lettere in una lingua che il destinatario non avrebbe compreso. Un giorno, forse, o un altro giorno ancora, gliele avrebbe consegnate di persona, se l’avesse rivista.
La porta era stata aperta, e, mentre i raggi particellari, rossi come sangue, abbattevano le torri svettanti delle metropoli, una piccola speranza era stata restituita alla Galassia. Un uomo aveva finalmente riavuto la sua nave, la sua vita, la sua gioia, e la sua, piccola, celata, mai accettata, speranza di serenità. Ed era fuggito dal pianeta blu e verde, guardando l'agonia di chi non lo meritava. Di chi non aveva colpe.
Un ammiraglio umano, la barba lunga,candida, e lo sguardo fiero, aveva sorriso amaro alla notizia di quella fuga. La sua mano impugnava una penna d’altri tempi, contenente un inchiostro blu. Vergava parole su un foglio di carta, e pareva compiacersene. Un "bip" dal terminale aveva improvvisamente interrotto il flusso dei suoi pensieri. Eppure un’espressione confusa gli si era dipinta sul volto quando aveva letto la richiesta d’aiuto e il suo mittente: la leggendaria Flotta Migrante. Seppe immediatamente chi mandare.

Da un’altra parte della Galassia, lo sguardo luminoso nascosto da una maschera viola fisso su di una piccola stella arancione, un altro ammiraglio, una donna, sospirava, pensando a sua nipote.
La stessa donna ora sedeva vicino ad un terminale, su di una fregata umana chiamata Normandy, per merito di un Ammiraglio che non avrebbe mai visto di persona. Si chiamava Shala Raan.



LIARA T’SONI e TALI ZORAH VAS NEEMA


Liara T’soni era un’Asari. Aveva meno di cento anni terrestri, era così giovane..
Ed era una storica, un’archeologa. Sapeva molte cose, più di ogni altro, sugli antichi Prothean. Era una donna affascinante, che amava irretire e poi nascondersi dietro i suoi naturali occhi angelici. Sapeva sparare, sapeva uccidere con un dardo biotico. In realtà, però, la dottoressa T’soni era molte altre cose.
Era l’Ombra. Comprava, vendeva informazioni. Decretava la vita o la morte di chiunque, sparso nella Galassia. In ultima analisi, tutto ciò che di crittografato e di illegale giungeva alla Cittadella, che giaceva quieta nella nebulosa Horsehead, illuminata da quella pallida stellina a qualche unità astronomica, passava dalle sue morbide mani blu.
Aveva visto morire sua madre, un’antica e stimata Matriarca. Aveva visto la sua estrema debolezza, la sua sottomissione ad un nemico ancora sconosciuto, la sua dedizione alla causa di una creatura giovane come l’acqua. Che era un maledetto Turian.
E questo l’aveva sconvolta. Le lunghe notti insonni, passate sulla sua cuccetta sulla Normandy SR 1, guardando stelle lontane fuori da un oblò, le avevano fatto maturare una decisione. L’affetto, l’amore, l’amicizia, l’eroismo di quella piccola ciurma di compagni, erano passati in secondo piano: l’autoconservazione di sé, della lunghissima vita che ancora la aspettava, aveva avuto la meglio.
Del resto, poi, John Shepard era morto, e nulla lo avrebbe potuto far tornare in vita.
O almeno così pensava.
Aveva deciso di spendere i suoi giorni, almeno per ora, su Ilium, il pianeta gioiello, croce e delizia dei Terminus e delle Repubbliche Asari. E aveva imparato ad amare la sensazione di potenza e comando, di sentir fluire miriadi di informazioni nelle sue mani e nei suoi neuroni,incomparabile rispetto alla misera soddisfazione di stringere a sé un reperto vecchio di tanti, troppi millenni. La luce benevola del mattino di quel pianeta benediceva la sua vita.
Anche se lui era morto, e ora vagava nello spazio assieme ai cadaveri di umani innocenti, le cui medagliette scintillavano nella neve di un pianeta gelido.
Passarono i mesi, passarono gli anni. Ilium compié due intere rotazioni attorno a Tasale. Ci furono inverno,primavera,estate,autunno. Molte e-mail le giunsero,tramite extranet, dai suoi compagni di un tempo. Da Garrus Vakarian, che aveva scelto una vita d’eremitaggio a Omega. Da Ashley Williams, mai troppo amata, che rapidamente scalava la gerarchia militare nell’Alleanza. Dai sopravvissuti a quella catastrofe, da Joker e dalla Chakwas, arruolati in quel gruppo di terroristi intergalattici, Cerberus.
A nessuno rispose mai. Era un capitolo chiuso. La loro morte era imminente, la sua lontana. Si costrinse, con gli anni, ad ignorare, a dimenticare, le oscure promesse della Sovereign.
Un giorno era sdraiata sul suo letto, nel suo appartamento nel cuore della capitale, lasciando vagare i pensieri. E ricordò un libro, un libro che lui le consigliato. L’arte della guerra, si chiamava. Una piccola gemma nacque in lei, una lacrima scese sulla sua pelle blu. Il cuore prese a batterle forte, come non faceva da tanto, troppo tempo. Ricordi antichi e dolorosi si profilarono nella sua mente. Occhi azzurri che assaporano avidi parole, e voce tremante che leggeva. E una donna coperta da una malridotta tuta che ascoltava, le mani in grembo, sullo sfondo di un Nucleo azzurro d’Eezo.
Un lieve “bip” si levò dal suo factotum.
Tali Zorah nar Rayya si era ricordata di lei.




Pochi mesi dopo, Liara T'soni, invece, osservava lei bere lentamente, con una cannuccia, del brandy turian. Era insolito per lei vedere Tali comportarsi così, sempre educata e compunta, ligia al dovere ed altruista. Nella sua ottica, la Quarian si stava comportando in maniera tremendamente egoista, l'esatto opposto di come una "principessa",ormai orfana,come lei avrebbe dovuto essere.
-Liara...- sospirò la giovane dietro la sua maschera violacea, la voce tremolante per via dell'alcol.
-Dimmi Tali.
-Perchè sei venuta qui, a raccogliermi? Potevi lasciarmi stesa qui, sul bancone di questo bar. La tuta avrebbe riportato alla normalità i valori del mio sangue entro una notte terrestre.- lo disse guardando con estrema attenzione il contenuto della bottiglia che teneva stretta con le sue tre sottili dita guantate.
-Perchè sono tua amica, ed è arrivato il momento che tu ci dica, o mi dica, che cos'è che ti fa così male.- mormorò, un sorrisetto che le increspava le labbra blu chiaro.
Tali alzò lo sguardo. -Puoi vedere sotto la mia maschera?
-No, ma vorrei.
-Ecco. Il mio problema è..è..-e in quel momento la voce esotica della ragazza iniziò a vacillare rotta da un singhiozzo,- è che lui non vorrebbe.

Tali era tornata sulla Normandy da un paio di giorni terrestri, ritrovandovi Liara, Garrus, e un gelido ed elusivo John. Era rimasta chiusa nella sala macchina in compagnia solamente di Adams che,però, non aveva minimamente riconosciuto la ciarliera giovane descrittagli da Garrus Vakarian. Di indubbio talento,sì. Ma tremendamente silenziosa, dalla testa perennemente reclinata e le dita intrecciate tra loro.
Ora era un ammiraglio. Era succeduta al padre, e aveva accolto con onore le parole che Raan, Koris, e Xen le riservarono, eleggendola esempio di "qualità morali e combattive, chiaro talento nella tecnica, e 'parte di storia' della flotta nella sua lotta contro i Geth". Aveva di sicuro sentito le viscere ribollire, nell'ascoltare quel vano e falso discorso, mentre teneva il capo reclinato, al centro della piazza. E su di lei, sul suo collo piegato, pesava il macigno della responsabilità di avere diciassette milioni di vite nella sua piccola mano, dell'immane fatica che avrebbe dovuto fare per sistemare, almeno parzialmente, i danni arrecati alla flotta dal padre. Quella fu la volta in cui, di più, dimenticò di vivere per se stessa e non per l'Antenato. Ostentò forza e umiltà quel giorno, ma sentiva le lacrime scorrerle lungo le guance, grata alla maschera che la nascondeva.
Comunque sia, era tornata. E ciò era avvenuto perché il destino sa rendersi ineluttabile anche per i saggi Quarian.

-Liara, quando ho letto sul mio factotum che avremo dovuto incontrare una fregata dell'Alleanza, per discutere della nostra imminente guerra contro i Geth, ho sentito il cuore andare in pezzi. Totalmente in pezzi, più piccoli di una clip termica..
L'asari non riuscì a trattenere un sorriso.
-Quale altra fregata l'Alleanza manderebbe, se non la Normandy, con dentro il suo miglior comandante, primo Spettro umano, semi-sintetico, Shepard? Hackett non possiede nessuno di più affidabile, intelligente, pronto, sveglio, abile, temerario, e perfino colto. Ti ricordi, un anno fa, quando, pochi giorni prima di visitare il relitto di quel Razziatore, si era messo a leggermi quel classico umano antico, "L'arte della Guerra"? Ecco, sapevo che l'avrei incontrato di nuovo, e di nuovo, come su Haestrom, non sarei stata più me stessa, più una Quarian. Sarebbe stato di nuovo un lancio nel vuoto dell'Inferno che a lui piace tanto descrivere, quella specie di buco dentro al suo pianeta, sul cui fondo c'è la loro divinità maligna..
-Ehm, Tali, scusa se ti interrompo, ma Lucifero non è una divinità...-, L’Asari, rendendosi immediatamente conto di aver peccato di pedanteria, abbassò gli occhi, fissando il terreno e le sue mani blu.
-E' la stessa cosa, non credi?-, rispose, scuotendo la testa. Aggiunse poi, quasi sottovoce: - Almeno loro hanno qualcosa in cui credere, che non siano delle IV. Qualcosa che va oltre la nostra comprensione, e che non fa male come i Razziatori..

Ci fu un attimo di silenzio. Liara tolse la piccola mano della Quarian dalla bottiglia, e questa la lasciò cadere in grembo. Più la guardava, nonostante del suo viso potesse scrutare soltanto i suoi brillanti occhi, più notava la tremenda somiglianza che la sua razza aveva con gli Umani. Stesse gestualità, stesse proporzioni corporee. Avevano anche metodi d'accoppiamento identici, ed identico dimorfismo sessuale,analizzò. Inoltre, nonostante Sol fosse una nana gialla e Tikkun arancione, vedevano anche le stesse lunghezze d'onda. Era.. incredibile, dal suo punto di vista, come due specie sviluppatesi agli antipodi della galassia potessero essere così simili,quasi gemelle. L'unica differenza era nella chiralità degli aminoacidi..ma cosa di poco conto. Non si sarebbe stupita se avessero avuto Dna compatibile, escludendo il problema della proteine.
Entrambe erano state spinte, in epoche della loro storia, dalla sete della conoscenza e dalla brama di potere. Ciò per i Quarian aveva significato la rovina, la diaspora dal loro pianeta natale, cacciati da esseri senzienti creati a tavolino da loro stessi. E gli Umani? Beh, la loro smania di spadroneggiare li aveva condotti, con l'Ammiraglio Anderson, a far parte del Consiglio a solo pochi anni dal loro arrivo sulla Cittadella. La sua parte nazionalista Asari ardeva un poco, ma doveva riconoscere che lo stesso Shepard era, anche se umano, una creatura esemplare. Ed era tornato dai morti, cosa non da poco.
Solamente Tali conosceva il proprio viso, e solamente lei poteva sapere quanto assomigliasse a quello di Shepard.

-Liara.. io sono innamorata di lui. Nella nostra lingua non c'è un corrispettivo.. ma credo che questa sia la parola adatta. Lo sono da quando lo incontrai per la prima volta negli agglomerati, quando aveva saputo che una Quarian aveva la prova dell'alleanza di Saren con i Geth...
Liara rimase in silenzio. Lo sapeva da molto tempo. Lo aveva capito dai suoi sguardi fugaci e schivi, rivolti di nascosto a lui. Sguardi di un’innamorata che ancora non sapeva di esserlo.
-Tali, tu sei una ragazza meravigliosa, ma.. non credo che tra voi possa funzionare.

Lei, sentendosi dire ciò che già, in cuor suo, sapeva, proruppe in un pianto disperato. Liara, chiudendo gli occhi, si protese verso di lei e la abbracciò. Sentiva il corpo sottile tremare, per qualcosa che nemmeno lei, Liara, nonostante la sua lunga vita, aveva mai potuto provare. L'amore per le Asari non era un tale strazio: era,semmai,competizione.
Ma per i Quarian, così simili ai crudeli Umani, lo era.

Liara, poco dopo, riaccompagnò Tali, che ondeggiava da una parete all’altra, e singhiozzava, alla sua cuccetta sul Ponte 3. In silenzio, si diresse nel suo studio, e si sdraiò sul letto.
Pensò. C’è un amore grande in lei. Più grande di quanto io immaginassi. È qualcosa che la spinge,ogni giorno, ad andare avanti. E lei ancora non lo sa.
Poi, i grandi occhi azzurri che la guardavano e le braccia forti di Shepard che la stringevano, sopra il cadavere freddo della Matriarca Benezia, le offuscarono la mente, e una piccola lacrima le solcò il viso. La neve cadeva lenta, su quel remoto pianeta. Cadeva lenta anche in quel momento, mentre loro viaggiavano oltre la velocità della luce, nello spazio aperto ed oscuro.
Sarebbe caduta lenta per sempre, avrebbe ricoperto il corpo di sua madre e, in un altro lontanissimo pianeta, le piastrine argentee e i corpi di tutti gli altri morti della Normandy. Di tutti gli altri morti di tutto l’Universo.
C’era per loro, memoria?
Tali non aveva mai dimenticato,no. Non aveva tentato di nascondersi dietro a mille scartoffie, o di sobbarcarsi di lavoro: aveva accettato la morte. Ed era tornata da lui, a sua volta tornato dai Morti, quando su Haestrom, la sua mano l’aveva toccata. Ed anche ora era tornata da lui, dimenticando l’orrore dell’abbandono.
La gelosia aveva divorato l’anima di Liara T’soni, aveva marcito l’amore per le cose antiche della Galassia e per la Giustizia. L’aveva amareggiata, e rinchiusa davanti a un terminale su di un pianeta traboccante crudeltà. Ma le gelosia, lei, Tali,non sapeva cosa fosse.
La ammirava, ammise in silenzio. Ammirava la sua dedizione, la sua calma e pacata forza, nascosta da una tuta che le faceva da pelle.
Si alzò dal letto, e si avvicinò all’oblò della camera. Fuori, scorreva solo il nero, perché non si poteva vedere nulla, quando si correva più veloci della luce; la vita è strana e imprevedibile, pensò, per chi vive troppo poco.
E tutti coloro su quella nave sarebbero presto tornati all’Universo. Prima di lei. Perché lei sapeva, sì, lo sapeva, che i Razziatori l’avrebbero risparmiata.
Chiuse allora gli occhi violetti, e promise alla Dea di aiutare, in un modo o nell’altro, la Vita.



Salve! Ho leggermente modificato (2-12-2012) questo capitolo, allungandolo leggermente. Ho intenzione di farlo anche con gli altri, prima di proseguire con la storia. Baci, Lubitina :D
  
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