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Autore: darkronin    22/08/2012    3 recensioni
Sequel di "Il labirinto visto dal castello". Quindi è la mia prima -vera- fic su Labyrinth.
Sono passati esattamente dieci anni dall'avventura nell'Underground.
La vita di Sarah ha subito particolari cambiamenti ma ancora non le sono chiare molte delle cose occorse in passato, specialmente l'atteggiamento di Jareth.
Il decimo anniversario scivolerà via come una giornata tra tante o dobbiamo prepararci a una nuova avventura? Verranno chiariti i punti controversi e le incomprensioni?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tela di diamante'
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32. Il legame





Non voleva. Non voleva assolutamente lasciare che l'occhio le cadesse dove una strana gravità le stava attirando lo sguardo. La giacca aperta lasciava intravedere le clavicole sagomate sotto la linea sinuosa del collo. Si sentiva una maniaca. Deglutì a vuoto diverse volte prima di riuscire a spostare l'attenzione sui suoi occhi azzurri spaiati. Il suo sorrisetto divertito la irritò al punto da farle dimenticare ogni pulsione e ogni cosa gli avesse appena raccontato.
“Sarah...sii onesta una volta tanto...”
Se si fosse allungato di pochi centimetri avrebbe potuto baciarla con facilità. Ma evidentemente non era interessato, dato che rimaneva immobile in quella posizione senza abbassare lo sguardo o provare il minimo imbarazzo. “Riguardo cosa?” balbettò incerta, nel tentativo di guadagnare tempo
“Secondo te perché mi da così fastidio che tu parli del tuo ex? A parte perché assomiglia terribilmente a Rajeth” domandò in un soffio che sembrò insinuarlesi direttamente nell'orecchio. La vide sbiancare: evidentemente non si era resa conto della cosa. Nel sogno...sembrava davvero Rajeth. Ma doveva trattarsi di una sovrapposizione che aveva fatto il suo cervello “Sarah, Sarah...Tu non mi hai mai infastidito...” alzò una mano per zittire la sua protesta “...Se ti ho preso di mira, dieci anni fa, ho avuto le mie buone ragioni...” la stessa mano, già sospesa in aria, si allungò a sfiorarle la guancia “Possibile che tu non capisca? Ti ho sempre osservato. Solo l'ultimo anno mi è stato...impossibile...”
“Cos'è che non capisco?” borbottò lei, imbarazzata, cercando di fare la voce grossa
Jareth esitò “...Sai essere davvero crudele... vuoi costringermi a dirlo... non è abbastanza chiaro?”
“Cos'è che dovrebbe essere chiaro? Che ti diverti a prendermi in giro? Quello sì, è molto chiaro. Se non sei esplicito è perché quello che vuoi dire è una menzogna. E visto che qui le parole hanno il loro peso...” Le era tornata la grinta e pur di non lasciarsi ingannare era pronta a ferirlo.
Il biondo allungò la mano alla sua nuca e la afferrò saldamente, pur con dolcezza, costringendola a guardarlo negli occhi “E' perché mi vergogno, razza di stupida! Non è uno dei tuoi giochi da ragazzi...” Sospirò, cercando il coraggio per parlarle, prima di continuare “Quando, quella volta...dicesti che io non potevo nulla, su di te...” rantolò angosciato “Avevi ragione... è un dato di fatto. Ma... ti sei mai domandata perché tutto quello fosse vero?” chiese scrutandola “Perché, invece, tu avessi, eccome, potere su di me? Almeno...abbastanza da sconfiggermi? Hai mai pensato a cosa abbia voluto dire venire sconfitto?” Lei scosse la testa, improvvisamente cosciente di non aver mai valutato veramente a fondo quello che era accaduto quella volta. “Tu hai vinto semplicemente perché mi hai fatto capitolare in tutti i sensi. Non solo perché sei riuscita a riprenderti tuo fratello...Io...ero già...innamorato di te...” disse piano, quasi temesse di farle male con quella rivelazione “...ero già in tuo potere. Solo tu potevi decidere le sorti del gioco. Se mi avessi accettato, saremmo rimasti in parità. Invece...” sbuffò tirandosi rapidamente indietro e tornando a fronteggiarla, inginocchiato davanti a lei che, invece, restò praticamente distesa sotto la sua mancanza di peso “...Ti sono rimasto del tutto indifferente. Qualunque cosa avessi fatto tu non avresti mai ceduto... Non ti sei fatta abbindolare dalle mie lusinghe come qualunque altra donna. E questo, sinceramente, mi piace...”
“Quindi se mai cedessi non ti piacerei più?” domandò lei scettica, in un impeto di rabbia. Resasi conto dell'ambiguità delle parole usate, arrossì e chinò il capo.
Lui sembrò non notarlo e rispose alzando gli occhi alla chioma degli alberi mentre si sedeva “Non cambierebbe nulla... non credo che il carattere testardo svanirebbe così, per magia...” Tacque, immerso nei propri pensieri, non sapendo più come continuare. Sarah rimase interdetta dalla rassegnazione che sentiva increspargli la voce. “Dimmi, Sarah...” soffiò lui sempre guardando altrove, le braccia puntellate dietro la schiena “...Davvero non posso piacerti nemmeno un pochino? Mi detesti a questo punto? Eppure abbiamo già chiarito come io non abbia fatto altro che tentare, maldestramente, di assecondare i tuoi capricci. Non sei certo una persona facile e non credo che lusingarti sarebbe servito a nulla...” Quindi inclinò la testa di lato, guardandola da sopra la spalla “Giunti a destinazione, le nostre strade si divideranno per sempre...non ti importunerò più...”
Sarah dovette sbattere gli occhi un paio di volte prima di rendersi conto delle parole del biondo. Passarono diversi istanti in cui cercò di afferrare le sue parole. Improvvisamente la testa le si era svuotata e i suoni si erano fatti ovattati. Chiudere con Jareth per sempre. Era quello che aveva sempre desiderato. Allora perché si sentiva così in ansia?
“Io non ti detesto...” rantolò alla fine “Sei dispotico e tirannico, arrogante e presuntuoso, tagliente e crudele ma... ammetto che non sei cattivo...”
“Grazie dei complimenti...” ridacchiò lui senza perderla di vista: si contorceva le mani, agitata “Allora non sarà un problema... per quel poco di tempo che ci rimane ti chiedo di amarmi.” Sarah avvampò incerta sul significato da dare a quella parola. Ogni entusiasmo od imbarazzo si smorzò di colpo quando sentì il seguito “E' ciò che voglio in cambio per barattare il mio tempo col tuo...”
“Non ho ancora barattato nulla con te!” precisò subito lei, sulla difensiva, imbarazzata per aver creduto potesse far sul serio e offesa per la richiesta tanto meschina che la riduceva a mero oggetto “Volevo sapere il tuo prezzo ma non mi pare di essere già in debito...o sbaglio?”
“No, non sbagli...” sospirò lui. C'aveva provato. Lei si era fatta scaltra, non cascava più nei suoi giochi logici di parole “Ma se non mi detesti...” disse incalzandola a completare la frase “Non vedo quale possa essere il problema ad accontentarmi...”
“Io...io non sono sicura di saperlo...” ammise abbassando lo sguardo sulla casacca, prendendo a lisciarne nervosamente l'orlo. Non riusciva a mentire. Non con lui. Sì, gli piaceva, non poteva negarlo: gli piacevano i loro battibecchi, il suo modo di guardarla sprezzante che stimolava in lei la parte competitiva. Ma non voleva dargliela vinta. Non così.
“Davvero?” sibilò lui, per niente convinto “Non è, piuttosto, che non vuoi saperlo? Perché potrebbe mettere in crisi il tuo sistema di certezze?” Le sue parole la costrinsero ad alzare lo sguardo, ad affrontarlo “Tu hai paura di me” constatò “Non osi nemmeno pronunciare il mio nome... hai il terrore di poter dipendere da me... o semplicemente temi quello che può provocarti, pronunciarlo” le soffiò come all'orecchio, facendola sobbalzare e arrossire
“Cosa c'entra il discorso fatto finora con il tuo nome?” ringhiò lei, indietreggiando, nuovamente sulla difensiva.
“C'entra! Perché ciò che non ha nome non esiste e ciò che non esiste non ha nome. Finché riuscivi a evitare di chiamarmi per nome, voleva dire che io, per te, non esistevo. E quindi, non avevo alcuna importanza...alcun potere, su di te...Io ti ho sempre chiamato per nome, dimostrandoti la mia vulnerabilità. E nonostante tutto, hai infierito...”
“E quando mai le cose sarebbero cambiate...?” Domandò angosciata. Lui era ben attento a tutte le parole e, se lei aveva commesso una leggerezza simile, di certo non si era sbagliato. Lui era il suo specchio. E in quel momento si limitava a sorridere con tristezza.
“Mi correggo... non hai paura di me... hai paura di te stessa...” sciorinò con un sorriso sarcastico, superiore, piantando lo sguardo nel suo, evitando la domanda “Hai paura di amare e venire ferita Ancora. Soprattutto da me. Ma... mi sembrava di esser stato abbastanza chiaro... io ti voglio accanto a me. Sempre. E a meno che tu non mi odi a morte...” disse tirandosi in piedi “...per quello che è successo dieci anni fa... Parlando con franchezza, non vedo perché non potresti prendere in considerazione la mia proposta... anche indipendentemente dal mio pagamento. Quella era solo una scusa, un asso che mi riservavo di giocare quando avessi visto che non c'erano altre strade da percorrere per arrivare al tuo cuore.” disse tendendole la mano per aiutarla a rialzarsi.
Cosa voleva davvero? Tornare alla sua monotona quotidianità? A quel mondo che non aveva nessun brivido da offrirle, eccezion fatta quelli dolorosi?
“Perché tu menti...” disse di getto, quindi precisò, vedendo come lui continuasse a sogghignare, indagandola con quegli occhi così bizzarri “...non fai che ridere di me! Come posso crederti?” concluse accettando il suo aiuto, intontita da quel fiume di parole.
“Mia cara... uscirei dal ruolo del bel cattivo, se cominciassi a mostrarmi ferito, vulnerabile e ansioso.. non ti pare?” Sarah rimase interdetta e Jareth l'aiutò ad alzarsi. Tirò, volutamente, con troppa energia e lei inciampò e gli rovinò addosso. “La mia abilità è quella di sedurre, tentare...” le sue parole scivolarono veloci e invitanti all'orecchio. Ma immediatamente, come una doccia fredda che spegne i bollenti spiriti, lui si allontanò, anche se non fisicamente “E con te ho sempre fallito...” sussurrò contro il suo collo, vinto.
Sospirò, affranto, e il suo alito caldo la fece fremere, imbarazzata, quasi il suo cervello avesse frainteso la situazione “Mi arrendo, Sarah... Io ti libero... Va pure da Rajeth...” disse staccandosi da lei e ponendo, tra i loro corpi, mezzo metro di distanza, raccordato solo dalle sue braccia sulle spalle di lei. “Va da lui... Forse aveva ragione... E alla fine non importa chi vincerà...” Detto ciò si staccò definitivamente e le diede le spalle.
Sarah era inebetita. Finiva tutto così? Lui si arrendeva? Non...non lottava per conquistarla? Ma...che razza di atteggiamento da perdente era mai quello? Stupido re viziato! Non otteneva ciò che desiderava e metteva il broncio? Scappava con la coda tra le gambe? Ma che lottasse un pochino! Avrebbe volentieri pestato il suolo sotto gli stivali per il nervosismo dovuto da quel comportamento infantile. Ma subito le si gelò il sangue nelle vene.
Forse...aveva lottato! Lui era abituato ad avere tutto subito. E aveva perso tempo con lei. Troppo tempo... E lei cos'aveva fatto in tutta quella situazione? Aveva opposto un muro impenetrabile. Non aveva lasciato il minimo spiraglio. Era ovvio che si fosse arreso. Solo un masochista si sarebbe accanito...Perché era quello che voleva... che lui la seducesse totalmente, che continuassero quell'eterno inseguimento fino a cadere, entrambi esausti e consapevoli. Ma c'erano dei limiti. E le sue fantasie si infrangevano con la realtà dei diversi gradi di sopportazione.
Allora le arrivò il contraccolpo delle ultime parole del biondo. Lui aveva ceduto, si era arreso, aveva ceduto il passo a qualunque altro uomo si fosse fatto avanti per reclamarla, anche il suo stesso fratello. E la cosa implicava una più subdola accettazione di lei come una qualunque estranea. Lui non avrebbe mostrato segni di gelosia, non avrebbe cercato di difenderla.
Era sola.
Ancora.
La vista le si appannò, sentì il sangue pulsarle improvvisamente nelle orecchie e avvertì le lacrime pizzicare gli angoli degli occhi. “Non può finire tutto così...” alitò “Non può!” urlò trafiggendo la schiena dell'uomo che stava cominciando ad allontanarsi.
Jareth si fermò e si volse, lentamente e non completamente, a scrutarla. Sorrise mesto “Sì che può. Questa non è una delle tue storie, Sarah. E' la vita. E la vita non è fatta di continui colpi di scena, di finali rosei, programmati, in cui ogni tassello incastra al posto giusto. La vita è fatta di alti e bassi. Alcuni sembrano vette e altre voragini, rispetto ad altipiani e leggere depressioni. Prometto solo che non ti importunerò più, alla fine di tutto questo, se tu vorrai così...”
Vederlo così arrendevole era straziante. Non sembrava nemmeno lui. Dov'era il suo bel re arrogante, che arrivava, si prendeva quanto richiesto in un attimo di disattenzione ma non lo rendeva nemmeno dopo le più terribili prove? Dov'era l'uomo affascinante e conturbante dotato di una particolare magia?
Quello davanti a lei era solo un uomo. Un normale, comunissimo uomo. Di cui ne aveva visti a centinaia. E lei, unica cosa di cui fosse certa, in tutta la sua esistenza, non avrebbe mai voluto una persona del genere accanto, né come compagno di viaggio, né, tanto meno, come compagno di vita.
Lo raggiunse con un paio di falcate e il suo corpo agì prima ancora che lei potesse formulare un pensiero cosciente. Lo schiaffeggiò sul bel volto, ancora, sicura di destarne la rabbia, di farlo rinsavire. Ma lui incassò in silenzio e tenne la testa voltata. Non un accenno di rammarico o di collera. La coltre dei capelli dorati rendeva indecifrabile ogni espressione.
“Si può sapere cosa ti succede?” urlò afferrandolo per il bavero “Non sei tu, questo...” il suo sguardo percorse, disgustato, la figura vestita di pelle, da capo a piedi e poi ancore su, fino a piantarsi nel suo, sfuggente. “Ridammi il mio Jareth!” disse baciandolo aggressivamente, quasi a strapparlo dalle fauci dell'oblio con le proprie. Si sentì pervadere da un'ondata di calore. Sembrava quasi che qualcosa le si agitasse dentro e scivolasse da lei lasciandola stordita per il contraccolpo, dopo essersi infranta sulla battigia. Era questo quello che si provava a baciare qualcuno di cui si era perdutamente innamorati e di cui si temeva la perdita? Era mai stata presa da qualcuno allo stesso modo, al punto di arrivare a negare i propri sentimenti? E da avere la presunzione, nonostante non lo conoscesse affatto, di poter dire di amarlo? Non era una cotta momentanea, lo sapeva. Non le sarebbe andata via tanto facilmente. Ogni suo gesto aveva il potere di distruggere le sue sicurezze o di riempirla di soddisfazione per aver atteso le sue aspettative. Forse era semplicistico, perché non si era mai cimentata seriamente nella vita di coppia. Ma era abbastanza sicura che, eventualmente, lui potesse essere quello giusto per cui impegnarsi a limare il proprio carattere.
“E questo cosa sarebbe?” replicò lui staccandosi praticamente subito
“Non lo so...” ammise lei, frastornata e confusa dal proprio gesto istintivo “Un tentativo, forse...”
“Tentativo?” domandò lui inclinando la testa di lato, senza allontanarsi
“Di rompere il maleficio o qualunque cosa sia... nelle fiabe funziona...” rispose convinta ma con voce incerta. Non riusciva a capire se lui ne fosse stato infastidito, lusingato o cos'altro.
Scoppiò in una risata fragorosa e si portò una mano alla fronte, quasi potesse, in quel modo, trattenere l'ilarità “E a che pro? Ti ho appena detto che non siamo in una delle tue storie... nella vita non va tutto come ci si aspetta...”
Lei si zittì, delusa e imbarazzata “Riportarti da me. Ritrovare l'uomo...il mago...” si corresse svelta “...che mi desiderava così tanto da cercare di imbrogliarmi, rifilandomi i miei stessi sogni. Almeno ci ho provato...”
“Cosa te ne fai di uno del genere?” domandò ancora lui
“Nulla, a ben vedere... è solo che quella è la persona che mi piace e con cui voglio scontrarmi ancora...anche lo scontro è comunicazione...e non ne ho col fantoccio che ho davanti in questo momento...” disse, stizzita, indicandolo con un cenno della mano
“Ti piace? Non colgo il significato o il valore che potrebbe avere il suddetto fantoccio...” disse in tono sarcastico. Finalmente.
In un impeto di rabbia per la sua immensa stronzaggine, gli vomitò addosso tutto quello che pensava di lui “Sai com'è... quando la presenza di una persona affolla i tuoi sogni, diventando l'unica presenza sicura della tua vita nonostante non sia più ricomparso anche se veniva invocato spesso e volentieri, e improvvisamente si trasforma nell'ombra di se stesso, la cosa ti fa vagamente incazzare. Più di quanto non facesse la sua arroganza! Ma d'altronde, parafrasando un tuo pari Un disonesto puoi sempre confidare che sia disonesto. Onestamente è dagli onesti che devi guardarti, perché non puoi mai prevedere quando faranno qualcosa di incredibilmente stupido1.” Gesticolava fuori controllo, ormai a ruota libera
“Dunque...” la interruppe lui portandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio “Stai praticamente dicendo che da me ti aspetti qualche tiro mancino? Quanta poca fiducia...”
“Ho appena detto esattamente il contrario. Che ti conosco troppo bene perché tu mi dia a bere questa pagliacciata, di quello che batte in ritirata... Tu non sei uno che accetta facilmente le sconfitte!”
“Mmm” mugugnò lui portandosi un dito alle labbra, scrutandola attentamente “E quindi?”
“E quindi niente: piantala di fare lo scemo!”
“Altrimenti?” chiese lui abbassandosi al suo livello facendosi sempre più vicino
“N..non....” non saprei. L'aveva messa con le spalle al muro un'altra volta “Non rispondo delle mie azioni” e delle mie parole.
“Interessante...” sghignazzò divertito sfiorandole le labbra con le sue “Molto...”
Sarah si lasciò vincere e lo baciò a sua volta, senza rabbia e con una strana emozione che le si agitava dentro, simile alla nostalgia.
Ma si separarono quasi subito, anche se per lo spazio di un soffio “Ammettilo...” Le suggerì lui, le pupille dilatate coperte dalle lunghe ciglia bionde
Lei deglutì a fatica. Si era resa conto di cosa stava combinando, se ne vergognava, avrebbe voluto poter tornare sui propri passi... ma non si mosse di un millimetro “Cosa?” riuscì a domandare alla fine
“Che ti faccio un certo effetto...”
Lei sbuffò e si allontanò definitivamente. Ma non troppo. Si mise solo alla giusta distanza per poterlo mettere a fuoco nella sua interezza “Sì. Tu hai potere su di me, più di quanto non vorrei ammettere...”
Jareth le sorrise compiaciuto e le strinse le mani “Hai lasciato che dettassi le regole del gioco, hai fatto quello che ti dicevo, anche se non sempre. Hai praticamente detto di amarmi. E mi temi... direi che il quadro è completo...” Disse guardandola dritto negli occhi.
Sarah sorrise, imbarazzata e mormorò qualcosa in assenso. Ormai l'aveva detto e lui non sembrava esserne infastidito. Stava già crogiolandosi in quella sensazione di accettazione quando lui concluse la frase, lasciandola pietrificata dalla sorpresa “Non è vero, Rajeth?”



Il libro si chiuse con uno scatto secco. Un sospiro scoraggiato accompagnò la deposizione del volume sulla pila di quelli già consultati. Il tintinnio degli occhiali sul pianale di fòrmica e lo scricchiolino metallico delle molle tese della poltrona ripiegate all'indietro seguirono il peso del corpo che vi si abbandonava esausto.
In tutti quei libri, recuperati il giorno prima in diverse biblioteche e librerie, non c'era traccia concreta a cui appigliarsi per riuscire a penetrare il mondo che Sarah aveva descritto.
Immanuel si alzò, stropicciandosi gli occhi affaticati e andando a servirsi di una cioccolata calda. L'inverno era alle porte anche se quel giorno, il giorno della partenza di Sarah per un luogo a lui sconosciuto, era decisamente soleggiato. Indugiò appena sul pensiero, augurandole una piacevole passeggiata. A conti fatti sarebbe rientrata relativamente presto.
Tornò al tavolo e studiò, dall'alto, le piccole colonne mozze di testi impilati gli uni sugli altri. Si appoggiò alla libreria alle sue spalle, appuntando lo sguardo sulla porta chiusa dello studio, sorseggiò la sua bevanda un paio di volte, quindi afferrò un nuovo libro e lo sfogliò rapidamente. In appendice, tra gli allegati, c'erano degli schemi riassuntivi. Si perse a guardarli, senza realmente studiarli. Finché la sua attenzione non fu risvegliata da un nome. Quello era il nome di suo padre, imprigionato nello schema di un albero genealogico. Accanto era segnalata la voce di una donna: Linda Grimm.
Il nome gli suonava stranamente familiare eppure non aveva mai avuto occasione di incontrare questa zia e ogni rara volta che aveva chiesto al padre informazioni in merito aveva visto erigersi un muro di doloroso silenzio.
Un campanello gli suonò alla vista di quel nome e cercò una nota esplicativa. Andò al computer e googlò il nome della donna: Linda Grimm, alias Linda William.
Se non era diventato improvvisamente deficiente, anche quel cognome gli suonava molto, troppo, familiare. Dirottò la ricerca affinché gli venissero mostrate le foto relative al nome.
Ed eccola finalmente comparire, in centinaia di ritagli di giornali, foto di rito, sul palcoscenico, sul monitor sfarfallante in dotazione dell'università. Non c'era possibilità di fraintendimento. Quella giovane così simile a Sarah, una Sarah con indosso vestiti e un trucco di un'altra generazione, ammantata di una patina d'altri tempi, era Linda Grimm in Williams.
Sua zia.
E madre di Sarah.
“La madre di Sarah?” biascicò cercando di afferrare un concetto facile, a portata di mano ma al contempo sfuggente. Erano cugini!
Possibile che suo padre non se ne fosse reso conto? O che avesse rimosso i ricordi legati alla sorella? La cosa non l'avrebbe sorpreso più di tanto. Ma... a pensarci bene... l'aveva mai incontrata, Sarah? Fece rapidamente mente locale e constatò come, il più delle volte, Toby fosse arrivato e tornato da solo, dopo scuola. Le volte che la ragazza l'aveva accompagnato, era sempre rimasta ad attenderlo nel parco antistante il centro, col caldo e col freddo, un libro sempre con sé per ingannare l'attesa. La ragazza col libro, avevano preso a chiamarla le portinaie pettegole. Ed era lì che si erano conosciuti, che avevano scoperto di avere appena cinque anni di differenza, dove era nata una timida simpatia, forse reciproca ma troncata sul nascere quando avevano scoperto di frequentare la stessa università, con ruoli invertiti, ai lati opposti della barricata. Cacciò il ricordo e tornò a pensare al padre. No, si disse, Fred Grimm non conosceva Sarah Williams e, quindi, non l'aveva ricondotta a sua sorella.
Guardò ancora, prima il libro poi il monitor, inebetito. Sarebbe stato così semplice ritrovarla, trent'anni prima, se solo avessero voluto e saputo dove guardare. E se avessero avuto gli strumenti giusti.
Linda era stata furba. Aveva lasciato la Germania ed era emigrata in quella stessa città dove lui aveva finito per andare a insegnare e dove anche suo padre l'aveva infine seguito, una volta rimasto vedovo. Si era data, senza riserve, alla sua passione, la recitazione e il balletto, attività, da quel che gli diceva suo padre, molto mal viste in una casa conservatrice come la loro, specialmente a quei tempi. Erano davvero dei conservatori: tramandavano le stesse storie, immutate nella forma e nel contenuto di generazione in generazione. Era una forma mentis che bevevano nel latte materno e che era difficile da estirpare.
Linda e Fred erano nati nei primi anni 40 in una Germania che già si accingeva a epurare se stessa e il mondo e a infilarsi nel lungo tunnel della Seconda Guerra Mondiale. I nonni, sospettando tempi difficili, si erano trasferiti preventivamente nei loro possedimenti inglesi, come molti altri connazionali, e da lì avevano continuato le loro attività antropologiche. Negli anni '60, in piena rivoluzione giovanile, Linda aveva esternato con violenza la propria opposizione alla struttura costrittiva che dominava la loro dinastia. A circa vent'anni lui era fidanzato e lei, forse ispirata al modello femminile indipendente che veniva proposto in quegli anni, non trovava nessuno da portare a casa. Era una zitella, con tutta l'ignominia che quell'appellativo, all'epoca, si portava appresso e si appiccicava sull'interessata e sulla sua famiglia. Fu così che, di lì a poco, Linda scappò di casa, portando con sé il libretto rosso con scritta oro, la sua coperta di Linus, unica traccia della sua famiglia di origine, e fece perdere le sue tracce.
Ricollegando tutti i dati in suo possesso, Immanuel riuscì a immaginare gli anni a seguire: la donna girovagò per una mezza dozzina d'anni e, alla fine, verso i trent'anni, anche lei era crollata sotto la scure dell'amore. O presunto tale, da quello che gli aveva confidato Sarah. Sposò un uomo buono che le diede una vita agiata e serena, un nuovo cognome, oltre alla possibilità di continuare a calcare le scene. Ma Linda era volubile di carattere e si stancava presto delle cose, del marito come della figlia. E come aveva abbandonato la sua famiglia di origine, abbandonò anche quella che aveva voluto mettere in piedi lei, vinta dalla passione, probabilmente momentanea anch'essa, per un collega.
Chiuse la finestra del motore di ricerca e tornò al suo muro di carta. Girò su se stessa una colonna di libri sbilenca e osservò i titoli sulle costine. Quindi passò a quella successiva: sotto il Dizionario Esoterico e sopra l'Enciclopedia del Piccolo Popolo2 stava il fascicoletto intitolato “Le giuste parole”. In quarta di copertina c'era scritto che si trattava di sortilegi quindi... perché non provare?
Immanuel aprì direttamente all'indice tematico e cercò la voce Re di Goblin, che rimandava all'omonimo Popolo. Lesse le righe relative agli incantesimi e si sorprese di come quelle parole gli suonassero stranamente familiari. Dove le aveva già sentite?
Sarah! Ancora lei, certo. Solo due giorni prima gli aveva rivelato tutta quella vicenda fantastica da manicomio. Le parole, che aveva letto nel suo libretto rosso, quello che doveva essere appartenuto a Linda, e che successivamente aveva riportato anche nella sua agendina nera, erano le medesime. Ne era certo. Richiamando a sé il racconto, decise di fare un tentativo. Se le sue supposizioni erano giuste, l'espediente avrebbe funzionato anche con lui.
“Desidero che i Goblin mi portino dove si trova Sarah, all'istante!”



1    Chi non riconosce le parole di Cap. Jack Sparrow de “I pirati dei Caraibi”?

2    Sono libri realmente esistenti: del primo ho solo delle fotocopie, fatte anni fa nella biblioteca universitaria (!) l'altro ce l'ho dai tempi delle medie, credo...cmq ha almeno 15 anni!


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Premetto che odio gli anglicismi, in particolar modo "googlare" =_=  e ho ritenuto opportuno doverlo utilizzare, tanto più che è un neologismo entrato di diritto nei dizionari, insieme all'obrobrioso "bloggare".
Vabbè...veniamo a noi: Ragazzi, siamo agli sgoccioli!
Spero di non essermi incasinata coi conti delle date di Linda. Il ragionamento è semplice: Sarah nell'86 aveva 16 anni. Quindi era nata nell'70. A quell'età Linda aveva circa 30 anni e quindi doveva essere nata negli anni 40 (decido io! PS: negli anni 50 si era Zitelle - quasi scacciate da tutta la società- se intorno ai VENTI anni non si era almeno Fidanzate - che non vuol dire impegnate... fate caso, la differenza c'è pure su Facebook: fidanzate vuol dire che entro un anno o due ci si sarebbe sposate e che, quindi, il moroso era andato a parlare coi genitori e si stavano organizzando le cose; impegnate è il passo subito prima che va dalla cotta allo stare assieme anche da dieci anni ma senza aver deciso di metter su famiglia)
Comunque, sottigliezze (per me non sono tali) linguistiche a parte... :D cosa avrà in mente il caro Jareth? Lo saprete solo tra una settimana (non è detto XD) vi preannuncio che il prossimo capitolo avrà rating ROSSO perché non si sa mai qual è il livello di sensibilità del singolo -siete avvisati-
Dopo di che :3 resterà l'ultimo e vi sarete liberati di me.
Bacioni a tutti!!!
   
 
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