God, I can't be forgiven for this sin
That I committed with these hands
(Moonlit
Bear,
Mothy)
Le
pietre inargentate dalla luna.
Le macchie scure, viola marrone
rosso, brillii metallici.
I suoi infidi artigli contratti
dall’ira, il sangue tra le dita.
Giù, giù, giù, fino a creare
un’altra
piccola macchia.
- Caino,
la voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!
– la voce
riecheggiò fino all’alto soffitto, mentre la sua
gola sembrava dilaniarsi e i
brandelli di carne volare fuori dalla sua bocca con il sangue.
- Caino, Caino, se sono Caino il
ladro è Abele: è stato il primo a peccare!
– picchiò i pugni feriti a terra.
Poi vennero i singulti, l’ardente
speranza che qualcuno venisse a fermarlo; Abramo, Gesù
Cristo, aveva bevuto
troppo per potersi permettere simili paragoni biblici.
- Che la tua verminosa marionetta
possa bere il veleno sulle tue labbra e insieme a te morire!
- Perché, odiosissimo cugino, non
torni all’Inferno a cui ti hanno strappato?
Sputò sul pavimento lercio, colpì i
bicchieri ai suoi piedi, asciugandosi il viso con una tovaglia sporca
di vino.
Lì soffocò gli ultimi accenni di pianto e paura
infantile, poi la lasciò cadere
in un mucchio opaco.
Afferrò la spada, posta sullo
scranno, mentre si avviava verso l’uscita buia.
Gli uomini sulle mura salutarono con
le armi sguainate l’uomo con la casacca blu e bianca.
Mary
corse nel salone in camicia da
notte, i lunghi capelli ramati che le ondeggiavano sulla schiena.
- Dov’è Wallace? Dov’è
finito? –
gridò ad alta voce, aggirandosi lungo il perimetro delle
pareti come uno
spettro, nella speranza che si fosse nascosto dietro gli arazzi, dove
la luce
della luna non arrivava.
Abbandonò la ricerca, dopo aver
scostato i pesanti tendaggi con frenesia.
E sempre frettolosa, nervosa, il
rosso labbro inferiore che tremava di paura, si mise a guardare il
festino a
terra: vino rosso, piccole macchie di sangue, la tovaglia
accartocciata, posate
e bicchieri sparpagliati ovunque.
- Allora, dov’è? – ripeté,
impaziente. Con l’alluce nudo colpì un coltello.
Si ferì.
- Vostra Maestà, vi siete fatta male!
– ricacciò indietro la dama sollecita.
- Sì! e con ciò? Ho fatto una
domanda. A tutti voi.
Il capo delle guardie si strinse
nelle spalle: - Wallace è uscito dalla porta Sud ore fa.
- Non l’avete fermato?
- No, Vostra Grazia. Non ci è stato
ordinato.
Se n’era andato, alla fine, se n’era
andato lo stesso; anche se gli aveva ordinato di non farlo, anche se
gli aveva
promesso di trovare una soluzione, un’assoluzione…
fece un mezzo sorriso.
- Uscite tutti, per favore.
- Vostra Grazia, io non credo…
- Per favore, uscite – implorò e li
congedò con un gesto stanco.
Voltando loro le spalle, attese
immobile che abbandonassero la sala.
Poi portò una mano alla testa, di
lato, affondando le corte unghie nel cuoio capelluto, trattenendo
gemito di
frustrazione, perché Wallace l’aveva abbandonata
prima ancora che potesse
salutarlo e trattenere nelle narici e nella memoria il suo profumo
freddo.
E contorse la bocca come una bambina
piangente.
- No, Wallace, non farlo, no, no…
***
-
Sta venendo da me – annunciò
Arthur, la testa rivolta verso la finestra.
Elizabeth sedeva nuda contro il
vetro, la sua bellezza asciutta e inquieta divinizzata dalla luce
fredda.
Uno scatto, un battito di ciglia
opalescenti: - Come fai a saperlo?
- Non attenderebbe mai più di quanto
non ha già fatto.
La Regina lo fissò con occhi brucianti.
– Raccontami cos’è accaduto in Scozia
– disse.
Arthur raccolse i pensieri.
- Conoscevo la casa di Wallace;
sapevo che aveva un orto sul retro e che nel muro c’era una
vecchia porticina
che dava direttamente sul fianco della montagna. Dissi a
metà del gruppo di
aggirare il paese, senza farsi notare, e di attendere con i cavalli
oltre
quella porticina.
Presi con me i restanti soldati e
forzai la serratura. La casa era vuota.
Uscimmo e trovammo il cardo, così
tenero e vulnerabile, proprio in mezzo alla terra nera… fu
così semplice
prenderlo, che non pensai a quanto potesse
essere vecchia quella porticina: in breve, fece un fracasso incredibile
perché
i cardini erano duri come pietre che scorrevano. Wallace era nella casa
affianco e prima che potessimo scappare ci raggiunse con un drappello
di
guardie.
Allora… ci gettammo letteralmente
fuori dalla porta, arrampicandoci sul monte, ma vidi che il contingente
che
doveva aspettarci non c’era, ancora. Sfoderai la spada, ma
loro avevano gli
archi e in un batter di ciglia gli uomini che avrebbero dovuto
ubbidirmi, ma
stavano fuggendo, caddero. Mio… cugino mi colpì
al ginocchio, come puoi vedere.
Mi sovrastò, deciso a strapparmi il cardo dalle mani e ad
uccidermi, ma ebbe la
malaugurata idea di insultarvi. Insultare voi! Come poté
osare, quel vigliacco,
insultare la mia Bess? E così lo colpii, volevo gettarlo
indietro ed essere io ad affondare
la spada fino all’elsa
nella sua pancia!
Impazzivo dal dolore, quando vidi che
aveva la freccia incoccata e puntata su di me… Dio, quanto
mi odiò in
quell’istante… arrivarono gli altri…
sir Henry si piazzò davanti a me, di
sua volontà, perché Wallace non
potesse colpirmi! In effetti, lo fece ruzzolare ancora più
in basso, sull’erba
viscida, ma lui desiderava troppo uccidermi, era la prima volta da
molto tempo
che mi aveva in suo potere, e dimenticò di essere in
precario equilibrio. Mi
sentii così… quando vidi la corda vibrare sotto
il braccio di Wallace ed ero su
un cavallo grigio ed Henry sussultò, guardai le sue mani
mentre lasciava andare
le redini e quasi cadeva di sella.
Lo afferrai e lo portai via. Wallace
non sbraitò più alcun ordine, né
tentò di uccidermi.
-
Era convinto di aver ucciso lord
Sidney.
Arthur annuì. – Sì e lo crede ancora.
- Pensi di ucciderlo veramente?
- Non è affar mio se mi sfida a
duello; anche se non ha infranto il giuramento, pur andandoci molto
vicino,
verrà pur sempre qui a Londra per uccidermi, non importa
quale sia la
motivazione. Io accetterò e ci batteremo… e Dio
solo sa chi tra noi vincerà.
Elizabeth strinse le labbra,
disapprovava quella linea di pensiero, ma lui non se ne curava.
In quel momento, non provava niente
tranne quando Elizabeth, disinvolta, piegava il corpo perlaceo per
prendere
un’arancia e la sbucciava con le mani, sbeffeggiando
l’etichetta cui avrebbe
dovuto sottostare.
- Arthur, sembrate molto… felice – lo
schernì.
- Felicissimo – con un sospiro
rimarcò la sua leggera delusione per il ritorno alla forma
di cortesia.
Elizabeth gli mandò un bacio,
ironica, accavallando le gambe.
- Come va il vostro ginocchio?
- Meglio – ripose Arthur, laconico.
- Meglio non è sano.
- No, non lo è, ma sto abbastanza
bene – scrollò le spalle.
La Regina gettò in un piatto vuoto le
bucce d’arancia e si sporse ancora in avanti per scegliere
qualcos’altro da
mangiare; nel contempo si asciugò il mento e il labbro
inferiore con il mento,
in un gesto innocente ma, in maniera da lei imprescindibile, sensuale.
- Se lo state facendo a bella posta
per me, sappiate che ci state riuscendo – gracchiò
Arthur.
Elizabeth gli rivolse un’occhiata
furbesca, infilandosi un bonbon in bocca.
***
Piangeva?
Perché piangeva?
Si asciugò gli occhi con la manica
dell’abito; avevano la stessa radice delle lacrime che gli
riempivano gli occhi
quand’era ancora un mocciosetto e qualcuno di più
forte di lui lo zittiva e lo
costringeva all’impotenza.
Auld Will doveva aver percepito la
tensione del suo padrone, perché il suo galoppo era
più rabbioso che mai;
quando fosse sorto il sole, l’avrebbe portato a riposare
nella macchia. Gli
batté una mano sul collo.
- Non vogliamo che i Sassenach ci
trovino, vero? – l’apostrofò.
– Ormai il confine sarà lontano.
Percorrere le strade ed i sentieri
che appartenevano a suo cugino gli diede un leggero brivido: era come
se il
calore della sua mano permeasse in quelle regioni, anzi,
nell’Inghilterra
tutta.
- Sei così piccola, sei così piccola
Mary… per questo non ti ho detto nulla: sarai anche una
grande Regina, ma ai
miei occhi sei ancora così vulnerabile che non posso farti
soffrire anzitempo…
Auld Will perse il ritmo, ma poi si
spinse in avanti con impeto ancora maggiore.
- Non posso…
***
Herbert
scoprì, con troppa ingenuità,
il fianco sinistro e Arthur, gli occhi aperti come quelli di un falco,
si
allungò in avanti, la punta della spada già
vicina al bersaglio.
Gli parve perfino di udire nelle
orecchie lo strappo, là in basso: aprì la mano e
la spada volò via, rimbalzando
rumorosamente sul selciato. Arthur vacillò,
guardò giù come se si aspettasse di
vedere i pantaloni lacerati, cadde sul ginocchio destro: non
osò piegare
l’altro. Posò i palmi a terra.
- Rivelate la verità a Wallace,
Arthur! – strepitò Elizabeth, dall’alto
balcone.
Lui chinò la testa, evitando
volutamente il suo sguardo ansioso e irato.
- No! Non lo farò! Preferisco morire per
mano sua che rimandarlo a casa… furioso… pronto a
tutto per spodestarvi e farvi
uccidere come una qualunque delinquente. Potrei accettarlo? No.
Guarirò –
strinse i denti, zoppicante, strappò l’arma dalle
mani di Herbert, che si
ritrasse.
- Ancora. Avanti, Herbert, ancora! –
si gettò su di lui.
- Ancora, ancora, ancora! – lo
costrinse a indietreggiare, trascinando la gamba come uno storpio.
- Vedete, Vostra Grazia? Ce la farò
comunque – esclamò, la punta della lama che
ondeggiava a pochi centimetri dalla
gola di Herbert, caduto supino. Aveva il volto pallido rivolto in alto,
dove
Elizabeth scosse la testa con un sospiro: - Qual è quella
follia che vi fa
comportare così?
***
-
Questo andrà bene
– il sarto annuì sbrigativamente, affannandosi per
togliergli di dosso il
modello.
- Sarà pronto in men
che non si dica, milord! Davvero un buon gusto, milord, non sono molti
i suoi
pari che si compiacciono di tali tinte e tali tessuti, ma
d’altronde voi siete
un intenditore, non è vero, milord?
- Smettetela, per
l’amor del Cielo! – ruggì Arthur,
agitandogli un pugno davanti al volto.
Il sarto scappò nel
retrobottega, accampando come scusa l’inettitudine
dell’apprendista, e lasciò
Arthur da solo con il proprio riflesso. Il riflesso di un cavaliere
distinto,
vestito con i colori dei Tudor, i lineamenti tanto alteri quanto
aristocratici.
***
Wallace
si spogliò e ripose gli abiti
sul ramo di un albero.
Auld Will, scuro nella macchia scura,
sbuffò e nitrì; il suo padrone si
chinò sul ruscello, massaggiandosi con vigore
le braccia striate di fango; poco dopo, gocciolante, condusse il
cavallo ad
abbeverarsi.
- Sì, direi che questo è un buon
posto per passare la notte… abbastanza isolato, davvero.
Stese una coperta nel punto in cui il
terreno era più regolare.
Era pronto ad addormentarsi, quando
il farsetto penzolante attrasse la sua attenzione.
- Ti mancherò, quando Arthur mi avrà
fatto a pezzetti? – commentò scherzosamente; il
suo sorriso, però, vacillava e
si disintegrò completamente quando mise mano alla spada per
riporla al suo
fianco.
- È
giusta quella guerra che scaturisce da una scelta obbligata.