Lega, il mattino, i
sogni alla realtà.
La luce del sole pizzicò i
suoi occhioni azzurri.
-
Doroty, la prego, mi lasci dormire ancora qualche
millennio.-
La sua stanza bianca, ora
che le tende non la preservavano nell’ombra, era luce.
-
Doroty, la prego.-
-
Immagino che se mi
chiamassi in quel modo sarei felice di lasciarla riposare, ma ritengo di aver comunque bisogno della sua attenzione. –
La ragazza si volse di
scatto spalancando gli occhi al mattino, teneva
stretta la coperta al petto e volgeva un timido sguardo verso l’estraneo.
- Quale motivo la porta a infiltrarsi nella mia stanza al volgere del giorno mio
ospite? -
- Volevo vederlo anch’io…-
- Cosa?-
- Il mattino.-
- E
non avrebbe potuto vederlo dalla sua stanza?-
- No.-
- Mi spiace.-
- Di cosa?-
- Che
nella sua stanza sia sempre notte.-
- No si sbaglia.-
Ora era confusa.
Dul la fissava come se non potesse distogliere lo
sguardo, lei vestita di leggera e candida seta non aveva
il coraggio di lasciar soli i suoi occhi vagare, non sapeva se li avrebbe
ritrovati.
-
Nella mia stanza è sempre giorno, è sempre notte. –
-
Non vedo come possa…-
-
Esattamente lei non
può vederlo.-
-
Mi scusi ma non
capisco. Si spieghi meglio.-
-
Il mattino unisce i
sogni alla realtà quando uno finisce e l’altro sta per cominciare. Un bimbo non
sa qual è la sottile distinzione che
divide le emozioni reali da quelle apparenti; un adulto, d’altro canto. ha smarrito il filo che le unisce.-
-
Il mattino, quindi,
divide il giorno dalla notte, eppure se non ci fosse questi non si incontrerebbero mai…-
-
Vedo che capisce.-
-
Adoro il mattino, pur
non vedendolo.-
-
Lei non può vedere il
mattino perché è nei suoi occhi.-
Silenzio.
Tacito
ragionare.
Silenzio.
-
Grazie per avermelo mostrato.-
riecheggiò con tono maschile.
-
Si figuri.-
Etere.
L’uomo
aprì la porta e la richiuse dietro di se.
Seduti alla tavola pranzavano in quieto accordo Ven e i suoi due ospiti. Ad est il piccolo Ludovico giocava
con la forchetta e le briciole del pane, di fronte a lei, invece, Dul portava alla bocca un pezzo di
carne irregolare.
-
È di vostro
gradimento?-
-
Sì -
Unisono.
-
Molto. -
Si distinse.
La
ragazza sorrise con leggerezza.
Come si può immaginare il
suo sorriso?
Ecco, non so.
Leggero e sorridente.
Etere.
-
Ne sono molto felice.
E le vostre stanze… parliamo delle vostre stanze, sono abbastanza accoglienti?-
-
Oh si, molto-
disse l’uomo volgendo lo sguardo.
-
Accoglienti e
signorili; vorrei porgerle i miei complimenti per l’eleganza. –
-
La ringrazio. –
-
Oh … non la sua…
quella delle stanze. –
Smarrimento.
-
Certo.-
-
Ma Dul come possono le
stanze essere eleganti non portando vestiti? –
-
Lu l’eleganza non è una virtù propria
dell’abbigliamento, ma riguarda la finezza esteriore, anche di un oggetto.-
Etere le sue parole
eleganti.
-
No, Ven , non devi spiegarmi io lo so
cosa è elegante.-
-
Non metto in dubbio, Lu, ma non ne conosci il significato.-
-
Ed è importante? –
-
Fondamentale!-
Si intromise l’uomo.
-
Abbastanza. -
risuono con leggerezza.
-
Anche se certe cose
non hanno un significato proprio, non hanno un solo significato o forse non ne
hanno neanche uno eppure non c’è da preoccuparsene.-
-
Ora non lo confonda
signorina Ven,
avventurandosi in discorsi che vanno oltre la sua comprensione.-
La giovane abbasso gli
occhi sulla tovaglia beige.
-
Mi scusi. –
-
Non ci sono
problemi.-
Fu la risposta autoritaria
dell’uomo .
Poi Ven voltò lo sguardo verso il piccolo e sussurrò:
-
Sai
lu cos’è
elegante? –
-
No. –
-
La luce verde nel
faro di sera. –
E abbozzo un sorriso dolce disegnandolo sulle labbra
come l’inizio di un capolavoro.
Il bimbo ridacchiò
divertito, poi Ven si voltò dalla parte opposta e lo
sguardo le scivolò lungo la tavola fino all’estremità, e lì risiedeva un
ricordo che non era etere, che non era
luce, che pesava un po’, che splendeva poco; un posto vuoto a capo tavola era un vuoto dentro la ragazza che solo il
coraggio sapeva nascondere e che l’orgoglio non aiutava a colmare.
Chissà come stava suo
padre?
Cosa importava come quel vecchio viveva i suoi giorni.
Chissà se rima e Nia se la passavano bene?
Non poteva che essere
così, in fondo.
Ven posò sulla tavola il tovagliolo preso dalle sue
gambe eleganti e si levò lentamente, salutò gli ospiti con un delineato inchino
e uscì dalla sala da pranzo, lasciando il suo posto vuoto, come per vendetta,
dirigendosi verso il posto che l’attenedeva da quando
per lei esisteva un posto.