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Autore: Mitike cugine    07/03/2007    0 recensioni
è un romanzo fatto di aria...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lega, il mattino, i sogni alla realtà

Lega, il mattino, i sogni alla realtà.

La luce del sole pizzicò i suoi occhioni azzurri.

-         Doroty, la prego, mi lasci dormire ancora qualche millennio.-

La sua stanza bianca, ora che le tende non la preservavano nell’ombra, era luce.

-         Doroty, la prego.-

-         Immagino che se mi chiamassi in quel modo sarei felice di lasciarla riposare, ma ritengo di aver comunque bisogno della sua attenzione. –

La ragazza si volse di scatto spalancando gli occhi al mattino, teneva stretta la coperta al petto e volgeva un timido sguardo verso l’estraneo.

- Quale motivo la porta a infiltrarsi nella mia stanza al volgere del giorno mio ospite? -

- Volevo vederlo anch’io…-

- Cosa?-

- Il mattino.-

- E non avrebbe potuto vederlo dalla sua stanza?-

- No.-

- Mi spiace.-

- Di cosa?-

- Che nella sua stanza sia sempre notte.-

- No si sbaglia.-

Ora era confusa.

Dul la fissava come se non potesse distogliere lo sguardo, lei vestita di leggera e candida seta non aveva il coraggio di lasciar soli i suoi occhi vagare, non sapeva se li avrebbe ritrovati.

-         Nella mia stanza è sempre giorno, è sempre notte. –

-         Non vedo come possa…-

-         Esattamente lei non può vederlo.-

-         Mi scusi ma non capisco. Si spieghi meglio.-

-         Il mattino unisce i sogni alla realtà quando uno finisce e l’altro sta per cominciare. Un bimbo non sa qual è  la sottile distinzione che divide le emozioni reali da quelle apparenti; un adulto, d’altro canto. ha smarrito il filo che le unisce.-

-         Il mattino, quindi, divide il giorno dalla notte, eppure se non ci fosse questi non si incontrerebbero mai…-

-         Vedo che capisce.-

-         Adoro il mattino, pur non vedendolo.-

-         Lei non può vedere il mattino perché è nei suoi occhi.-

Silenzio.

Tacito ragionare.

Silenzio.

- Grazie per avermelo mostrato.-

riecheggiò con tono maschile.

- Si figuri.-

Etere.

L’uomo aprì la porta e la richiuse dietro di se.

 

 Seduti alla tavola  pranzavano in quieto accordo Ven e i suoi due ospiti. Ad est il piccolo Ludovico giocava con la forchetta e le briciole del pane, di fronte a lei, invece, Dul portava alla bocca un pezzo di carne irregolare.

-         È di vostro gradimento?-

-         Sì -

Unisono.

-         Molto. -

Si distinse.

La ragazza sorrise con leggerezza.

Come si può immaginare il suo sorriso?

Ecco, non so.

Leggero e sorridente.

Etere.

-         Ne sono molto felice. E le vostre stanze… parliamo delle vostre stanze, sono abbastanza accoglienti?-

-         Oh si, molto-

disse l’uomo volgendo lo sguardo.

-         Accoglienti e signorili; vorrei porgerle i miei complimenti per l’eleganza. –

-         La ringrazio. –

-         Oh … non la sua… quella delle stanze. –

Smarrimento.

-         Certo.-

-         Ma Dul come possono le stanze essere eleganti non portando vestiti?

-         Lu l’eleganza non è una virtù propria dell’abbigliamento, ma riguarda la finezza esteriore, anche di un oggetto.-

Etere le sue parole eleganti.

-         No, Ven , non devi spiegarmi io lo so cosa è elegante.-

-         Non metto in dubbio, Lu, ma non ne conosci il significato.-

-         Ed è importante?

-         Fondamentale!-

Si intromise l’uomo.

-         Abbastanza. -

risuono con leggerezza.

-         Anche se certe cose non hanno un significato proprio, non hanno un solo significato o forse non ne hanno neanche uno eppure non c’è da preoccuparsene.-

-         Ora non lo confonda signorina Ven,  avventurandosi in discorsi che vanno oltre la sua comprensione.-

La giovane abbasso gli occhi  sulla tovaglia beige.

-         Mi scusi. –

-         Non ci sono problemi.-

Fu la risposta autoritaria dell’uomo .

Poi Ven  voltò lo sguardo verso il piccolo e sussurrò:

-         Sai lu cos’è elegante? –

-         No. –

-         La luce verde nel faro di sera. –

E abbozzo un sorriso dolce disegnandolo sulle labbra come l’inizio di un capolavoro.

Il bimbo ridacchiò divertito, poi Ven si voltò dalla parte opposta e lo sguardo le scivolò lungo la tavola fino all’estremità, e lì risiedeva un ricordo che  non era etere, che non era luce, che pesava un po’, che splendeva poco; un posto vuoto a capo tavola  era un vuoto dentro la ragazza che solo il coraggio sapeva nascondere e che l’orgoglio non aiutava a colmare.

Chissà come stava suo padre?

Cosa importava come quel vecchio viveva i suoi giorni.

Chissà se rima e Nia se la passavano bene?

Non poteva che essere così, in fondo.

Ven posò sulla tavola il tovagliolo preso dalle sue gambe eleganti e si levò lentamente, salutò gli ospiti con un delineato inchino e uscì dalla sala da pranzo, lasciando il suo posto vuoto, come per vendetta, dirigendosi verso il posto che l’attenedeva da quando per lei esisteva un posto.

 

  
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