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Autore: Distress_And_Coma    24/08/2012    1 recensioni
Miracle è la storia di un sogno. Sono quattro ragazze le protagoniste, e si chiamano Guren, Kaisui, _Hime_ e Yuri. Diventeranno delle famosissime star in tutto il mondo. Se volete sapere come va avanti io vi accompagno!
Disclaimer: I PERSONAGGI CHE PRENDONO PARTE A QUESTA STORIA, SEBBENE BASATI SU PERSONE REALI, NON ESISTONO.
Genere: Generale, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era rimasta basita.
Sul serio, era basita.
Non c'era combinazione di parole migliore per descrivere come si sentiva in quel momento.
La sua Sara le aveva praticamente detto che i suoi tanto amati Versailles avevano annunciato una pausa per dicembre.
Il dicembre era il mese del suo compleanno.
Controllò meglio sul sito ufficiale della sua band preferita, l'ultimo loro concerto era fissato per il venti di dicembre alla NHK Hall di Tokyo.
Controllò per scaramanzia anche il giorno di vendita dei biglietti per i fan oltreoceano.
Era già passato. Era tre giorni prima.
Che peccato, pensò. Avrebbe tanto voluto esserci, ma non avrebbe potuto.
E, oltretutto, il dicembre era anche il mese del natale.
Il Natale, con la lettera maiuscola, così le piaceva scriverlo.
Era quella la festa che tanto le piaceva, tra tutte le feste dell'anno.
Perchè poteva sentire quei canti che tanto le piacevano.
Ma il giorno di Natale 2012 i Versailles non sarebbero esistiti più.
E lei avrebbe pianto.
Si accorse che piangeva solo perchè una sua lacrima le aveva bagnato la maglietta.
Lei piangeva, e guardava il cielo fuori della sua grande finestra.
"Avrei tanto voluto passare un ultimo Natale con Voi..." si disse.
"Oh, Signore, vi prego siate buono con i Versailles, fate che abbiano il successo che si meritano, e fate che tornino insieme...
Vi auguro solo tanta fortuna.
E spero vivamente che non coviate odio gli uni per gli altri. "
Non aveva neanche mai potuto vederli. E ne era dispiaciuta. Molto.

Prevedeva che sarebbe stata molto male di lì a pochi giorni.
E sperava che le sue amiche, ovvero le ragazze che sentiva quasi tutti i giorni su facebook o su messenger, avessero potuto aiutarla.
O almeno, lei le sentiva come sue amiche.

E, infatti, fu così.
Quella mattina si era svegliata, era verso fine di agosto.
Si sentiva debole e calda.
Era ancora mattina presto, sua madre doveva ancora partire per lavoro.
Si sentì la fronte, era molto calda.
Poi si sentì il polso, ma aveva un tale mal di testa che non riusciva a prenderselo per sentire i suoi battiti.
Chiamò sua madre da sotto.
"Ehi, che ti è successo?!" era sempre così, sua madre, quando la figlia stava male.
"to...ae..." cercò di confabulare lei.
Non ricordava di aver mai avuto un mal di gola tanto forte.
"Cosa?? Non capisco. Comunque ho visto che stai male. Aspetta, prendo il termometro."
Dopo poco tornò con il termometro.
Segnava 37 e 4.
"Io ti lasco qualcosa da riscaldarti nel microonde. Ora devo andare. Papà è al lavoro. Ciao."
"...ao..." salutò lei.
Sembrava più un barrito che un saluto, ma comunque andava bene così.
L'orologio segnava le 5:30 del mattino.
Teneva sempre nota di che ora era, nel caso dovesse prendere una tachipirina.
Poi, forse troppo stanca, si addormentò.
Quando si risvegliò era quasi mezzogiorno, e lei aveva fame.
Riuscì a scendere al piano di sotto con non poca fatica, e trovò nel microonde delle cosce di pollo.
Sforzandosi molto, riuscì a riscaldarle e a portarle su, cercando di concentrarsi sul fatto che camminava e non era ancora giunta nel suo caldo letto.
Quando vi giunse, si tirò su alla bell'e meglio e si mangiò (con qualche barrito e qualche sputacchio qua e là) le sue due amate cosce.
Il corpo lo lasciò li, nel piatto.
Dovette fare il doppio della fatica per tornare sotto e mettere i resti di cibo nel frigo.
Si sedette a tavola e si sentì di nuovo la febbre, o perlomeno ci provò, ma dato che tremava decisamente troppo dovette rinviare il tentativo.
Il padre le aveva spiegato come vedere se una persona era ammalata o meno, dal tocco del polso.
Le disse: "Se è debole e veloce, allora hai la febbre; se invece è regolare allora sei sano come un pesce".
Era troppo svelto, quel suo piccolo polso carotideo.
Almeno il suo corpo le aveva permesso di arrivare alla confezione di paracetamolo, alias il bene che le premeva più della vita in quel momento, se in vita voleva restare.

Tornata nel suo caldo letto dopo aver preso il farmaco, si addormentò di nuovo.
Si svegliò la sera, sua madre era tornata, riusciva a distinguere dei rumori da sotto.
Se la trovò accanto dopo un po', che continuava a guardarla con sguardo critico.
"Hai ancora la febbre. Te la sei misurata?"
"No."
Miracolo!
Parlava, con qualche sforzo e tanto dolore, ma parlava.
"Ora la misuriamo. 39 e 2. Hm, non è tanto, ma è meglio se ti prendi una tachipirina. Aspettami qui."
"E dove cristo vuoi che vada? Sulla luna??"
Le era salita di nuovo, come temeva.
Sua madre un giorno che era malata le disse che la febbre si alza (o che comunque tende ad alzarsi) sempre verso sera, mentre all'alba si abbassa.
Mah, di sicuro era vera la prima parte.

La mattina dopo invece, stava ancora peggio.

Era come se fosse stata investita da uno schiacciasassi e buttata nell'acido.
Pensò alle sue amiche.
Valentina l'aveva conosciuta su quel sito in cui poteva pubblicare le sue storie sui musicisti giapponesi.
Quelli che, come i Gazette e i Versailles e i Malice Mizer, le piacevano tanto.
Dei Gazette amava le ballate, in particolare Cassis, Guren e Reila.
Ma le piaceva anche Miseinen.
Cassis era inglese, ne era sicura (per lei quella lingua aveva ben pochi segreti).
Guren era giapponese, e voleva dire "Loto Rosso".
Oh cielo, quanto amava quella parola.
Il loto rosso era il suo fiore preferito, dopo la rosa.
Di Cassis amava la melodia, il ritmo e il testo, cioè in pratica tutto.
Specie il ritornello, che le sue orecchie ritenevano così melodioso.
Reila, invece, a quanto sapeva dalla sua dolce Sara, l'aveva scritta Ruki, dopo che la sua ragazza si è suicidata buttandosi da un cornicione.
Ruki altrimenti detto "nano malefico", ma solo perchè era un nano, intendiamoci.
Le aveva anche detto che i motivi di quel suicidio non si sapevano, e a tutt'oggi non si sapranno mai, ma che Ruki ne soffrì molto.
E che Reila era il vero nome della sua ragazza.

Miseinen invece era un pezzo forte, e nella seconda parte era una ballata, e niente altro.
Anche Sofia l'aveva conosciuta su quel sito. Era una ragazzina molto dolce. Parlavano di tutto insieme, di animali, di fattorie, dei classici Disney. E del visual kei. Guren si era messa pure a piangere quando aveva scoperto che i "The Gazette" erano giapponesi e non americani. Perchè lei, sia chiaro, pensava che fossero americani fin da quando aveva sentito una canzone che al suo orecchio tanto allenato pareva inglese pronunciato male.
Con lei, anche se non si erano mai viste in faccia (in fondo si erano scambiate solo fotografie di loro stesse), aveva costruito un rapporto SENPAI-KOHAI.
E sembrava che alla piccola andasse bene.
A Sara parlava su facebook, invece.
Si sedette al computer, o forse è meglio dire si buttò sul computer.
Per fortuna quello là con il nuovo sistema operativo fece poche storie e si accese subito.
La ragazza con cui lei voleva parlare, era online.
"Sto male".
"Come stai male?" chiese lei.

"Sto male, ho la febbre. Se tra tre settimane non sono guarita, allora posso preoccuparmi?"
"Allora, ok. In quel caso dimmelo. Che vengo da te."
"Che??"
"Si, hai capito bene. Tanto l'indirizzo lo so già. Ora riposati, mangia riso in bianco e ti riprenderai. A meno che non sia qualcosa di serio."
"Ok. Allora tra tre settimane ti chiamo io se qualcosa peggiora. Per favore non dire nulla alla mia Kohai. Vorrei parlarle io di tutto il caos che ho dentro."
"Certo."



Quella sera...

Poteva suonare il suo pianoforte a coda per distrarsi, tutte le volte che voleva.
Così aprì la grande finestra della sala che dava sul giardino, si stirò le dita da brava pianista e le pose sulla tastiera .
E suonò.
E un suono incredibile colpì le sue orecchie.
Le sue dolci orecchie, che lei sapeva essere così affidabili.
Aveva sentito qualcosa che definire suono forse era un errore.
Arricciò il naso in una smorfia schifata.
Almeno la febbre era calata, se lei poteva fare una tale smorfietta.
Filò a prendere uno dei suoi diapason e una chiave quadrata.
Preferiva usare il metodo "a mano e orecchio", visto che, l'avesse mai accordato elettronicamente, il suono sarebbe risultato di bassa qualità.
Dopo un po', finito il lavoro di accordatura, iniziò a suonare il "Kanon in D Mayor".
Nutriva una profonda ammirazione per quella composizione.
Finchè si addormentò.

Quando si risvegliò, era nel suo letto, coperta e ancora febbricitante.
"Come stai?" una voce alla sua destra attirò la sua attenzione.
Si sentiva tappata e debole, ma quella voce la riconosceva.
Era suo fratello.
"Ho visto che ti avviavi in sala, e non ho saputo resistere."
Stava per mettersi a ridere?
"
Anche oggi mamma e papà sono al lavoro tutto il giorno. Siamo soli in casa. Appena ti sei seduta al piano ed hai iniziato a suonare il Canone mi sono nascosto dietro alla porta e ti ho ascoltata suonare. Sei stata brava, lo sei sempre stata."
Lei era la migliore. Avrebbe sempre faticato pur di esserlo, fino a morire.
Qui ci giuravano tutti quelli che la conoscevano.
"Grazie. Mi porti una tachipirina?" parlava a voce bassa, e non cantava per evitare di distruggere quel gioiello di cui i Kami l'avevano dotata.
"Certo."
Così lei prese la sua tachipirina.
E dormì di nuovo.

  
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