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Autore: ChiaKairi    24/08/2012    5 recensioni
Salve a tutti, questa non è la mia prima fanfiction, ma è la prima in assoluto che decido di postare.
Non voglio sprecare troppe parole, ma potrebbe esservi utile sapere che ogni luogo descritto è reale, infatti mi sono ispirata alla mia città di villeggiatura (le foto di mare che inserirò sono state scattate quasi tutte da me e vi aiuteranno ad entrare nella giusta atmosfera).
Questa è una storia di mare, di mistero, di amore e di libertà. E' una storia dove gli Occhi, sono i veri protagonisti.
"Conosci quel suono simile ad un tintinnio, che si percepisce in un posto molto silenzioso? Alcuni dicono che si tratta di una illusione-uditiva causata dalla non possibilità dell’orecchio umano di percepire vibrazioni al di sotto delle frequenze sensoriali. Questo, è completamente sbagliato. Quel tintinnio, copre qualcosa."
Buona lettura e spero di conoscere tante nuove, belle persone qui. :)
Enjoy!
Chiara
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  1. A Boy from the sea.
Corri.
Niente cuffie nelle orecchie oggi, solo tu e il fruscio delle onde.
Corri.
La sabbia è morbida sotto le scarpe, ci si affonda. Si fa più fatica ma non fa niente, passo dopo passo si proseguirà.
Corri, lo senti il vento? Ormai il sole non ti brucia più le spalle e la schiena, puoi correre in libertà.
Corri. Sarà la brezza a sostenerti. Tieni gli occhi chiusi ancora un po’. Il mare è calmo, le onde vanno e vengono lente, molto più lente dei battiti del tuo cuore, ma entrambi i ritmi sono regolari. Se ti concentri, li sincronizzi.
Dei gabbiani in alto. Non ti far distrarre.
Corri. Corri.
Una gamba dopo l’altra. Il corpo ormai va da solo, libera la mente. È così piacevole… C’è silenzio, la gente è lontana, i rumori sono lontani.
Riapri gli occhi ora. Sbatti le palpebre. È buio. Quando è diventato così buio? Il sole ormai è sprofondato nell’oceano da ore. Le uniche luci che si riflettono sull’acqua sono quelle delle stelle, e di una falce di luna sospesa in mezzo a lievi nuvole sottili. Scoppi di risa, bambini che giocano.
È tutto lontano, non ti interessa. Tu corri, corri e basta.
La giornata è stata pesante. Il sole ha bruciato. Era pieno di gente ovunque, cose da fare… Ora il sudore e il sale si sono asciugati. Ora l’aria è fresca e la spiaggia deserta. Ombrelloni chiusi, niente schiamazzi. C’è solo qualche pescatore su degli scogli neri in lontananza, se guardi verso le luci del molo. Una solitaria nave al largo. Gabbiani. Sciabordare della marea. Fruscii fra le palme.
Corri, una corsa regolare.
Finalmente.

Indossava ancora la canottiera rossa con scritto in lettere bianche ‘life guard-salvataggio’. Era l’unico lavoro che si era riuscito a procurare e gli andava più che bene. Passate le scottature dei primi giorni, non c’erano stati ulteriori intoppi, solo spiagge, ombrelloni da aprire e chiudere, sdraio da piazzare e mare da guardare. C’era poi da intrattenere i clienti, in particolare bambini, vecchiette e ragazzine.
Soprattutto ragazzine.
Non che gli dispiacesse. Il fatto è che erano davvero troppe. Lo guardavano continuamente, le più audaci tentavano di farselo amico e invitarlo fuori o a fare una nuotata, gli riserbavano sferzate di capelli e ampi sorrisi. Certe erano davvero belle.
Lui sorrideva a tutti, a volte accettava, altre declinava gentilmente. Doveva lavorare, il capo se la sarebbe presa con lui se lo vedeva bighellonare.
Le ragazze erano interessanti e le loro attenzioni lo lusingavano.
Le vecchiette erano formidabili. Erano molto più dirette e civettuole delle più giovani, lo facevano morire dalle risate. Gli davano pacche sulle spalle abbronzate, dicendo “ah, così un bel ragazzo, se solo avessi qualche anno di meno!”
“Non si preoccupi signora, lei è perfetta così com’è.” rispondeva lui, sempre con il sorriso sulle labbra.
Tutto sommato, la giornata passava velocemente.
Appariva come un ragazzo gentile e luminoso. I bambini gli chiedevano consigli e gli gironzolavano attorno, un po’ come le ragazze e le vecchiette.
La realtà, era che a Minho non importava molto. Parlava poco, non cercava mai nessuno, erano gli altri a venire da lui. Viveva solo in un piccolo appartamento vicino alla spiaggia. Non raccontava mai niente di sé a tutte quelle persone con cui aveva a che fare ogni giorno. Il suo vero io, la sua vera personalità, la conoscevano in pochi. Solo uno, in realtà.
Minho era anche quel ragazzo gentile e sorridente che conoscevano tutti. Ma di certo non era solo quello.
Preferiva la solitudine. Dopo una giornata passata tra il rumore e a luce, finiva per avere estremamente bisogno di stare con se stesso, magari nel silenzio.
Gli piaceva la musica, rock principalmente. A volte, a fine giornata, si infilava le cuffie e le scarpe da ginnastica e andava a correre. Ormai conosceva i posti meno frequentati, sapeva dove andare per stare da solo. Girovagava tra le viuzze più antiche della città. Evitava il centro, i negozi, le discoteche, i ristoranti sulla spiaggia. Prendeva una stradina tra un gruppo di scogli ed andava verso il mare, tra le file di ombrelloni chiusi, inosservato.
Quella era la parte della giornata che preferiva.
Era un ragazzo sano, fortunatamente, e allo sforzo fisico era abituato. Non era mai andato in palestra, ma il suo corpo era comunque tonico e allenato, slanciato e potente. Fin da piccolo amava correre, arrampicarsi, nuotare.
E così Minho correva lungo la spiaggia notturna, un semplice pasto nello stomaco e le ali ai piedi. Non era nemmeno passato in casa a prendere l’Ipod. Era stanco, accaldato, e voleva solo ritrovare la sua pace.
O avrebbe ricominciato a pensare. Ed era meglio di no.
Canticchiò fra sé e sé e alzò il capo verso il cielo pieno di stelle. La brezza sulla nuca era davvero piacevole. Aveva intenzione di proseguire ancora per un po’, mantenendo quell’andatura regolare e tranquilla, la più rilassante. Cominciava a sudare, ma ancora non si sentiva stanco.
Non si sarebbe fermato, se non avesse sentito quel rumore.
Un rumore che stonava con il fruscio delle palme e con il bubbolio sommesso delle onde sulla riva. Troppo vicino perché potesse provenire dalla città.
Minho aprì gli occhi e si guardò intorno, incuriosito. Rallentò un po’, non capì. Continuando a guardarsi intorno, riprese la sua corsa.
Forse era stato un gabbiano che frugava tra i sassi e la sabbia, sì eccolo lì.
Mentre aguzzava la vista, una strana macchia scura sulla riva però, attirò la sua attenzione. Era qualche metro più avanti, non riusciva a vedere bene. Le onde lente la bagnavano a intervalli regolari.
Il gabbiano volò via e la macchia si mosse, impercettibilmente, ma abbastanza perché Minho riuscisse a vederne meglio i contorni, nella penombra sotto la luna.
“Cosa…” mormorò nel buio. Il suo cervello ci mise qualche secondo a capire, ma appena lo fece, Minho inchiodò sul posto, spalancò i grandi occhi castani e poi si gettò in avanti.
 
Minho corse veloce come un gatto, balzando fra i cumoli di sabbia e pietre.
“Yah! Yah, mi senti?” gridò mentre si avvicinava. Con uno scivolone si piegò sulle ginocchia per esaminare il corpo che giaceva sulla riva, a pancia in giù.
Era esile e minuto, i capelli biondi che brillavano alla luce della fioca della luna. Indossava solo dei pantaloncini strappati e lisi, inzuppati di acqua di mare. Minho chiamò ancora, ma non ricevendo nessuna risposta, afferrò il corpo per le ascelle e lo portò più su, dove l’acqua non poteva più raggiungerli.
Era un bambino.
“Che ti è successo, dannazione…” sussurrò digrignando i denti mentre tentava di girarlo, in modo da poterlo guardare in viso.
E il corpo si mosse ancora. Delle mani gelide si aggrapparono ai suoi avambracci, lasciandolo sbigottito. Poi il bambino alzò il capo, e un’infinità di emozioni e pensieri attraversarono Minho in quell’unico secondo in cui i loro sguardi si incrociarono.
Inizialmente considerò l’ipotesi che fosse una femmina, perché a prima vista i suoi lineamenti e il suo viso gli apparvero troppo dolci e delicati per essere quelli di un maschio. Poi però riconsiderò il suo corpo, e le sue forme gli confermarono che doveva per forza trattarsi di un ragazzo.
Aprì la bocca per parlare, ma l’inquietudine lo sommerse: il bambino tremava violentemente, e aveva un’espressione feroce, quasi furente che gli storpiava il viso. I capelli zuppi gli si erano incollati alla fronte e gli gocciolavano sul volto.
Avrebbe voluto chiedergli se stava bene ma nessun suono uscì dalle sue labbra quando vide gli occhi del bambino. Questi, prima di un semplice nocciola chiaro, con un guizzo che illuminò la notte scura, divennero per un solo istante, color ghiaccio.
 E Minho gelò. Gelò fino al midollo, avvertì una fitta acuta in un punto indefinito del suo cervello, come se un pungiglione gli si fosse conficcato in profondità. Chiuse gli occhi ed emise un gemito strozzato, ritraendosi dalla presa del bambino. Cadde all’indietro sui sassi, ma non appena il contatto visivo con quegli occhi di ghiaccio si annullò, anche la puntura svanì, in un lampo, come se non fosse mai esistita.
Sbalordito, il ragazzo riaprì gli occhi con cautela, la bocca ancora spalancata in un gesto di stupore.
Il bambino biondo aveva lasciato ricadere il capo in avanti, mentre, dopo essersi messo carponi, tentava di alzarsi. Era evidente che la forza delle sue gambe e delle sue braccia non gli sarebbe bastata, quindi Minho si gettò verso di lui, d’istinto, per sostenerlo.
Senza mai alzare lo sguardo, il bambino si aggrappò nuovamente alle sue braccia. Minho gli guardò le mani. aveva dita lunghe e sottilissime, segnate da solchi profondi nella pelle, come se fosse stato in acqua per ore. Stavano per diventargli viola.
“Dio, che ti è successo?” riuscì finalmente ad esclamare. Il bambino continuò a tremare in maniera incontrollabile, solo un respiro affannoso e rantoli uscirono dalle sue labbra.
“Dove sono i tuoi, dove abiti? Come sei finito qui?” il ragazzino biondo alzò di nuovo lo sguardo e Minho ebbe l’istinto di ritrarsi di nuovo, ma i suoi occhi erano… normali. Scuri.
In pochi secondi, le palpebre del bambino si richiusero pesantemente e Minho sentì il peso del suo corpo tra le braccia.
Era svenuto. Minho lo sorresse, mentre si accovacciava sulla sabbia. Gli serviva un momento per riprendere fiato.
Si guardò attorno, in cerca di altre persone o di una borsa o… qualsiasi cosa che potesse dargli informazioni sul ragazzo. Non c’era nulla.
“Non è piovuto dal cielo”, sussurrò tra sé e sé. Allora guardò il mare. Non c’era stato nessun naufragio nelle vicinanze, ne era sicuro.
Assurdo.
Tornò a concentrarsi sul bambino. Lo teneva tra le braccia, il busto appoggiato sulle sue ginocchia. Osservandolo meglio, spalancò nuovamente gli occhi quando si rese conto di aver commesso un errore.
Non era affatto un bambino. Era giovane, molto, di sicuro più di lui, ma era comunque un ragazzo. Era troppo alto, i tratti troppo ben definiti, l’espressione troppo seria per essere un bambino.
Ora aveva il capo che penzolava all’indietro. Minho gli scostò una ciocca bionda dal viso e poggiò due dita sul suo collo per sentire le pulsazioni.
Regolari.
Forse era arrivato in tempo. Doveva assolutamente asciugarlo e portarlo al caldo.
Pensò di chiamare un’ambulanza e si tastò nelle tasche dei pantaloncini che indossava sopra al costume. Non aveva nulla con sé, a parte le chiavi di casa. Portarlo all’ospedale più vicino a piedi sarebbe stato troppo scomodo e non aveva i soldi per un taxi.
Stupido,si disse. Lui e la sua solita smania di isolarsi, gli stava bene. Imprecò e strinse la presa sul giovane. Il ragazzo non si mosse mentre lui si alzava e correva via, il ragazzino in braccio, seguendo le sue stesse orme sulla sabbia ma ripercorrendo la strada all’indietro molto più velocemente che all’andata.
Per fortuna è magro, pensò mentre poggiava i piedi con cautela sugli scogli scivolosi per uscire dalla spiaggia. Tornato in strada, si tuffò nelle viuzze del paese ignorando gli sguardi incuriositi di alcuni ragazzi mezzi ubriachi, finché non giunse al portoncino del suo palazzetto. Aveva i muscoli in fiamme e il fiato grosso.
Lottò per trovare le chiavi di casa nelle tasche dei pantaloni senza far cadere il ragazzo, poi, dopo esserselo issato nuovamente in spalla, aprì la porta con una spinta e finalmente entrò nel piccolo appartamento. Boccheggiando, adagiò il giovane sul divanetto del salotto. Accese tutte le luci e chiuse la porta.
Corse nella sua camera da letto e spalancò l’armadio, buttando per aria alcuni vestiti e scatoloni. Ne estrasse una coperta pesante, e tornò in salotto. La gettò sul ragazzino, avvolgendolo come meglio poteva, e iniziò a strofinargli le braccia e il busto. Continuò per parecchi minuti fino a quando i tremiti che lo scuotevano iniziarono a diminuire. A quel punto, ascoltando nuovamente le pulsazioni e il suo respiro farsi più regolare, si rilassò. Faceva abbastanza caldo in casa, non ci avrebbe messo molto a riscaldarsi. Le sue dita stavano già cominciando a tornare normali, anche se le sue labbra avevano ancora un colorito bluastro.
Quando l’aveva visto lì sulla riva aveva pensato al peggio, ma era ancora vivo. Era soltanto stato in acqua un po’ troppo. Sì, doveva essere così.
Si sedette al bordo del divano e si passò una mano fra i capelli madidi di sudore.
“Oddio.” Esalò.
E adesso?
Senza mai smettere di sfregare il ragazzo, si allungò verso il tavolino al centro della piccola stanza e afferrò il suo zaino. Ne estrasse un cellulare e lo accese. Impaziente, non appena prese la linea, scelse un numero tra la lista e chiamò.
Squillava.
Minho ringhiò quando dall’altra parte si attardavano a rispondere.
“E dai…”
“Ma ti ha dato di volta il cervello? Che cazzo fai, sei impazzito?”
“E’ un’emergenza.”
“Sono le due di notte Minho! Cazzo! ”
Già le due. Oops.
“Posso dormire almeno quelle poche notti in cui non devo lavorare?”
“Hai sentito che ti ho detto?”
“Non m’interessa! Tu sei pazzo, questa poi… l’ho sempre detto che…”
“Jonghyun, mi ascolti? Ti ho detto che è un’emergenza!”
Kim Jonghyun, era sempre stato così. Impulsivo, rumoroso, egocentrico. Una testa calda. Ma era il migliore amico di Minho, e forse l’unica persona al mondo che lo capiva veramente. E in assoluto l’unico di cui Minho si fidava.
Il ragazzo dall’altra parte della cornetta non ribatté e Minho proseguì.
“Ero a correre, ho trovato un ragazzino disteso sulla spiaggia… ancora non ci credo.”
“Prendeva il sole di notte?”
“No, non fare l’idiota per favore… è svenuto, non sono riuscito a capire da dove venisse. Sembra che sia stato in acqua parecchio.”
“Sei in ospedale?” chiese Jonghyun, la voce che si faceva meno impastata. Cominciava a svegliarsi.
“No… l’ho portato a casa mia.” Minho scoccò uno sguardo al ragazzo addormentato sul divano. “Non sembra così grave e…”
“Non avevi dietro la borsa.”
Già.
“Tu sei fuori.”
“Non so che fare. Secondo me sta già meglio ma… che faccio, aspetto che si sveglia?”
“Hai guardato se è ferito?”
Minho si diede un pugno sulla fronte. Con tutte quelle coperte non si era fermato a guardarlo per bene. Anche se non gli era sembrato che sanguinasse o robe simili, era meglio controllare. Lo scoprì per un attimo e sbirciò sotto le coperte.
Aveva qualche graffio e alcuni lividi ma si accertò che fossero superficiali. Avrebbe anche dovuto mettergli addosso qualcosa di pulito, quei pantaloncini erano ridotti male.
“Qualche graffio, non è niente.” Disse tenendo il telefono con la spalla.
“Choi Minho. Sei inaffidabile.”
“Kim Jonghyun, non è che tu sia il massimo riguardo ad affidabilità.” Un risolino.
“Yah! Lascialo riposare ancora un po’, quando vedi che si è ripreso fagli un bagno caldo. Si sveglierà e il mistero sarà risolto.”
“Ok.” Minho sospirò. “Spero non si arrabbi quando si sveglia.”
“Perché dovrebbe?” Minho si schiarì la voce, a disagio. Sì infatti, perché aveva come… timore del ragazzino? Era una cosa stupida.
“Niente, mi era sembrato arrabbiato ma era buio, non lo so.”
“Appena sai qualcosa, chiamami. Vengo domani mattina presto.”
“Grazie.”
“Bye.”  Jonghyun riattaccò.
Minho si ritrovò di nuovo solo. Anche se…
 Non del tutto.
C’era uno strano ragazzino biondo avvolto in una coperta nel bel mezzo di agosto che dormiva sul suo divano.
“Ottimo.”
Come se non avesse avuto già abbastanza problemi.

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Ok, finalmente ho compiuto il grande passo! Postato primo capitolo XD
Che dire, grazie a Rory per la sua collaborazione e il suo incoraggiamento.

A inizio capitolo una foto dal mare e il nostro bel protagonista :)
Che l'avventura abbia inizio!
Loove...
Chiara

 
  
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