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Autore: Alice Morgan    24/08/2012    2 recensioni
La diciassettenne Ariel Green non ha mai creduto di essere una ragazza normale. Perché Ariel, dopo la perdita del padre, è venuta in possesso di un potere terribile ed oscuro: percepire la morte imminente di chi le sta a fianco. Per le vie sporche e strette che si srotolano dal centro cittadino, negli ospedali e persino sui mezzi pubblici … ogni volta che qualcuno sta per morire, lei lo sente. E non può fare nulla per fermarlo. Fino a quando, un giorno, un terribile presentimento fa tremare ogni singola cellula del suo corpo e la lascia senza fiato. Per la prima volta la Morte non sembra cercare nessuno. Perché, questa volta, la Morte vuole lei.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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© 2012 Alice Morgan. Tutti i diritti riservati.

Capitolo 4 – prima parte
Lacrima dopo lacrima



 
Che, poi, non mi spiego perché se siamo creature a sangue caldo,
io senta dentro così tanto freddo.
Alice Morgan ©

 
 
 

«Una che?», domandò Ariel, mentre tentava invano di dare un significato alle parole del Genio. Ma quello stava fermo, gli occhi grigi spalancati e in preda ad un alternarsi confuso di emozioni.
«Oh, mio Dio», ripeté il ragazzo, ancora intrappolato in quell’assurdo stato di trance. Il suo volersi astenere dal parlare irritava Ariel oltre ogni dire. Le sembrava di rivivere uno di quegli incubi dove si cerca disperatamente aiuto, lo si chiede a chiunque, ma non lo si trova mai. Quella sensazione di perenne frustrazione e di impossibilità pareva volerla fare impazzire.
«Potresti piantarla, gentilmente, di fissarmi con quello sguardo da ebete?», domandò stizzita. «Inizio seriamente a pensare tu sia affetto da qualche strano disturbo mentale».
Mitch parve reagire al suo tono furioso e sbatté le palpebre, quasi si fosse risvegliato nel bel mezzo di un coma. Non ci impiegò molto a riprendere il controllo della situazione. «E tu potresti smettere di comportarti come un’isterica?», disse, più di una punta di ostilità nella voce. «Non so se l’hai notato, ma sto cercando di riflettere».
Ariel sembrò offendersi, ma non rispose, attendendo il momento in cui il ragazzo avesse deciso di confidarle cosa gli frullava per la testa.
Quello si guardava intorno spaesato, quasi fosse alla ricerca di parole impossibili da proferire, frasi per di più negate e mai dette, ma che ora avevano la necessità di farsi sentire.
Le sue dita affusolate si soffermarono svogliatamente sulla base del collo e ne sfiorarono le articolazioni in una carezza che pareva volergli trasmettere coraggio. «C’è una storia … una leggenda», iniziò il ragazzo, mentre con l’altra mano si massaggiava la base del naso. «È molto antica e, come tale, è possibile che nel corso degli anni sia stata mutata o compromessa … eppure tutti gli elementi combaciano alla perfezione».
«Mitch», fece Ariel. «Quale storia? Di cosa stai … ?».
«Una stirpe», la interruppe. «Narra di una stirpe dotata di un singolare potere. Un dono immenso e prezioso che si tramanda da generazione in generazione. Tale dono permette ai discendenti di percepire la morte imminente di chi gli sta attorno o, per meglio dire, fa in modo che essi possano captare quando la Morte è vicina. Si dice che dietro questa innata capacità si nasconda la magia di un clan segreto, i Red Rose. A quanto pare, furono loro a donare ad ogni discendente - gli eletti per l’appunto – questo potere».
«E perché l’avrebbero fatto?».
Mitch non rispose.
«Mitch?», lo chiamò quella. «Perché hanno fatto l’incantesimo sugli eletti?», insistette.
«Perché», disse lui, la voce leggermente tremante, «i discendenti sono anche gli unici esseri viventi adatti per diventare dei degni servitori della Morte. Da che si è creato l’Universo, la Morte è sempre alla ricerca di alleati che La possano aiutare nel suo compito».
Ariel lo fissava incredula non riuscendo a capacitarsi di ciò che le stava raccontando. Sono la discendente di una stirpe, realizzò.
«Compito degli eletti è appoggiare la Morte nella sua distruzione», spiegò Mitch.
«Non capisco», ammise la ragazza. «Io non ho mai fatto del male a nessuno e - accidenti! - quando cammino per strada sto persino attenta a non calpestare le formiche. Come faccio ad essere un’alleata della Morte se mi basta il solo pensiero di esserle vicina per farmi crollare nel panico?».
«È qui che interviene la magia dei Red Rose: ti impediscono di avvicinarti, così che la Morte … beh, non riesca a prenderti».
«Quando dici “prenderti” intendi dire …?».
Un piccolo brivido di terrore la fece sussultare. Improvvisamente le sembrava che la conversazione stesse prendendo una piega totalmente indesiderata: qualsiasi cosa il Genio avesse in mente di risponderle, lo sapeva, non sarebbe stata piacevole.
«Per adempire ai tuoi doveri di electa devi prima morire, Ariel», confessò il ragazzo con aria sinceramente dispiaciuta. «Da viva non servi a molto, alla Morte».
Questa volta toccò alla ragazza alzarsi dalla sedia. Picchiò forte i palmi sul piano del tavolo, mentre alcune scosse di panico le facevano tremare forte. La sedia su cui stava seduta cadde a terra con un tonfo. Gli occhi le pizzicavano forte e dovette impiegare tutta la sua forza di volontà per impedire alle lacrime di sgorgare come fiumi in piena. È così, dunque, pensò, sono condannata a diventare una sottospecie di schiava distruttrice.
«Come fai a sapere tutte queste cose?», riuscì a chiedere, mentre i singhiozzi che le rimbombavano nel petto le impedivano di respirare regolarmente.
«Temo dovrai ringraziare nuovamente il clan dei Red Rose per questo», affermò.
«Che intendi dire?».
«Il sangue che ti circola nelle vene ti permette di invocare i Geni senza per forza effettuare il rito di evocazione, Ariel. È da un bel po’ di tempo che la mia razza ha preso l’abitudine di proteggere voi eletti e questo grazie alle magie del clan: in qualche modo, sono riusciti a modificare il vostro sangue offrendo lui alcune proprietà che gli permettessero di svegliare i Geni. Quando ti sei ferita nelle Grotte, ho inconsciamente riconosciuto il tuo sangue. Per questo sei riuscita ad evocarmi, sebbene tu non fossi a conoscenza del rituale».
«Continuo a non capire a cosa serva tutto questo», sbottò la ragazza. «Quando morirò la Morte otterrà quello che vuole, no? Diventerò una sua serva!».
«Non esattamente», dichiarò Mitch. «Vedi, più l’eletto invecchia, più il suo “potenziale distruttivo” – chiamiamolo così – diminuisce».
«Quindi», lo interruppe Ariel, mentre una scintilla di speranza montava dentro di lei. «Se riesco a vivere, diciamo, abbastanza a lungo, non corro più  il rischio di venire ammazzata?».
«Sì, ma l’età è relativa: più il tuo potere è forte, più ci impiegherà a sfiorire».
«Beh, il mio non deve essere poi tanto potente», ribatté Ariel, convinta.
Il ragazzo inarcò le sopracciglia, un’espressione interrogativa stampata sul volto, mentre con gli occhi le chiedeva il perché di tanta sicurezza.
«Vedi», spiegò l’altra, «quando ti ho detto che scappavo, cinque minuti fa, non scherzavo. Ma prima di ritrovarmi a correre come una disperata per i boschi, sono passata a casa da un mio amico, Zac».
«Quello che cercavi prima?».
«Esatto! Ero convinta che la Morte volesse lui, eppure quando sono entrata in casa sua per controllare, Zac non c’era. In compenso, ho trovato un tizio vestito come te, che mi ha costretta a fuggire. Sai com’è», continuò, «l’istinto mi suggeriva non avesse buone intenzioni».
Una lampadina sembrò accendersi nella testa del ragazzo quando gli occhi gli si accesero di una sfolgorante luce verdognola. Il contrasto con il grigio era così intenso da togliere il fiato e Ariel dovette rendersi conto per l’ennesima volta di quanto il suo sguardo fosse capace di scuoterla dall’interno.«Ecco perché mi hai chiesto il perché volessi ucciderti! Pensavi fossi lo stesso che hai incontrato dal tuo amico».
La ragazza annuì. «Il mio potere non dev’essere un gran che, tutto sommato», ribadì. «Comincia già a fare cilecca».
«Temo di doverti contraddire».
«Come?».
«Il potere non sbaglia», affermò Mitch, il tono tanto lugubre e gelido da far venire i  brividi ad Ariel. «Mai», aggiunse, come specificando.
«Non è possibile», mormorò l’altra, mentre il sangue iniziava a congelarle nelle vene e uno spasmo di terrore la coglieva di sorpresa. «Zac non era in casa … non può essergli successo nulla …».
Le parole le uscivano a caso dalla bocca, senza che lei potesse fare nulla per fermarne la corrente. «Zac è vivo», disse, più per convincere se stessa, che per altro.
«Non ne dubito», rispose il Genio. «Ma il presentimento che hai avuto era reale e come tale non puoi dubitarne. Se l’istinto ti ha suggerito che il tuo amico era in pericolo, ci penserei due volte prima di affermare il contrario».
Mentre Mitch parlava, ogni parola pareva infliggere ad Ariel una coltellata al petto. La lasciavano esangue, mentre la consapevolezza di ciò che stava accadendo l’abbandonava ad uno stato di disperazione totale. Gli occhi ritornarono a pizzicarle con violenza, mentre le lacrime facevano a lotta per uscire. Una vocina nella sua testa le urlava di mantenere la calma, ma qualsivoglia tentativo di tranquillizzarsi eclissava d’innanzi alla certezza che, no, il suo potere non poteva fallire e che, sì, a Zac era capitato qualcosa di orribile. E io l’ho abbandonato.
Le gambe le cedettero e le ginocchia si abbatterono sul pavimento con un tonfo sordo e pesante. Il dolore fisico pareva insignificante, se confrontato alla ferita profonda che il senso di colpa stava andando incidendo nelle sue carni. Se gli è capitato qualcosa, io …
La sola idea che al suo migliore amico fosse stato fatto del male a causa sua, la uccideva e la lasciava immobile, con il tetro pensiero di aver commesso un errore terribile ed irreparabile.
«Alzati».
La voce di Mitch la fece sobbalzare. Avrebbe voluto tanto farlo, rimettersi in piedi ed affrontare la situazione, ma il pensiero di doverlo fare da sola e con un simile segreto alle spalle, non le permetteva di muovere un muscolo.
«Ariel, devi alzarti», ripeté il ragazzo.
Se solo avesse provato un briciolo delle emozioni che tormentavano lei in quel momento, ne sarebbe rimasto paralizzato, Ariel ne era sicura.
I nervi colti da spasmi feroci, provò a riprendere il controllo del suo corpo, ma proprio il cervello non glielo permetteva. O, forse, era il cuore il vero problema in quel momento, perché pareva essersi spaccato in due.
Le lacrime sciabordarono senza che nemmeno lei se ne accorgesse: presto si ritrovò il volto umidiccio e arrossato.
Mitch le si mise a fianco silenzioso e, con la stessa leggerezza di una piuma, le afferrò le mani, costringendola a voltarsi verso di lui. Quelle iridi così preziose parevano essere l’unica cosa capace di brillare davvero, in quella stanza. Ariel, per la prima volta, si decise a non distogliere lo sguardo, a fissare i propri occhi in quelli del Genio. In quel momento, erano i soli che non le permettessero di sentirsi persa.
Le braccia del ragazzo le scivolarono delicatamente attorno, accarezzando l’aria e producendone un breve mutamento. La circondarono, forti nel loro luccichio perlaceo, e la sollevarono. Mitch la tenne stretta a sé un momento, poi l’adagiò sul ripiano del tavolo. Ariel avrebbe voluto ribellarsi, dire lui di lasciarla da sola, di abbandonarla come lei aveva fatto con Zac, ma l’egoismo non le permetteva di pronunciar parola. Persino lei era abbastanza lucida da poter capire di aver bisogno di qualcuno, in quel momento. Isolarsi avrebbe soltanto peggiorato le cose.
I suoi occhi neri, ancora allacciati al grigio autunnale di quelli di Mitch, ne setacciarono le emozioni senza riuscirvi a decifrare nulla. Le mani che tremavano, chiuse le dita attorno alla veste scura del Genio, forse per cercare un appiglio per non cadere, forse perché doveva accertarsi della sua effettiva presenza - non lo seppe mai – e vi appoggiò la fronte, mentre la paura e la disperazione venivano travasate lacrima dopo lacrima.
Il corpo del ragazzo si irrigidì, sorpreso dall’improvviso contatto, ma non si scostò. D’altra parte, ad Ariel importava ben poco del disagio di lui, se questo significava poterla salvare da quello che sentiva.
I muscoli di Mitch si rilassarono, mentre la ragazza inzuppava la stoffa nera del suo abito di acqua calda e salata.
«Devi aiutarmi», singhiozzò infine, staccandosi da lui con un movimento debole e stanco, leggermente imbarazzata. «Ti prego».
Il barlume di un sorriso illuminò il Genio mentre chinava di lato il capo con un’ aria di finta nonchalance. Ariel si sorprese di come un tale e così semplice gesto potesse farlo apparire tanto umano – bagliori verdastri a parte.
 «Sono qui per questo», disse.
E le sue parole la pervasero, invadendo ogni singola cellula del suo corpo. Era come percepire un cambiamento nell’aria, solo che questa volta sembrava riguardare le viscere del suo corpo. Mitch non si era limitato ad acconsentire a una sua richiesta. No, aveva fatto molto di più.
Non si trattava di una promessa.
Aveva giurato.
«Dimmi cosa devo fare».

  
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