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Autore: ChiaKairi    25/08/2012    3 recensioni
Salve a tutti, questa non è la mia prima fanfiction, ma è la prima in assoluto che decido di postare.
Non voglio sprecare troppe parole, ma potrebbe esservi utile sapere che ogni luogo descritto è reale, infatti mi sono ispirata alla mia città di villeggiatura (le foto di mare che inserirò sono state scattate quasi tutte da me e vi aiuteranno ad entrare nella giusta atmosfera).
Questa è una storia di mare, di mistero, di amore e di libertà. E' una storia dove gli Occhi, sono i veri protagonisti.
"Conosci quel suono simile ad un tintinnio, che si percepisce in un posto molto silenzioso? Alcuni dicono che si tratta di una illusione-uditiva causata dalla non possibilità dell’orecchio umano di percepire vibrazioni al di sotto delle frequenze sensoriali. Questo, è completamente sbagliato. Quel tintinnio, copre qualcosa."
Buona lettura e spero di conoscere tante nuove, belle persone qui. :)
Enjoy!
Chiara
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. Today, take me with you


Attese qualche ora, ma il ragazzo non si mosse. Lo scoprì di minuto in minuto, mano a mano che la sua pelle riprendeva colore. Minho al solo pensiero di essere avvolto in quelle coperte con il caldo che faceva si sentiva soffocare. Gironzolò per casa inquieto, sentendosi impotente. Avere un estraneo addormentato in salotto lo destabilizzava. Era quasi mattino ormai. Guardò dalla finestra e vide i raggi del primo sole filtrare fra i rami delle palme.
Notte in bianco,pensò seccato. Tornò dal ragazzino e si inginocchiò a guardarlo in viso, il mento appoggiato agli avambracci incrociati sul divano.
“Da dove sei sbucato, eh? Bah.” Si rialzò e si decise. Forse un bagno caldo l’avrebbe davvero fatto svegliare più in fretta. Voleva solo capire chi era, così avrebbe potuto riportarlo a casa e tutto sarebbe tornato alla normalità.
Prese un paio di pantaloncini blu e una t-shirt a caso dal suo armadio e se li mise sotto braccio. Gli sarebbero stati larghi molto probabilmente, ma, oh  beh, quello era ciò che aveva.
Prese di nuovo in braccio il ragazzino e lo portò in bagno, accendendo la luce con una spallata. Anche tenere qualcuno in quel modo lo metteva a disagio, era una sensazione nuova per lui. Il giovane aveva un odore di sale e di mare. Lo spogliò di quello straccio che aveva e lo immerse nell’acqua calda della vasca, sollevato dal fatto che il sapone nascondesse il suo corpo.
Incredibile, il ragazzo non aveva fatto una piega e continuava a dormire tranquillo. Minho guardò il suo petto che si alzava ed abbassava, sentendo le palpebre pesanti per il sonno perso. Prese una spugna e gliela passò sulle braccia, impacciato.
“Sbrigati a svegliarti.” Gli disse, come se le sue parole potessero avere il ben che minimo effetto.
Gli pulì le spalle e i capelli dal sale e dalla sabbia, poi passò al viso. La sua mano si fermò a mezz’aria mentre scrutava alla luce i suoi lineamenti.
Ora che era addormentato, si erano distesi e rilassati completamente.
È bello.
Non poté fare a meno di pensarlo. Non aveva mai pensato niente del genere che riguardasse un ragazzo, ma davvero fu la prima cosa che gli venne in mente quando lo guardò. Aveva occhi a mandorla dalle lunghe ciglia, labbra sottili e rosee, naso arrotondato, una linea del mento molto dolce e un pomo d’Adamo appena abbozzato poco più sotto.
Minho deglutì. Si riscosse e gli passò velocemente la spugna sul viso, il più delicatamente possibile. Poi lo riprese in braccio, lo asciugò e lo portò sul suo letto nella stanza affianco. Mentre gli infilava i pantaloncini e la t-shirt grigia, guardò il suo corpo il meno possibile, ma non poté fare a meno di notare alcuni particolari: aveva il ventre piatto, e in generale era magro, ma non scheletrico, aveva un corpo sottile ma ben definito. La sua pelle era bianchissima, ma ora le sue labbra e le sue guance erano tornate ad essere di un bel rosa. Mentre gli allacciava i pantaloncini, notò le ossa sporgenti del bacino.
Si sbrigò a finire.
Sì, i vestiti gli erano decisamente larghi. Non aveva né la stazza né il fisico di Minho.
Il giovane sbuffò e tornò in salotto, deciso a togliersi da davanti quel viso inquietante. Sprofondò in una poltrona accanto al divano e chiuse gli occhi, gettando il capo all’indietro.
Sonno.
Era ancora troppo agitato per dormire. Gli faceva anche male la schiena, dopo averlo portato in braccio, svestito e rivestito per tutto quel tempo. E il giorno dopo doveva lavorare.
Imprecò di nuovo.
Impiegò le ore successive per lavarsi, fare colazione e riprendere le forze. Si era appena appisolato sul divano –o così gli sembrava-, quando un bussare familiare alla porta gli annunciò l’arrivo di Jonghyun. Fece una smorfia e guardò l’ora: erano già le otto.
Aprì la porta e tornò a sedersi, senza degnarlo di uno sguardo.
“Che faccia.” Commentò il giovane.
Jonghyun era l’esatto contrario di Minho.
Minho era alto? Jonghyun decisamente non lo era. Minho amava il silenzio e la tranquillità? Jonghyun portava sempre rumore, ilarità e disordine. Entrambi però avevano fisici muscolosi, Jonghyun perfino più di Minho perché andava in palestra. Era anche più abbronzato. Aveva degli occhi grandi ed espressivi che gli illuminavano il volto, la sua espressione era sempre arguta. I capelli corti e neri erano all’insù, lo facevano somigliare ad un porcospino.
Jonghyun viveva con la sorella poco lontano. Si conoscevano da quando erano bambini.
“Sicuro di non essere tu quello che ha appena rischiato di affogare?”
“Sonno.” Disse solo Minho, tornando al divano e chiudendo gli occhi.
“Su su su, non è il momento adesso, muoviti.” Lo prese per un braccio e lo trascinò in piedi, verso il corridoio.
“Jong…”
“Allora? E’ sveglio?” Minho fece un’altra smorfia. Diede uno strattone e si liberò dalla stretta di Jonghyun per condurlo in camera. Si appoggiò allo stipite della porta con le braccia incrociate e gli indicò il letto con un gesto del capo. Jonghyun osservò con degli enormi occhi da cucciolo spalancati, poi soffocò un risolino.
“Ma che gli hai messo.”
“Sono vestiti miei, che cosa dovevo mettergli?”
Minho cominciò a pentirsi di averlo chiamato. L’amico avanzò e si accovacciò ai piedi del letto, osservando.
“Sicuro che sia un maschio?”
“Direi di sì. L’ho lavato io, sai.”
“Uhhh…” lo canzonò Jonghyun riserbandogli un sorriso sghembo. Minho represse l’istinto di picchiarlo.
“Bellino però. Quanti anni avrà?”
“Non lo so… sedici?”
“Mmm…”
Jonghyun si rialzò e tornò dall’amico. Entrambi avevano gli occhi puntati sul ragazzo addormentato.
“Non ti ha detto niente quando lo hai trovato?”
Minho scosse il capo. Improvvisamente ricordò la strana sensazione di gelo che aveva provato non appena il giovane lo aveva toccato per la prima volta, e poi… quel guizzo nei suoi occhi, doveva esserselo immaginato.
“E non aveva niente con sé?”
“Niente di niente. Sembrava fosse uscito da una conchiglia, così, dal nulla, puf!” Minho si spostò dallo stipite e con passi lenti e strascicati tornò in salotto. Jonghyun ridacchiò del suo gesto stizzito.
“Raramente ti ho visto così, senza la situazione perfettamente sotto controllo. È divertente, sai?”
“Mi fa piacere.” Rispose Minho, lugubre. “Io devo andare al lavoro. Come faccio?” Jonghyun si accarezzò il mento, pensieroso.
“Strano che non si sia ancora svegliato. Comunque io oggi inizio alle sei.” Minho si voltò sospettoso.
“Rimarresti tu? Come mai questa generosità?”
“Ti vedo in difficoltà.” Un sorriso incredibilmente luminoso si aprì sul volto felino di Jonghyun.
“Farò in modo di tornare un po’ prima del solito allora.” Si decise Minho. Sarebbe stata dura convincere il capo, ma era l’unica soluzione. Sperava che il ragazzo si sarebbe svegliato prima del suo ritorno.
Raccolse lo zaino e si apprestò ad uscire.
“Grazie, ci vediamo dopo.” Jonghyun lo spinse fuori con delle sonore pacche sulle spalle.
“Goditela, baby! Cosa c’è in frigo?” …
 
Un altro sbadiglio.
Oggi se qualcuno affogasse sotto il mio naso, non me ne accorgerei.
Per fortuna il mare era ancora calmo. E il suo cellulare non aveva squillato. Non ancora.
“Tutto tace!” sospirò, dopo aver controllato il telefono per l’ennesima volta.
 
“Minho-oppa! Ti va un gelato?”
“Grazie Yuri, oggi non posso.” La ragazza sembrò contrariata. Si aggiustò il cappello di paglia e disse: “Oh, sarà per un’altra volta allora.”
“Certo.” Un ampio sorriso di Minho, e la ragazza arrossì e se ne andò tranquilla. Il giovane tornò a sistemare le sdraio e ad accumularle in ordine in un angolo della spiaggia.
“Minho-ssi! Fai tu il conto al signore?” il proprietario della spiaggia, da quando l’aveva trovato a pomiciare con una ragazza, non lo mollava un secondo.
Minho scattò e corse alla cabina del bagnino per conteggiare i soldi del cliente che aveva appena finito la sua vacanza. Mentre salutava garbatamente, scoccò un’occhiata all’orologio nel bar all’entrata della spiaggia.
Erano già le sei e un quarto. Corse dal capo.
“Hai ancora due ore di lavoro, dove vuoi andare?”
“Lo so, gliel’avevo chiesto stamattina, se lo ricorda?”
“Ricordo che eri in ritardo, quello sì.” Minho si morse la lingua.
“Ho davvero un problema a casa oggi, non posso proprio…”
“Va bene, va bene.” e lo congedò con un gesto della mano. Minho si inchinò e schizzò via più veloce che poteva.
 
Jonghyun era dovuto andar via, gli aveva lasciato un biglietto sul portone.
 
‘sei in ritardo come al solito, io devo andare ma lui dorme ancora.
Vai a fare la spesa, sembra la casa di un morto di fame.
-Jonghyun.’
 
Tutti i passanti, probabilmente, avevano letto il messaggio. Minho si chiese perché dovesse avere un migliore amico tanto idiota, strappò via il bigliettino e lo accartocciò. Girò la chiave nella toppa e appena entrò in casa, capì subito che c’era qualcosa che non andava.
Rumori sospetti dalla cucina.
Minho chiuse cautamente la porta alle sue spalle e, con passo felpato, attraversò il salotto e il corridoio per andare in cucina. Non appena vi si affacciò, notò il disordine che vi regnava. Sedie non al loro posto, scaffali aperti e…
“Yah!”
Il ragazzino biondo si voltò di scatto, una scatola di biscotti in mano e la bocca ancora piena. Aveva i capelli ondulati spettinati sulla fronte e la t-shirt troppo larga gli ricadeva molle lungo i fianchi, una spalla scoperta. Minho inchiodò e i due si squadrarono. Si sentì montare la rabbia quando notò lo sguardo di sfida e diffidenza che gli riserbò il ragazzo. Fece un respiro profondo e con passi lenti si avviò verso di lui. Il giovane indietreggiò.
“Quando ti sei svegliato?”
Nessuna risposta. Masticava piano. Minho chinò leggermente la testa di lato. No, non aveva sedici anni. Di più.
Occhi troppo profondi, zigomi troppo pronunciati.
“Beh? Come ti senti?” il ragazzino, improvvisamente, smise di fissarlo. Distolse lo sguardo e la sua espressione divenne indifferente. Si scostò dalla mensola nella quale aveva trovato i biscotti e si andò a sedere sul ripiano del lavandino, guardandosi intorno.
Minho era sbalordito. All’improvviso gli venne un sospetto.
“Non è che non parli coreano? Mm? Do you speak English? Cinese? Giapponese? Ajimemashite?”
Il ragazzo gli scoccò un’occhiata infastidita, poi tornò ai suoi biscotti. Stava per finire la scatola.
Minho si grattò la nuca con una mano.
“Come sei finito sulla riva ieri notte?” quando ancora non ricevette la minima attenzione, si alterò. Gli poggiò una mano sulla spalla come per scuoterlo, ma senza aggressività, solo con stizza.
Il ragazzino ebbe una reazione esagerata, balzò giù dal ripiano e corse dall’altra parte della stanza, come se la mano di Minho lo avesse scottato. Riprese a fissarlo con occhi truci.
“Bwo? Che paura hai, mica ti mangio…” gli disse il ragazzo, sempre più in imbarazzo. Lo sguardo gli si posò sulla pelle lattea della sua spalla, dove la maglietta scivolava sempre più giù.
“Aigoo, Jonghyun ha ragione… hai bisogno di vestiti.” Quando il ragazzino si accorse che Minho non aveva nessuna intenzione di avvicinarsi di nuovo, sembrò rilassarsi.
“Mi dici almeno come ti chiami?” il ragazzo sembrò pensarci su. Gli fece un gesto con la testa.
“Che? Io?” voleva che Minho gli dicesse il suo nome.
Ma guarda questo.Pensò Minho. Gli aveva fatto perdere una nottata di sonno, gli aveva rubato l’unica cosa commestibile che gli era rimasta in casa e ora pretendeva di dettar legge. Incrociò le braccia.
“Senti, io non so chi tu sia. Ti ho portato qui perché non sapevo che altro fare, ma questa è casa mia, non è che puoi fare come ti pare.”
Il ragazzo sbuffò, gettò il pacco di biscotti da una parte. Si guardò intorno, come se avesse ancora fame. Fece per aprire un altro cassetto ma Minho fu più veloce.
“Yah! Ancora?” il ragazzino scattò all’indietro per evitare un ulteriore contatto.
“Ok ok, guarda, quella è la porta se te ne vuoi andare, non ti chiederò nient’altro basta che te ne vai, ok?” Minho percorse a passi veloci il corridoio e aprì il portoncino di casa, mentre il ragazzetto si affacciava dalla cucina per seguirlo con lo sguardo.
Improvvisamente la sua espressione si fece seria. Lo vide deglutire un paio di volte, poi tornò in cucina.
Minho lo seguì mentre si andava ad accucciare per terra, in uno piccolo spazio tra il tavolino e il frigorifero. Si allacciò le braccia sottili attorno alle gambe e vi nascose il viso, prendendo profondi respiri.
Il cuore di Minho fece male. Qualcosa scattò in lui, un ricordo lontano che lo fece rabbrividire.
Guardò il ragazzino accucciato.
“Che ti è successo…” ripeté, mentre gli si sedeva di fianco, non troppo vicino da spaventarlo di nuovo. Dopo qualche istante, il ragazzo tirò su col naso e si asciugò gli occhi umidi di lacrime.
Sembrò lottare per darsi un contegno. Rifece quel gesto con la testa.
“Io mi chiamo Minho. Choi Minho.” Rispose a voce bassa.
Lui annuì. Un sorriso mesto. Allungò una mano e gli toccò il volto.
Minho sobbalzò. Non si aspettava un tale gesto, e nonostante la delicatezza di quella carezza sulla sua guancia, fu lui a ritrarsi, questa volta.
Si riscosse subito e si scusò.
Il ragazzino sorrise ancora, le guance piene che si colorivano. E Minho si ritrovò a sorridergli di rimando.
Non è normale che io abbia paura di te, vero? Sei solo un ragazzino...
Minho si alzò e si pulì le ginocchia con le mani.
“Allora, vediamo. Ti servono vestiti e… cibo. Direi che quello serve anche a me in realtà…” sentiva lo stomaco brontolare. Il ragazzino rise, e per la prima volta Minho sentì la sua voce. Aveva un tono dolce che lo rassicurò.
“Vuoi venire?” gli porse una mano, come per aiutarlo ad alzarsi. Lui esitò.
“Se non ti va, puoi aspettarmi qui. Non ci metterò molto.” Il ragazzino sembrò rilassarsi.
“Ok allora.” Gli sorrise Minho. Corse in salotto e afferrò la borsa. “Ci metto un attimo!”
 
Avrò preso la misura giusta?Si chiese Minho, lo zaino in spalla, un sacchetto in una mano e la scatola bollente di una pizza nell’altra.
Il sole e l’aria aperta gli avevano fatto bene. Si era schiarito le idee e aveva riflettuto.
Allora.
Prima di tutto, non aveva la benché minima idea di cosa stesse facendo, quindi ipotizzò di essere impazzito. Il Choi Minho che conosceva avrebbe sbattuto fuori di casa quell’estraneo già da un pezzo. Non sopportava che si invadesse il suo spazio personale. Non ci aveva mai portato nemmeno una delle sue ragazze là dentro, figuriamoci.
Secondariamente, stava spendendo tempo e soldi per nulla. Non sapeva nemmeno come si chiamasse. Cosa voleva da lui, poi? Non parlava neanche! Non era muto, visto che l’aveva sentito ridere, semplicemente era così maleducato da non volergli rispondere.
Però non aveva esitato a fare i porci comodi in casa sua.
Bene.
Dopo queste prime elucubrazioni, Minho ebbe un attimo di distrazione perché si mise a scegliere due paia di pantaloncini, un costume e altre due t-shirt per il ragazzino, tentando di basarsi su se stesso e azzeccare la taglia giusta per lui. Per fortuna quando l’aveva trovato, aveva su le scarpe.
Finita questa operazione, si ripeté di nuovo il concetto  basilare del suo ragionamento: doveva essere pazzo.
Rispose al saluto di alcune ragazze sul lungo mare senza vederle, mentre andava verso il ristorante.
Se davvero fosse diventato pazzo, probabilmente però non se ne sarebbe reso conto, quindi tutto quell’arrovellarsi doveva essere l’indizio che, forse, non aveva ancora perso completamente la ragione.
Ma allora che diavolo stava facendo?
E tornò al punto di inizio.
C’erano due strade ora: la prima era che fosse diventato davvero pazzo e quindi Amen. La seconda, era che quel ragazzino gli faceva pena.
Ecco, questa sì che era una soluzione!
Raddrizzò le spalle, soddisfatto.
Doveva essere così. Aveva temuto così tanto che fosse morto, quando lo aveva trovato riverso sulla riva, che ora, mentre lo vedeva sveglio e con quell’aria da animale ferito, gli faceva pena e stentava a cacciarlo senza almeno accertarsi che avesse ritrovato la via di casa.
Con la sensazione di aver risolto l’arcano, e il sollievo nel comprendere che il suo cervello ancora funzionava e le sue azioni avevano ancora un minimo di logica, Minho entrò nel ristorante e la porta emise uno scampanellio.
Andò direttamente al bancone d’ingresso e vi si accasciò sopra, sacchetto e tutto. Salutò la cassiera.
“Jonghyun?”
“Te lo chiamo.” Il ragazzo spuntò dalla porta laterale che portava ai tavoli pochi minuti dopo, aggiustandosi la tenuta da cameriere. Anche sul lavoro, in quel ristorante abbastanza antiquato, non perdeva il suo sorriso sornione e la sua aria disordinata.
“Annyong!” esclamò a Minho. “Novità?”
“Prima di tutto, voglio una pizza, sto morendo di fame.” Jonghyun si voltò verso le cucine e urlò l’ordinazione.
“Secondo, si è svegliato.” Gli occhi di Jonghyun si spalancarono.
“Era ora! E dunque? Chi è?”
“Saperlo.”
Minho gli raccontò velocemente cosa era successo mentre Jonghyun frugava curioso nel sacchetto per vedere cosa gli aveva comprato. Ascoltate le sue parole, con aria solenne, gli posò una mano pesante sulla spalla.
“Amico mio. Guardami negli occhi. Dimmi la verità. Sei sicuro che quello non sia tuo figlio?” Minho lo spinse all’indietro mentre quello sghignazzava.
“Bah! Avrà due o tre anni meno di me!”
“Sei sempre stato un bambino precoce.” Questa volta rise anche Minho e si portò una mano al volto. La pizza era pronta.
“Te l’ho fatta extra-large, così dai da mangiare anche a lui. Domani si va a fare la spesa però, neh?”
“Neh.”
 
 
Lo trovò che guardava fuori dalla finestra del salotto, curioso. Era salito in ginocchio sulla poltroncina e scrutava verso il mare, lo sguardo fisso sulle alte palme che si muovevano al vento.
Doveva essere lì da un po’, perché il sole gli stava imporporando le guance. Appena sentì la porta richiudersi, ebbe un sussulto e si voltò a sedere.
La pizza bastò per tutti e due e finalmente la loro fame sembrò placarsi. Il ragazzino non gli riserbò più molte attenzioni, più che altro gironzolava per la casa guardandosi intorno oppure tornava alla finestra.
Minho lo lasciò fare, seguendolo con lo sguardo.
Gli chiese ancora come si chiamasse e quanti anni avesse, ma le labbra del giovane rimanevano serrate. Con un sospiro, gli disse che lui andava a dormire, e si gettò sul suo letto.
In fondo non era tenuto a fargli da balia. E poi aveva davvero sonno.
 
Il suo risveglio non fu dei migliori. Se lo ritrovò davanti, ad un passo dal suo naso. Balzò a sedere e si portò una mano ai capelli, i battiti del cuore accelerati.
“Che fai? Hai intenzione di farmi venire un infarto?” lui sorrise lievemente, continuando a fissarlo. Non si era mosso.
Irritato, Minho si alzò e si andò a vestire. Non gli andava che lo osservasse mentre era solo in costume. Gettatosi una t-shirt addosso, tornò in cucina per fare colazione.
Poi si ricordò che i biscotti erano finiti e doveva fare la spesa. Aprì il frigo –vuoto- e bevve un po’ di latte. Il ragazzino aspettava che gli passasse la bottiglia.
“Te ne do un po’ se mi dici come ti chiami.” Il ragazzo biondo aggrottò la fronte e spinse le labbra in fuori, spalancando gli occhi a mandorla.
Oddio, che carino.
Minho attese ancora un po’, poi sbuffò e gli porse il latte.
 
Costringerlo a vestirsi non fu facile. Minho imprecò parecchie volte prima di convincerlo a fargli cambiare gli abiti. Non voleva più togliersi quella t-shirt larga e sgualcita che Minho gli aveva cacciato addosso due giorni prima. Quando finalmente entrambi furono pronti e pettinati, il ragazzo moro non riuscì a farsi sfuggire un sorriso di soddisfazione mentre ammirava la maglietta nera a mezze maniche e i pantaloncini che aveva comprato.
“Perfetto” gli disse, e gli diede un buffetto sul capo. Lui lo fulminò con lo sguardo ma si riprese subito. Minho invece indossò una canottiera.
Visto all’aperto, sotto la luce tiepida del sole mattutino, vestito così, era un’altra cosa. Il ragazzo era più basso di Minho ma il suo fisico asciutto e i capelli dorati lo rendevano davvero… piacevole a vedersi.
Minho notò altre stranezze nel suo comportamento, durante il breve tragitto che fecero fianco a fianco. Aveva timore di attraversare la strada e il rombo delle moto e delle macchine lo inquietava. Guardava poco le persone, era attirato più dal cielo, dalle palme e dagli animali che incontravano: passerotti, piccioni, qualche cane al guinzaglio e alcuni gabbiani che gracchiavano in alto, volando verso il mare. Era una bella giornata e non c’erano nuvole in cielo. Il sole avrebbe scottato.
Jonghyun li aspettava nella piazzetta vicino alla spiaggia dove lavorava Minho, li salutò da lontano con la mano.
“Wow, che cambiamento!” esclamò non appena li vide. Minho ebbe l’istinto di fermarlo quando Jonghyun fece per dare una pacca amichevole sul braccio del ragazzo più piccolo, ma inaspettatamente il giovane non si ritrasse e l’accettò con un dolce sorriso.
“Jonghyun, tu che non stai mai zitto… vedi di farlo parlare.” Gli disse mentre si avviavano insieme verso il supermercato, il misterioso ragazzo biondo in mezzo ai due.
“Ok! Piacere, Kim Jonghyun.” Con grande sorpresa di Minho, il ragazzino gli strinse la mano. L’amico si mise le mani dietro alla nuca, e così iniziò a camminare con la sua andatura sbilenca, come faceva di solito.
E intanto parlava. Parlava del più e del meno, di sé, si prendeva in giro e prendeva in giro Minho, suscitando le risate di tutti e tre.
Quando c’è lui, sono sempre a mio agio.Pensò Minho, e per l’ennesima volta fu felice di avere al fianco il suo migliore amico.
Il ragazzo ascoltava, un lieve sorriso sulle labbra ma gli occhi lontani, come se fosse in un altro mondo. Anche Jonghyun arrivò a fargli alcune domande, ma quando non ricevette mai risposta non si diede per vinto. Continuò a camminare e parlare come se niente fosse, con la sua allegria di sempre.
Giunti al supermercato, il ragazzino sembrò prima stupito dal cambiamento di temperatura causato dal condizionatore, poi i suoi occhi brillarono e cominciò a gironzolare da solo, le mani dietro alla schiena, osservando e toccando tutto.
“Si comporta come un bambino.” Bofonchiò Minho mentre lui e Jonghyun riempivano il carrello con la spesa.  
“Ma dai, è tenero.”
“Vorrei solo sapere come è finito qui… e perché non parla.” In realtà c’erano molte più cose che avrebbero voluto sapere. Ormai la curiosità di capire chi fosse quella strana creatura, si acuiva di ora in ora.
Minho ripensò ai momenti concitati di quando l’aveva salvato, e lo sfiorò l’idea di raccontare all’amico del guizzo che gli era sembrato di vedere nei suoi occhi e del dolore alla testa. Poi si disse che Jonghyun l’avrebbe preso in giro per sempre per quella sciocchezza, quindi non aprì bocca.
“Ehi, Minho…” sentì un buffetto dell’amico sul braccio. Quando si voltò, entrambi lasciarono perdere il carrello e si gettarono verso il ragazzino biondo che stava per far cadere ingenuamente una pila di scatolette di tonno al centro del supermercato.
 
Jonghyun offrì un gelato al nuovo arrivato e questo accettò con un sorriso. Dopo essere tornati a casa a sistemare la spesa, Jonghyun si congedò dall’amico e anche il giovane muto lo salutò con un gesto della mano. Minho si mise le mani sui fianchi.
“Ok ragazzino, adesso io devo andare al lavoro.” si chinò leggermente e gli appoggiò un braccio sulle spalle, il più delicatamente possibile. “Lavoro in quella spiaggia con gli ombrelloni arancioni, li vedi, oltre quella grossa palma?” il ragazzo guardava fuori dalla finestra, allungando il collo.
“Bene. Puoi venire con me se vuoi e… bighellonare lì intorno mentre io lavoro. Sempre che tu non combini pasticci.” Si affrettò ad aggiungere. “Oppure puoi rimanere qui ad aspettarmi. O ancora meglio, potresti tornare a casa tua, neh? Ti ci accompagno.”
Gli occhi del ragazzo non si staccarono dall’orizzonte, ma improvvisamente tutto il suo essere si incupì, e Minho sentì freddo.
Che strano,si disse mentre reprimeva un brivido. Vedendo che il ragazzo non si muoveva, ebbe l’istinto di allontanarsene. Fingendo indifferenza quindi, decise di lasciarlo lì e avviarsi verso la porta.
“Ok, fai come vuoi, io vado. Annyong…”
Era già praticamente fuori, quando una voce sottile lo raggiunse.
“Hyung.” Si voltò di scatto. Doveva aver sentito male.
“C… come?”
“Hyung, io… non ho altro posto dove andare.”
Vide le labbra del ragazzo muoversi e non gli sembrò nemmeno vero, dopo tutte quelle ore di silenzio.
Dopo lo stupore iniziale, quelle poche parole lo colpirono come una doccia fredda: non se ne sarebbe andato, non ancora, perché non sapeva dove andare. Minho gettò a terra la borsa, le chiavi e quant’altro per raggiungere il ragazzino.
“Ma… ma perché sei qui allora? Che ti è successo?” lui sospirò. Minho notò che non sbatteva le palpebre.
“Hyung. Portami con te oggi.”

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Buongiorno :)
Ho una mezz'ora libera e ho pensato di postare anche il secondo capitolo, così mi impratichisco e mi porto avanti. Tanto la mia 'supervisor' l'ha già visionato e corretto ieri kekeke...
Questa volta aggiungo una foto di Minho e del suo migliore amico (nonchè mio bias), Jonghyun!
Byeee
Chiara

  
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