Rewrite
Capitolo settimo
Questa fan-fiction è un’AU, dunque
ambientata in un universo alternativo,
in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od
altro,
dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o
almeno
inizialmente.
Disclaimer: I personaggi qui presenti non
appartengono a me, ma alla
somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa
fan-fiction ed
ogni singola frase, idea o concetto.
-
Lui stringe un poco i
pugni, letalmente ferito da ogni parola che gli si scioglie mollemente
all’orecchio senza un minimo di riguardo o tatto.
Non è mai stata il tipo
particolarmente dotato di tatto, fuori dalla vita professionale, ma
particolarmente schietta.
Se non fossi schietta
mentirei, e questo sarebbe un grosso peso per me.
Ed è anch’ella
abbattuta,
mentre stringe un poco le labbra frenandosi a fatica dal morderle pur
di
conservare austero contegno, e fa del suo meglio per parlare,
sventrandosi come
ad un parto, nel duplice intento di non fare un altro torto
all’uomo che ama e
non soffrire oltre.
E’ tutto schifosamente
difficile.
"...e mi sono sentita
trascurata. E priva delle tue attenzioni."
"Cristo, Riza, non
fingere di non sapere quanti anni abbia. E che, anche se ho agito
stupidamente,
l’ho fatto per te. Per favore, non fingerlo."
Oh, lei è
così brava e
fredda e ricca di destrezza nel vomitare dolorosamente parole che non
pensa pur
di proteggersi.
E fingere di avere
un’interpretazione delle cose, così diversa dal mi
servono più coccole e
certezze, come ad una mocciosetta, ed era più facile e
piacevole così, e lui è
dolce e sgarbato, ma maledettamente gentile e lo amo, lo amo
diversamente da
come amo tutt’ora te che è reale in un
posto remoto tra le sue scapole,
sotto la sua pelle, qualcosa d’intima intesa tra
sé e quel celato compiacimento
che la rende terrificantemente gioiosa, d’una gioia al
proprio occhio malata.
E’ visibile a tutti, ma
lei, solo lei non lo sa.
Black Hayate abbaia un poco
irato ed ansioso, tirando il guinzaglio.
Lei stringe gli occhi,
definendo mentalmente quei cinque minuti il tempo
dell’indolore congedo.
Vuole andare via, sfogando
istinti complessi e contentando Roy con parole sentite ma confuse, e
sosta un
poco, pensando ed elaborando un poco solido sorriso gentile.
"Inizialmente l’ho
accolto in casa mia per pena e tenerezza. Non sono una pervertita. Non
sono una
persona così." mormora piano, stirando
ogni parola con cura per
struggerlo nel passato.
E’ spesso così
crudele, con
quella gioia vibrante che è verità che urta e
scuote.
Così crudele.
Lui, schiena contro la
porta, scosta nervosamente il carico del proprio peso da un piede
all’altro.
Non vuole sentire.
Non vuole davvero che
parli, anche se la incoraggia a continuare a farlo con un cenno del
capo.
"Tu puoi essere buono
e gentile con me, Roy. Davvero, lo sei tanto. Ma questo è il
tuo dare, ed io
non ti ricambio con nulla."
"Non... "
"Conta. Conta
tantissimo, invece.
E’ come essere una casalinga frustrata con un marito in
carriera.
Qualcosa che ti urla sei un miserabile straccio, sei inutile
e ti ergi fiera
su tutti ma non fai niente. Non puoi fare niente.
Ed è una cosa davvero, davvero penosa, tirarsi su
appoggiandosi totalmente a
qualcuno; Edward è diverso in questo senso.
E’ qualcuno a cui posso
dare qualcosa. E’ un ragazzo così distrutto che
anch’io posso fare qualcosa per
lui. Con impegno lo seguo, comunico con lui, e lui è una
presenza calda che fa
qualcosa per me conoscendo le parole che mi servono perché
abbiamo passato
tante cose terribili, e sa come ci si sente a perdere tutto e sbagliare
tantissime volte.
E’ qualcuno cui posso insegnare come non sbagliare ancora
come io ho sempre
fatto.
Siamo tutti così egoisti, ma lui ne ha coscienza.
Così pieno di complessi ed egoista, egoista come ogni
sacrosanta persona può
essere, ma riconoscendolo entrambi siamo onesti come nessuno. E
crediamo questa
la nostra felicità.
Forse è compassione. Forse è il rapporto
più puro che si possa avere, come tra
bambini.
Non lo so. E non voglio saperlo, se devo essere sincera. Va bene
così.
Questa sarebbe una richiesta, un…un…"
"…un ‘lasciami
perdere’, eh?"
Lui sospira, mentre lei non
ha altre parole e si sfiora una tempia confusa, prendendo secondi con
l’arricciarsi una ciocca bionda attorno al dito, sfuggendo al
suo sguardo e poi
ripuntandolo, perché lui è lì a
vanificare ogni suo tentativo di fuga con somma
decisione, alto su di lei che è bassa stringendosi
colpevolmente nelle spalle,
sperando di averlo spiazzato ma l’ha solo ampiamente deluso,
svuotato di ogni
energia.
Anche se questo adempirà
ugualmente allo scopo di perderlo.
"Riza. Ri-za."
Lo sguardo d’inchiostro
di
lui è pesante ed opprimente, è come se le fosse
addosso senza esserlo,
schiacciato sul suo corpo con sguardo di abile seduttore a confonderle
pesantemente la testa, ma sono distanti, d’una distanza
immateriale ed
inesistente, che potrebbe colmare allungando appena un braccio, ma non
lo fa.
Si separano col suo passo
ampio e falciante ed il suo capo che annuisce con scatto forte e
doloroso per
il collo, sicché lui possa scorgerlo anche senza desiderarlo
davvero.
E non lo desidera, ma è
visione ineluttabile ai suoi occhi sconcertati ed affranti.
E’ un perenne errore.
In ogni passo, in ogni
mutamento.
Un latrato leggero, e Riza
è per sempre una macchia chiara e scura indistinta.
-
"Merda. La mia
testa…" brontola Ed, rigirandosi nel letto mentre si preme
una mano sulla
fronte, magenta come solo certe sfumature degli occhi nocciola strani
di Riza
sanno essere, come solo le mani ferme ed affusolate di Riza sanno
colorarlo e
lo colorano anche ora, strofinando la fronte contro la sua con un
sorriso
malevolo, stringendo il lobo del suo orecchio sinistro tra i denti con
presa
appena accennata, rovesciandosi su di lui.
"Ho appena detto che
mi fa male la testa." ribadisce lui contrariato, pur senza sottrarsi al
contatto morbido e sensuale.
"Non è colpa mia se
hai bevuto troppo, ieri sera."
"Era lo stress. A
giorni ho un test importante, lo sai."
"Ah. Ma ho fiducia che
andrai bene."
Riza si rivolta, delicata e
macchiata d’un contegno che pare non aver perso per un solo
istante, al suo
fianco sul solito divano, accoccolandosi discreta con la testa posata a
forza
sulla sua spalla, e chiudendo gli occhi.
"Riza…"
"Ti do fastidio?"
"Non tu…n-no,
insomma…è…"
Lei abbassa lo sguardo
seguendo il calare del suo, quasi atterrito dalla pressione dei suoi
floridi
seni sul proprio braccio, mentr’ella lo compatisce con un
sorrisetto tirato.
"Buffo che questo
piccoletto precoce si spaventi così dopo aver avuto a che
fare con roba
peggiore. Buffo, davvero."
"NON SONO PICCOLO. E
NON HO AVUTO...a che fare con...oh...er...va’ al diavolo, eh."
"Sei sempre così
tenero..."
"NON
SONO...oh...er...oh..."
Lei ride un poco vedendo il
suo colorito peggiorare, sollevandogli il viso con un dito e sfiorando
le sue
labbra con lo stesso, il pollice a sfregarvisi percorrendone
l’intera curva,
sino a sfumare il contatto, sottraendovisi quando lui le stringe la
nuca per
accostarsela maggiormente, rapitone come da intento e dunque non
comprendendo
il rifiuto.
"...c’è
qualcosa che
non va, Ri?"
"No...ti spiace
se...stiamo così e basta?"
"...davvero, è
successo qualcosa?"
"No, stamane,
beh...no, insomma...no. "
"...beh?"
"...io... "
"Dai."
"...ho pensato che
quando dormi sei davvero più carino del solito."
"...eh? Umph. Non si
dice così ad un uomo."
"Non posso farci
niente. Sei carino."
"Non bello?
Affascinante? Attraente?"
"Carino,
Ed."
"…è davvero
tutto
qui?"
"No, sei anche apprensivo,
molto."
"Riza..."
Lui si sfrega una mano
sulla fronte, sconsolato ed incalzandola approfondendo una carezza alla
schiena, che gli sfugge poi alla presa col di lei levarsi, contratta in
viso,
abbandonando malamente la testa in petto e sferzandosi il viso in
solchi delle
sue stesse unghie.
"Tutto bene. Tutto
bene."
Edward la perde di vista
quando in muta scrollata scuote le spalle e lo rifiuta ancora, ma
d’un rifiuto
plastico e mentale, che non tollera sentirsi intrisa di colpevolezza
quando lo
tocca.
Non lo tollera più, ma
nessun gran gesto da osare la libera da quest’inibizione,
dunque si allontana
nella sua stanza e lui è perplesso e scombussolato, ancora
dolorante, ed è un
pessimo momento, ma qualcosa vuole uscire da lui ed i suoi piedi
scattano verso
il bagno, rendendolo nervoso a lungo.
Merda. Merda. Merda.
Mer—ha.
-
Note: Okay, Ed è un mostro di
finezza. Okay, questo bisogno di attenzioni per distrarsi di Riza
può lasciare perplessi.
Più che perplessi. Ma era, seriamente, una delle poche volte
in cui mi tornava
funzionale adattarla così, perdonatemi.
La
battuta sul fatto che Ed sia così pudico nonostante quanto
ha passato, è
riferita a quanto è avvenuto nel capitolo precedente, spero
fosse
comprensibile.
Mi
spiace di aver shockato Setsuka ^^;, e sono contenta che dopotutto
trovi i personaggi
giustificabili. Continua a dispiacermi che tu abbia questo terribile
rapporto
con Winry, avendo io in lavorazione diverse one-shot EdWin per il theme
set
Violator del forum, suppongo non sarà facile che, conclusa
questa ff, tu legga
altro di mio.
In
proposito, ero piuttosto dilaniata circa il prossimo capitolo; il
seguente ad
esso, dunque il nono, sarebbe l’ultimo, e pur avendoli
suddivisi con un senso
logico, l’ultimo è piuttosto breve (due
paginette), e mi spiacerebbe lasciare insoddisfatto
qualcuno. Anche perché sto ancora ponderando sul se
aggiungervi un epilogo o
meno, ma suppongo mi baserò sulle recensioni; se
sarà ritenuto un finale
incompleto, provvederò, se no lo lascerò
così.
Grazie per le recensioni anche a Shatzy e Babus, lieta di aver trovato
nuovi
recensori ^^.