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Autore: I n o r i    27/08/2012    1 recensioni
"Non capì cosa la portò a fidarsi di lui, a quel tempo. Quella persona avrebbe veramente potuto essere un assassino satanico desideroso di farla a pezzettini, eppure lo seguì con decisione fino a che non raggiunsero le fine del bosco. In mezzo a tutto quel buio, le bastò continuare a sentire il calore di quella mano, per sentirsi più tranquilla."
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Judith ha solamente sedici anni quando si trasferisce a casa del padre, a Buldwick: un paesino estraniato dal resto del mondo, piccolo, dove tutti conoscono tutti. Per quanto possa pensare il contrario, è un'adolescente come tutte le altre: crede di sapere tutto di sé, di conoscere perfettamente se stessa. Ed è convinta di potercela fare benissimo con le sue sole forze in qualsiasi situazione: perché Judith è forte e non si lascia trasportare dai sentimenti come tutte le ragazzine della sua età.
Ma, come in ogni altra banale storia d'amore, tutte le sue convinzioni vengono abbattute nel momento in cui incontra lui, Nathan.
Un lago ad accomunarli, una strana luce che spingerà Judith ad avvicinarsi sempre di più a quel ragazzino così strano e misterioso...ed una leggenda, la leggenda della Divinità del lago di Buldwick.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Judith entrò ormai fradicia dentro l'appartamento in cui viveva, chiudendosi la porta alle spalle e sospirando pesantemente. Possibile che avesse iniziato a piovere proprio il giorno in cui aveva deciso di uscire con George? Possibile che fosse davvero una persona così sfigata?

Si levò il giubbotto bagnato e lo lanciò irritata contro il termosifone della cucina, poi si tolse le scarpe per non sporcare di terra e fango il pavimento -tanto sapeva che ci avrebbe dovuto pensare lei a ripulirlo, più tardi.

<< Mamma? >> La chiamò a gran voce, percependo uno strano silenzio. Sua madre non era solita uscire di casa, anzi, precisamente non si ricordava neanche quando fosse stata l'ultima volta che aveva lasciato il loro appartamento, se non per andare a pagare qualche bolletta o ritirare la posta.

Inarcando un sopracciglio aprì leggermente la porta della camera di Rachel. << Mamma, sei qui? >>

Judith entrò, ma sua madre non c'era.

Si lasciò cadere il braccio -ancora alzato per mantenere la presa sul pomello della porta- lungo i fianchi, credendo per un attimo di essere entrata nell'appartamento sbagliato: perché sua madre non c'era, in quella stanza. Effettivamente, non c'era proprio un bel niente, in quella stanza!

Spostò lo sguardo sull'armadio aperto e ormai vuoto, sul letto disfatto e sui comodini su cui solitamente stavano tutte le cianfrusaglie di sua madre, ma che in quel momento erano solo dei semplici comodini, vuoti come tutto il resto della stanza.

<< Ma che diavolo...? >> Non riusciva a capire. Judith, la ragazza che sapeva sempre cosa fare in qualsiasi situazione, in quel momento stava in una fase di stallo: indecisa sul da farsi, completamente ignara di ciò che la stava aspettando.

Entrò pian piano, come se fosse la prima volta: dopotutto, non la riconosceva affatto. Quella non era la camera di sua madre. Non lo era più.

Non c'era più niente, non un solo oggetto che le potesse dare la conferma che sua madre fosse veramente esistita. Niente. Come se Rachel non avesse mai dormito su quel letto, come se non avesse mai usufruito di quell'armadio e di quella stanza.

Praticamente ancora troppo sconvolta per capire cosa stesse accadendo, Judith uscì e si richiuse la porta alle spalle. Poggiò la schiena contro di essa e scosse la testa, in un vano tentativo di levarsi le immagini viste poco prima dalla mente.

Poi riaprì la porta, ma la situazione non cambiò.

Così, presa dal panico, corse in camera sua, ma la trovò identica al solito: piccola e un po' disordinata, ma tutte le sue cose erano al loro posto.

Che diavolo stava succedendo?!

Si stropicciò gli occhi: che fosse impazzita tutto d'un colpo? Aveva sempre saputo di non essere una persona molto normale per certi aspetti, ma che soffrisse persino di allucinazioni...questa le era nuova.

Chiuse la porta della sua camera e tornò verso la cucina, cercando di notare il più piccolo dettaglio diverso dal solito all'interno della sua piccola abitazione.

Ma non vi trovò niente.

Se non un biglietto con accanto qualche banconota sul tavolo della cucina.

Senza pensarci due volte ci si catapultò e prese i soldi in mano: erano circa 150 sterline. Li aveva messi lì sua madre? E dove diavolo aveva trovati quei soldi?!

Sempre più stranita, li poggiò nuovamente sul tavolo e prese in mano il biglietto. Aveva quasi paura di aprirlo. Aveva quasi paura di scoprire cosa fosse realmente accaduto.

Contò fino a tre nella sua mente e lo aprì con un gesto fulmineo.

 

Spero che questi soldi ti basteranno. Tornerò presto, te lo prometto.

Mamma.”

 

 

 

 

 

 

Gli occhi di Judith si spalancarono, quando il rumore forte di un tuono e la luce di un lampo interruppero il suo sonno.

Si alzò a sedere sul letto e si guardò intorno, confusa: era in camera sua. Quella di Buldwick, però.

Sospirando si lasciò cadere all'indietro, trovando il cuscino ad aspettare impaziente l'arrivo della sua testa. Poi si portò una mano sulla fronte, trovandola irrimediabilmente calda e bagnata dal sudore.

Era stato solo un sogno? Avrebbe tanto voluto che la risposta fosse un “si”.

Purtroppo, sogni del genere erano ricorrenti. Ma non erano sogni, erano ricordi.

Ricordi di una sera fresca e piovosa. Una sera d'inizio Settembre.

Sospirò per l'ennesima volta e si alzò, stiracchiandosi: tanto lo sapeva, che quando faceva sogni del genere poi non riusciva più ad addormentarsi, ogni cavolo di volta.

E guardando l'orologio constatò che, fortunatamente, si sarebbe comunque dovuta alzare mezz'ora più tardi per andare a scuola.

Così, prima di uscire dalla sua camera e dirigersi verso il bagno, dette un'occhiata fugace alla finestra: si era dimenticata si chiudere le persiane e fuori pioveva a dirotto, quindi il vetro si era bagnato completamente.

Già, fuori pioveva. E Judith detestava i giorni di pioggia.

 


 

Il cortile della scuola straripava di studenti che non aspettavano altro che le porte si aprissero per ripararsi dalla pioggia e dal freddo.

Judith, quella mattina, nonostante fosse ancora Ottobre, era stata costretta ad indossare il suo giubbotto grigio sopra la divisa. Ma purtroppo il freddo lo sentiva comunque, e poggiata ad un muretto in disparte non faceva altro che tirarsi su i calzettoni che le scendevano fino ai piedi. Non si era neanche depilata decentemente le gambe, ancora mezza assonnata com'era. Ed il suo ombrellino blu stava facendo i capricci grazie al vento che soffiava scontroso, quasi prepotente, scompigliandole i capelli che le andavano inevitabilmente sul viso.

Non aveva mai desiderato così ardentemente come in quel momento di entrare dentro una scuola.

<< Merda! >> Gridò ad un certo punto, quando l'ombrello le sfuggì di mano dopo un forte colpo di vento e cadde in una pozza di fango. Tentò di ritirarlo su ma, purtroppo, ebbe modo di vedere che si era perfino rotto. Gli diede un calcio in un impeto di rabbia e voltò lo sguardo al cielo per accogliere la pioggia sul viso, ormai rassegnata all'idea che qualcuno stesse ovviamente cospirando contro di lei e le stesse portando una sfiga pazzesca.

Ma l'acqua non arrivò, non sentì neanche una goccia di pioggia batterle sul viso. Perché, al posto del cielo grigio e nuvoloso, si presentò davanti ai suoi occhi un ombrello rosso.

Si voltò quindi sussultando e vide l'ultima persona che avrebbe voluto ritrovarsi davanti in quel momento. Ma si sa, le sfighe non vengono mai da sole.

Nathan stava lì, a pochi centimetri da lei, con il cappuccio alzato sulla testa a coprirgli i capelli scuri e il solito ghigno sempre presente sul quel viso che avrebbe tanto voluto prendere a schiaffi.

Teneva l'ombrello rosso alzato sopra le loro teste ed alzò un sopracciglio, notando che l'unica reazione che ricevette dopo il suo gesto carino fu un'occhiataccia.

<< Simpatica come al solito, eh? >> Le chiese, evidenziando la forte nota sarcastica che a Judith di certo non sfuggì.

<< Ed io che mi sono alzato presto per venire in questo schifo di posto solo per te. >> Affermò poi, con un finto tono affranto e addolorato, posandosi una mano sul cuore.

<< Oh, immagino. >> Rispose altrettanto sarcastica lei, spostando lo sguardo verso la scuola: stavano aprendo le porte, era il momento adatto per scappare da quella situazione.

<< Ma dico sul serio! >> A quelle parole Judith ripuntò gli occhi sul ragazzo, aprendo leggermente la bocca. Doveva smetterla di guardarla con quegli occhi così...così...

<< Solitamente non ci venivi a scuola? >> Gli chiese subito dopo, un po' per curiosità ed un po' per non farsi ulteriori seghe mentali pensando ai suoi fottutissimi occhi.

<< Mi ero preso una pausa. >>

Lei alzò un sopracciglio. Nathan aveva iniziato a camminare tirandola per la manica del giubbotto, probabilmente per farla restare sotto l'ombrello nel mentre si dirigevano verso il portone ormai aperto dell'edificio in cui avrebbero dovuto trascorrere la loro triste e noiosa mattinata.

<< Perché? >>

Ed ecco che si ritrovò nuovamente quegli occhi puntati su di lei, sul suo viso, che la scrutavano attenti. Sospirò. Ma è così difficile farti i fatti tuoi per una volta, Judith?

<< Non te lo dico. >> Detto ciò, le scompigliò i capelli e la sorpassò, immergendosi nella marea di persone che affollava il corridoio della scuola.

Judith lo guardò allontanarsi, riusciva a vederlo distintamente nonostante tutta quella gente.

Com'era successo la seconda volta che era corsa al lago, il giorno prima. Non aveva visto nient'altro che lui, dalla finestra della sua camera. Quella che lei aveva sempre riconosciuto come una luce misteriosa l'aveva trascinata da quel ragazzo per ben due volte.

Parlare con lui era facile, dopotutto. Ed anche se non sapeva niente di Nathan, anche se lo disprezzava per i suoi modi di fare stupidi e arroganti...in quel momento c'era solo lui. Tra tutte quelle persone, lei vedeva solo Nathan.

La luce di Nathan. La forza magnetica di Nathan che l'aveva spinta ad avvicinarsi a lui passo dopo passo.

L'attirava, proprio come una calamita.

Perfino in quel momento le fu difficile controllarsi, mentre lo vedeva camminare lontano da lei, noncurante dell'effetto che aveva avuto quell'ultimo suo strano e incomprensibile gesto. Lo guardava da dietro, e nonostante avesse il fisico di un ragazzino, magro e asciutto -come aveva avuto modo di notare il giorno prima, quando l'aveva visto praticamente mezzo nudo- a Judith la sua schiena sembrava davvero quella di un uomo.

Si portò le mani alla gola, tossendo. Ancora immobile davanti all'entrata della scuola, lo vide svoltare l'angolo alla fine del corridoio e sparire dalla sua vista.

Si sentiva soffocare.

 


 

Per sua sfortuna, alla terza ora se lo ritrovò perfino alla lezione di matematica. Lo vide entrare nell'aula mentre parlottava con un gruppetto di ragazzi di cui lei non conosceva neanche l'esistenza. Rideva fragorosamente, attirando l'attenzione di parecchie persone. Doveva essere abbastanza conosciuto e adorato da tutti, dato che la gente appollaiata sui banchi, appena lo vide, si catapultò direttamente al suo fianco.

E fu in quel momento che si sentì un po' meno stupida: allora, forse, non era l'unica succube della sua capacità di attirare a sé le persone.

<< Ehi, ti vuoi spostare o hai intenzione di restare qui impalata ancora per molto? >> Quelle parole scontrose la destarono dai suoi pensieri, e stupita si voltò in direzione della persona che le aveva pronunciate.

L'aveva già vista da qualche parte, quella biondina che in quel momento la fissava con sguardo astioso. Forse alla mensa, o prima in cortile, o...

Ma non era di certo il caso di riflettere sul luogo in cui l'avesse già vista, vista la situazione che si era creata. Ma che voleva quella smorfiosa da lei?

Aggrottando le sopracciglia fece un passo in avanti, pronta a rispondere a tono a quella che reputava una bella provocazione.

Aprì la bocca per parlare, ma le parole non ebbero modo di uscirne.

<< E tu vuoi smetterla di fare la rompipalle, Amanda? >>

Al fianco di Judith, con quella frase ad effetto, si parò Norah: mani sui fianchi ed occhi chiusi a due fessure puntati sul personaggio cattivo della situazione.

Judith la guardò divertita: sembrava una sorta di paladina della giustizia.

<< A te non ho chiesto niente, stupido microbo. >> Rispose con fare altezzoso Amanda, per poi superarle ed entrare nell'aula non appena suonò la campanella.

Norah, per tutta risposta, le diede un calcio sul sedere e l'altra per poco non cadde a terra, se non ci fosse stato il banco a fermare l'imminente figura di cacca che stava per fare.

La biondina si voltò digrignando i denti e fece per afferrarle i capelli, quando il professore entrò in classe e la trattenne parandosi davanti a Norah.

<< Ancora, ragazze? Quand'è che la smetterete di comportarvi da bambine?! >> Sbuffò irritato, facendo segno alle due di raggiungere i loro banchi.

Judith fu l'ultima ad entrare in classe, ancora sbalordita per ciò che era appena successo: insomma, si stava per scatenare una rissa fra ragazzine inferocite e nessuno aveva alzato un dito per fermarle!

Ma dalla reazione del professore quella non doveva essere la prima volta che capitava...però...

Lei non ci era abituata, cavolo.

Sospirò e si sedette di fianco alla moretta che qualche minuto prima l'aveva difesa, guardandola insistentemente.

Lei, evidentemente sentendosi osservata, ricambiò l'occhiata: sembrava ancora arrabbiata, era decisamente diversa da come si era mostrata il giorno prima.

<< Allora anche per te non è tutto rose e fiori. >> Le sussurrò all'orecchio, cercando di scappare all'occhio vigile dell'insegnante.

Norah ridacchiò. << Allora non mi detesti come pensavo, Nichols. >>

Judith si allontanò dal suo orecchio e la fissò stupita: pensava non si fosse resa conto di quanto il giorno prima fosse stata infastidita dalla sua presenza, inizialmente. Arrossì leggermente, spostando lo sguardo sulla lavagna, mentre l'altra continuava a guardarla sorridendo.

Che le avrebbe dovuto dire? “Si, invece ti detesto?”

Norah, in fin dei conti, aveva solamente cercato di essere gentile, anche se aveva dei modi di fare un po' strani ed eccentrici. Poteva sembrare invadente, ma a quanto pareva lei era risultata invece fin troppo scontrosa e diffidente, ai suoi occhi.

Sospirò. Non se lo meritava. E dopotutto, non la detestava di certo.

In fondo, ormai stava a Buldwick, no?

Già. Avrebbe dovuto rassegnarsi finalmente all'idea e abbandonare i suoi desideri irrealizzabili. È vero, gli amici ce li aveva già, a Bristol. E fino a quel giorno aveva sempre pensato che non avrebbe avuto bisogno di farsene di nuovi.

Ma questo non voleva dire dover fare l'antipatica con persone che si erano dimostrate gentili, nel suo caso Norah.

<< Già. >> Le rispose quindi, tornando a guardarla. Una semplice parolina, niente di speciale e affettuoso. Ma accompagnata da un sorriso intenerito, quasi dolce.

Se il suo orgoglio non le permetteva di esprimere a parole apertamente e senza limiti ciò che provava, poteva farlo con i gesti. L'aveva sempre pensata così.

E a Norah, fortunatamente, sembrò bastare.

Prima che avesse modo di rispondere, però, quest'ultima si sentì colpire alla testa da qualcosa di leggero, che poi realizzò essere un bigliettino, quando se lo vide cadere davanti agli occhi. Lo prese sospirando, già capendo chi fosse la persona che glielo aveva spedito. “A casa ti uccido”, così c'era scritto.

Scoppiò a ridere, voltando lo sguardo verso Amanda, la quale la guardava malamente. Judith le pizzicò un braccio, sussurrandole di fare più piano, ma quell'avvertimento non servì a niente, dato che il professore si voltò comunque indispettito verso di loro.

<< Cosa avete da ridere voi due?! >> Le sgridò, sbattendo le mani sulla cattedra.

Judith avrebbe voluto ribattere dicendo che lei non stava affatto ridendo, ma un po' per solidarietà -e un po' perché stava ancora cercando di far smettere Norah di ridere- non riuscì ad opporsi e l'uomo finì per buttarle fuori dalla classe entrambe, irritato.

<< Ma che diavolo ti è preso?! >> Sbottò nei confronti di Norah, la quale si asciugò una lacrimuccia scesa per il troppo ridere e la guardò, porgendole il bigliettino.

Judith lo lesse e non capì per niente cosa significasse quella frase. << Chi te l'ha mandato? >>

<< Amanda. >> La mora si sedette per terra, poggiando la schiena al muro, e Judith fece lo stesso, fissandola stranita.

<< È mia sorella. >> Spiegò.

L'altra spalancò gli occhi, decisamente sorpresa: dovevano avere davvero un bel rapporto allora, vista la litigata di prima!

<< In realtà è la mia sorellastra. >> Continuò Norah, appallottolando il bigliettino fra le mani. << È la figlia del marito di mia madre. Non andiamo molto d'accordo, ma penso tu l'abbia già capito. >> E a quel punto ridacchiò, ma era una risata un po'...malinconica. << Siamo conosciute da tutti per i nostri litigi parecchio frequenti! >>

Judith la osservò attentamente, notando un certo cambiamento in lei rispetto al giorno prima. La prima impressione che le aveva dato era stata quella di una ragazzina fastidiosa che non sa niente del mondo che la circonda, che non ha problemi e che sorride sempre. Ma, come si suol dire, non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina.

L'espressione di Norah, in quel momento, non era delle più felici. Non era l'espressione solare e gioiosa che le aveva mostrato il giorno prima.

Forse anche lei, alla fine, indossava una sua personale maschera, di tanto in tanto.

Proprio come tutti. Ed anche come lei.

<< Questa situazione ti fa star male? >>

Norah si voltò di scatto a quelle parole, sorpresa. Davvero Judith Nichols le aveva chiesto qualcosa di simile? E in un modo così...preoccupato?

Sorrise. << Te ne parlerò un'altra volta! >> Esclamò quando vide la testa del professore uscire dalla porta dell'aula per richiamarle all'interno, preoccupato che combinassero qualche casino nel corridoio.

E Judith ricambiò il sorriso.

Un po' più sinceramente, questa volta.

 


 

<< Puoi andare a casa se vuoi, non c'è bisogno che aspetti qui con me. >> Affermò Judith, sentendo l'ennesimo starnuto di Norah.

La pioggia cadeva ancora incessantemente su di loro, che erano rimaste le uniche davanti all'entrata della scuola.

<< Ti ho già detto che non ti posso lasciare da sola mentre aspetti tuo padre! >>

L'altra sospirò, rendendosi conto di quanto fosse grande la cocciutaggine di Norah. Va bene, quel giorno in confronto a quello precedente era stata più carina e gentile nei suoi riguardi, non si era neanche lamentata quando Norah si era seduta al suo tavolo nella pausa pranzo.

Ma così si sentiva decisamente oppressa, col fiato sul collo. Le doveva piacere davvero un sacco interpretare il ruolo della paladina della giustizia, eh? La guardò di sottecchi: piccola e minuta com'era non sarebbe riuscita ad alzare un dito per difenderla, nel caso fosse davvero arrivato qualcuno ad aggredirla in quel breve lasso di tempo in cui aspettava suo padre.

Poi sbuffò, contrariata nei confronti di se stessa.

Dopotutto, Norah stava solo cercando di mostrarsi amichevole...ma era un po' appiccicosa, solo un pochino. C'erano volte in cui sembrava quasi adorante nei confronti di Judith...ma cavolo, la conosceva da due giorni!

Il telefono squillò interrompendo i suoi pensieri e se lo portò all'orecchio, fiduciosa che fosse suo padre e che l'avrebbe avvertita che era solo in ritardo e sarebbe arrivato presto.

<< Tesoro, mi dispiace ma sono dovuto andare fuori città e sono rimasto bloccato nel traffico. C'è stato un'incidente, quindi tu avviati a casa, è inutile che stai ad aspettarmi con questo freddo. Te la ricordi la strada, no? >>

Le sue parole furono come un colpo dritto a quel poco di pazienza di cui disponeva.

<< Si, non preoccuparti. >>

Così chiuse la chiamata e spostò lo sguardo verso il cielo. Non aveva più l'ombrello, sarebbe arrivata a casa letteralmente zuppa.

Sospirò. << Mio padre non può venire, andrò a casa da sola. >>

<< Allora ti accompagno, sei senza ombrello! >> Le rispose pimpante l'altra, con un sorriso a trentadue denti stampato in volto. Sembrava che la notizia le facesse perfino piacere.

<< N-non ce n'è bisogno. >> Judith si voltò ed uscì da sotto la tettoia, accogliendo la forte pioggia sul proprio corpo.

Si tirò su il cappuccio del giubbotto e rabbrividì, cercando di non farlo vedere.

<< Ma ti prenderai un raffreddore! >> Obbiettò Norah, uscendo a sua volta e ricoprendola con l'ombrello.

Judith sbuffò: non la infastidiva la sua premura, solo che non voleva tutte quelle attenzioni. Lei non aveva niente in cambio da darle.

Così si voltò ed iniziò a camminare. << Ho un fisico forte, non mi ammalo così facilmente. Ci vediamo domani a scuola! >> Le gridò, sperando che non continuasse ad insistere. Poi, quando sentì il vuoto riecheggiare nei dintorni, voltò la testa per vedere dove fosse finita: la stava guardando in malo modo, come se la stesse rimproverando tacitamente.

<< Scema! >> Detto ciò, si voltò stizzita e corse lontano da Judith, la quale rimase completamente a corto di parole: che ci fosse davvero rimasta male?

Tutto sommato si sentì un po' in colpa, ma decise di non farci caso e tornò a camminare.

Erano tre giorni che era arrivata a Buldwick, ma non aveva ancora fatto un giro completo del paese. Gli unici posti che conosceva erano casa sua e dintorni, la scuola...e il lago.

Chissà se Nathan era andato al lago anche quel giorno.

Poi scosse la testa: no, non sembrava stupido fino a quel punto. Lo sarebbe stato davvero tanto se si fosse andato a fare il bagno con quel freddo e quella pioggia.

Si coprì le mani con le maniche del giubbotto e cercò di distinguere quale strada dovesse prendere, quando si ritrovò ad un incrocio.

Avrebbe davvero dovuto farsi mostrare il resto di Buldwick da qualcuno, solo che suo padre era sempre a lavoro, e quando tornava a casa sembrava più morto che vivo da quanto era stanco.

Nonostante tutto aveva già fatto abbastanza per lei, accogliendola in casa di punto in bianco e senza alcun preavviso. Certo, aveva fatto solo il suo dovere di padre, ma per un tipo come lui, che era stato assente nella sua vita per più di tre anni, doveva essere già abbastanza. E lei, dopotutto, non aveva bisogno dell'aiuto di nessuno.

Decise infine di svoltare verso destra, sperando di averci azzeccato e che non avrebbe finito per perdersi -per la seconda volta, se ricordiamo l'immensa stupidaggine che aveva commesso la prima sera che era arrivata a Buldwick.

Ma la sua camminata si dovette interrompere, quando vide difronte a lei, sull'angolo della via in cui si era addentrata, un ombrello rosso.

L'ombrello di Nathan.

Spinta da forze maggiori si avvicinò, curiosa: che ci faceva lui lì? Beh, forse era solamente andato da qualche parte e in quel momento stava tornando a casa esattamente come lei, o forse...

 

O forse si stava sbaciucchiando con una tipa.

Rimase totalmente immobile alla vista di due gambe infilate fra quelle di Nathan e di due braccia avvolte intorno al suo bacino, mentre due manine affusolate gli carezzavano la schiena.

Non vide la sua faccia, dato che era coperta da quella del ragazzo.

Trattenne il respiro. Lo sapeva che non era educato rimanere imbambolata a fissare due persone scambiarsi effusioni, ma in quel momento le sue gambe non volevano proprio saperne di muoversi.

Deglutì e scosse veloce la testa, chiudendo gli occhi. La pioggia cadeva ancora insistente su di lei e sentiva tanto, tanto freddo.

Sperò che appena riaperti gli occhi avrebbe sentito la stessa sensazione percepita quella mattina, quando Nathan l'aveva coperta con il suo ombrello per ripararla dall'acqua. Ci sperò sul serio, ma fu una speranza vana.

Perché quando riaprì gli occhi la pioggia la stava ancora bagnando e Nathan stava ancora appiccicato a quella ragazza.

Quella che doveva essere la sua fidanzata, evidentemente.

A meno che non fosse un tipo che si bacia o si porta a letto la prima che capita.

Ma lei che voleva saperne di lui, dopotutto? Si erano parlati...quanto? Tre volte?

Sospirò pesantemente -sperando che nessuno si accorgesse della sua presenza- e ricominciò a camminare, occhi puntati sulla strada e pugni chiusi dentro le tasche del giubbotto.

Si, quella era l'ennesima conferma che i giorni di pioggia facevano decisamente schifo!

 

 

 

 

 

-Angolo autrice-

Premetto che questo capitolo mi fa abbastanza schifo. È vero che non sono mai pienamente soddisfatta di ciò che scrivo, ma questo capitolo non mi piace proprio per niente, neanche una minima frase.

A partire dalla parte iniziale, che credo di aver scritto troppo frettolosamente, fino ad arrivare a tutto il resto: a parte che in questo capitolo non si dice molto, ho descritto solamente qualche leggero progresso nel rapporto fra Judith e Norah -accennando qualcosa in più sulla vita di quest'ultima- e poi c'è stata la scena finale, che forse vi avrà un po' spiazzato.

Beh, ve l'avevo detto che non sarebbe stato tutto rose e fiori fra Judith e Nathan xD

Cooomunque. Vabbé, io spero che a voi sia piaciuto.

Un bacio a chiunque segua la mia storia <3

  
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