CAPITOLO
SECONDO
Una sera di fine Agosto, Harry
ritornò nel suo piccolo appartamento di periferia, dove
viveva con la sorella
maggiore, Meredith.
- Come mai hai fatto così
tardi?- chiese la donna richiudendo la porta d' ingresso. Aveva i capelli raccolti con
poca cura e
dei vestiti ripiegati in mano.
- Lascia perdere, lascia
perdere...- rispose il fratello con aria stanca, la schiena curva.
Ma Meredith fece nuovamente la
domanda mostrandosi preoccupata.
-
D'accordo.- iniziò Harry sedendosi su una poltrona.- Ti
spiegherò tutto, così
potrai rimproverarmi, come sempre...- continuò togliendosi
gli stivali.
Dopo
averli buttati sul tappeto, si passò la mano sulla faccia,
stendendo con
pollice ed indice la pelle della fronte.
Meredith
si sedette a sua volta alzando gli occhi in cielo perché
immaginò già cosa
stesse per dire Harry.
-
Got non c'era. Ho preso tre autobus per andare dall'altra parte della
città da
lui, ho atteso due ore nel suo studio per poi sentirmi dire che non
sarebbe
venuto e al ritorno mi sono anche bagnato con questa maledetta
pioggia!- disse
furioso.
-
Strano, le previsioni dicevano bel tempo...- disse la sorella per
sdrammatizzare.
Non
lo guardò negli occhi perché sentiva che
l’altro stava per esplodere.
-
Avanti, perché non fai la solita predica Mery? Questa volta
non mi dici che sto
solo perdendo tempo stando dietro al mio sogno, un' utopia?!-
continuò con
rabbia Harry.
-
Te l'ho già detto troppe volte, infatti lo sai. Ora tocca a
te scegliere se
continuare ad illuderti o meno. In fondo, la vita è tua e
sei padrone di
decidere cosa farne.
Quelle
parole stupirono Harry perché era la prima volta che
anziché consigliargli di
smettere di frequentare Got lo lasciava alle sue decisioni, seppur
sapendo che
era un sogno e nient'altro. La donna, esasperata, cambiò
stanza e andò a
raccogliere altre cose da stirare lasciate in giro. Harry per un
po’ restò con
lo sguardo fisso nel vuoto a ripetersi in testa quel consiglio che
suonava
quasi come un rimprovero. Quando furono quasi le ventidue cenarono e
Meredith
come ogni sera lo osservò e notò che
mangiò con poco appetito. Non lo guardava
nemmeno il cibo, lo pescava lentamente dal piatto, distratto. Di tanto
in tanto
scuoteva il capo e rideva amaramente tra sé e sé.
I suoi grandi occhi scuri
sempre più tristi. Lo vedeva sempre più
“assorbito” dal suo desiderio: non vi
era giorno in cui non stava chiuso nella sua stanza per almeno sei ore
a
disegnare e sommergere la scrivania di fogli strappati, accartocciati,
frutto
della mancata ispirazione giusta. Dedicava anima e corpo solo e sempre
all'arte. Chiunque avrebbe capito, anche non sapendolo, che in quella
casa
viveva un'artista, sarebbe bastato guardarsi intorno: copie d'autore
incorniciate e appese un po' ovunque, montagne di fogli imballati nella
sua
stanza, dove in un angolo si trovava il cavalletto con accanto ogni
tipo di
colori, e poi ancora l'attestato di diploma al liceo artistico e quello
di
laurea all'accademia appesi...L'arte era tutto il suo mondo e purtroppo
questa
lo aveva privato di crearsi legami d'amicizia e sentimentali. L'unica
persona
sempre accanto a lui era Meredith, finché un giorno...