Justin’s.
“Detention”
Questo era ciò che c’era scritto su quella specie
di cartellino che la
professoressa di biologia aveva osato attaccarmi alla maglietta. Classe
delle
punizioni, se possiamo chiamarla così. Non male come primo
giorno.
Sbattei sonoramente le nocche sulla porta perfettamente laccata di
azzurro
aspettando di poter entrare.
“Avanti.” Sentenziò
una voce femminile proveniente dall’interno.
“Lei deve essere…”
In quei pochi secondi in cui attesi che il tipo la
donna seduta alla
cattedra nominasse il mio nome per intero mi guardai intorno.
La classe era mezza vuota ma riuscii a scorgere gli occhi di molti
puntati su
di me. Non era una sensazione sconosciuta, d’altronde ero
nuovo, me lo sarei
dovuto aspettare.
“Bieber, Justin Bieber, non è
così?” Disse la professoressa
dopo
aver scorso una lista piena di nomi.
Annuii deciso, almeno del mio nome ero sicuro.
Mi fece cenno di sedermi, così attraversai rapidamente la
lunghezza della
stanza con l’intenzione di accaparrarmi uno degli ultimi
posti, dove speravo
avrei cazzeggiato per le due ore successive
L’aula era popolata quasi interamente da ragazze, non credevo
fosse così,
insomma, dalle mie parti sono i maschi i casinisti che finiscono in
posti come
questi…
Sentii bussare ma non rivolsi neppure minimamente lo sguardo alla
porta, sfilai
il cellulare dai jeans e (tentando di non farmi scoprire
dall’insegnante)
cominciai a giocare a Fruit Ninja nascondendomi dietro
l’astuccio.
“Cooper! Ci si rivede a quanto pare…
Entri pure, il prossimo ritardo verrà
segnalato alla presidenza, è avvertita.”
“L’unica cosa che potrebbe segnalare dovrebbe
essere il suo peso al dietologo…”
“Come si permette, io…”
“Mi spedisce dritta nell’aula di detenzione? Beh,
troppo tardi.”
Brutte ma simpatiche, le ragazze di qui.
Continuai ad ascoltare le due fino a quando chiusi
l’applicazione e mi voltai
per la prima volta verso la ragazza dalla parlantina sciolta,
ritrovandomi a
perdere la parola e il buon senso.
La prima ragazza carina in questa scuola (dopo l’insegnante
di sostegno di Eric
Norris a biologia, quella non era affatto male, mmh).
Carina… Forse un aggettivo troppo riduttivo, era
assolutamente perfetta.
Indossava una maglia nera che faceva intravedere gran parte
dell’addome e un
paio di jeans rigorosamente attillati che concedevano ben poco
all’immaginazione.
Finalmente una ragazza che non veste solo
di rosa (colore che io odio).
Mi attraeva, eccome se mi attraeva.
I suoi occhioni blu mi attraevano.
I suoi lunghi capelli biondi mi attraevano.
Quel nasino all’insù mi attraeva.
E il suo stile, beh, quello mi attraeva dannatamente troppo.
Iniziai a smanettare con l'iPhone, ma era davvero difficile riuscire a
concentrarsi fra la paura di essere scoperti e i rumori presenti in
quella
stanza, così bloccai il cellulare e mi misi a guardare fuori
dalla finestra, in
qualche modo avrei dovuto far passare il tempo.
“Tu devi essere
il solito perfettino figlio di papà che capita qui per caso,
mi sbaglio?” Mi voltai all’istante
verso la ragazza che mi aveva rivolto la parola, quella
ragazza.
Era seduta proprio al mio fianco, ciò significava
che fra tutti i banchi
vuoti aveva scelto me.
Lo so, è un pensiero idiota, non riesco
neppure a spiegarmelo, sono
nervoso e non sono abituato a questa sensazione.
“Decisamente, e potrei ritenermi
offeso ora, sai?”
Madison’s.
“Allora chi
sei? Non ti ho mai visto prima.” Gli
domandai.
“Tu chi vorresti che io fossi?” Mi
rispose il ragazzo prima di
scoprire quella sua bianchissima dentatura apparentemente perfetta.
“Non lo so, non ti conosco.”
“Ed è meglio così,
fidati.” Commentò il biondo
scuotendo la testa.
“Cosa intendi dire scusa?”
“Diciamo solo che non sono il tipo che una ragazza
dovrebbe avere come
amico.” Rispose con lo sguardo perso nel
vuoto.
“Ehi biondino, stai parlando con Madison Cooper, renditene
conto.” Mi
pavoneggiai facendo trafilare dell’ironia.
“E tu potresti essere usata e gettata via come un
fazzolettino di carta,
stai parlando con Justin Bieber, renditene conto.” Rispose
prima di
sfoderare un sorriso malizioso.
“Oh cazzo, l’ennesimo seduttore sfornato
male!” Esclamai roteando gli
occhi.
“Attenta a come parli, Cooper.”
“Ti prego, finiscila Bieber.”
Quelli furono forse i sessanti
minuti peggiori della mia vita, il tempo trascorse molto più
che lentamente, a
causa del silenzio imposto dall’insegnante slash balena che
ci sorvegliò per il
resto del tempo.
Alla fine dell’ora mi diressi subito alle macchinette, in
cerca di qualsiasi
cosa fosse commestibile, la fame a dir poco mi assaliva dopo tutte
quelle ore
di prigionia trascorse senza cibo a scuola.
***
“Avanti
bello.” Imprecai prima di
sferrare un leggero calcio a quella macchina mangia
soldi.
“Cazzo.” L’unica
che aveva mangiato era la macchinetta, i miei
soldi però.
“Novellino, disse la ragazza che non sapeva comprare
una merendina alle
macchinette.” Mi girai di scatto e mi
ritrovai quel Justin a pochi
centimetri di distanza.
“È colpa della macchinetta, quando
succede non mangiano neppure i giocatori
di football cosa stai cercando di insinuare?”
“Mmh, niente. Piuttosto… Che mi daresti
se riuscissi a far scendere i tuoi
soldi?” Mi propose malizioso.
“Niente perché non ci
riusciresti.” Feci spallucce e mi voltai
dandogli la schiena. Lo sentii ghignare, si stava forse prendendo gioco
di me?
All’idea mi fece ribollire il sangue.
“Ok, se ci riesco però scelgo io, sei
avvisata.” Mi
minacciò.
“Va bene, se non ci riuscirai però mi
pagherai la merenda per un mese,
sei avvisato.”
Dopo essersi concesso una risatina snervante, si avvicinò a
quell’ammasso di
latta e assestò un colpo deciso ad un lato.
Deve essere un idiota, se proprio deve colpire la macchinetta
dovrebbe farlo
da davanti.
Diede un altro colpo, giusto poco più in basso e il
risultato fu il medesimo.
“Ritirati, Biebe…” Non
riuscii a terminare la frase che dalla
macchinetta sgorgarono decine e decine di monetine.
“Come cazzo ci sei riuscito?” Gli
chiesi euforica mentre lo aiutai
a raccogliere gli spiccioli a terra.
“Sono un canadese cresciuto nel Bronx, tutto questo
è nel mio DNA.” Ammise
prima di farmi l’occhiolino.
Canada…
Anche io ero canadese. A dire il
vero quasi tutta la mia famiglia lo era, ma da quando… Da
quando è morta mamma,
mio padre ha deciso di trasferirsi in California e io ovviamente
l’ho dovuto
seguire.
Un
susseguirsi di ricordi si fecero spazio
nella mia mente, tentai di scacciarli via scuotendo il capo, ma fu
piuttosto
difficile.
“Ah, Canada…” Queste
furono le uniche parole che mi uscirono dalla
bocca prima di quell’interminabile ed imbarazzantissimo
silenzio.
Avevamo già raccolto quasi tutte le monetine quando
sbadatamente le nostre mani
si sfiorarono, nell’intento di raccogliere i medesimi ultimi
spiccioli in
terra.
“Vacci piano novellino.” Dissi
ancora a capo chino per nascondere
l’imbarazzo.
Lui scoppiò soltanto in una leggera risata.
“Mi devi un favore sai?” Mi
ricordò interrompendo quell’orribile
momento.
“Credo tu abbia ragione… Allora? Che ti
devo?” Era stato gentile,
infondo. Questo glielo dovevo.
“È una sorpresa… Una sorpresa
che si vede solo con gli occhi chiusi. Non
fare domande, ti prego.”
Ancora un po’ dubbiosa chiusi gli occhi come mi disse, ero
quasi sicura che la
sua “sorpresa” consistesse in uno scherzo
bastardissimo ma l’istinto mi diceva
di fidarmi.
In quel corridoio della scuola il silenzio era quasi tombale, se ne
erano
andati tutti da ormai un pezzo, tutti tranne Justin me e qualche
bidello.
All’improvviso, un piccolo dettaglio
mi fece rabbrividire, era
come se una scarica di adrenalina mi avesse perforato la spina dorsale
e il
cervello fosse andato in standby per qualche secondo.
Il respiro di qualcuno, sicuramente di Justin era sempre più
pesante e vicino.
Feci per cercare di capire cosa avesse in mente, ma mi resi conto di
conoscere
alla perfezione le sue intenzioni, e nonostante questo non mi mossi, lo
lasciai
fare come un’emerita cretina.
Nel giro di pochi attimi le labbra di quel ragazzo si erano
già posate sue mie,
che le seguivano esperte, mentre una sua mano era già
intenta ad accarezzarmi
la guancia.
Dopo qualche secondo, il cervello si decise a dare finalmente segni di
vita e
io misi fine a quel contatto che non ci sarebbe dovuto mai essere.
“Ah… Suppongo facciate così
nel Bronx, giusto?” Dissi alzando il
sopracciglio sinistro.
“Tu…? Beh, sì, cioè
giusto.”
“In difficoltà, novellino? Sappi che se vuoi
giocare io sono più brava di te.”
Justin’s.
L’avevo appena
baciata, senza chiederle il permesso, così, di punto in
bianco.
Nessuno schiaffo, nessun calcio nei gioielli… Non sembrava
affatto una facile
nonostante questo, non ai miei occhi.
Questa ragazza mi intrigava da pazzi, era troppo complicata e
misteriosa, e non
la conoscevo da neppure un giorno.
“Io? In difficoltà? Gioco da quando ero
ancora un feto, ragazzina… E non a
carte.”
“E sentiamo… A cosa, ai power
ranger?” Mi
provocò lei.
“No, un gioco da tavolo che preferisco giocare a letto, ma se
preferisci il
tavolo non c’è problema, mi
piacciono le posizioni strane.” Le
feci l’occhiolino ma di tutta risposta lei mi rise in faccia.
“Non fare il puttaniere con me, tanto non attacca,
ci sono tante troiette in
questo istituto, e io non faccio parte di quella
categoria.” Era
piuttosto agitata, nervosa, non lo so.
No piccola, non ti scaldare.
Abbozzai un leggero sorriso, poi
le
sussurrai: “Per questo mi attiri.”
***
hi
beautiful ladieesssssss.
spero davvero
che vi piaccia questa ff perché è quello lo scopo
per cui
l'ho scritta, non avrebbe senso continuare altrimenti, no? uù
è per questo che vi chiedo di lasciare una ppppiccola
recensione, giusto per
farmi sapere cosa ne pensate. *occhidolci* (?)
accetto anche le critiche negative, anche se spero che non faccia
così tanto
cagare çç,
se non
riceverò recensioni o se ne
riceverò solo di negative abbandonerò la
storia... davanti ad un monastero di
suore... sotto la pioggia... e la grandine...
no ok tornando serie, il banner sopra
l'ho
fatto io quindi non lo fottete anche perché non è
che sia chissà che cosa.
al prossssimo capitolo.<3
-valeria.