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Autore: KaienPhantomhive    27/08/2012    2 recensioni
[Reboot a partire dall'Episodio 3x3; fondamentalemente Het ma con lievissimi accenni Slash.]
Un uomo dall'anima divisa tra Luce e Ombra, in cerca della Redenzione.
I dolori insanabili di una ragazza che non può soffrire.
Molte anime legate da fili a loro invisibili, in bilico tra un progetto superiore e sconosciuto e precarie vite comuni.
La caduta di un misterioso meteorite ed un ragazzo privo di qualsiasi ricordo, eccetto un nome: Alex Mercer.
"Talvolta, nelle infinite casualità della vita, si nasconde un Disegno ben più grande."
Genere: Angst, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Claire Bennet, Nuovo personaggio, Peter Petrelli, Sylar
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Al sorgere del Nuovo Sole nel cielo, l’Umanità lentamente si desta dal suo torpore.
Nel dischiudere come petali i nostri occhi all’accecante luce del Domani, possiamo sentire il Mondo Esterno fluire nello Spirito racchiuso nei nostri corpi, portando con sé le innumerevoli emozioni che delimitano le nostre vite ordinarie.
Tuttavia, è nell’apparente anonimia della nostra esistenza…che avviene il Primo Contatto con il Grande Progetto.
 
 
 
 
 

Capitolo 1:
 
‘‘First Contact’’
 

 
 
 
17 Marzo 2007. Ore 05:00 A.M.
Livello-5 (sotterraneo). PRIMATECH corp. Odessa, Texas.
 
“Ah!” – con un piccolo gemito soffocato, un uomo si svegliò di soprassalto.
 
Ansimava debolmente ma in fretta, con gli occhi sbarrati e la fronte imperlata di sudore; si trovava disteso su qualcosa di duro.
Il suo primo istinto fu di mettersi a sedere, ma nel flettere le braccia si trovò impossibilitato.
Si prese un momento per mettere a fuoco l’ambiente:
 
Era una stanzetta semplice e fredda, dai grigi muri lisci; una lunga lampada al neon lo accecava dal soffitto; era disteso su quello che sembrava un lettino di infermeria, con la differenza che nessun letto del genere teneva dolorosamente legati i propri pazienti con delle cinghie di cuoio, polsi e caviglie; un respiratore medico, collegato ad una flebo, era infilato nella narice destra e bloccato da un pezzetto di nastro adesivo sul suo labbro superiore.
Aveva freddo: indosso solo una canottiera ed un paio di banali pantaloni grigi di almeno una taglia più grande; chiunque lo avesse conciato così non gli aveva nemmeno concesso il lusso di un paio di scarpe che potessero evitargli di prendersi un reumatismo in quella cella gelida.
 
Come c’era finito?
Tentò di far chiarezza con le idee:
L’ultimo ricordo era quello di un dolore lancinante per tutto il corpo ed un bagliore elettrico di un azzurro sfolgorante.
Poi l’immagine di una ragazza dai capelli biondi e dalla fronte ferita che lo fissava disgustata, affiancata da una paio di guardie armate; un allarme riecheggiava per i corridoi di quella che sembrava una Base militare: la PRIMATECH.
O meglio: l’Impresa, come ‘quelli del giro’ si limitavano a chiamarla.
E poi la fame: una fame incontenibile di sapere, di forza…una fame che lo stava uccidendo.
Una fame che…
 
“I figli, talvolta, possono essere dei totali fallimenti.” – una voce di donna interruppe i suoi pensieri – “Ma non è il tuo caso. No…non tu.”
 
Si avvicinò da un angolo in ombra;
Era una donna dal portamento fiero, sui sessant’anni.
Capelli neri, raccolti sulla nuca; una parure di orecchini e collana in perle, evidentemente molto costosi, come il tailleur che indossava; rossetto, trucco ed un sorriso ambiguo, a metà tra la commozione e…qualcos’altro.
 
“Tu sei diverso.” – gli si fece vicina, parlando con voce vellutata.
Iniziò a sciogliere i nodi dei polsi, ma il giovane uomo disteso non parve avere sufficiente forza o volontà per sollevarsi.
 
Con la vista annebbiata e i sensi intorpiditi, quello che fino a poche ore fa era noto come ‘Sylar’, chiese debolmente:
“Chi…chi sei tu?”
“Gabriel…” – rispose lei, sorridendo – “…io sono tua madre.”
“No.” – piegò la testa da un lato, come a sincerarsi delle sue stesse parole – “Tu non sei lei.”
“Mi spiace contraddirti, ma è la verità. Non avremmo mai dovuto darti in adozione, Gabriel, ma eravamo così confusi ed inesperti…con Nathan già a carico e Peter ‘in arrivo’.”
Gabriel Gray sgranò gli occhi, rallentando il respiro.
“Ma ora cambierà tutto.” – continuò la donna, sfiorandogli la fronte con l’indice – “Potrai avere tutto ciò che desidera un bambino: una famiglia comprensiva, tanto affetto…”
“Ma di cosa parli…?” – chiese confuso.
 
Lei si risollevò, mormorando trionfante:
“Io sono Angela Petrelli. Ed il tuo nome, Sylar – o come preferisci farti chiamare – è ‘Gabriel Petrelli’: mio figlio.”
 
 
*   *   *
 
 
Ore 16:30 P.M. Costa High. Costa Verde, California.
 
Con la musica del suo iPod sparata nelle orecchie, Claire Bennet risaliva il cortiletto esterno del grande liceo privato di Costa Verde.
 
La giornata si avviava lentamente alla fine, con il Sole a rosseggiare in quel pomeriggio di quasi-primavera e cospargeva le pareti del moderno Istituto di pennellate aranciate.
 
I suoi capelli dorati rilucevano d’ambra contro la divisa aderente azzurra da cheerleader.
Era stanca morta: sette ore di scuola, pranzo, pausa di una mezz’ora scarsa, ancora scuola e poi gli allenamenti della squadra.
E in più i recuperi.
Sì perché a lei non fregava niente di recuperare in matematica; non lo voleva, non ne aveva bisogno.
Però ne aveva proprio bisogno perché la sua media era poco meno che sufficiente; non che fosse mai stata un asso con i numeri, ma così era umiliante.
 
Non farti notare. Tieni la testa bassa’.
 
Queste erano le parole di Mr.Bennet che risuonavano nella sua testa e che l’avevano costretta a fingersi una quasi-frana a scuola per non entrare nelle mire dell’Impresa.
 
Voti!– pensò tra sé, risalendo le scale dell’Istituto – Come se a quei balordi dell’Impresa fregasse di come vada a scuola una ragazza in grado di rimettersi in piedi dopo un volo di 25 metri!
 
Pochi minuti dopo era in classe:
Quell’oretta extra di matematica sembrava non passare mai, nell’aula assolata di torbido Sole tardivo.
Contro ogni previsione, quella lezione era abbastanza affollata di studenti.
Ma a Claire poco importava; se ne stava lì a scarabocchiare sul banco strani simboli simili ad ‘F’ corsive oblunghe.
Di tanto in tanto concedeva un’occhiata al banco davanti a lei:
Quel posto era sempre vuoto, tutti i giorni da un mese a quella parte, ed ora era occupato da un tipo truzzo con la testa quadrata.
 
Ma dove sei…? Perché sei dovuto fuggire, per essere felice?– si chiese con i pensieri a morirle nell’anima, mentre il ricordo di un ragazzo prendeva corpo al suo fianco; poi si fissò ad osservare il tipo di schiena – Con quel testone quadrato ed i capelli biondi a spazzola sembra uno di quegli zerbini per Mr.Babbani…
Le venne da sorridere a quel pensiero.
 
“Allora? Nessuno sa la risposta?” – la ridestò la voce del professore, indicando il passaggio finale di un’equazione logaritmica – “Miss Bennet, forse lei saprà illuminarci! Mi sembra che non abbia molta voglia di…”
 
Tra +Infinito e –Infinito.” – tagliò corto lei, evitando inutili polemiche – “La risposta è: ‘tra +Infinito e –Infinito’.”
 
“Però…! Complimenti, Bennet! E’ giusto.” – annuì il prof. allampanato.
 
Lei sollevò un sopracciglio e schioccò le labbra:
Grazie al cavolo.
 
 
*   *   *
 
 
Contemporaneamente (fuso orario). Da qualche parte, in Africa.
 
Con il sole a picco ad indorare le sabbie senza orizzonti, Matt Parkman mosse l’ennesimo passo strascicato, l’ultimo di una serie di cui ormai aveva perso il conto.
 
“Quanto…manca…ancora?” – chiese rispettando le giuste pause per riprendere fiato, con tutta la pelle degli zigomi che gli tirava, screpolata.
 
“Non molto.” – rispose il giovane eremita qualche passo avanti a lui – “Noi quasi arrivati.”
Quel ragazzo africano che lo aveva soccorso poche ore prima, quando il poliziotto era crollato al suolo esanime, sembrava non provare il minimo sforzo.
Continuava a marciare di buon passo, con quel bastone lungo e ricurvo che si ostinava a portare sulle spalle, a mo’ di giogo.
Si voltò di tre quarti, sorridendogli:
“Voi americani non resistenti come in vostri film, eh? Troppi lussi, poca fatica!”
 
“Sì, molto spiritoso…” – bofonchiò Parkman, tentando di darsi un contegno mentre qual bel salvagente che aveva per pancia gli rendeva ogni passo più pesante.
“Oh, andiamo! Abbatterti non ti aiuterà a proseguire! Parliamo un po’: vieni da America, giusto?”
“Questo mi pare di averlo già messo in chiaro…” – borbottò Matt.
“Conosci Britney Spears?” – chiese improvvisamente la sua scorta.
“Cosa? No!”
“Lei americana.”
“Sì, ma l’America è un Paese enorme!”
“Già.” – annuì Usutu, con semplicità – “Anche Africa.”
 
Parkman sollevò gli occhi al cielo, mentre ogni briciolo della sua proverbiale pazienza lo abbandonava.
 
“Coraggio, tu deve resistere!” – lo spronò l’altro, continuando ad avanzare tra le rocce desertiche tutte uguali – “Solo così può completare ‘Cammino dello Spirito’! Solo così può salvare Futuro!”
 
Matt si fermò, spazientito ed esausto:
“Ma di che diavolo parli?”
 
Usutu si voltò, con un’espressione di totale e divertita rassegnazione dipinta sul volto scuro ma cordiale:
“Di come ‘lento panzone yankee’ imparerà a correre!”
 
 
*   *   *
 
 
Ore 20:30 P.M. (fuso orario). Sala ristoro; ‘YAMAGATO S.p.a’. Tokyo, Giappone.
 
Korewa no ‘onigiri’ na oishidesu! [Questo ‘onigiri’è buonissimo!]” – con un versetto di gusto, il giovane Hiro Nakamura afferrò dal vassoio di legno un dolcetto di riso e lo addentò; sul suo viso si disegnò una buffa espressione di soddisfazione.
 
Il ragazzo dall’altra parte del tavolo lo fissò di sbieco con gli occhietti sottili, mentre il suo viso allungato si deformò in una smorfia di disappunto:
Okamachoja ni naru koto wa amari yoku shimansen. Temo, watashi wa ‘onigiri’ o tabe ni koko ni tanzai suro watashitachi na shiki o mitsukeruto wa omowanai! [Per essere un milionario non chiedi molto. Ma non credo che stare qui a mangiare ‘onigiri’ ci farà ritrovare la formula!]”
 
Rirakkushu, Ando-kun! [Rilassati, Ando!]” – Hiro rigirò tra le dita un secondo dolcetto, con infantile noncuranza – “Sore wa kimi ni narunode, koko de ‘Nemeshisu’ o sagasu tame ni shiranai! Yoi shokuji wa, yoku kangaeru tame ni hitsuyona momodesu. [Non sappiamo nemmeno dove sia ‘Nemesi’, quindi cercarla sarebbe inutile! Una buona cena è ciò che ci vuole per pensare bene.]”
 
L’amico scosse la testa, sconsolato:
Baka-Hiro!”
Poi sgranò gli occhi è batté i pugni sul tavolo, osservando le pietanze:
Watashi wa ‘sushi’ wa doko ni aru?! [Dov’è il mio ‘sushi’?!]”
 
Che servizio scadente, quel catering.
 
 
*   *   *
 
 
Quarantacinque minuti dopo. Loft di Mohinder Suresh. New York.
 
Il silenzio dell’ampio appartamento, lasciato in triste eredità del prematuramente scomparso Isaac Mendez, era interrotto solo dal lieve brusìo dei motori e dei clacson delle auto che scorrevano ambiguamente per le vie della sconfinata metropoli.
 
L’atrio principale era immerso nella penombra, rischiarato esclusivamente del tenue lume azzurrognolo di un PC portatile.
Gli occhi del giovane genetista indiano erano fissi sul monitor; le pupille seguivano freneticamente le onde di dati, numeri e grafici che si avvicendavano come in una danza armoniosa dal significato perduto.
 
Un fastidioso prurito sull’avambraccio destro costrinse Mohinder a rigirarsi la maniche della camicia di flanella.
Guardò disgustato la sua pelle: sull’epidermide dall’omogenea tonalità olivastra luccicavano delle piccole e ripugnanti escrezioni cartilaginee.
Rush cutaneo’ continuava a ripetersi; ‘Semplice reazione collaterale al composto. Passeggero.
Disgustose squame da rettile. Mostruosità.’ – gli suggeriva invece il suo inconscio timoroso.
 
“Sono tornata!” – una gentile voce femminile accompagnò lo scattare della serratura dell’appartamento.
Suresh sobbalzò, voltandosi:
“Maya…mi hai fatto spaventare!”
E tornò chino sulle sue analisi.
 
Pardoname, Mohinder.” – rispose la bella donna dall’accento sud-americano – “Stasera il traffico era bloccato!”
Appese alla porta il soprabito e gli si avvicinò.
Gli poggiò le mani sulle spalle, avvicinando il viso al suo:
Todo bien?”
“Sì, sì…” – borbottò senza staccare gli occhi dell’oggetto delle sue ricerche.
“Sicuro?” – chiese nuovamente, con più insistenza.
“Insomma, ti ho detto di sì!” – Mohinder scattò in piedi, alzando la voce.
Lei si paralizzò; il suo bel viso esprimeva tutta la preoccupazione e la confusione degli ultimi tempi.
 
Era arrivata in America fidandosi di un uomo che conosceva appena, arrivando a concedere le proprie labbra vergini, solo per scoprirlo essere l’assassino del fratello e di molti altri di cui nemmeno conosceva il nome.
Ora conviveva con quello che sarebbe dovuto essere il suo salvatore, il ‘Mohinder Suresh’ che tanto si vantava di poter guarire i ‘soggetti avanzati’ dai loro poteri e che sempre più spesso iniziava a dar segni di cedimento.
 
Perfino lui lo sapeva; si affrettò a discolparsi:
“Scusami, non volevo alzare la voce. Il fatto è che sono così stanco…e come se le pretese dell’Impresa non fossero sufficienti ci si mette anche lo Spazio a darmi noia!”
Espàcio?” – ripetè lei, dubbiosa –“Como quello delle estrellas?”
“Già…” – ingrandì un video sul PC – “…pare che una pioggia meteorica sia prevista per domani sera. Nessuno che l’abbia prevista prima d’oggi…un’altra gatta da pelare!”
“Te lo hanno chiesto loro?”
“Non esplicitamente. Diciamo che sono interessati al contenuto.”
“Di quale contenuto parli?”
“E chi lo sa!” – Mohinder fece spallucce – “Radiazioni, micro-batteri alieni…qualsiasi cosa.”
Maya Herrera strinse le braccia intorno la vita del ragazzo, sussurrando:
“Non darti troppe pene…”
“Sono solo un povero ricercatore.” – si disse.
“No…” – le parole le si spensero in gola, mentre le loro labbra si intrecciavano lentamente – “…tu erès mucho mas.”
 
Suresh chiuse il laptop con una mano.
 
 
*   *   *
 
 
Contemporaneamente. Livello-5 (sotterraneo). PRIMATECH.
 
“E così sarebbe lui il mio nuovo partner?” – Noah Bennet, fissando l’uomo accovacciato sullo sgabello, oltre i vetri rinforzati della cella.
 
Gabriel Gray, Petrelli, o Sylar – o come diavolo decidessero di chiamarlo – se ne stava lì, fermo, con le mani allungate sulle ginocchia.
Teneva gli occhi chiusi, sperando di allontanare il mondo da sé.
Ma ci sentiva bene. Anche troppo.
 
Nonostante ci fossero almeno trenta centimetri di vetro anti-sfondamento a dividerli, Mr.Bennet poteva avvertire ogni molecola del suo corpo gridare all’erta e vendetta verso quel silenzioso individuo.
 
“Non mi piace.” – disse alla donna al suo fianco – “Non accetterò mai di lavorare con quel mostro. Non dopo quello che ha fatto alla mia Claire.”
“Mi pare che lei stia bene.” – Angela Petrelli aveva il raro dono di sminuire qualsiasi conversazione e ridurla ad un mucchio di frasi spezzate.
“Non è questo il punto.” – la voce di Noah si incrinò – “Mi avete costretto a tornare…ora volete che faccia l’Avvocato del Diavolo?! Perché proprio lui?!”
“I motivi delle mie scelte non devono riguardarti, H.R.G.” – la donna sorrise con superficiale leggerezza – “Non è una richiesta: è un ordine. Di cosa ti lamenti? Dopotutto questo sarà un ottimo modo per tenerlo sotto osservazione. E poi conosci la procedura: uno di noi, uno di loro.”
“E, tra i tanti, proprio l’Uomo Nero?!”
“Noah…” – Angela assunse un’espressione di falso cruccio – “…sta solo cercando di redimersi. E’ stato lui a volerti, sai? Dagli una possibilità. E comunque ora è solo Gabriel Petrelli…”
Gray.” – la corresse, con disappunto – “Il suo nome è ‘Gabriel Gray’. Non provare a confondere le acque anche con me, Angela.”
Lei sollevò un sopracciglio, dissentendo:
“Credi a ciò che vuoi, ma le procedure non si discutono. Ho un registro-missioni piuttosto nutrito da sottoporvi.”
“Come vuoi.” – l’uomo incrociò le braccia al petto, remissivo – “Ma alla prima mossa falsa che fa…”
“Si prevedono tempi magri, Noah.” – lo interruppe Mrs.Petrelli – “E’ meglio lasciare da parte i desideri da consacrare alle Stelle Cadenti e abbracciare quelle scelte difficili ma necessarie.”
Gli si parò innanzi; le labbra perfettamente truccate si incurvarono in un sorriso compiaciuto:
A volte dobbiamo fare affidamento sugli alleati più oscuri, per difendere ciò a cui più teniamo…
 
Le lenti di Noah Bennet rilucettero nell’opacità del neon.
 
 
*   *   *
 
 
Un’ora dopo. Casa ‘Bennet’. Costa Verde.
 
L’odore di arrosto e patate al forno si spandeva per la sala da pranzo, al centro della quale una bella tavola imbandita offriva le sue pietanze alla famiglia riunita intorno ad essa.
 
Claire infilzò la forchetta in una fetta di roastbeef e la sollevò in aria, fissando con orrore un minuscolo pezzo di grasso sul bordo:
Eeww…mamma, si può sapere come hai fatto a trovare un arrosto che abbia i nervi? Oh, beh…vieni qui, Mr.Babbani!”
 
Un cucciolo di Pomerania dal pelo lucido e vaporoso si accucciò zampettante al tavolo, accogliendo in bocca il pezzetto di grasso concessogli dalla padroncina.
 
“Claire!” – Sandra Bennet lanciò un’occhiataccia alla figlia adottiva – “Non si spreca così, il cibo!”
 
“Stavo pensando che potrei star via per un paio di giorni.” – proruppe a freddo Noah, posando gli occhiali bordati d’osso sul tavolo.
 
Suo figlio Lyle parve ravvivarsi all’idea che attraversò il suo piccolo cervello sedicenne:
“Oh, sì, adesso che ci penso: Bob Patten sta organizzando un week-end a casa sua, sul lago, e io…”
“No, non puoi andarci, se è questo ciò che intendi.” – lo frenò la madre.
“Ma mamma!”
“Niente ‘ma’! Non mi fido a lasciarti con quel tipo!”
 
Claire mandò giù un altro boccone e riprese il discorso, non certo su di giri:
“E dove dovresti andare, papà?”
“Ehm…” – l’uomo indugiò per un attimo – “…incontri di lavoro, nulla di più.”
“Già.” – la Cheerleader sottolineò quel concetto con sottile sarcasmo – “Proprio nulla di più.”
 
In cuor suo sapeva che quando Noah Bennet era ansioso al riguardo di qualcosa significava che quel ‘qualcosa’ era pericoloso e andava discusso il meno possibile.
Ma quando faceva finta che tutto andasse per il meglio, che la loro vita potesse ricadere nell’agognato anonimato…allora sì che erano casini.
 
“Ricordami di mettere la sveglia al telefono, Sandra.” – concluse sbrigativo, indossando nuovamente gli occhiali da vista in un gesto di celato nervosismo – “Domani devo svegliarmi presto.”
 
Claire rivolse un’ultima occhiata al padre e poi si chinò verso il cagnolino che ancora scodinzolava ai suoi piedi:
“Caro il mio Mr.Babbani, prevedo un lunga settimana davanti a noi…”
 

Il notiziario al telegiornale era al suo ultimo servizio:
‘…e per domani è previsto il passaggio sull’Atlantico dell’asteroide ‘BlackLight’…’
 
 
CONTINUA…
 
 
Nel prossimo capitolo - ‘Shooting Star’:
 
Durante il primo caso di Noah Bennet e del suo nuovo strabiliante partner, un’inaspettata ‘visita’ dal Futuro rivela l’identità di uno dei criminali;
In due distanti luoghi della Terra, Hiro e Matt hanno una visione differente ma che potrebbe accomunarli;
E mentre una nuova amicizia sembra ravvivare la vita della giovane Claire, il misterioso meteorite ‘BlackLight’ è prossimo all’impatto imminente…

 

   
 
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