Capitolo 1
Barcellona, prima parte.
Barcelona-it
was the first time that we met.
Barcelona-how
can i forget
the
moment that you stepped into the room
you
took my breath away.
-The Queen.
*ruba
un piccolo spazio*
vorrei
ringraziare chi ha dedicato e chi dedicherà del tempo a
leggere
questi due capitoli *prepara i biscotti* la storia
sta
entrando nel vivo, spero che vi piaccia (?) rinnovo l'invito a
lasciare un commento, una critica, qualsiasi cosa; non mordo :3
“Se
sti stronzi mi hanno perso la valigia giuro che metto in piedi un
casino che nemmeno si immaginano.” disse stizzita Gemma, al
pensiero che tutti i suoi preziosi e amati vestiti fossero finiti in
chissà quale città per errore.
“Rilassati,
mi stai facendo salire l'ansia.” sospirai, accendendo il mio
htc e
trovando ben sette chiamate perse, tutte di mia mamma, ovviamente.
È
facile fare progetti, è facile iniziarli, le
difficoltà iniziano
con il portarli avanti. La prima difficoltà per me era
informare la
mia famiglia di questa scelta; non sono mai stata brava con le
parole, ma in quel momento dovevo cercare di esserlo, quella
telefonata sarebbe stata decisiva, decisiva per me, per il rapporto
con la mia famiglia, per il progetto.
“Se
la mia valigia dovesse apparire, prendimela.” dissi alla mia
migliore amica prima di allontanarmi.
Presi
un profondo respiro, nella mia mente continuavo a ripetermi che in
fondo era solo una telefonata, composi il numero, mia mamma rispose
dopo pochi squilli: “Rebecca!”.
L'unica
cosa che mi uscì fu: “Mamma.”.
Avevamo
un rapporto strano, non era la mia confidente, lei mi tartassava di
domande, lei diceva di volere il meglio per me, ma in quel modo non
aveva fatto altro che allontanarmi.
“Dove
siete?” mi domandò, in apprensione.
Sorrisi
tra me e me: “A Barcellona.”.
“Cosa?”
urlò.
Adesso
o mai più.
“Sì.
Non ti preoccupare, ho i vestiti, ho il mio bancomat, ho Gemma, ce la
caveremo. Ho anche dei programmi quasi definiti, dammi qualche mese e
torno a casa ok?” sputai tutto d'un fiato.
Quello
che sentii fu solo silenzio. Riattaccai, mi appoggiai ad un muro e
tirai un sospiro di sollievo. Mi sentivo libera, mi sentivo come un
marionetta a cui avevano appena tagliato i fili, non riuscivo a
smettere di sorridere.
“Sei
determinata, ragazza.” disse con accento spagnolo una voce
che
proveniva dalla mia sinistra.
Mi
girai di scatto e tutto si fermò.
Gli
avrei dato vent'anni, capelli neri, corti e lucidi, ma che gli
ricadevano ribelli sulla fronte, occhi scuri, pelle abbronzata,
lineamenti marcati e un accenno di barba non fatta; portava un paio
di jeans chiari e una t shirt bianca con una fotografia di James Dean
stampata sul davanti, era magro, ma allenato e, sì, era uno
di quei
ragazzi che avrei giudicato 'attraenti' alla prima occhiata.
“A
volte devi esserlo.” risposi.
Sorrise:
“Come mai da queste parti, straniera?”.
“Come
mai parli italiano, ragazzo catalano indubbiamente
attraente?”
ribattei.
Si
avvicinò a me: “Mio padre vive a Roma. Posso
sapere il tuo nome,
ragazza italiana indubbiamente attraente?”.
“Rebecca.”
dissi, secca.
Mi
prese la mano e la baciò: “Encantado,
Marc.”
Avete
presente quando sentite le ginocchia cedervi? Lo charme di quel
ragazzo era qualcosa di pazzesco, non riuscivo a staccargli gli occhi
di dosso, i giorni a Barcellona promettevano bene, anzi, benissimo.
Scossi
la testa ridendo: “Voi spagnoli siete sempre tutti uguali,
subito a
provarci.”.
Alzò
un sopracciglio sorridendo: “Ci posso provare stasera se
vuoi, alle
undici, davanti all'Hard Rock Cafè.”.
“Perchè
no?!” dissi, più a me stessa che a lui.
“Ci
conto, Rebecca!” mi urlò mentre mi allontanavo.
“Porta
un amico per la mia amica!” gli urlai a mia volta.
Mi
guardai in giro per qualche minuto prima di trovare Gemma appoggiata
alla sua valigia, mentre teneva la mia e si guardava intorno con aria
irritata, togliendosi dal viso un ciuffo dei suoi lunghi e capelli
castani che formavano sempre perfetti boccoli.
“Gemma!”
esclamai, correndo da lei.
“Dove
cazzo eri?” chiese con aria interrogativa.
Sorrisi:
“Stasera davanti all'Hard Rock Cafè alle
undici.”.
“Con
chi?” sembrava sospettosa.
Sorrisi
maliziosamente: “Un certo Marc, un grandissimo figo, e un suo
amico.”.
Sospirò:
“Sai che non ti dirò di no.”.
“Il
tutto sta cominciando bene direi.” considerai, sorridendo.
“Magari
se ci trovassimo un bed and breakfast dove stare sarebbe anche
meglio, prima di pensare ai catalani!” esclamò.
Accettai
e ci decidemmo a chiamare un taxi, avevo tante cose in testa,
innanzitutto la mia famiglia, potevo far finta di fregarmene quando
volevo, però una parte di me desiderava ardentemente che non
mi
odiassero, poi Marc, non ho mai creduto nel colpo di fulmine, ma non
riuscivo a trovare altre spiegazioni in quel momento, pensavo anche a
quello che stavo facendo, insomma, non era la cosa giusta, era solo
quello che mi sentivo di fare. In diciotto anni e mezzo di vita non
avevo mai dato grossi problemi alla mia famiglia, tendevo a fare le
cose di nascosto, diciamo che questo era il primo grande problema che
i miei avrebbero dovuto affrontare con me, anche se, in cuor mio,
intuivo già come sarebbe andata a finire: i miei avrebbero
tagliato
tutti i ponti con me, figlia ingrata, dopotutto loro volevano una
famiglia perfetta, dopotutto mia mamma, neurochirurgo di successo, e
mio papà, avvocato dello stesso calibro, piuttosto che dire
la
verità su quello che stavo facendo, si sarebbero inventati
che ero
all'estero a studiare, ero più che sicura di averli delusi,
ma non
mi importava più di tanto.
Quel
pomeriggio andò a finire che trovammo un bed and breakfast
abbastanza economico e non troppo lontano dalle Ramblas, cenammo con
metà pizza vegetariana a testa, ci preparammo e prendemmo la
metro.
Mentre
stavo salendo le scale della fermata, mi specchiai nello schermo del
mio cellulare, i miei lisci capelli castano chiaro non erano mai
stati così lunghi, mi ero truccata gli occhi con
tonalità scure e
non mi preoccupai se il mio vestito a motivi scozzesi verde e blu era
troppo corto.
Non
ci impiegammo molto a raggiungere l'Hard Rock, notai subito Marc,
così dissi a Gemma, che indossava un tubino bianco con i
bordi
rossi: “Quello con la maglietta blu e i jeans bianchi
è Marc, il
riccio è l'amico, giù le mani da Marc.”.
Rise:
“A me l'amico va più che bene, al solo pensiero di
lui che parla
spagnolo mi viene da contorcermi.”.
Scossi
la testa: “Sei una cretina!”.
Attraversammo
la strada e li raggiungemmo, salutai Marc: “Ciao
straniero.”.
Mi
squadrò: “Ciao bellezza, lui è Carlos,
il mio migliore amico.”.
Mi
presentai, dopodiché dissi: “Lei è
Gemma, la mia migliore
amica.”.
“Ciao.”
disse lei sorridendo raggiante stringendo la mano ai due ragazzi,
già
avevo capito che Carlos le piaceva; me lo sentivo che Barcellona non
sarebbe stata male come inizio.
“Bene,
quali sono i programmi per la serata?” chiesi, curiosa.
Marc
mi sfiorò la mano: “Prima di tutto, come ti ho
detto
all'aeroporto, io ci devo provare con te, nel frattempo vi possiamo
portare per locali.”.
Ci
guardarono aspettando una risposta, Gemma annuì:
“Va benissimo!”.
“Ok,
allora andiamo.” disse Carlos.
Mentre
ci incamminavamo, Marc si avvicinò a me, mi
soffiò all'orecchio:
“Ti va bene il programma di stasera?”.
“Perché
non dovrebbe andarmi bene?” risposi.
Mi
lasciò un bacio appena sotto l'orecchio, prima di
sussurrare:
“Perché non sarai capace di resistermi.”.
"Sei
troppo sicuro di te, bello." lo informai.
Scoppiò a ridere:
"Cosa devo fare per farti impazzire? Portarti in spiaggia a
guardare le stelle? Lo farò!".
Alzai un sopracciglio: "Per
chi mi hai presa? Per la principessa delle favole? Portami in una
libreria che sa di vecchio, portami al Camp Nou, portami a fare le
foto a Montjuic, portami in un negozio di dischi, portami...".
Mi
interruppe: "Allora cominciamo, molliamo Carlos e Gemma e
andiamocene a Montjuic, non ti farò scappare, straniera che
ama il
calcio, i libri e la fotografia esattamente come me.".