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Autore: A l i c e    29/08/2012    2 recensioni
Sono passati nove anni dal fatidico scontro e le Mew Mew, ormai ex paladine della giustizia, si sono fatte una vita loro. Sarà un ritorno inaspettato e uno (o due) sconvolgente segreto a travolgere il corso degli eventi e le loro vite.
Una precisazione: se in questa storia i personaggi possono apparire OOC, è perché ho voluto farli crescere e maturare. Buona lettura.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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The lost life
The lost life
 

  *Capitolo 3*

 

      La sigaretta giaceva abbandonata nel portacenere sul tavolino e ancora fumava, camminando lentamente verso la sua inconsapevole fine.
   Sorrise lievemente.
   Le sigarette le ricordavano gli uomini: avevano un’esistenza così breve, che nemmeno se ne rendevano conto, troppo prese a servire gli altri, per avere come ricompensa un bel salto nei cestini. Per questo l’aveva appoggiata delicatamente sul portacenere, per farle godere gli ultimi istanti di vita con un po’ di egoismo.
   Scosse la testa.
   A volte sfiorava veramente la psicopatia. Che cacchiata, compiere un gesto di riconoscenza verso una sigaretta. La prese tra le dita con rabbia fin quasi a spezzarla e la portò alla bocca, aspirando.
   Al diavolo.
   E pensare che stava così bene, prima che arrivasse lei. Che male aveva fatto per meritarsi quello?
   Si accasciò sulla sedia laccata di bianco scivolando lentamente verso il basso. Gettò la testa indietro e chiuse gli occhi mentre il fumo le riempiva lentamente i polmoni, incendiandoli.
   I passi rimbombavano prepotenti nel corridoio deserto, accavallandosi in un costante fruscio di abiti e di gambe.
   La porta non era molto distante, ancora qualche passo e l’avrebbe raggiunta. Un ultimo sforzo.
   Bussò. Una, due volte. E nel frattempo ebbe tutta la libertà di constatare quanto quell’albergo fosse desolato e puzzolente.
   Bussò di nuovo mentre la rabbia in corpo aumentava proporzionalmente alla preoccupazione. Finalmente la serratura scattò e la porta scrostata si aprì, lasciando intravedere l’interno squallido.
   «Oh. Sei tu».
   «Che cosa significa questo?». Gli sbatté in faccia il post-it appiccicato frettolosamente sul frigorifero di casa.
   «Quello che c’è scritto».
   «E cioè? Non capisco».

   “Ho bisogno di tempo per riflettere, se mi cerchi sono all’hotel Kayatsu n°234”. Lo avrebbe saputo recitare a memoria, interpretare così appassionatamente che sarebbe subito diventato successo mondiale quanto Madame Butterfly, quel breve messaggio scritto con una biro blu.
   Rimase in silenzio a fissare quel volto fin troppo conosciuto: il naso dritto, gli zigomi alti, gli occhi fuggenti...
   Spalancò un poco la bocca in una vaga espressione di sorpresa e disgusto.
   «Te la sei scopata, non è vero?».
   Ancora silenzio.
   «Cristo Santo, sì o no?!». Aveva cominciato a prenderlo a pugni sul petto.
   «Sì! Sì, me la sono scopata, va bene? E mi è anche piaciuto!».
   Fu come prendere una lavata di acqua gelida. Rimase lì come paralizzata a fissarlo negli occhi.
   Avanti, non era difficile: espirare ed inspirare,dentro e fuori. Annaspò alla ricerca d’aria, strabuzzando gli occhi, e tornò a respirare più o meno normalmente mentre il cuore pompava furiosamente sangue nelle arterie.
   «Bene... allora... tanti auguri».
   «Non essere sempre così...».
   «...strega? No, per carità. Ti auguro solo dal profondo del cuore di rimanere solo come un cane e di avvelenarti con la tua stessa bile quando questo avverrà».

   Il suono di pochi passi brevi e veloci che si affrettavano sulla terrazza la fece tornare alla realtà.
   «Mi volevi».
   La domanda suonò come un’affermazione, quasi una dichiarazione esplicita di una consapevolezza profonda.
   Minto sollevò la testa puntando gli occhi gelidi in quelli caldi di Ichigo. Sbuffò con fare superiore, e senza distogliere lo sguardo si accese un’altra sigaretta. Inalò e andò a fuoco, quel tanto che bastava a darle la forza e la determinazione che la contraddistinguevano.
   Per un paio di minuti si poté udire il suono leggero del vento che soffiava lontane le ultime nuvole lasciando scoperto un cielo dorato, spruzzato di azzurro qua e là.
   Sullo sfondo si stagliava la silhouette dei grattacieli di Tokyo e ancora più in fondo si poteva intravedere la baia con le acque luccicanti. Si potevano scorgere qualche peschereccio e nave cisterna che scivolavano silenziosi sul mare lanciando di tanto in tanto il loro suono triste.
   «Mi detesti, non è vero?».
   Minto rimase in silenzio a osservarla riducendo gli occhi a due fessure malevole mentre soffiava via il fumo.
   Ichigo sorrise mesta scuotendo la testa e si appoggiò alla ringhiera della terrazza allungando la mano verso le sigarette.
   «Tu che dici Momomiya?».
   «Che ti sono mancata».
   Ichigo rimase ancora un po’ in attesa della sigaretta tanto agognata, invano. Ritirò la mano accigliata: «Sei ancora troppo giovane per fumare, lo sai?».
   «Cagna» masticò Minto tra i denti tornando a fissarla.
   «Prego?».
   L’espressione sul viso della ragazza di fece ancor più dura: non le era mai stata simpatica, fin dall’inizio, ma questa non era una novità. Aveva cercato di accettarla e di provare una sorta di rispetto per il ruolo che svolgeva.
   Rise amaramente scostandosi il ciuffo di capelli ribelli che le cadeva sugli occhi.
   «Non credere che adesso che sei tornata tutto diventi come prima. Forse per gli altri, non per me».
   Per una frazione di secondo Ichigo parve barcollare sotto il peso enorme di quelle parole: per una frazione di secondo agli occhi di Minto parve nuovamente quella ragazzina adolescente un po’ avventata che sembrava essere stata risucchiata da un’altra Ichigo.
   «Pensavi di poter tornare a fare i tuoi comodi, persino portarti a letto il mio compagno?».
   Di nuovo Ichigo parve barcollare e accasciarsi contro la ringhiera della terrazza. Continuava a scuotere piano la testa balbettando parole spezzate, lo sguardo vacuo e le lacrime agli occhi.
   Minto si mosse nervosamente sulla sedia, quelle lacrime la facevano imbestialire più del dovuto. Le persone come lei la facevano imbestialire. Le facevano schifo alla pari della feccia, così subdole e opportuniste, false fin dentro le budella. Le sembrava quasi di poter vedere il fegato che sosteneva, impudico, di essere una milza.
   «Se vuoi un consiglio, Momomiya». Un’altra boccata di fumo e un ultimo sguardo a quegli occhi tristi. «Vattene».

 

   Un vento gelido soffiava imperterrito da alcune ore su quella terra arida e abbandonata da Dio. Il cielo plumbeo preannunciava una tempesta coi fiocchi, mentre muri di sabbia e terra si innalzavano dal suolo, quasi a voler prendere il posto di quella torre che gli umani avevano tentato di costruire per sentirsi alla pari degli dei. O meglio, di un dio soltanto.
   Un’ombra avvolta in un lungo mantello proseguiva lentamente lungo un sentiero tortuoso che portava al Monte degli Dei riparandosi il volto con un grande cappuccio. Avanzava faticosamente poggiandosi a un bastone nodoso. I piedi nudi incespicavano fra i massi e la pelle secca si era già spaccata in diversi punti.
   «Ben arrivata, Lilith».
   L’ombra raggiunse con un ultimo sforzo il tempio posto a metà del Monte. Sospirò e abbassò il cappuccio lasciando intravedere un ciuffo di capelli arancioni. Senza pronunciare una parola si avviò verso la stanza sacra dell’edificio accessibile solo ai sacerdoti e si mise seduta davanti al focolare. Allungò le mani e i piedi alla ricerca di calore.
   «Ci sono novità?».
   «E’ arrivato il momento».
   Gli occhi turchesi di Lilith guizzarono verso il vecchio alieno seduto di fronte a lei.
   «Gli altri sono già stati informati?» chiese sfiorando sovrappensiero il tatuaggio che ricopriva interamente l’avambraccio destro.
   Il vecchio annuì serafico.
   «La partenza è fissata per domani. Se tutto va come previsto dovreste arrivare, parlando di tempi umani, la sera del 7 aprile».
   Parlava pacatamente, soppesando con cura le parole. La voce ovattata e pastosa, invecchiata da un accenno di raucedine, risuonò per qualche secondo.
   Lilith sorrise fra sé e sé: «Bene. Tutto va secondo i piani, per ora. Ci penserò io ad avvisare lui». Fece una pausa rovistando all’interno della bisaccia accanto a lei.
   «Qui ci sono alcuni documenti importanti. Contengono alcune informazioni che ci saranno indispensabili per portare a termine la missione.
   «Se ad un certo punto qualcosa dovesse andare storto, non esitare a distruggerli: sono alcuni studi che mio cugino ha portato avanti durante l’intera durata della faccenda “Ichigo”. E’ tutto chiaro?».
   Il vecchio alieno annuì nuovamente, con lo sguardo improvvisamente perso nel vuoto.
   «Mio figlio verrà con te?».
   «Sì».
   «Buona fortuna».
   Lilith sorrise sommessamente: «Buona sorte anche a te».

 

   Retasu sospirò contro il vetro freddo e bagnato, appannandolo. Fuori pioveva a dirotto e il cielo scuro non prometteva di dare una tregua.
   Il tavolo della cucina ancora apparecchiato e la televisione accesa che parlava per nessuno davano un senso di solitudine al moderno appartamento che si affacciava sulla via più in di Tokyo.
   Gli occhi della ragazza seguivano distrattamente il corso delle gocce di pioggia contro la finestra mentre il pensiero vagava inconsolabile e frenetico a quegli ultimi mesi.
   La situazione, dopo il ritorno di Ichigo non era cambiata granché e sembrava in bilico in attesa della tempesta. Che, ne era certa, non sarebbe tardata ad arrivare. Lei lo sentiva.
   Sollevò lentamente la mano e fece scorrere le dita contro il vetro con lo sguardo che correva a rincorrere qualcosa d’irraggiungibile nel vuoto.
   Lei era stata l’unica a rimanere –per così dire- “fedele” al Café a Ryo e a Keiichirou in tutti quegli anni, sempre pronta servire ed accontentare gli altri col sorriso sulle labbra, senza che mai gli altri si curassero di sapere se lei riusciva a sorridere ancora. Era pur vero che la sua indole la portava ad essere così, ma che ci poteva fare?
   Lei era stata l’unica a percepire una sorta di pericolo nel ritorno dell’amica di un tempo, a percepire tutti i sentimenti discordanti di ciascuno di loro. E nonostante questo aveva cercato di trovare il lato positivo nella cosa e di far sentire Ichigo a proprio agio, ma non era stata apprezzata.
   Lei era l’unica, che, rimanendo in disparte, a testa bassa, a lavorare, riusciva a capire meglio di tutti la situazione: Kei proteggeva Ichigo cercando di non dare troppo nell’occhio (parevano quasi d’accordo); Ryo era diviso dall’odio e dall’attrazione che provava nei confronti della ragazza (odio per la scomparsa di nove anni prima e attrazione per la cotta che aveva sempre avuto e che aveva ancora); Minto faceva credere di detestare Ichigo dal profondo del cuore, mentre in realtà era quella che aveva e che soffriva maggiormente; Zakuro era più che altro tormentata da altre questioni e Purin era troppo giovane e buona da serbare rancori e aveva accolto Ichigo con lo stesso slancio di anni prima.
   Se per gli altri era stato il ritorno di Ichigo la causa scatenante di tutto quel dolore, lei sapeva che in realtà Ichigo era stata solo la “purga” che aveva fatto uscire allo scoperto anni e anni di angosce. Perché, lei lo sapeva, la loro felicità era finita quando c’era stato il Terremoto.*
   Sembrava quasi una soap opera americana, sotto una luce forzatamente ironica. Tutti contro tutti, tutti a favore di tutti. Ma di lei, chi si curava?
   Il respiro le tremò per un attimo e appannò nuovamente il vetro mentre una goccia le cadeva sulla mano. Improvvisamente tornò alla realtà e guardando fuori si accorse di come la normale pioggia di prima si fosse trasformata in una vera e propria tempesta.
   Sospirò: era stanca. Di tutto.
   Con gesti misurati aprì la porta finestra e lasciò che l’acqua violenta le bagnasse un po’ il viso entrando, furiosa, in casa. Fu scossa da un brivido di freddo, lungo e inteso, nel sentire l’acqua e l’aria gelida infiltrarsi nel maglione.
   Respirò lentamente. Lo sguardo era tornato a rincorre qualcosa nel vuoto della sera.
   Fece un passo avanti, poi un altro e un altro ancora, fino a trovarsi vicina alla ringhiera del piccolo balcone.
   Tutto quello che chiedeva...
   Com’era profondo il vuoto sotto di lei.
   ... dalla vita...
   Con le macchine che correvano veloci incuranti della tempesta.
   ... era solamente...
   E le migliaia di luci al neon che illuminavano a giorno il centro della città.
   ... un po’ di gratitudine.
   Sollevò il viso verso il cielo e chiuse gli occhi, godendosi la pioggia gelida sulla pelle.
   Allargò le braccia e gettò il capo all’indietro, con i vestiti zuppi, per sentire meglio le gocce d’acqua sul suo corpo.
   «Ciao». Una voce profonda e suadente.
   Retasu spalancò gli occhi e si ritrasse improvvisamente. «Co-come hai fatto a venire qui?».
   Sorrise e alla ragazza parve di scorgere una luce malevola in quegli occhi.
   «E’ sempre così facile sorprenderti, umana».
   Retasu spalancò gli occhi conscia del terrore che la stava pervadendo.
   «Addio per sempre», si avvicinò alla ragazza con passo lento e deciso. «Retasu Midorikawa».

 

Yes I'd catch a grenade for you
Throw my hand on the blade for you
I'd jump in front of a train for you
You know I'd do anything for you
(Bruno Mars- Grenade)

 

* Ci si riferisce al terremoto durante il quale venne modificato il loro dna

 

Note di Alice:
Eccoci qua, tornata da un lungo viaggio verso l'infinito e oltre! No, non è vero, sono stata a casa a far nulla XD
Beh, che dire, il capitolo non mi convince molto e devo ammettere che mi è uscito talmente tanto dalle orecchie che non l'ho nemmeno riletto.
Qui c'è un accenno di azione, comincia la storia vera dal prossimo capitolo e faranno la loro comparsa in grande stile i nostri cari alieni, ma non dico altro! E' molto triste come storia, ultimamente mi sto dando al drammatico, come anche la one-shot che ho pubblicato il mese scorso "Stay" su Ichigo e Ryo... strano, non è da me...
Comunque sia, spendo due ultime paroline sulla storia e poi vi lascio andare (sempre che non siate già scappati!): tra feccia e purga ho fatto una gran bella descrizione di Ichigo... mi spiace mi è venuta così, spero che non me ne vogliate.
Bene, un bacione a tutti e alla prossima! ;)

   
 
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