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Autore: tora_chan    12/03/2007    4 recensioni
Forse il concetto di "umano" non è poi semplice come sembra.. E Sasuke se ne rende conto, suo malgrado. (One-shot, introspettiva, post-vol.27; Sasuke POV; 1500 parole)
Genere: Malinconico, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: tora_chan
Serie: Naruto
Pairing: di base nessuno; per chi ce lo vuole vedere, NaruSasuNaru
Genere: introspettiva, dark, angst
Rating: PG-13
Storia: Forse il concetto di "umano" non è poi semplice come sembra.. E Sasuke se ne rende conto, suo malgrado.
Spoilers: riferimenti a fatti successi nei vol. 26-27




Frammenti di umanità


Tarda notte. Trascinandosi una gamba, entrò in camera e chiuse a chiave la porta. Era più che altro un'azione simbolica: sapeva che un lucchetto non avrebbe fermato eventuali scocciatori.

Muovendosi a tentoni nella stanza ormai familiare, raggiunse il comodino e accese la piccola lampada che lo occupava. La luce era fioca, appena sufficiente per illuminare qualche metro di raggio. Se avesse desiderato più luce avrebbe potuto accendere il lampadario, ma ormai i suoi occhi erano così abituati al buio che ne sarebbero stati accecati.

Si tolse i vestiti e li gettò sul letto, sulle coperte che non venivano smosse da secoli. Non dormiva in quel letto, era una comodità regalatagli da lui, e non sopportava le sue attenzioni. Sapeva benissimo quali erano le sue vere intenzioni, e anche lui sapeva che ne era al corrente.

Accese una candela e la portò nel bagno, poggiandola sul bordo della vasca. Era in bilico come sempre, e come sempre non sarebbe caduta. Anche quello faceva parte della routine, ormai.

Si sedette sul pavimento e cominciò a lavarsi. Per i primi due minuti l'acqua continuò a scorrere color marrone terriccio e rosso sangue. Odiava essere sporco. Soprattutto di sangue. Soprattutto se il sangue non era suo. La sua gamba sinistra grondava di quel liquido rosso scuro, ma essendo il suo non ne provava ribrezzo. Usciva da uno squarcio profondo; stavolta le cose erano andate peggio del previsto. Sciacquò la ferita, stringendo i denti più per riflesso che per dolore. La pelle, una volta pulita, si rivelò violacea; avrebbe dovuto medicarla bene, se non voleva essere costretto al riposo. Il tempo era importante, perderlo era inammissibile.

Uscì dal bagno zoppicando. In una mano teneva la candela spenta, con l'altra stringeva un asciugamano arrotolato attorno alla gamba e già tinto di rosso. Scavando in un baule, sotto ai vestiti, estrasse una scatola rettangolare contenente materiale da pronto soccorso. Lo teneva nascosto, non si fidava. Conoscendoli, avrebbero potuto sostituirne i contenuti con chissà cosa. È per lo stesso motivo che non mangiava mai con loro, né accettava niente di sospetto. A volte restava senza cibo per più di un giorno, ma era sempre preferibile a qualunque altra ingenuità.

Fissò la ferita. Odiava mettersi i punti. Avrebbe preferito ustionare la piaga con una fiammata. Esistevano tanti altri modi per curare questo tipo di tagli, ma lui non ne sapeva niente di tecniche mediche avanzate, quindi era costretto a ricorrere ai metodi più spartani e anche più lenti.

Senza battere ciglio osservò l'ago che entrava e usciva dalla carne, nella penombra. Si domandò per un attimo da quanto tempo avesse smesso di provare dolore. Però faceva comodo, in fondo. Anche se a volte si ritrovava a tagliarsi dal nulla con un kunai per controllare se era ancora vivo. O umano.

Ripose il kit con cura e si rivestì. Spense la luce, poi si sdraiò sulla coperta stesa per terra, senza riuscire però a prendere sonno. Non sopportava di non riuscire a dormire. Soprattutto perché se stava lì fermo, in mezzo al buio più nero, senza far niente, cominciava a pensare. E nella sua situazione, pensare era un'arma a doppio taglio.

Si tirò su a sedere. Ultimamente aveva comunque trovato un buon metodo per passare il tempo in questi momenti. Recuperò la candela e la accese, lasciandola dritta sul pavimento. Tornò a scavare nel baule, stavolta in un posto ancora più nascosto del kit medico, addirittura una specie di doppio fondo. Tirò fuori una piccola busta da lettere e ne sparse per terra il contenuto, tanti piccoli pezzetti di carta strappata. Si mise a fissarli, poi cominciò a ricomporli come un puzzle.

Non gli ci volle molto per finire, sarà stata la cinquantesima volta che lo faceva. Ricomporre un'immagine formata da pezzi così piccoli e scoordinati era un'impresa ardua, ma lui la conosceva in ogni suo dettaglio. L'aveva guardata spesso, prima di strapparla, un giorno, in preda a un attimo di forte insicurezza. Da quel momento, ogni volta che questi pensieri gli attraversavano la mente, lui ricomponeva quel puzzle, bruciandone poi uno o più pezzi.

Adesso era passato molto tempo, e dell'immagine non era rimasto che un quarto o poco meno. Aveva bruciato prima i pezzi blu e i neri, poi i grigi e i verdi, e in seguito i rossi e i rosa. Ormai restava soltanto una manciata di pezzetti gialli e arancioni.

Fissò l'immagine ricomposta, cercando di convincersi mentalmente di stare decidendo quale parte bruciare. Prese un pezzo dal basso e lo lascio cadere sulla fiamma della candela. Per un attimo il fuoco si abbassò, poi riprese più vivido di prima. Sentì una sensazione strana allo stomaco, come se qualcosa di caldo e pesante ci fosse poggiato sopra. Ma era seduto, anche volendo era impossibile.

Prese un altro pezzo, stavolta più in alto, e poggiò anche questo sulla fiamma. Sentì stoffa che strusciava contro i suoi vestiti, un leggero bruciore ad una guancia, sapore di sangue in bocca, tutto il corpo che fremeva impercettibilmente. Scosse la testa, allontanando quello che definì come allucinazione, anche se non ne comprendeva il senso e il motivo.

Un altro pezzo finì in pasto alla candela, stavolta preso dalla cima, grigio in mezzo al giallo. Sentì qualcosa avvolgergli la testa, poi un colpo alla fronte, leggero, senso di confusione, umiliazione, senso di colpa. Agitò la testa con forza, ansimando. Guardò l'immagine sul pavimento, e improvvisamente si rese conto di stare rivivendo delle sensazioni già provate, dei flashback.

Colto da un improvviso senso di panico, prese tutti i pezzi restanti in una mano e vi appiccò fuoco con la candela, bruciandoli tutti e ustionandosi la pelle. Poi la fiamma si spense, e fu di nuovo tutto buio. Mentre cercava di riprendere fiato strusciò inconsciamente la mano sul pavimento, per rimuovere la cera solida, e la punta del suo indice sentì qualcosa che non era né pavimento né cera. Carta.

Prese in mano quello che doveva essere l'ultimo superstite del puzzle. Fissò il buio in direzione del pezzo di carta, senza riuscire a vedere altro che nero. Ebbe un attimo di incertezza, inquietudine, come se avesse paura di guardare. La candela era inutilizzabile. Si alzò, barcollando, intenzionato ad accendere la lampada sul comodino. Inciampò più di una volta e battè contro un angolo del letto, non riuscendo improvvisamente ad orientarsi nella stanza buia.

Quando finalmente raggiunse la lampada e la accese, notò che il pezzetto di carta era sfocato, probabilmente a causa del fuoco di prima. Lo fissò meglio, cercando di capire cosa fosse. Il colore originale doveva essere sicuramente rosato, e c'erano tre righe nere sulla parte destra. Confrontò il frammento con l'immagine integrale stampata nella sua mente, e poco dopo si rese conto che ritraeva una bocca.

Stavolta non partì nessun flashback, ma solo una leggera sensazione di déjà vu, accompagnata da sapore di miso sulla punta della lingua. Socchiuse gli occhi e si girò verso la porta della stanza, dove nella penombra poteva scorgere lo stemma di famiglia. L'aveva appeso là per ricordargli costantemente qual era il suo scopo nella vita, e perché stava lì adesso. Digrignò i denti e strinse i pugni, accartocciando il pezzetto di carta. Non c'era mai "abbastanza" quando si trattava di maledire la persona che doveva uccidere.

Chiuse gli occhi. Non era il caso di farsi prendere dall'ira in piena notte, avrebbe fatto meglio a riposare. Annuì tra sé e sé, poi aprì il pugno dove teneva stretto il frammento di carta e lo fissò. Bruciando questo ultimo pezzetto di carta, avrebbe finito di cancellare ogni cosa che aveva che lo riconducesse al passato. A parte gli stemmi di famiglia, ma quella era un'altra storia.

Spostando lo sguardo verso la candela, si ricordò che quella era ormai finita. Rimase un attimo in silenzio, poi decise che non era il caso di usarne una nuova solo per bruciare qualche centimetro di carta. Ripeté il pensiero sottovoce, convincendosene, poi gettò il frammento nel baule e lo richiuse, senza neanche guardarlo.

Si sdraiò di nuovo sulla coperta e chiuse gli occhi. Per la prima volta in secoli desiderò, sebbene involontariamente, un materasso e un cuscino morbido, ma scosse subito via il pensiero. Non era lì in vacanza, e per arrivare dov'era adesso aveva compiuto atti più che vergognosi. Si era venduto al male perché non era stato capace di fare da sé, e tutto quello che meritava in quel momento era un pavimento di pietra duro e freddo. Se c'era qualcuno che meritava di più, non era sicuramente lui.

Quando stava finalmente per addormentarsi, sentì dei colpi alla porta. Si mise a sedere e fulminò la fonte del rumore con lo sguardo. Senza dire una parola si alzò e si vestì per uscire, raccogliendo con cura tutte le sue armi. Chi avrebbe dovuto uccidere, stavolta? Si chiese se anche lui fosse ormai diventato un omicida ricercato come qualcuno di sua conoscenza.

Lanciò un'ultima occhiata al baule, poi uscì dalla stanza zoppicando. Quel ragazzo posseduto dallo spirito di volpe, che lui aveva chiamato "mostro", era sicuramente molto più umano di lui.






  
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