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Autore: Aelle Amazon    29/08/2012    13 recensioni
Evangeline Smith ha diciassette anni e pensa che la sua vita sia una vera merda. Odia tutti, odia anche se stessa.
Quando scoppia un improvviso temporale le cose cominciano a cambiare. Scopre che gli dèi Olimpi esistono e che sono stati imprigionati dai terribili Titani. Gettati in gabbie sporche, gli dèi hanno deciso di privarsi dei loro poteri per darli ad un mortale prescelto. I Discendenti- così sono chiamati i mortali prescelti- devono risvegliarsi e salvare gli dèi, altrimenti per il mondo sarà la fine.
Ed Evangeline è una di loro.
[STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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volcano 9
Questo ritardo ha un’unica spiegazione. Ero bloccata, non riuscivo a scrivere una riga senza doverla cancellare. Solo qualche giorno fa sono riuscita a superare questa crisi e ho scritto questo capitolo. Davvero, scusatemi per aver aggiornato solo ora. Spero che sia ancora qualcuno che segue questa storia.
Per Dafne Rheb Ariadne: spero che questa Ariadne ti piaccia!
Ringrazio tutti coloro che hanno letto, quelli che hanno recensito, ovvero: Ahrya, AleJAckson, Dafne Rheb Ariadne, La sposa di Ade, _Sylvie, Ryo13, Ailea Elisewin e FallingInLove. Ringrazio anche chi ha messo la storia tra le preferite/ seguite/ ricordate.
Concludo dicendo un’ultima cosa: questa storia è frutto della mia fantasia, è stata scritta da me e viene pubblicata solamente su EFP. Pertanto se la vedete pubblicata da qualche altra parte, avvisatemi e prenderò i giusti provvedimenti.
Grazie mille!
Al prossimo aggiornamento, che sarà presto lo prometto!
Baci,
Aelle
 
 
 
Volcano
 
Capitolo 9
 
 



Ariadne accettò con piacere la birra che le veniva offerta. Ne bevve solo un sorso, però. Non era una grande amante degli alcolici. Quel ruolo si adattava molto meglio al suo ragazzo piuttosto che a lei.

Scandagliò la folla, cercando Zach con lo sguardo, ma una volta che i suoi occhi lo ebbero trovato non si alzò per andargli incontro. Sapeva che Zach odiava la gente che gli stava troppo addosso. Era una delle poche cose che riuscivano ad irritarlo. Perciò si limitò a seguire i contorni della sua figura, soffermandosi sui suoi capelli neri dalle strane sfumature bluastre e sui suoi occhi viola. Non che fossero propriamente viola, ma alla luce della luna assumevano quel colore così raro e particolare. Ariadne li amava, soprattutto quando si posavano su di lei, così luccicanti che parevano brillare.
Nel momento in cui fece per alzarsi e raggiungerlo, Megan si sedette accanto a lei, accompagnata dalla sua risata stridula e Ariadne fu costretta ad emergere dalla sua bolla per voltarsi a guardarla. La salutò con abbraccio caloroso, immaginando che quel gesto le avrebbe fatto piacere. Dopotutto, quella sera era la sua sera: compiva diciotto anni ed era chiaro che si aspettasse di ricevere l’attenzione generale.
-Ti stai divertendo?- le urlò Megan cercando di sovrastare la musica.            
Ariadne era rimasta seduta su quella sedia per tutta la sera, ma di certo non poteva dirle che si stava annoiando a morte. Optò così per un rapido cambio di discorso, sicura che Megan non avrebbe notato la differenza. –Bella festa!- le gridò in risposta.
Megan sorrise, mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi, e accavallò le gambe, facendo sì che il corto vestito che indossava si alzasse di almeno dieci centimetri, lasciando intravedere anche quello che Ariadne non era interessata a vedere. Cielo, non doveva arrivare ai livelli di Bridget Jones, ma cosa le costava mettere delle mutande un po’ più consistenti?
-Grazie, cara- disse Megan con tono smielato. –Non sai quanto tempo ho impiegato per preparare tutto!-
Ariadne riusciva ad immaginarselo molto bene invece. C’erano quantità assurde di cibo, per non parlare poi della scorta di birra e alcolici vari. Se fosse stata costretta a fare una stima, Ariadne era sicura che con tutto quel ben di dio un esercito sarebbe sopravvissuto per mesi senza mai doversi lamentare. E forse c’era anche da chiedersi come diavolo Megan avesse fatto a pagare tutta quella roba se non aveva nemmeno i soldi per prendersi un pacchetto di gomme da masticare.
-Sai- continuò la ragazza, sfoggiando un altro sorriso abbagliante. –I miei sono andati a fare un piccolo viaggetto per una settimana. Così io ne ho approfittato- ridacchiò.
Ariadne accolse la notizia senza battere ciglio perché qualcosa le aveva già suggerito che dovesse trattarsi di una cosa del genere.
-Fortunata!- le disse.
Megan ridacchiò ancora. –Grazie!-
E in quel momento, osservandole gli occhi arrossati e lucidi, Ariadne comprese per prima cosa che la festeggiata era ubriaca fradicia. In secondo luogo, gettando uno sguardo all’orologio che segnava mezzanotte meno dieci minuti, capì che di lì a poco sarebbe dovuta andarsene.
Sospirò. –Devo rientrare. Sai i miei genitori mi hanno messo un coprifuoco … -si scusò con Megan, chinandosi a raccogliere la sua borsa e affrettandosi ad alzarsi.
La festeggiata si lasciò di nuovo andare a quella risata stridula che la irritava tanto. –Oh, non ti preoccupare! Del resto, hai sedici anni … -
Disse l’ultima parte con un tono strano, che aveva tuttavia il chiaro intento di ferirla. Ma Ariadne non si fece per nulla intimidire.
-Sì, già- le rispose.
Si sistemò i vestiti stropicciati e si incamminò verso Zach, che stava ridendo sguaiatamente con un tipo che lei non aveva mai visto. Ariadne scommise il suo piede destro che nemmeno Megan conosceva quel ragazzo. Molto probabilmente era un imbucato.
Appena la vide, Zach le si avvicinò, circondandole la vita con un braccio. –Devi andare?- le chiese.
-Coprifuoco- disse lei stringendosi nelle spalle. –Mi puoi dare un passaggio?- tentò, pur sapendo che non avrebbe ottenuto quello che domandava. Zach amava rimanere ad una festa dall’inizio alla fine.
E come previsto, lui scosse la testa, affrettandosi però a scusarsi. –Mi dispiace! Sai che di solito sto … -
Ariadne lo bloccò prima che potesse finire la frase. –Non fa niente, non ti preoccupare! Mi daresti le chiavi della macchina? All’andata mi hai accompagnata tu … sono sicura che qualche anima pia dopo ti porterà a casa. Magari Meg la puttana- disse con una punta di acidità.
Zach rise. –Sei gelosa forse?-
Lei alzò le mani. –Piuttosto la morte!- rispose con tono solenne.
Il ragazzo si frugò nelle tasche, poi le consegnò le chiavi della macchina. –Ecco qui-
Ariadne gli mise le braccia intorno al collo e gli sfiorò le labbra con le sue. –Grazie- gli mormorò prima di girare i tacchi e dirigersi verso il parcheggio.
Si fece largo a spintoni tra la gente ammassata in quel posto così piccolo e spuntò nella piazzola dove Zach aveva posteggiato la macchina. Non riuscendo a vederla subito, seguì il bip bip del telecomando finché non la trovò.
Si gettò a peso morto sul sedile del guidatore, depositando la borsa su quello accanto a lei. Sospirando per la stanchezza, inserì la chiave, accese il motore, fece retromarcia e si allontanò il più velocemente possibile da quella festa.
Non le ci voleva molto per tornare a casa, giusto quei trenta minuti che le avrebbero consentito di varcare la soglia un attimo prima che scattasse il coprifuoco. Già si immaginava il suo letto, caldo e accogliente, ad aspettarla. Aveva proprio bisogno di una bella dormita.
Quando stava per scoccare la mezzanotte, Ariadne lo vide, in mezzo alla strada. Era ancora lontano, ma era un uomo, o perlomeno aveva le sue fattezze. Era ritto al centro della corsia, esattamente davanti a lei.
Infastidita, Ariadne suonò il clacson per spronarlo a spostarsi, ma l’uomo rimase dov’era, gli occhi scuri fissi in quelli della ragazza. Quello sguardo le metteva paura e Ariadne rabbrividì istintivamente. Suonò di nuovo, questa volta più forte, la paura che le faceva battere il cuore a mille, ma l’uomo non si mosse.
E in quel momento capì che le era rimasta una sola possibilità se non voleva investirlo. Frenò bruscamente, ma qualcosa andò storto. La macchina smise di rispondere ai suoi comandi e sterzando ci volle poco perché slittasse e finisse nei campi fuori la strada. Probabilmente nella manovra colpì un albero o qualcosa di simile perché l’auto ebbe due sobbalzi che fecero venire la nausea ad Ariadne.
Quando la macchina interruppe la sua corsa con un ultimo colpo, la ragazza constatò con piacere di essere ancora viva. Prese tre respiri profondi per calmarsi, poi gettò un’occhiata alla strada, pronta a scendere dal veicolo e a dirne quattro al tizio che l’aveva quasi fatta ammazzare, ma con orrore vide che l’uomo giaceva a terra.
Merda, doveva averlo urtato nella manovra brusca.
Afferrò la borsa e vi rovistò all’interno finché non trovò il cellulare. Con dita tremanti compose il numero di emergenza e ascoltò ogni squillo con l’ansia che cresceva di minuto in minuto.
911. Qual è la sua emergenza?, chiese una voce metallica di donna.
Ariadne si schiarì la gola. –Sono … ho fatto un incidente … c’era un uomo in mezzo alla strada … - balbettò nel panico.
Si calmi, per favore. Ha bisogno di un’ambulanza?
-Sì!- esclamò con sollievo. –Sì … mi serve … - e lì si fermò.
Aveva di nuovo guardato verso la strada, verso la figura rannicchiata a terra. Solo che adesso non c’era nessuna figura rannicchiata a terra.
L’uomo era scomparso.
Pronto?, continuò la voce dall’altro capo del telefono. E’ ancora lì? Mi sa dire dove si trova?
Ariadne annuì, poi si ricordò che la donna al telefono non poteva vederla. –Sì … sono … - ma si bloccò ancora.
Una mano sporca di sangue si era appoggiata al finestrino dell’auto e un volto aveva fatto capolino davanti al suo. Quello dell’uomo che aveva investito.
Lui la studiò per qualche attimo, poi sradicò la portiera con una mano, gettandola lontano.
Ariadne strillò, terrorizzata, e cercò di allontanarsi, ma con l’altra mano l’uomo la afferrò e la trascinò fuori.
Il cellulare cadde a terra, mentre nell’aria risuonavano le grida della ragazza che provava a dibattersi.
Pronto? Pronto?
 
Zach si passò una mano tra i capelli, sospirando e agitandosi su quella piccola sedia. Era traballante e terribilmente scomoda, ma non si sarebbe mosso da lì finché Ariadne non si fosse destata, rassicurandolo sul fatto che stava bene.
La fissò ancora, ammirandone i tratti delicati e la pelle morbida che in quel momento era pallida come la luna. Poi non resistette all’impulso che lo tormentava e allungò una mano per toccarle i capelli color caramello che tanto amava. Erano sudati e crespi, ma Zach sapeva di non potersi aspettare nient’altro da una persona che solo poche ore prima era stata aggredita.
Strinse i pugni e ripensò a ciò che era successo in così poco tempo. All’incirca un quarto d’ora dopo che Ariadne se ne era andata il telefono aveva cominciato a squillare insistentemente. Aveva provato ad ignorarlo, voleva godersi la festa, ma alla fine era stato costretto a rispondere.
E a quel punto gli si era ghiacciato il sangue nelle vene.
Era la polizia che, allertata da una centralinista del 911 che aveva ricevuto una chiamata di emergenza interrottasi all’improvviso tra urla e strilli, aveva rintracciato il cellulare da cui era stata effettuata e si era precipitata sul luogo, scoprendo così una macchina in pessime condizioni e senza conducente. Grazie alla targa del veicolo erano risaliti al proprietario, ovvero Zach, e lo avevano avvisato per capire quanto lui sapesse dell’incidente.
Ma lui era all’oscuro di tutto. Nel panico, aveva chiesto all’agente che lo aveva contattato se poteva raggiungerli e alla sua risposta affermativa lo aveva ringraziato e aveva costretto il suo migliore amico ad accompagnarlo.
Arrivato là si era retto in piedi per miracolo. Anche se era costata, non gli importava nulla della macchina distrutta. Lui voleva sapere dov’era la sua ragazza.
Ma Ariadne non si trovava da nessuna parte. Se non fosse stato per le tracce di sangue sulla portiera divelta a forza dai suoi cardini e per i chiari segni di trascinamento nell’erba probabilmente non l’avrebbero mai trovata.
Poi, sotto i suoi occhi, tutto era accaduto molto velocemente. Una voce aveva chiamato i poliziotti, inducendoli a correre verso il punto indicato. Anche senza permesso, Zach li aveva seguiti.
Ed eccola là.
Stesa a terra, gli occhi chiusi, le labbra atteggiate in una linea severa e i vestiti lacerati. Lacrime ormai asciutte le rigavano il viso, il fango le aveva imbrattato i capelli, mentre i polsi erano arrossati, prova che aveva tentato di divincolarsi dalla morsa di qualcuno molto più forte di lei. Qualcuno di introvabile, perché non c’era traccia della presenza di altri individui. Ariadne era stata abbandonata lì senza ritegno da una persona che era riuscita a svanire nel nulla.
Per prima cosa, gli agenti avevano pensato ad una violenza sessuale, ma poi si erano dovuti smentire perché nessun indizio confermava in modo assoluto quella tesi. E Zach si era sentito sollevato perché non sapeva come avrebbe potuto reagire se avesse appreso che qualcuno aveva violentato la sua ragazza.
-Vuoi un caffè?-
La voce di Daniel, il suo migliore amico, lo trascinò fuori dal baratro di quei ricordi. Si girò a guardarlo con occhi vacui, deciso a non mostrarsi debole, a non piangere.
Scosse la testa. –No, grazie. Sto bene così-
Daniel lo guardò con compassione evidente. –Oh, amico, mi dispiace- gli disse avvicinandosi e dandogli  una pacca sulla spalla.
Lui non rispose, limitandosi ad un cenno del capo per fargli capire che lo aveva sentito. Gli faceva male il petto, il cuore gli pareva stretto in lacci fatti di spine e faticava a respirare.
-Vuoi che ti porti qualcos’altro?- provò ancora Daniel.
-Voglio solo che lei apra quei suoi splendidi occhi castani e mi dica che sta bene- mormorò. –Non mi serve altro-
-Sicuro?-
Annuì. –Sì, vai a casa, Dan. I tuoi saranno preoccupati-
-Li ho chiamati prima per avvisarli. Posso stare qui- ribatté lui.
-Vai a casa, Dan- ripeté Zach con voce stanca. –Sei il mio migliore amico, ma in questo momento voglio stare da solo con lei-
Daniel fece per aprire bocca, ma poi ci ripensò e la richiuse. Prese le chiavi della macchina, si avvicinò alla porta, la aprì e si fermò sulla soglia. –Chiamami quando vuoi. Quando lei si sveglia, se vuoi parlare … per qualunque cosa, okay?-
Pur sapendo che non lo avrebbe fatto, Zach lo accontentò. –Certo. Sarai il primo che chiamerò-
Daniel gli lanciò un’ultima occhiata, poi si strinse nelle spalle e se ne andò senza aggiungere un’altra parola, lasciandolo finalmente da solo.
Non appena la porta si chiuse alle spalle del suo migliore amico, Zach spostò subito lo sguardo sulla figura placidamente addormentata e, sebbene non fosse credente, cominciò a pregare ogni dio che conosceva affinché lei si svegliasse.
-Per favore … - mormorò chiudendo gli occhi. –Per favore-
Quando rialzò le palpebre, nulla era cambiato. Ariadne era ancora stesa in quel letto bianco, immobile. A quella vista, Zach si alzò di scatto dallo sgabello e tirò un pugno contro il muro. E un altro. E un altro di nuovo finché non cedette al dolore e si accasciò a terra, piangendo come un poppante e vergognandosi del suo stesso comportamento pur non sapendo come fermare le lacrime.
Perché era successo ad Ariadne? Conosceva la risposta. Perché lui era stato tanto egoista da pensare solo a se stesso. Non l’aveva accompagnata a casa come invece avrebbe dovuto fare e quello era stato il risultato. La colpa era tutta sua. Sua e del suo stupido attaccamento alle feste.
Si asciugò le lacrime con la manica della felpa, tirò su col naso e si rimise a sedere.
Aspettò per altre ore interminabili prima che Ariadne si decidesse a dare segnali di vita. Erano quasi le otto del mattino quando la ragazza iniziò a muovere debolmente le dita e a lamentarsi nel sonno, agitando la testa da una parte all’altra come se volesse scacciare un insetto fastidioso.
Zach saltò in piedi. –Ariadne … ?-
Lei mugolò, ma non aprì gli occhi e continuò quella piccola lotta. Nel momento in cui smise di muoversi convulsamente, Ariadne prese un respiro profondo e spalancò gli occhi, di un azzurro così chiaro da sembrare bianco.
Zach si sporse sul letto. –Ariadne, mi senti?-
Lei voltò il capo e lo fissò, in silenzio. Poi, come ripresasi da una trance, annuì. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo e ringraziò gli dèi o qualunque entità avesse accolto le sue preghiere. Lei era lì, era sveglia.
Le spostò una ciocca sudata dalla fronte e lei non si mosse, continuò semplicemente a fissarlo.
-Ac … acq … acqua- articolò a fatica, come se non conoscesse la lingua in cui si stava esprimendo e stesse assaporando il suono della sua stessa voce.
-Subito-
Le versò un po’ d’acqua in un bicchiere di plastica e glielo accostò alle labbra. Lei lo bevve d’un colpo e ne chiese ancora e ancora finché la sua sete non si fu placata.
-Come stai?- osò chiederle allora.
Lei annuì di nuovo, ma non rispose.
Per forza, pensò Zach, doveva essere disorientata.
-Vado a chiamare l’infermiera- le comunicò.
Lei si agitò. –No!- disse. –No. Voglio alzarmi-
Zach le sorrise. –Un motivo in più per chiamarla. Torno immediatamente-
-No- si lamentò lei. –Aiutami tu-
Il suo tono di voce era così supplicante che Zach non seppe dirle di no. Le mise una mano alla base della schiena e pian piano la sollevò. Quando si ritrovò seduta sul letto, Ariadne gettò fuori le gambe e si slanciò.
-Piano, piano!- la rimproverò lui. –O ti farai male-
Ma Ariadne non parve udirlo. Appoggiò i piedi a terra e mosse qualche debole passo. Nel momento in cui capì di essere in perfetto equilibrio, i suoi movimenti si fecero più sicuri.
Poi provò a muovere le braccia. Le spalancò, le agitò e aprì a chiuse le mani con un’espressione esterrefatta sul viso, come se non riuscisse a credere di avere il pieno controllo del suo corpo.
Ma quando vide quello strano sorriso deturparle il volto altrimenti dolce e paffuto, Zach capì che c’era qualcosa che non andava in lei. Non era la solita Ariadne.
-Ariadne, va tutto bene?- le domandò.
La ragazza si girò a guardarlo. –Certo- scoppiò a ridere. Una risata che aveva un retrogusto malvagio. –Credimi, va tutto a meraviglia!-
 
 

Note:
In America la patente si prende già a sedici anni, non bisogna aspettare i diciotto.






  
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