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Autore: TuttaColpaDelCielo    30/08/2012    3 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 24 – Passato che torna; futuro che muore





C’era qualcosa, nell’aria, che ferveva come se ci fosse un tempo limite, un termine prossimo – o forse era in lei e la spingeva a guardarsi attorno, a ricordare ogni dettaglio di quel luogo che presto avrebbe abbandonato, a imprimere tutto nella sua memoria sempre troppo imperfetta.
Vedeva le fronde lontane agitarsi sotto il vento, le correnti d’aria che conosceva bene sostenere il volo ancora incerto dei Cherubini; ma avevano sempre avuto quella rapidità, quella violenza?
Su un tetto, un allievo sfogliava gli appunti con tale foga che le pagine rischiavano di strapparsi. Più in basso, i viali erano un continuo flusso in direzioni opposte, le sacche annodate ai polsi che si urtavano tra loro e le ali agitate, arruffate, frementi. Mancava la settima classe – la settima classe mancava sempre, come se avesse continuamente qualche impegno lontano dallo Specchio, ma non era stato così, quando lei aveva indossato quella fascia. Il colore pallido della sesta c’era, però, e – minuscola fitta al petto – la quinta con il suo rosso tenue, la quarta dalle tinte ancora accese. E terza e seconda e prima, gocce di sangue umano che si perdevano in quella marea più chiara, come se fossero pochi, pochissimi, come se il ciclo inferiore fosse composto solo da Cherubini quasi maturi e da quell’unico sprazzo più intenso della quarta – e questo, nemmeno questo era normale. C’erano anche ali che, da lontano, apparivano bianche: una moltitudine che ai fianchi portava il colore del lutto, fasce grigie più numerose di quanto fossero mai state, mentre le ali davvero candide – insegnanti, Custodi, Guaritori – diventavano sempre più rare, sempre più scarse.
In un viale, un cherubino spintonò un altro, che sbatté la schiena contro la parete esterna dei dormitori; quello restituì il colpo, facendolo crollare a terra, ma nessun adulto intervenne – ricordava, invece, di quando le Custodi le ordinavano di non ridere per non turbare la quiete, e un litigio sarebbe stato impensabile. Si sporse di più sul bordo del tetto, per vedere meglio la scena, e finalmente un Custode li fermò, furioso; lei lo conosceva, perché erano stati nello stesso gruppo, da qualche parte in quell’infinità di tempo trascorsa dalla sua creazione. Era stato uno di quelli che avevano sussurrato alle sue spalle – uno di quelli che avevano disprezzato la sua allegria, la sua memoria difettosa, la sua lentezza; uno di quelli che avevano sorriso, soddisfatti, ogni volta che aveva mostrato le venature bianche lasciate dall’Espiazione; uno di quelli che avevano sperato che la macchia della sua esistenza imperfetta svanisse, che il monito della fascia grigio cenere si avverasse.
Anane si accorse che la sua memoria difettosa poteva rinunciare al ricordo del Paradiso.

* * *

Sull’acqua si riflette la luce del tramonto. Il sole che muore sembra riversare il suo sangue nel torrente, tinge i flutti di colori caldi; lei ci immerge le mani e scopre che invece sono freddi, gelidi, nonostante le promesse di quei raggi.
Non si guarda nel torrente: volta il capo verso le pietre dell’argine, verso la terra umida che le sta sporcando le gambe. Sente ogni granello, ogni sasso, graffiare la pelle morbida e tenera. Un frammento di metallo riflette il bagliore del sole, appoggiato poco lontano; abbandonato su una roccia, uno specchio le rimanda uno scorcio di cielo rossastro. Si sporge e vi vede un lampo di capelli scuri, e la mano rosea che sale ad allontanarli dal viso.
È sola.
Fa stranamente male, pensarlo.

* * *

«Hai pensato a quello che ti ho detto?»
«Non cambio idea.»
«Ti tradirà, Amitiel.»
«Io mi fido, di lei
«Michael-»
«Michael non c’entra nulla con questo.»
«Michael mi ha... tempo fa, mi ha detto-»
«Per colpa sua ho dovuto assistere a... a quello che hai fatto, e ho rischiato molto più di quanto potrò mai rischiare per colpa di Sachiel. Perché dovrebbe interessarmi quello che ti ha detto? Perché dovrei fidarmi della sua opinione?»
«Lasciami parlare, de-»
«No. Hanno sempre parlato tutti, e nessuno mi ha mai spiegato niente, nessuno mi ha mai chiesto niente, non posso parlare io, per una volta? Devo sempre ascoltare e annuire e non pensare?»
Qualsiasi cosa avesse voluto dirle – e doveva essere importante e difficile, a giudicare dal tono tremante –, Anane perse il coraggio.
«Va bene. Parla.»
«Non con te.»
«...non ti fidi più di me?»
La voce di Anane vibrava: sembrava sul punto di piangere, o urlare, come se conoscesse già la risposta – e forse era così, perché Anane conosceva lei. Amitiel non conosceva Anane, invece, non davvero, e scoprirlo aveva fatto male, malissimo, perché aveva passato un’esistenza intera con un’estranea che chiamava amica; e Amitiel – Amitiel che ancora era solo un cherubino, Amitiel che ancora apparteneva al Paradiso, Amitiel che ancora non aveva un grumo nero di rancore e rabbia a marcire nel petto – era già vendicativa e implacabile.
Ricordava la fiducia tradita. Ricordava le unghie di Michael sulla gola e Anane che non l’aveva avvertita, e la risata di Eisheth e Anane che la chiamava madre, e il Custode che la guardava disperato e Anane che estingueva la sua essenza, e Anane che la accusava di essere impazzita, e Anane che le diceva che non avevano scelta, e Anane che non credeva nel suo giudizio.
Amitiel era già vendicativa e implacabile, e la sua memoria – anche se era ancora quella difettosa dei Cherubini, non quella perfetta degli adulti – sapeva essere molto, molto lunga.

* * *

«Non usi mai il mio nome.»
«Non mi sembra ti sia mai importato.»
«Ma non lo usi.»
«Ho altro a cui pensare. Non vedere problemi che non esistono.»
«Ma-»
«Ishild.»
Una mano gelida stretta al polso. Unghie – taglienti, aguzze, divenute all’improvviso come artigli – affondate con violenza nella carne.
Fissa quelle dita di un pallore grigiastro, malato; i rivoli scarlatti che colano dalla pelle ferita.
Dolore.
«Ishild. Ishild. Ishild. Sei soddisfatta?»
«Eisheth...»
«Eisheth?»
«A volte mi parla del prima
«Non ascoltarla.»
«Mi fa venire... dubbi.»
«È quello che vuole. Ignorala.»
«Non ci riesco.»
La lascia. La pelle ha un alone roseo, dove le ha stretto il polso.
Le dà le spalle.
«Dove vai?»
Le piume – nere, taglienti, spaventose – vibrano.
La voce anche – ringhio trattenuto.
«Da Dumah.»

* * *

Eisheth rizzò la schiena, scorrendo con le dita sull’erba, come artigli che lasciavano tracce di morte e marciume; sangue colava a terra dal fianco, dove lui l’aveva colpita per respingerla, divorando gli steli anneriti.
Il caduto avvertiva la stessa corrosione avanzare lungo le dita, consumando le unghie e i polpastrelli fino a lasciare solo carne annerita. Il dolore risaliva fino al palmo, stringeva il polso in una morsa rovente e dilaniava l’avambraccio, ma era quasi come non sentirlo, perché affondare gli artigli in carne dannata era ormai divenuto abitudine.
«Michael, Michael... bastava dire di no.» mormorò Eisheth, con una voce simile a un latrato isterico e divertito. Rovesciò il capo verso l’alto per guardarlo, con un ghigno minaccioso e uno sguardo famelico. Lui si impedì a fatica di muovere un passo indietro.
«Anane... è quasi il momento, finalmente.» gorgogliò il demone «E poi, Michael? Poi come farai?»
«Anane non mi serve più.»
«È andato tutto troppo lento, sì?»
«Non importa. Anane sa come deve orientarla, prima di cadere.»
«Anane potrebbe aver cambiato idea.» sporse il busto verso di lui, ancora, con un ghigno «In fondo, tu non le servi più.»
«Abbiamo un accordo.»
«Un accordo con una codarda che ha la mia protezione. Michael, Michael...» gorgogliò ancora, scuotendo la testa.
Le ali nere dell’arcangelo si irrigidirono.
«Se anche Anane fallisse, le parlerò io. C’è tempo.»
«Da quanto attendi, Michael? Quanto ancora dovrai pazientare, mentre quella femmina si risveglia?»
«C’è tempo
«Povera bambina. Davvero una sorte triste.»
«Cherubino, non bambina.» ringhiò «Non è un’umana.»
I polpastrelli sembrarono venire divorati dal dolore, quando risuonò il latrato della risata di Eisheth.

* * *

«Non sei diversa da loro, cara.»
«Non è vero.»
«No? Eppure temi le loro leggi, fingi di seguirle, ti rinneghi. Sei come loro
«Non è vero!»
Una risata acuta, graffiante.
«Sempre così codarda, sempre così debole.»
«Non-»
«E lui disprezza i codardi, sì? Lui disprezza i deboli.»
«Taci, taci!»
«Lui disprezza loro
«Io non sono come loro.»
Una risata, ancora.
Mani bollenti a stringerle le braccia, occhi scuri sgranati con una luce feroce, labbra stirate in un ghigno ferino.
Fiato rovente a un soffio dalle labbra.
«E sai chi altri disprezza, cara? Gli Umani

* * *

«Avete autorizzato il suo Sviluppo.»
«Evidentemente.»
«Ma non è pronta. La consumerà.»
«Forse.»
Il pugno di Nelchael si abbatté contro la colonna al suo fianco. Leliel rimase immobile, ma l’oscurità nel tempio si fece più fitta, annebbiandogli la vista con un velo scuro. Scorgeva i suoi occhi, di fronte a lui, che lo fissavano gelidi – era difficile capire quanto Leliel fosse irritata, perché con lui lo era sempre, dietro la sua maschera impassibile.
«O forse rimarrà in vita, Esecutore, com’è rimasta in vita per tutto questo tempo.»
«Dopo di lei, chi? Chi si svilupperà senza essere pronto? Chi sacrificherete per la fretta?»
«Per la fretta?» Leliel rise, con un suono che somigliava a uno scricchiolio d’ossa «Ha avuto sin troppo tempo.»
«Se non morirà, cadrà
«Non dare per certo un tradimento di cui non c’è prova, Esecutore.»
«Ha ucciso un Custode.»
«Non intenzionalmente; comprensibile, in quella situazione.»
«Non ci credi nemmeno tu.» sibilò Nelchael. Il velo scuro davanti ai suoi occhi s’infittì.
«Ciò che credo non deve interessarti, Esecutore. Giudicarla e punirla spettava ai Censori, e così è stato. Non c’è altro da dire.»
«Daniel non può ritenerla davvero sincera.»
«Daniel ha sospetti su tutti.»
«E tu non mi hai permesso di allontanare Amitiel da quella traditrice, né dalla tua allieva. Avremmo-»
S’interruppe con un suono strozzato. Uno scricchiolio inquietante e le sue ali si ripiegarono sulla schiena, come se qualcosa – ombre, oscurità, dita mostruose di tenebra – stesse premendo su di loro, lentamente; ma la rabbia era troppa perché potesse annegare nel dolore, e quando la morsa si attenuò – quando Leliel parlò ancora, sempre gelida, sempre impassibile – era aumentata a dismisura, strappandogli il poco controllo che gli rimaneva.
«Avremmo solo dimostrato che nemmeno noi ci fidiamo di loro.»
«Vuoi lasciare che si compromettano, allora?»
«Non voglio confermare i suoi sospetti. Non voglio risolvere un problema e chiedermi quale sarà il prossimo. O credi che smetterebbe di cercare accuse?»
«Si può trovare una soluzione.»
«Non ho il tempo di preoccuparmi di qualche cherubino.»
«Sono-»
«Sachiel tra poco si svilupperà e non mi riguarderà più. Amitiel non mi ha mai riguardata. Ho troppi pensieri, troppi problemi per occuparmi anche a loro.»
Il pugno di Nelchael si abbatté di nuovo contro la colonna, ignorando le tenebre che si strinsero ancora su di lui, gli scricchiolii, il dolore, le ossa che minacciavano di cedere sotto quella pressione spaventosa.
«Quindi è per questo.» sibilò «Non tenti nemmeno di impedirlo per non rimanere coinvolta.»
«Non posso assumermi anche il peso dei loro errori. Credevo che ricongiungersi le avrebbe aiutate a maturare, non a tradire, mentre forse avrei dovuto allontanarle; ma il tradimento dipende da loro, non da me.»
Leliel aveva la voce incerta. Sembrava stanca – e sembrava riferirsi ad altro. A qualcosa che non avrebbe dovuto essere ricordato, che li ossessionava e che sarebbe dovuto morire da tempo. Ma c’era rabbia, anche: c’erano occhi invasi da nebbia bianca, ali rigide e frementi, candide lingue di fiamma che le accarezzavano la pelle, ombre che guizzavano attorno a lei.
Nelchael, però, già da tempo non era più tanto lucido da accorgersene.
«Perdonami.» ghignò «Avevo quasi dimenticato che abbandonare gli altri è sempre stata la soluzione a tutto, per te.»
L’oscurità si strinse ancora su di lui, le fiamme lo raggiunsero; poi fu solo dolore.

* * *

«Parlami di lei.»
«No.»
«Perché?»
«Non sono cose che devi sapere.»
«Non devo sapere nulla del prima, secondo te.»
«No. Non devi.»
«Ma era mia sorella
«E la rivedrai, quando sarà il momento. Vi riconoscerete.»
«Come?»
«Siete legate. Ti aiuterà a ricordare, e potrai tornare da me. Con lei.»
«Ti... ti ho chiesto di non farmi separare di nuovo da lei. Di aiutarmi a farla cadere con me.»
«Sì.»
«E tu hai accettato.»
«Sì.»
«È importante, quindi. Anche se ancora non ricordo niente, è importante.»
«Sì.»
«E allora perché non vuoi parlarmene?»
«...ci sono cose, del prima, che potrebbero non piacerti.»

* * *

«È stato fissato per il prossimo ciclo.»
Ridwan si sforzava di essere impassibile, ma la sua voce vibrava di una nota euforica; gli occhi – e Anane doveva abbassare lo sguardo per vederli, tanto era alta – brillavano di qualcosa simile al sollievo.
Le sembrò di ricordare che Amitiel avesse detto qualcosa, una volta, sull’ansietà di Ridwan di liberarsi di lei, e forse aveva avuto ragione. Non doveva essere semplice, occuparsi di un’allieva imperfetta, difettosa, anomala. Non doveva essere semplice nemmeno fingere che lei fosse normale, come invece Ridwan aveva sempre fatto; soprattutto quando aveva di fronte a sé la sua essenza screziata di rosso, e la fascia grigia che ormai non la spaventava più.
Grigio cenere. Il colore del lutto.
Un cherubino, l’aveva avvisata Ridwan infinito tempo prima, non può rimanere troppo a lungo a languire: la sua essenza è troppo fragile per sostenere il peso dei secoli, e sopravvive solo continuando a maturare. Il ciclo inferiore è un continuo mutamento, ma al ciclo superiore c’è solo un ultimo passo da compiere; se non ti sviluppi in tempo, muori.
Lei l’aveva superato da molto, quel limite di tempo, eppure la sua essenza non si era consumata; e questa era stata solo una delle tante anomalie accumulate in un’intera esistenza. Solo una delle tante cause di sussurri e malignità.
Oh, lo sapeva, cosa sibilavano alle sue spalle. Lo sapeva di cosa la accusavano, quasi spettasse a loro giudicarla; quasi fosse un frutto marcio, guasto, da distruggere a parole e sguardi.
Quella memoria troppo imprecisa anche per un cherubino, quel corpo che aveva smesso troppo presto di maturare, quell’incapacità, quella risata troppo pronta e troppo squillante. E – dettaglio riservato ai pochi tanto maturi da scrutare a fondo la sua essenza – quegli squarci rossi, del rosso marcio dei demoni, che non guarivano mai.
Erano stati l’inizio di tutto, quegli squarci. L’essenza ferita, e lei sapeva perché, e tutti credevano di sapere, e presto avrebbe avuto un senso. Presto avrebbe abbandonato la fascia grigia e le piume rosse, e poi... poi niente più sussurri alle spalle, niente più timori. Niente più Michael, niente più Amitiel che non voleva ascoltarla, niente più tradimenti troppo pesanti per le sue spalle esili.
Avvertiva una voragine nel petto, al pensiero di perdere l’amica; ma sapeva che sarebbe dovuto accadere, e avrebbero sempre potuto riunirsi, una volta che Michael avesse ottenuto ciò che voleva.
Lei, al suo obiettivo, era tanto vicina da tremare.

* * *

«Ti manca mai, quello che hai lasciato?»
«No.»
«Nulla?»
«No.»
«Ma... ci sei cresciuto, in Paradiso.»
«E cosa dovrebbe mancarmi del Paradiso? L’Espiazione? L’ipocrisia? Il disprezzo?»
«...sei freddo. Pensavo che...»
«Il calore?»
«Sì.»
«Fa parte della Condanna. Lo sapevo, quando ho tradito.»
«E non ti manca?»
«Preferisco il freddo a lasciarmi manovrare.»
«E di chi conoscevi? Non hai nostalgia di nessuno?»
«Nostalgia di ipocriti e codardi?»
«Non c’era nessuno a cui fossi legato?»
«Se anche ci fosse stato, avevo un buon motivo per lasciarlo.»
«Quindi c’era.»
Un sospiro.
«Cosa stai cercando di dirmi? Che temi la nostalgia?»
«Chi era?»
«Ishild...»
«Chi era?»
«La mia insegnante.»
«Come si chiama?»
«Ramiel.»

* * *

Un vento freddo, gelido, scuoteva la neve dai rami e la disperdeva nell’aria in polvere finissima; gliela gettava in viso, senza che gli occhi dovessero socchiudersi sotto quella carezza violenta, e sembrava quasi voler lenire il bruciante dolore alle dita. Ma i polpastrelli continuavano ad ardere, mentre il resto del corpo rabbrividiva di un gelo che non era né neve né vento.
A volte, qualcuno affermava di aver quasi dimenticato come fosse vivere prima; di ricordare solo le imposizioni e l’ipocrisia, l’Espiazione, i pensieri annegati nella cieca obbedienza. Era falso, lo sapevano, ma era meglio ingannarsi che ricordare la luce, il calore. La sicurezza di un luogo in cui rifugiarsi.
Il prima andava dimenticato, perché nel prima erano annidate fobie che li avrebbero distrutti: l’oscurità, il gelo, la solitudine, il continuo pericolo. Nel prima erano annidati rimpianti che non potevano concedersi.
Lui, quel prima, non aveva mai imparato a relegarlo tra le false dimenticanze. L’aveva smembrato in frammenti custoditi nelle profondità della memoria, sino a rendere impossibile raccoglierli tutti e fingere di cancellarli, perché sarebbe sempre mancata una scheggia: uno sguardo rimasto incastrato tra le lezioni della prima classe, o una carezza persa tra lo stupore di conoscere per la prima volta la pioggia. E il prima della Caduta diveniva inconsistente e irrilevante, perché c’era solo lei: prima di incontrarla. Prima dell’ossessione. Prima di notti di incubi insonni, prima di capelli che scorrevano tra le dita, prima della neve e dell’acqua. Prima che se ne andasse. Prima di un nome ripetuto all’infinito, come una preghiera, come una delle litanie che no, non più. Miriadi di schegge di un prima pronto a tornare ora. E non sarebbe stata Eisheth, o Anane, ad impedirlo; non la codardia, o una gelosia feroce.
Presto, si disse. Presto.

* * *

«Non li tradirai. Resterai con loro.»
«Non...»
«Puoi negarlo?»


«È il momento.»
«Sì.»
«Vai, allora.»
«Devo... devo ancora parlarti, Amitiel.»
«Ridwan ti attende.»
«Cambia idea, Amitiel. Non fidarti.»
«E il Richiamo mi esorta al riposo. Dobbiamo andare entrambe.»
«Quando ti desterai, io sarò già sviluppata. Sarò già...»
Non diede segno di aver colto quell’allusione – di volerla lasciare in un modo diverso, meno gelido e astioso. Le voltò le spalle e volò via, semplicemente: il respiro rapido che fluiva nel petto e un singhiozzo incastrato in gola.


«Li temi. Li temi al punto che non oserai.»
«Non... non è vero.»
«Dimostralo.»

* * *

Il Fuoco si ritirò dalle sue membra, sciogliendosi rosso e denso nel Confine. L’urlo di dolore indugiò per qualche istante sulle labbra, prima di morire in un silenzio esausto.
Distese le ali sottili, da angelo. Candide.
Distese l’essenza matura e già corrotta.
E cadde.
   
 
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