Holmes
si fermò davanti ad una
porta scura, quasi nascosta in un vicolo secondario.
Controllò la serratura
poi, con un verso di approvazione, estrasse gli arnesi da scasso.
Il meccanismo scattò con un
rumore metallico che risuonò ingigantito dal silenzio
segnante nel vicolo.
Senza una parola entrarono. Davanti a loro vi era un piccolo atrio
decorato da
quadri e una scala che saliva direttamente al piano di sopra. Salirono
silenziosamente,
i passi attutiti dalla moquette.
Era buio nel corridoio, eppure
non fu difficile percorrerne qualche metro e trovare
l’entrata della camera che
cercavano. Il detective entrò per primo e accese la luce;
Waston si affrettò a
seguirlo chiudendo
la porta dietro di
sé. Il caldo li costrinse immediatamente a liberarsi dei
cappotti e poi
poterono finalmente guardarsi intorno.
Si stupirono dello stato in cui si
trovava la stanza: vi erano segni evidenti di perquisizione ed ogni
cassetto o
anta era spalancato, il contenuto ammucchiato a terra, eppure nel
complesso
manteneva ancora un certo ordine. I mobili erano nella posizione di
partenza ed
il letto sfatto ma non divelto, né coi materassi squarciati.
Era come se gli
agenti si fossero sforzati di non distruggerla.
- Questa deve essere opera di
Madame – commentò il detective, divertito - quando
vuole sa essere più che
persuasiva e ha parecchie conoscenze dalla sua parte. Gli agenti di
Lestrade
avranno temuto perfino a rovistare nei cassetti! -
- Holmes, esattamente, dove pensa
di cercare? - lo interruppe l’altro, leggermente spazientito
- Se ci fossero
cassetti nascosti o doppifondi i poliziotti li avrebbero trovati. -
- Lei li sopravaluta, mio caro
Watson. Ma in ogni caso non sarà necessario ricontrollare i
cassetti. Ho il
sospetto che il nascondiglio sia molto più ingegnoso, magari
veloce da
raggiungere in caso di bisogno, eppure introvabile per chiunque
altro… -
Si mise a camminare per la stanza
pensieroso. Nonostante la stanchezza il suo cervello lavorava senza
sosta e
cercava nei suoi ricordi un indizio qualsiasi, un movimento o uno
sguardo che
potessero aiutarlo a capire. Accese la pipa, sedendosi sul grande letto
dietro
di sé. I suoi pensieri si interruppero per un secondo, come
per capriccio, al
pensiero di quelle lenzuola sfatte dalle mani di un insulso poliziotto
e non
dalla passione di due amanti. Si chiese se, nel caso, si potesse
ugualmente
arrivare a ridurle così. La parte successiva del pensiero lo
fece fremere.
Forse in modo troppo evidente.
- Holmes, sta bene? - chiese il
dottore avvicinandosi - La ferita le da fastidio? -
- No, sto perfettamente. - calcò
lui, punto sul vivo - E se non Le dispiace starei cercando di pensare
ora. -
- Oh, mi scusi tanto se mi
preoccupo per la Sua salute, cosa che evidentemente a Lei non importa
dato che
continua a metterla a repentaglio come un incosciente! -
- Non è nulla di cui Lei debba
preoccuparsi e, per sua informazione, ho sempre avuto la situazione
perfettamente sotto controllo -
- A me invece pare che la
situazione le avesse preso la mano, per l’esattezza che le
fosse in braccio. -
Il detective scattò in piedi, furioso
- Ho recitato la mia parte come Lei avrebbe dovuto fare con la propria,
se non
fosse stato occupato fino all’ultimo a guardarmi senza fare
nulla! -
Il pugno partì senza che nemmeno
se ne fosse accorto. Holmes fu colpito in pieno viso e cadde sul
materasso. Si
sentì afferrare per il colletto e aprendo gli occhi vide
Watson sovrastarlo,
accecato dalla rabbia.
- Come osa! È Lei qui ad avermi
messo in difficoltà, Lei e la sua stupida farsa per mettersi
in mostra e
cacciarsi nei guai un’altra volta pretendendo che io la segua
senza fiatare! -
- La smetta di comportarsi come
un insulso borghese pieno di falsi pudori e affronti la
verità! Lei non può far
a meno di me, è per questo che è tornato,
è solo per questo! E la sua non è
altro che gelosia nel vedermi fra le braccia di una donna... -
- Stia zitto! -
- Mi desidera quanto io desidero Lei
e non è capace di ammetterlo nemmeno con se stesso! -
- Stia zitto!! -
Ruggì cercando di colpirlo di
nuovo, ma il detective deviò il colpo facendolo sbilanciare
in avanti. Con la
mano libera gli afferrò la testa premendolo contro di
sé. Le bocche cozzarono
con violenza e lui corse a cercare la sua lingua intrecciandola con la
propria.
Lui si ribellò, gridò facendo forza contro il
materasso mentre la sua bocca si
impregnava del gusto amaro del tabacco e di quello forte, elementare,
di
Holmes. Si sentì scuotere da un tremito e il petto prese a
bruciare.
Poi, all’improvviso, Holmes lo
lasciò andare e lui si trovò a scattare
all’indietro trascinato dalla sua
stessa forza. Lo fissò sbigottito, sollevato per
metà da lui senza riuscire a
far altro che restare immobile, il respiro accelerato. Anche
l’altro ansimava e
solo allora, osservando le sue labbra, si accorse che una sanguinava
leggermente.
- Se ne vada… - mormorò il
detective, roco, e lui trasalì, il respiro bloccato in gola.
- Se ne vada ora,
se lo desidera. E stavolta non le chiederò di restare. -
Watson lo guardò e nei suoi occhi
lesse che diceva la verità: stavolta non l’avrebbe
costretto. La decisione era
soltanto sua. Alzarsi da quel letto, prendere il cappotto e uscire
lasciando
alle spalle tutto.
Osservò il suo petto che si
alzava ed abbassava a pochi centimetri da lui, lo sguardo risoluto,
orgoglioso,
le labbra serrate in attesa. Ricordò la sensazione del suo
tocco quando l’aveva
medicato e come avesse desiderato sentirlo ancora dopo, guardandolo con
quella
ragazza. Aveva ragione, dannato Holmes, aveva ragione come sempre. Rise
incapace di trattenersi e capì di aver perso di nuovo.
- Sa una cosa Holmes? Lei è il
più gran bastardo che io abbia mai conosciuto. -
Il detective si sollevò sui
gomiti e cercò di ribattere, ma stavolta fu lui a non
permettergli di parlare e
gli prese di nuovo le labbra. Provò un brivido
all’idea di ciò che stava
facendo, ma il mugolio affamato del suo compagno fere cessare ogni
pensiero
razionale. Si concesse di esplorare più a fondo la sua
bocca, inebriato dal suo
sapore così familiare e così eccitante insieme.
L’altro ricambiò subito,
lasciandolo guidare e prendere a suo piacimento per poi stupirlo e
prendere lui
il comando come in una lotta. C’era qualcosa di ruvido e
bruciante nel baciare
così un uomo: era puro trasporto, un gioco di possesso tanto
più intenso
proprio perché fatto da giocatori di pari forza.
Un secondo dopo si ritrovò ad
afferrarlo per le spalle e strappargli di dosso la giacca mentre
l’altro gli
prendeva i fianchi cercando i bottoni del suo gilet alla cieca, senza
staccarsi
l’uno dall’altro. Se ne liberarono con forza
riattaccandosi subito, con
ferocia, le mani che scorrevano lungo il petto e le cosce per poi
risalire alla
schiena, come due affamati che abbiano alla fine trovato di che
cibarsi.
Conoscevano ogni centimetro l’uno dell’altro,
eppure parve loro di sentirsi
davvero per la prima volta e allora
impararono il corpo che avevano davanti, con ogni tocco e con ogni
gemito.
Watson prese a mordergli il
collo, appena sotto il mento, e poi scese fino
all’attaccatura delle spalle
marchiandolo con piccoli segni rossi, stuzzicandolo con la lingua ogni
volta
che lo sentiva sussultare sotto i suoi denti per sentirne di nuovo i
gemiti
rochi. Era un suono intossicante, che gli mandava brividi lungo la
spina
dorsale e giù fino al ventre: dopo averne sentito uno ne
desiderava un altro,
più forte, e più forte ancora. Holmes lo
liberò con uno scatto dalle bretelle e
poi strattonò la camicia per potersi insinuare nello spazio
fra essa ed i
pantaloni, a contatto con la sua pelle. La avvertì bollente
al tatto, tesa e
tremante sotto il proprio tocco mentre lui a sua volta tremava
torturato dalla
sua bocca. Corse lungo la schiena facendolo inarcare al contatto e,
quando lui
prese a sfregare un dito contro uno dei suoi capezzoli, gli
affondò
istintivamente le unghie nella carne.
In un battito di ciglia erano
entrambi senza camicia, la pelle leggermente sudata che risaltava alla
luce
tenue delle lampade. Holmes si sollevò leggermente e lo
cinse con un braccio.
Fece scorrere la lingua lungo i muscoli dei suoi pettorali sentendolo
ansimare
mentre descriveva cerchi concentrici, che diventarono man mano
più piccoli fino
a che non strusciò contro la pelle più sensibile
di un capezzolo strappandogli
un verso di piacere. Percepivano entrambi la propria eccitazione e
quella
dell’altro farsi sempre più prepotente e dolorosa
stretta nei pantaloni. Fu
Watson a strapparglieli di dosso per primo liberandolo di tutto per poi
concedersi di ammirarlo, nudo, sotto di sé. Era splendido,
coi capelli spettinati
e quegli occhi scuri traboccanti di desiderio e richiesta.
Baciò con reverenza la punta
della sua erezione e lo sentì mugolare, in agonia, e
spingersi istintivamente
contro di lui. Sorrise all’idea di averlo in pugno e lo
leccò piano, senza
fretta, guardandolo spingere la testa all’indietro e
spalancare la bocca per
prendere aria mentre la voce si bloccava in gola. Ripeté il
gesto di nuovo e di
nuovo, beandosi della sua espressione e sentendo le sue gambe contrarsi
in
spasmi involontari attorno al suo corpo.
Ben presto non riuscì più a
restare a guardare. Sapeva di volerlo con tutto se stesso e allora si
liberò
dalla morsa dei pantaloni e risalì a baciarlo con foga per
poi chiedere con gli
occhi qualcosa; qualcosa di cui aveva già avuto il consenso.
Si fermò un
secondo, indeciso, tremante eppure incapace di pensare a un modo per
aiutarsi,
per non fargli male.
Fu Holmes, con un gesto un po’
saccente dei suoi, ad indicargli il cassetto del comodino mezzo
divelto: in
effetti, aveva scordato dove si trovava. Fu un attimo trovare
ciò di cui aveva
bisogno. Aprì con delicatezza la boccetta
e prese un po’ d’olio con le dita
spargendolo abbondantemente sopra di
esse e poi sulla propria erezione. Il detective seguì ogni
mosse, attento, e
quando l’altro fu pronto aprì solo un
po’ di più le gambe in un gesto
inequivocabile. Watson avvicinò delicatamente le dita.
- Farà un po’ male - disse solo.
- Potrei farci l’abitudine. -
Trattenne il respiro e spinse un
dito contro la sua apertura forzando leggermente. Lo sentì
contrarsi
istintivamente per respingere il suo ingresso, ma riuscì
ugualmente a scivolare
al’interno. Si fermò avvertendo un singhiozzo
trattenuto.
- Continui… - gli ordinò,
stringendo gli occhi.
A suo modo, era abituato al
dolore e Watson capì che se si fosse fermato ora per
riguardo gli avrebbe fatto
un male ben maggiore. Si mosse piano, abituandolo alla sua presenza
poi,
sentendolo rilassarsi un po’, aggiunse un secondo dito.
Rimasero in silenzio in
quell’intimità e ancora una volta il dottore
pensò a quanto dovesse fidarsi di
lui per donargli addirittura se stesso.
Pian piano riuscì a percepire un
cambiamento: dei piccoli tremiti che diventavano da sussulti di dolore
a
sussulti di piacere. Aspettò che fossero evidenti, quasi
gemiti e allora tolse
le dita e gli rivolse un ultima domanda. E i suoi occhi gli dissero di
sì.
Penetrò dentro di lui quasi con
dolcezza e rimase senza fiato: era stretto, bruciante, tanto che anche
il
semplice star fermo gli procurava delle scosse di piacere
così intense che
temette di poter giungere al limite. Strinse i denti e
respirò profondamente
per recuperare il controllo.
Si mosse lento, controllato,
lasciando che la carne cedesse lentamente sotto le sue spinte fino a
che non lo
sentì di nuovo gemere di piacere. Aumentò di un
po’ la velocità e con una mano
gli prese il sesso muovendolo a ritmo con lui e sentendolo inarcarsi
fra le sue
dita. Anche il suo corpo era ostinato come la sua mente, ma lui prese a
domarlo
una spinta dopo l’altra fino a sentirlo rispondere sotto si
sé ad ogni
movimento e ad ogni carezza. Gli afferrò i fianchi, incapace
di trattenersi ora
che i colpi diventavano sempre più veloci e potenti,
ansimando a sua volta
senza controllo mentre lo possedeva. Nel prenderlo cambiò
angolazione ed il
detective gridò quando il suo corpo di scosso da una
simultanea esplosione di
piacere. Resistette ad altri due colpi prima di venire singhiozzando il
suo
nome e lo sentì raggiungere i limite con un ruggito al suono
della propria
voce.
Crollarono entrambi, incapaci di
una sola parola, stretti l’uno all’altro coi corpi
ancora tremanti per
l’orgasmo.
- Lo ammetta Watson -
sussurrò il
detective - non può fare a
meno di me. -
L’altro sbuffò alzando gli occhi
al soffitto senza rispondere.
Passarono alcuni minuti, poi
entrambi si mossero. Nel farlo Holmes urtò contro una delle
colonnine di legno
della spalliera del letto ed entrambi sussultarono per il rumore che
fece:
suonava vuoto.
- Ma certo! Come ho fatto a non
arrivarci! -
Si sollevò di scatto e afferrò il
pomello ruotandolo. Quello si mosse docile e dopo pochi giri si
staccò
rivelando un vano nascosto. Ci infilò la mano, estraendone
soddisfatto due
sacchetti dall’aria piuttosto pesante.
- Come immaginavo! In uno ci sono
gli effetti personali delle nostre vittime e nell’altro i
soldi delle mogli
tradite. Tutto torna. Watson, abbiamo le prove! -
- Ho notato - borbottò l’altro,
raccogliendo i propri abiti.
Si vestirono in fretta, Holmes
diventato un autentico fiume di parole dopo aver trovato anche
l’ultima chiave
mancante del caso. Prestarono attenzione a lasciare meno tracce
possibili prima
di uscire. Watson imboccò rapidamente la strada per la porta
secondaria, ma
l’altro lo trattenne.
- Non da questa parte, dottore.
C’è un’ultima cosa da fare. -
Attraversarono il corridoio in senso
opposto, scendendo la scala che dava al salone convinti di trovare
buio. Anche
Holmes sussultò per la sorpresa quando, illuminata da
un’unica lampada,
scorsero Madame Bovary intenta a leggere un libro su una delle
poltrone, con a
lato un bicchiere di scotch.
- Madame - salutò il detective
riprendendosi velocemente.
Quella alzò il capo, per nulla
sorpresa dei due uomini che le stavano davanti: doveva avere
quarant’anni, i
capelli corvini e gli occhi neri, un fisico generoso ma ben formato.
Aveva un
fascino particolare, dato dall’espressione composta e sicura
di sé che si
stemperava in una bocca sensualmente sottolineata dal rossetto.
- Buonasera Mr. Holmes, o forse
sarebbe meglio dire buongiorno, data l’ora -
- Non sono solito badare a queste
formalità - sorrise lui. - Ci tenevo ad informarla che il
caso è risolto, ho
trovato anche l’ultima prova mancante. Senza la sua
collaborazione, questo non
sarebbe stato possibile. -
- Grazie a lei di avermi liberato
di una così scomoda situazione. I clienti avevano
già iniziato a vociferare che
qualcuno li osservasse entrare nel Club per poi ucciderli e a breve
qualcuno
avrebbe iniziato a spargere il panico. Inoltre, grazie alla sua
collaborazione,
all’arrivo della polizia i miei ospiti erano tutti al sicuro
nel salone e hanno
potuto andarsene in fretta senza essere fermati. -
Watson spalancò gli occhi,
capendo solo allora il perché non avesse incontrato nessuno
mentre si
apprestava a soccorrere Holmes. Un altro dei dettagli su cui il collega
non
aveva ritenuto utile informarlo.
- Mi dispiace solo che la polizia
sia intervenuta in modo così poco elegante, nonostante tutti
le mie
raccomandazioni.. -
- Oh, non si crucci, Mr. Holmes.
Il Club Flaubert conta clienti affezionati e troppo influenti
perché possa
davvero temere qualcosa, ed è troppo unico per potervi
rinunciare: l’amore che
si vende sulle note della letteratura non sembra nemmeno peccato.
Torneranno. -
- Lei è una donna saggia, Madame.
Vorrei ugualmente lasciarle questo denaro, una sorta di risarcimento di
Lady Isolde
per danni che lei ed il fratello hanno provocato. Ora, se non le
dispiace, io
ed il mio socio andremmo a concederci il meritato riposo. -
- Vi auguro che sia profondo ed
appagante, Signori. -
Con un breve cenno di congedo i
due si diressero verso la porta.
- Ah, Mr. Holmes - li richiamò
lei, un attimo prima che uscissero. - Voglio che sappia che il Club
Flaubert
avrà sempre una stanza per Voi, quando la vorrete. -
E dopo un lieve inchino, ritornò
a leggere.
E un grazie di cuore a chi ha letto, apprezzato e
lasciato un commento. Il vostro parere resta fondamentale.