II-
La
sirena nella trousse.
È
circa una settimana che
sto male. Piango di continuo, in silenzio nella mia stanza, senza che
nessuno
se ne accorga. La rabbia mi appanna la vista ed i sensi. La rabbia
verso il
mondo, la rabbia verso me. Vorrei spaccare il muro con un pugno e fare
a pezzi
qualsiasi cosa mi capiti davanti agli occhi. Voglio frantumare tutti
gli
specchi in casa, quei vetri che assomigliano ad una televisore a
cristalli
liquidi: non lasciano trapelare nessun difetto della tua figura, anzi.
Ti
cerchiano le parti sporgenti o poco femminili con un pennarello roso.
Il mio
corpo è tutto cerchiato di rosso.
Le lacrime continuano a
rigarmi il viso e
bagnano velocemente il pantalone del mio pigiama. La mia mente accende
una
lampadina e, facendosi largo tra il fiume di lacrime che in quel
momento
straripa, mi guida verso la mia scrivania. Le mani tremano e gli occhi
mi
incominciano a bruciare. Un cassetto lentamente si apre e la mia mano
destra
lentamente scivola all’interno e ne estrae una trousse blu.
Le mie mani, con
una forza che non riconosco al mio corpo, la aprono. Uno specchietto
riflette
la luce gialla della stanza. Con gli occhi appannati e doloranti le mie
mani
abilmente staccano quello specchietto. Una figura orrenda ci si
riflette
adesso: gli occhi sono rossi e lucidi, le pupille sfiorano il verde.
Lentamente
i miei occhi analizzano quella figura così familiare e
così odiata. Sogno di
sfigurarla, ma sarebbe troppo doloroso. Provo solo sdegno e compassione
per
quella faccia grassa che mi guarda.
Sono
ritornata sul letto, sono
seduta abbastanza comoda e fra le lacrime, che automaticamente scorrono
sul
viso grasso, si fa spazio un sorriso sarcastico. Le dita accarezzano i
bordi
perfetti dello specchio, sembra quasi una lama di un rasoio. Alzo gli
occhi al soffitto:
travi in legno che mi comunicano
un misto fra pace e tranquillità. Un odore di disperazione
passa nell’aria ed
il sapore del sangue mi passa sulla lingua.
La mia mano
sembra
comandata da un’altra persona. Si muove verso
l’altro polso recando stretta fra
le dita lo specchietto. Le lacrime scendono più veloci, i
battiti accelerano e
la lama tocca il polso.
L’acqua
gelida raffredda
momentaneamente il bruciore. Un brivido mi percorre la schiena e
l’indice tocca
quei solchi arrossati sulla pelle. Non sono profondi, non tutti. Da
alcuni è
fuoriuscito del sangue, ma la cosa non mi ha turbata affatto.
“Aspetta
che qualcuno
scopra che combini, poi si che avrai ragione di piangere! Bambina
viziata.”
Un sorriso
mi aleggia sul
volto.
- Chi vuoi
che mi guardi?-
Nessuno,
ecco chi.
“Continua
a scrivere o quel
vetro ti attirerà a sé come una sirena.”
La mia mano
stringe forte
la penna, obbligandola a rimanere sul foglio. La mia mente prova a non
pensarci, ma il mio cuore soffre.
Lo specchio
inizia a
cantare in modo soave, mi attira come le sirene con Ulisse, la penna
resiste.
Le lacrime affiorano ed un misto di tristezza paura e solitudine mi
implode bel
petto. La penna si stacca dal foglio, rimane sospesa a
mezz’aria.
All’improvviso
Moshi salta
sul letto, scodinzola. Con gli occhi dolcissimi e quasi supplichevoli
mi si
avvicina e dolcemente mi lecca il nasino. Un sorriso mi spunta sul viso.
“Forse
è per lui che ancora
non hai fatto qualche sciocchezza.”
Forse
è per te, piccolo
tesoro.