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Autore: dreamrauhl    31/08/2012    2 recensioni
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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2.

 

Le prime luci dell'alba si fecero largo tra le fessure delle persiane, entrando nella stanza e facendomi aprire gli occhi mentre tenendo le mani davanti a me quasi come a coprire i raggi del sole cercavo di abituarmi a questa nuova sensazione che mi sembrò di rivivere per la prima volta dopo tanto tempo.
Mi stiracchiai allungando le gambe e istintivamente portai un braccio alla mia destra, dove dormiva Josh, non trovando però nulla.
Anne, se n'è andato. È andato via, non c'è.

La terribile verità di quel mio pensiero mi fece smettere di pensare al giorno prima, alle mie lacrime e alla mia promessa.
Oggi cominciava per me una nuova vita ed io dovevo essere forte.
Decisi che avrei fatto tutto ciò che era nelle mie possibilità per riportarlo a casa da me, per convincerlo a diventare un buon padre e un esempio per il piccolo essere che sta crescendo dentro me.
Andai in bagno con le gambe tremolanti, quella sera mi ero addormentata tardi e fra i singhiozzi che scuotevano il mio esile corpo, con la testa affondata nel cuscino e gli occhi gonfi. Avrei voluto fare marcia indietro e buttarmi a peso morto sul letto, rannicchiata in posizione fetale, sotto le soffici lenzuola di raso che ci avevano regalato i nostri genitori quando avevamo annunciato loro che avremmo comprato casa assieme, sulle coste di Greenland Bay.
Controvoglia, mi diressi verso il bagno, aprendo lentamente la porta ed entrando a piccoli passi, aprendo svogliatamente i rubinetti della vasca e riempiendola oltre la metà, versando poi un olio al gelsomino il cui profumo presto invase l'intera stanza.
Mi tolsi la maglietta che indossavo, lasciando poi scivolare le mutandine sul pavimento e slacciandomi il reggiseno, lasciandolo cadere davanti a me. Presi un asciugamano e lo poggiai su uno sgabello, poi m'immersi lentamente nell'acqua tiepida lasciando scoperto soltanto il volto.
Chiusi gli occhi e mi lasciai scivolare, cullata dai miei pensieri e dalla canzone che mi rimbomba nella testa da ieri pomeriggio.
Dice "se mi sarà possibile, allora lo farò, andrò ovunque tu andrai", è – o forse dovrei dire era – la canzone di me e Josh, quella che entrambi avevamo scelto come colonna sonora della nostra vita assieme, in onore del nostro legame.
Mi abbandono completamente al turbinio di emozioni che scuotono il mio corpo, con la schiuma che cresce sempre più e il cuore che ha cessato di battere per qualche secondo, al solo ricordo di lui. Penso che devo trovare un piano per riportarlo da me, penso che solo lui possa darmi la forza di andare avanti e io, senza di lui, mi sento solo vuota e persa.

Cammino per la strada con le valigie in mano, attendendo che un taxi si fermi e mi porti all'aereoporto.
Non so cosa mi sia saltato in testa, vorrei solo tornare indietro e chiederle scusa, abbracciarla forte e dirle che non avevo intenzione di lasciarla andare, soprattutto ora che lei è incinta.
La verità è che ho paura. Non so che padre potrò essere, non ho mai avuto a che fare con una situazione del genere. Quando mi ha detto quelle due parole, quelle che non avrei mai voluto sentire per almeno i prossimi due anni della mia vita, mi sono sentito morire, in preda al panico e alla paura.
Avrei voluto prenderle un braccio e avvicinarla a me, sussurrandole che ce l'avremo fatta assieme e che andava tutto bene. Solo che non andava tutto bene, no. Sentivo percorrermi il corpo il desiderio di scappare, di mollare tutto come solo il più vigliacco degli uomini può fare, di aggirare l'ostacolo invece di superarlo e perdere definitiavamente la mia partita con lei.
Sento vibrare il cellulare, che subito m'interrompe dai miei pensieri e dalla brutta piega che stanno prendendo.
Vorrei piangere, ma trattengo le lacrime a stento. Cazzo, sono in mezzo alla strada, non posso farmi vedere così.
Tiro fuori l'iPhone dalla tasca e leggo il nome sul display: è Steve, il mio migliore amico.
Ci conosciamo dalle elementari, ne abbiamo passate tante assieme. Sin dai primi giorni abbiamo combinato disastri, di ogni tipo e di ogni gravità.
Mi ricordo quando abbiamo dato fuoco al fascio d'erba che teneva la mia vicina nel nostro campo, avevamo solo dodici anni. Stavamo giocando a pallone e per sbaglio esso era finito dalla sua parte, scavalcando la rete avevamo tentato di riprenderlo ma lei era uscita fuori infuriata, bucandocelo con ferocia. Nemmeno le avessimo ammazzato il gatto, penso con disgusto mentre un piccolo sorriso mi appare in volto al solo ricordo di quel giorno e a tanti altri che ne seguirono. In qualche modo dovevamo vendicarci.
Prima che potessi rispondere, la vibrazione cessa e sul display appare la scritta 'chiamata persa'.
Lo richiamerò più tardi.
Un taxi si ferma, apre il bagagliaio e con cura ripongo le valigie, poi salgo e gli chiedo gentilmente di portarmi all'aereoporto di South Bay.

Penso che potrei chiedere aiuto a Jay.
Jay è un mio vecchio fidanzato, ma ora siamo buoni amici. Vive non molto lontano da qui, con moglie e due figli. Diciamo che si è sistemato bene, penso ridacchiando.
Josh non ha voluto dirmi dov'era diretto, dove alloggerà o cosa farà, ma avrei desiderato esserne informata.
Forse tornerà dai suoi genitori a Nord, forse si è già trovato un appartamento a poco prezzo, chi lo sa.
Apro gli occhi e fatico ad abituarmi alla luce del sole che filtra dalla finestra socchiusa. Guardo l'ora sull'orologio che ho appoggiato accanto al lavandino e vedo che sono le dieci del mattino: per fortuna che oggi è sabato e non devo andare a lavorare.
Mi alzo e mi copro con l'asciugamano, nonostante faccia caldo non appena la mia pelle entra a contatto con l'aria sento freddo.
Esco dalla vasca reggendomi ai lati e mi siedo sul bordo, mentre tremo ancora e cerco di riscaldarmi.
Una strana sensazione m'invade il corpo, d'improvviso mi sento avvampare e ho come la sensazione che ci sia qualcosa che non va, qualcosa che è andato storto o sta andando nel modo sbagliato.

 

  
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