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Autore: Alice Morgan    01/09/2012    4 recensioni
La diciassettenne Ariel Green non ha mai creduto di essere una ragazza normale. Perché Ariel, dopo la perdita del padre, è venuta in possesso di un potere terribile ed oscuro: percepire la morte imminente di chi le sta a fianco. Per le vie sporche e strette che si srotolano dal centro cittadino, negli ospedali e persino sui mezzi pubblici … ogni volta che qualcuno sta per morire, lei lo sente. E non può fare nulla per fermarlo. Fino a quando, un giorno, un terribile presentimento fa tremare ogni singola cellula del suo corpo e la lascia senza fiato. Per la prima volta la Morte non sembra cercare nessuno. Perché, questa volta, la Morte vuole lei.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4 – seconda parte
Libertà

 

Di fronte all'estrema nemica
non vale coraggio o fatica,
 non serve colpirla nel cuore
 perché la morte mai non muore.
Fabrizio De Andrè


Il cielo aveva assunto il colore intenso e opaco della pece, mentre Ariel cercava confusamente di dare una collocazione geografica al posto in cui si trovava. I suoi occhi scrutarono nel buio, alla ricerca di un indizio che potesse rammentarle il perché fosse lì, distesa sul gelido asfalto, in attesa del nulla. Suoni ovattati e confusi, provenienti da chissà dove, le davano l’impressione di essere all’interno di una bolla. 
Si massaggiò le tempie, come colta da un improvviso mal di testa e fece ricorso a tutta la sua concentrazione per cercare di ricordare come fosse giunta in quel luogo.
Uno sprazzo di luce, al di là del suo campo visivo, la fece sobbalzare. Osservò il cielo, ora costellato di minuscoli puntini luccicanti. Uno sguardo ingenuo avrebbe potuto scambiarli per stelle, ma ad osservarli bene si poteva notare quanto la loro lucentezza e trasparenza non fossero naturali. E, poi, con il passare dei secondi, sembravano ingigantirsi sempre di più. Sempre di più … 
Da piccolissime scintille quali erano, presto si trasformarono in tanti grandissimi Soli. La ragazza dovette chiudere gli occhi per impedire a quello straordinario bagliore di accecarla. La temperatura, dapprima così bassa da gelarle il sangue, mutò drasticamente in piccoli aghi di fuoco che parvero volersi insinuare nel suo troppo sottile strato di pelle. Urlò per il dolore, mentre il calore diventava insostenibile. Il corpo ormai brutalmente ustionato, aprì gli occhi: una figura avvolta in una casacca nera incombeva minacciosa su di lei e si stagliava prepotente contro la luce accecante che li circondava. 
 «Chi sei?», domandò lei in preda agli spasmi. Poteva sentire le forze venirle meno e la vista calarle precipitosamente. Si costrinse a non svenire, mentre attendeva impaziente la risposta dell’altro. Ma quello non parlò. Si portò, invece, le dita affusolate al cappuccio della veste, lo scostò e, finalmente, mostrò il suo viso. 
Gridò ancora – questa volta per il terrore - quando, ad incrociare i suoi occhi neri, furono quelli verdi di Zac.
 
 
La fronte imperlata di sudore, Ariel si svegliò ancora urlando. Il cuore le batteva contro la cassa toracica come fosse impazzito e non si sarebbe stupita se avesse sentito le proprie costole incrinarsi sotto la pressione delle sue pulsazioni. Si guardò intorno alla ricerca disperata di ossigeno, mentre l’ormai onnipresente disordine della sua stanza riusciva un po’ a calmarla.
Era soltanto un incubo, realizzò, le mani che sembravano non voler più smettere di tremare. Strinse le dita a pugno, affondando dolorosamente le unghie nei palmi. Quella piccola sofferenza, in qualche modo, la ridestò abbastanza da permetterle di ricominciare a respirare regolarmente.
Il ticchettio insistente di un paio di lancette calamitarono il suo sguardo verso la sveglia appoggiata sul comodino. Erano le sette esatte e soltanto una manciata di ore la separavano dall’ultima conversazione avuta con Mitch, quella stessa notte. Tutto, di lei, pareva avere intenzione di esplodere, oppressa dal senso di rimorso che pareva tormentarla da che aveva abbandonato Zac. Lei e il Genio avevano deciso che sarebbe dovuta andare a scuola quella mattina e raccogliere informazioni, sperando di incontrare qualcuno che avesse la minima idea di dove si fosse cacciato l’amico. Stava morendo di sonno e pregò affinché il cervello smettesse di pulsarle contro la scatola cranica: la stanchezza, improvvisamente, si faceva un macigno pesante sulla sua schiena.
«Ammetto di aver sentito urla migliori, ma anche tu non sei male».
Ariel sobbalzò, gli occhi puntati sulle travi del soffitto alla ricerca dell’origine di quel commento. Aveva ancora la vista appannata per le ore di riposo perdute, tuttavia, la sagoma che la sovrastava le risultava facilmente riconoscibile per via dei lampi verdastri che parevano avvolgerla.
Il Genio era disteso su una delle assi scure e guardava la ragazza dall’alto, un ghigno insolente dipinto sul volto perfetto, come se avesse appena assistito ad una scena esilarante.
Con un moto di stizza, Ariel raccolse il suo cuscino da sopra il materasso e, senza troppi preamboli, glielo tirò contro. Mitch lo schivò con un balzo, ma il gesto lo scosse abbastanza da farlo scendere dalla trave. Atterrò con grazia davanti al letto.
Per un istante la ragazza pregò si facesse male.
«Sul serio, dovresti smetterla con questo vizio di lanciarmi addosso le cose», disse lui, senza togliersi quel sorrisetto dalla faccia. Ariel avrebbe voluto avere una gomma a portata di mano per cancellarglielo definitivamente. Oppure possedere abbastanza forza per tirargli un pungo, il che avrebbe sortito il medesimo effetto. Incredibile, come labbra così … così belle potessero plasmare espressioni tanto fastidiose.
«E tu non dovresti entrare in camera mia senza permesso. E ringrazia Dio siano cuscini, anziché sveglie», gracchiò lei, la voce resa roca dalla stanchezza, ricordando di avergliene tirata una in testa giusto qualche ora prima.
«A proposito di sveglie», ridacchiò quello, «mi è venuto un bernoccolo». E, come a voler dimostrare la veridicità delle sue parole, si massaggiò la nuca, distorcendo con una smorfia di dolore i lineamenti cesellati del suo viso. «E, poi, piantala di dire che non mi vuoi intorno. Non lo pensi realmente».
Ariel strabuzzò gli occhi, le sinapsi che andavano scavando alla ricerca di una battuta abbastanza sarcastica per mettere a tacere l’ego spropositato di Mitch. Eppure, neanche a farlo apposta, si ritrovò ad arrossire. Abbassò lo sguardo, troppo impaurita di incrociarlo con quello magnetico del ragazzo, e maledisse in silenzio la propria attitudine all’imbarazzarsi senza motivo.
«Su, su», la sollecitò il Genio, il volto ancora illuminato da quel ghigno impertinente. «Non sei la prima a cui faccio questo effetto».
Le guance della ragazza, per quanto possibile, si tinsero di un rosso ancora più intenso, fino a farle prendere il colorito fiammeggiante dei suoi capelli. «Quale effetto?», chiese, sperando di essere riuscita ad assumere un’aria abbastanza irritata. «A me, metti solo i brividi».
«Vi sono brividi che esentano da freddo e terrore», fece lui, dirigendo maliziosamente gli occhi verso i suoi, come per intrappolarla nel vortice grigio del suo sguardo.
Il viso che si imporporava disumanamente, Ariel avrebbe voluto prenderlo a schiaffi.
«Evapora, Mitch».
«Per quanto i Geni siano tenuti a rispettare i desideri dei propri protetti, temo di non poter esaudire il tuo, spiacente», sentenziò il ragazzo con aria da so-tutto-io.
«Che intendi dire?».
«Intendo dire», specificò quello, «che sono obbligato ad eseguire qualsiasi tuo comando a prescindere dalla sua natura, purché tu lo voglia realmente. E, fidati - anche se magari non te ne rendi conto - tu vuoi che io resti qui».
«Non puoi sapere cosa desidero», replicò la ragazza.
Mitch sospirò, l’espressione esausta, quasi stesse ripetendo le medesime cose da decine di anni. «Il vincolo che unisce Genio e protetto è più forte di quanto tu possa immaginare», spiegò. «Trascende l’amicizia e l’amore, persino il legame tra una madre e il proprio figlio. Te l’ho già detto : le nostre sensazioni sono in simbiosi. Io sento … tutto di te. Capisco le tue paure, cosa non puoi soffrire e cosa ti piace. E, soprattutto, so cosa vuoi davvero».
Immersa in una potente sensazione di déjà-vu, ad Ariel venne in mente quello che era accaduto il giorno precedente, quando aveva evocato per sbaglio Mitch. Rivide la scena nella sua testa, in una sequela di immagini dapprima disarticolate, poi sempre più definite sino a formare un quadro perfetto: aveva detto al Genio di lasciarla andare e una mano invisibile era intervenuta per scostarlo, contro la sua volontà. Sei spaventata a morte, sei confusa … non  erano forse frasi che le aveva ripetuto più volte, quasi fosse a conoscenza di tutto quello le passasse per la testa?
«Quindi», fece lei, la voce cauta e leggermente tremante, mentre realizzava – scioccata - la portata del suo potere sull’arbitrio del ragazzo, «io posso chiederti qualsiasi cosa e tu sei tenuto ad obbedirmi, indipendentemente da quello che ti dico di fare?».
Il Genio annuì. «Fantastico, eh?».
«Al contrario», disse la ragazza. «È terribile».
Per la prima volta da che si erano incontrati, sul viso di Mitch sembrò affiorare un’espressione di profondo stupore. La bocca si dischiuse un po’, gli occhi parvero riverberare di uno splendore tutto loro mentre i bagliori verdastri, che tanto lo caratterizzavano, facevano brillare ogni singola cellula del suo corpo. Fece per dire qualcosa, ma Ariel lo interruppe: «Non avere margine di scelta, non poter decidere realmente … questo», specificò, «è terribile. La libertà è un dono prezioso, Mitch, ma è, prima di tutto, un diritto. C’è gente che ha combattuto e combatte tuttora per essa. Non credo di voler essere protetta da te, se ciò implica privarti di tutto questo».
In quella, lo guardò timidamente da sotto una delle sue ciocche rosse, in attesa di un suo commento. Il Genio la osservava, magnifico e spiazzante nella sua bellezza, con l’aria di chi vorrebbe tanto dire qualcosa, ma non ci riesce. Abbozzò un passo in avanti, ma si fermò, come colto da un’improvvisa constatazione.
«Non ti obbligherò a fare nulla contro la tua volontà», aggiunse l’altra, gli occhi per la prima volta alla ricerca di quelli di lui. Voleva, anzi,doveva sapere cosa provava il Genio: era frustrante sapere  che Mitch fosse in grado di carpirle qualsiasi informazione riguardo le sue emozioni, ma che lei non potesse fare nulla per comprendere appieno cosa si celasse dietro l’autunno del suo sguardo.
Gli angoli della bocca del ragazzo si incurvarono in un sorriso amaro. «Voi electi siete un vero spasso», sussurrò.
Ariel lo fissò, mentre le sue parole sembravano volerle lacerare qualche organo interno. Non avrebbe saputo dire cosa si fosse aspettata da lui, ma di sicuro non questo, non una triste riflessione su quanto si stesse dimostrando ridicola, dicendo quelle cose. Forse avrebbe dovuto limitarsi a comportarsi egoisticamente, come chiunque altro, e approfittare del fatto di avere una sorta di servitore tutto per sé. Imbarazzata e ferita, si promise di non presentarsi più debole e sensibile di fronte a lui.
«Non chiamarmi in quel modo», gli rispose, sperando che il loro legame fosse abbastanza potente da lasciare lui sperimentare la stessa delusione che, ora, provava lei.
«Come vuoi», disse, ma i suoi lineamenti lasciarono trasparire un accenno di tristezza. Decise che non le importava. Non era al Genio che, nelle ultime ventiquattro ore, era precipitato il mondo addosso, lasciandolo con un carico di zero certezze e duemila domande sulle spalle.
Ariel ancora non riusciva a credere di discendere da un’antica stirpe, di essere vittima di qualche strano incantesimo e che il suo destino fosse – ahimè – quello di morire prematuramente per divenire schiava della distruzione. Realizzò, improvvisamente, che la sua vita aveva assunto i contorni sfocati della vista di un miope: nulla le sembrava più sicuro, neppure la terra sotto i suoi piedi. Contro la sua volontà, si trovava calata in un mondo dove le leggi dell’Universo - quello normale – sembravano non contare più nulla. E la cosa peggiore era che la sua unica ancora di salvezza, la sola certezza rimastale, sembrava essere uno strano ragazzo dagli occhi grigi e in … jeans e maglietta?!
Con un certo stupore la ragazza si accorse che Mitch non indossava più la sua stramba veste scura. Al suo posto, ora, c’erano dei morbidi pantaloni che gli scendevano bassi sui fianchi e una T-shirt chiara che metteva troppo in mostra il fisico snello e muscoloso.
Ariel deglutì, la gola improvvisamente secca. Il ragazzo alzò un sopracciglio, forse ignaro dell’effetto che la sua presenza innescava nelle viscere di lei. Probabilmente no, visto che poteva sentire parte di ciò che provava lei. Dannazione, Ariel, si maledisse. Ti comporti come una pazza.
«D-dove hai preso quei vestiti?», domandò, recuperando chissà come la capacità di parlare e mettendo da parte, per un momento, il suo volersi astenere dal discutere con Mitch.
«Vuoi davvero saperlo?», rispose quello, l’aria di uno che non ha proprio voglia di dilungarsi in noiose spiegazioni.
«Sì».
«Li ho rubati».
Ariel sentì la mascella caderle da qualche parte, mentre le corde vocali elaboravano un’imprecazione abbastanza forte da fare concorrenza all’urlo che l’aveva svegliata quella stessa mattina.
Perfetto. Ora, oltre a dover pensare a come non finire ammazzata, devo pure preoccuparmi che il mio Genio non finisca arrestato per furto.
Stava per tradurre a parole la sua furia omicida, quando dei colpetti alla finestra la distolsero dall’uccidere Mitch.
Un corvo, appollaiato sul davanzale, stava beccando il vetro con una certa insistenza, quasi volesse entrare nella camera. Ariel si avvicinò, pronta a cacciarlo via, ma si fermò quando notò lo straordinario piumaggio dell’uccello. Era nero, ma delle sfumature violacee ne increspavano le piume, conferendogli un’aurea austera e allo stesso tempo incredibilmente strana.
La ragazza ebbe appena il tempo di pensare a quanto fosse meraviglioso, che quello volò via con una tale grazia da lasciarla senza parole.
«Non ne avevo mai visto uno così …», sussurrò. Poi, osservando distrattamente l’orologio sulla parete, si rese conto di quanto fosse tardi e iniziò a raccogliere le sue cose per andare a scuola.
«Mitch, ora è il caso che tu esca», disse. «Mi devo cambiare».
Quando quello non si mosse, iniziò a rimpiangere di avergli promesso di far di tutto per non compromettere la sua libertà.
Stava per ripetergli di andarsene, ma si bloccò, non appena notò quanto pallido e terrorizzato fosse il viso del ragazzo. Quasi avesse appena visto un fantasma …
 
Note dell’autore:
Colgo l’occasione per ringraziare chiunque abbia letto, recensito e amato questa storia: mi sembra sempre che “grazie” non sia abbastanza. Anche se non vi conosco, vi voglio bene.
Ringrazio in particolare REAwhereverIgo per la citazione e Giagiola per non aver dimenticato The Rose Red, nonostante l’assenza.
Ora, bando alle smancerie e passiamo al capitolo. Inizio dicendo che ho rasentato la follia, scrivendolo. Lo avrò corretto ventimila volte, eppure sono certa che da qualche parte si nasconde un errore! Stupide manie di perfezionismo D: È possibile che prossimamente lo modifichi, visto che – per ora – non mi convince nemmeno un po’. Scrivetemi per favore se trovate il racconto in alcune parti forzato o poco convincente, ve ne sarei immensamente grata.
Eeem … mi sto di nuovo dilungando.
Facciamo il punto della situazione: Ariel e Mitch, protetta e Genio, sono inesorabilmente legati l’uno all’altra. Lei è costretta a convivere con la sua stramba presenza, lui è obbligato a proteggerla. Ariel e Zac, migliori amici da sempre, si sono sempre voluti bene. Lei lo ha abbandonato, lui è scomparso. Ma la ragazza non ha alcuna intenzione di lasciarlo andare: potrà Mitch aiutarla in qualche modo?
Scopritelo nel prossimo capitolo :)
 
PICCOLE NEWS!
 
Ho deciso di aprire una piccola sezione MINI SPOILER a fine di ogni capitolo, per darvi una piccola anticipazione su quello che accadrà prossimamente. Ovviamente, non siete obbligati a leggere. Voglio soltanto togliere uno sfizio ai più curiosi.
Quindi, lo scrivo ora per non scriverlo più: ATTENZIONE. STANNO PER SEGUIRE SPOILER PIÙ O MENO CONSISTENTI. SE NON GRADISCI LEGGERE, EVAPORA. DILEGUATI. SPARISCI. CAMALEONTIZZATI. INSOMMA, VEDI DI ANDARTENE.
 
SICURO? VUOI CONTINUARE? OH, BEH, SE LO DICI TU :)

 
 
"Per essere una che si chiamava in quel modo, di guerriera non aveva proprio nulla: sul viso diafano spiccavano due grandi ed innocenti occhi azzurri e, giusto per conferirle un’aria ancora più angelica, una cascata di capelli dorati le incorniciava i lineamenti delicati e perfetti. La bellezza di quella ragazza era disarmante, al limite del disumano."

Chi riesce a indovinarmi il nome della tipa è un genio :)
Scrivete cosa ne pensate dell’idea. 

  
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