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Autore: PuCcIaFoReVeR    01/09/2012    1 recensioni
Nasuada, ventiquattro anni e ragazza madre, abita con i suoi due figli gemelli in un’abitazione che cade letteralmente a pezzi. Murtagh, il padre dei due bambini, pensa che la ragazza sia emigrata in Brasile per farsi una nuova vita, mentre lei abita casualmente poche case dopo la grande villa della famiglia del ragazzo. Ignaro della sua paternità, si trova i due bambini sulla porta di casa, che cercano di vendere biscotti per racimolare qualche soldo per aiutare la madre a pagare le bollette. Intanto Nasuada conoscerà Eragon, il fratello minore di Murtagh, del quale non era mai venuta a conoscenza. Il ragazzo s’innamora della giovane donna e versa anonimamente tutti i mesi una modesta somma di denaro nel conto corrente della fanciulla. A causa di un incidente, il padre di Nasuada è sottoposto ad una difficile operazione e lei è costretta a lasciare i figli ad Eragon per un po’ di tempo. Proprio nella stessa dimora dove vive Murtagh...
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Murtagh, Nasuada, Nuovo Personaggio, Un po' tutti | Coppie: Selena/Morzan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Pov Nasuada
Mia figlia mi tirò in piedi lanciandomi la borsetta. Mi prese a braccetto e chiamò il gemello. Questo arrivò di corsa, cercando di allacciarsi la felpa. Lo aiutai piegando le ginocchia e bilanciando il peso in avanti. Peso, beh era una parola grossa, avevo avuto due figli ed ero magra come un chiodo. Forse ancora più magra di quando ho conosciuto Murtagh. No, non forse, lo ero. Uscimmo dall’appartamento squallido che chiamavamo casa e ci dirigemmo a piedi verso la boutique di Arya. Entrammo facendo tintinnare una campanella e la mia sorellastra mi corse incontro abbracciandomi forte forte. «Piano, sorella. Così mi spezzi!» brontolai. Lei si staccò e mi squadrò. «Sono due mesi che non ti vedo e già sembra che tu non mangi da mesi.» mi strigliò. Io sorrisi. «Lo sai che non ingrasso!»
«Si, certo. Ma potresti almeno mantenere la linea! Ora quasi non ti vedo!» si lamentò abbracciando i miei figli. «Almeno quando sono nati loro avevi qualche curva in più.» disse ammiccando.
«Non ho intenzione di riprendere tutti quei chili.»
«Come vuoi. Ma saresti più attraente.» disse con un tono che solo io e lei potevamo capire. Feci un cenno del capo ai bambini, che schizzarono tra i vestiti. Sorrisi e mi sedetti accanto ad Arya, su un grosso scatolone pieno di guanti. Il mio top nero tempestato di strass e paillettes proiettava tanti piccoli arcobaleni in tutto il negozio. Mia sorella mi prese per mano, portandomi nel retrobottega. In quel momento sentii la porta del negozio aprirsi.


Pov Murtagh
Entrai nel negozio preferito da mia madre per gli ultimi acquisti. La commessa e proprietaria, Arya, stava portando una ragazza dalla pelle d’ebano nel retrobottega. Una chioma di capelli castani boccolosi riempiva la sua schiena. Quando si mise di profilo il mio cuore perse un battito.
Nasuada...
Non poteva essere lei. Era in Brasile con la famiglia a gestire un negozio d’abbigliamento come quello in cui mi trovavo. La ragazza troppo simile al mio grande amore e la commessa sparirono dietro una porta, senza accorgersi di me. Suonai una campanella sul bancone, simile a quelle nelle reception degli hotel di lusso di Manhattan. Nessuno riemerse. Suonai di nuovo e stavolta una bambina si fiondò dietro al bancone. «Posso aiutarla?» mi chiese sbattendo le lunghe ciglia. Era davvero bella. «Ehm... non saprei... non c’è tua madre?» le chiesi un po’ imbarazzato.
«Oh... Al momento non è disponibile... Ma il negozio non è suo... È della zia Arya...» mi disse sedendosi sul bancone per avere il viso all’altezza del mio. «Quindi tu non sei la figlia di Arya?» chiesi alzando un sopracciglio. Lei sorrise e scosse la testa, facendo ondulare la chioma corvina.
«Però conosco questo negozio come le mie tasche. Posso aiutarti io mentre lei non c’è.» aggiunse tendendomi la mano. «Mi aiuteresti a scendere?» chiese facendomi scoppiare a ridere. «Che c’è?» mi chiese.
«Niente...» risposi passandole un biglietto scritto da mia madre. Lo lesse velocemente e scomparì nel reparto dell’intimo. Un ragazzino, della stessa età di quella che se ne era appena andata, mi si avvicinò osservandomi con la testa piegata di lato. «Ho fatto qualcosa di male?» gli chiesi in un sussurro allargando le mani. Lui alzò le spalle. «Sta’ attento. Lei è mia sorella e sono io a doverla proteggere. Sono l’uomo di casa.» rispose incrociando le braccia al petto, assumendo un’espressione che avrebbe dovuto farmi paura. «E vostro padre dov’è?» chiesi.
«Se n’è andato lasciando la mamma incinta di noi due. Non sappiamo dove sia.»
«Oh... Che cattivone!» borbottai. La bambina tornò con dei reggiseno in mano. Li posò sul bancone e me li mostrò. «Quali piacerebbero a vostra moglie?» chiese guardandomi incuriosita. «Ehm, no. Niente moglie. Sono per mia madre...» dissi diventando rosso.
«Fa la modella?» mi chiese sorpresa. Alzai le spalle.
«No... ma le piace tenersi in forma...» dissi sorridendo.
«Oh... forte...» disse allungandomene due neri di pizzo.
«Grazie... saranno perfetti...» dissi infilandoli in una busta di plastica. Le allungai la carta di credito e mi chiese un documento. Glielo porsi e lei lo studiò incuriosita. «Gemma! Che stai facendo! Scendi da lì!» la rimproverò Arya uscendo dal retrobottega. Rimasi deluso non vedendo la ragazza scura. La bambina, Gemma, scese dal bancone lasciando posto alla zia.
«Scusami, Murtagh.» disse prendendo la carta e passandola nel macchinario per il pagamento.
«E per cosa? Questa bambina è stata bravissima!» dissi strizzandole l’occhio. Lei sorrise, tornando tra gli abiti. In pochi secondi lo scontrino sbucò dalla cassa e firmai sui trattini. Mi guardai intorno un’ultima volta, alla ricerca della ragazza d’ebano. Ma lei non c’era. Uscii dalla boutique salutando Gemma e mi diressi verso la macchina di mio padre.


Pov Nasuada
Arya tornò da me con una maschera d’orrore dipinta sul volto. E probabilmente avevo la stessa espressione. «Lui... era... qui...» dissi.
«Sì...» constatò mia sorella sedendosi accanto a me e cingendomi le spalle.
«E... ha... parlato... con... mia... figlia...»
«Sì...» ripeté Arya cingendomi le spalle con un braccio.
«Ha... capito... qualcosa...?»
«No...»
Sospirai di sollievo. Non ero ancora pronta a dirglielo. «Meglio... così...»
«Vai a casa... I bambini li accompagno io...»
Annuii e uscii dal negozio, raccomandandomi con i miei figli di ubbidire alla zia. Camminai lentamente sul marciapiede troppo vuoto, fino all’incrocio che portava alla via dove abitavo. Attraversai la strada per metà, quando una macchina impennò a pochi millimetri dalle mie cosce. Mi voltai e lo vidi. Era lì, al volante e mi guardava come se fossi una dea. Lessi le sue labbra che mi chiamavano, ma io corsi via.
 

  
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