Non
sono andata da Liam dopo. Sono tornata a casa, mi sono buttata a letto
e ho
dormito, con le parole di Zayn che mi echeggiavano nella testa:
‘Lo scoprirò, sai? Sono
bravo in queste cose.
Se non me lo dici tu lo saprò da me.’
Che
vuole fare? Spiarmi? Potrebbe farlo. E a quel punto non saprei
più cosa fare… non
credo che riuscirei ad inventare un alibi, se mi vedesse scomparire
dietro un
albero.
Penso
ancora a cosa potrei fare mentre ceno compostamente con la mia
famiglia, ma è
quando tutti dormono che mi pongo realmente il problema.
Magari
era un bluff. Solo per spaventarmi. Magari non farà proprio
niente.
Ma
come posso esserne sicura? Devo rischiare? E se poi lo scopre cosa
succederà?
Mi ricatterà, lo andrà a dire a tutti? No,
quest’ultima cosa mi sembra meno
probabile, contando com’è lui. Non che io lo
conosca. Ma non ci vuole molto per
capire che si tiene tutto dentro. Non lo direbbe a nessuno. Userebbe la
cosa a
suo favore, però.
Zayn,
Zayn, Zayn. Perché vuoi causarmi tutti questi problemi?
Bene,
ho solo una possibilità, a questo punto. Oggi non vado,
anche se so che domani
mi si ripercuoterà tutto contro. Non posso farci niente,
devo proteggere il
segreto.
Arrivata
a questa conclusione mi stendo sul letto e ordino al mio cervello di
dormire,
perché contando che l’effetto della bevanda
durerà solo fino alle sei di
mattina, mi servirà un bel po’ di sonno per
affrontare la giornata che viene.
Ma
non ce n’è bisogno. La mattina dopo, prima di
poter entrare a scuola Buck mi
porge un bicchiere. –Bevi.- mi
dice.
–Phillips si è
arrabbiato, sai? Abbiamo
dovuto rimandare una missione. Vedi di esserci, oggi.- sussurra.
Annuisco e
non aggiungo altro, perché so che non è il luogo
adatto per parlare di questioni
del genere.
Neanche
si fossero messi d’accordo –o forse lo hanno fatto-
appena Buck se ne va mi
raggiunge Liam. –Non farlo
più.- mi
sussurra arrabbiato. Poi va via anche lui.
Ma
c’è qualcuno che rimane, c’era quando mi
ha parlato Buck e quando mi ha parlato
Liam. A dovuta distanza, Zayn mi osserva. Gli scocco un veloce sguardo
truce e
continuo a camminare anch’io, andando in classe.
Non
ne posso già più di Zayn.
Anche
a mensa continua a fissarmi in silenzio, spero solo che abbia capito
che non ho
più intenzione di parlare con lui. Ma purtroppo scattano i
dodici minuti.
-Stanotte
niente, eh?- mi
sussurra. Lo dice abbastanza piano da poter far finta di
niente. Quindi cerco di iniziare una conversazione con qualcun altro,
tipo
Bertha. Ma c’è un motivo se tutti i miei amici
sono maschi. Le ragazze sono
insulse e parlano sempre delle stesse cose. Vestiti, vestiti, vestiti. A scuola.
Qualche
volta ho anche provato ad uscire con loro, ma quando non
c’è la sorveglianza
l’argomento cambia in ragazzi, ragazzi, ragazzi. Ma andiamo!
I
ragazzi sono buoni solo per combattere.
Non
dormo nell’ora in cui dovrei, perché sono ancora
troppo irrequieta, solo che
non riesco a focalizzarne il motivo.
Fantastico.
L’unica
cosa positiva è che stavolta il guardiano è
Jethro, lui lo conosco. Oh si, è
uno dei pochi guardiani buoni. Quindi faccio i compiti con il suo aiuto
e
finchè non scatta la campana parliamo un po’.
Penso che probabilmente ci
sarebbe utile, è abbastanza muscoloso e massiccio. E non
rispetta le regole e
questo è fondamentale.
Purtroppo
le reclute possono essere solo adolescenti. Scusa, Jethro.
E
se..? Potrebbe essere Zayn una nuova recluta? Non so. Non mi fido di
lui per
ora. Certo, ha coraggio e va ammirato per questo, ma non basta da solo
per
entrare, più o meno. Il fatto è che non voglio
dargliela vinta.
Dopo
la campana decido di andare da Buck, è dall’altra
parte della città quindi non
dovrò neanche passare sotto casa di Zayn, perfetto.
Cammino
svelta per la città sentendomi osservata. Non dai sempre
presenti occhi dei
vecchietti, no. È una sensazione diversa che solo chi ha
fatto anni e anni del
mio lavoro può riconoscere. Qualcuno mi sta seguendo, ma non
vuole essere
visto.
Non
mi risulta difficile capire chi è quel qualcuno. A quanto
pare il ragazzo non
si è dato per vinto a scoprire cosa ho fatto.
Motivo
in più per parlare con Buck.
Abbandono
il mio passo svelto, perché ho paura che possa fargli capire
che so che lui
c’è, nascosto da qualche parte. Quindi comincio a
camminare molto lentamente e
quando arrivo sotto casa di Buck ringrazio gli angeli,
perché non sono abituata
a camminare piano.
Busso
più volte perché so che lui dorme di solito, ma
non mi interessa. Ha la
bevanda.
Si
decide finalmente ad aprire ed entro sollevata in casa sua, sollevata
sapendo
che Zayn non può. So esattamente dove andare
perché, com’è ovvio, tutte le case
sono uguali. Non possiamo neanche spostare o aggiungere un quadro.
Sarebbe
‘disordine’.
-E chi
poteva essere?!- sbuffa Buck vedendomi. E’
a torso nudo con dei pantaloncini
che gli arrivano al ginocchio. Non si vergogna e nemmeno io. Non
è solo perché
è il mio migliore amico: l’ho visto
così più e più volte e in alcune
missioni
ci è capitato di rimanere completamente nudi. Ma non puoi
essere schizzinoso,
in guerra.
-Sei
arrabbiato?- gli
chiedo, nonostante io sappia già la risposta.
-No.
Sono curioso. Che ti è
successo?- risponde
velocemente, quasi
accavallando le parole. Perché qua ci potrebbe sentire
chiunque. Ma fuori c’è
Zayn.
-Zayn.-
sussurro.
–Mi segue.
La scorsa notte non riusciva a dormire. Mi ha detto che mi ha visto
camminare
due volte: andata e ritorno. Vuole sapere cosa ho fatto.- rispondo
in un
veloce sussurro. Mi guarda per un po’, quasi a voler capire
se mento o meno, ma
sa che non gli mentirei mai. Soprattutto se riguarda
l’associazione.
-Non
puoi più mancare. Abbiamo
fatto rimandare una missione!- esclama
Buck e capisco che ha ragione.
-Farò
il giro in largo, oggi.- rispondo con una scrollata di
spalle. Lui annuisce e si
mette tra le coperte.
-Ora
voglio dormire.-
dice. –Se vuoi
rimani, ma non credo sia molto interessante guardarmi russare.-
-Tu non
russi.- ribatto.
Abbiamo dormito insieme più volte. –Ma
vado.-
Annuisce
e penso che sia un cucciolo tra le coperte, che tira sempre fin sopra
il naso,
anche con quaranta gradi. Poi mi balena in mente una sua immagine, con
il
fucile in mano, con un colpo che finisce dritto nel cuore di un soldato
nemico.
E penso che magari non sia proprio un cucciolo.
Mi
sporgo dalla finestra e vedo Zayn, ma non ne rimango sorpresa. Solo che
ora
devo scendere ad affrontarlo.
-Che
fai, mi segui anche, ora?- gli sbraito contro.
-Te
l’ho detto. Saprò cosa fai.- mi risponde Zayn tranquillo.
-Smettila,
Zayn. Non t’interessa
cosa faccio. Anzi, cosa non faccio,
perché non faccio niente di niente. –
-Allora
dimmi, cosa non hai fatto quella
notte?-
-Zayn,
basta.- urlo. –Lasciami
stare.- queste però sono parole a doppio
significato. Perché mentre per noi
significano di non aprire più l’argomento, per i
vecchi che stanno sui balconi
e non hanno ascoltato il resto –perché detto a
voce troppo bassa- significa
tutt’altro. Che ci prova con me. Che mi sta violentando, se
mi va bene.
E
questo è inaccepibile.
Però
sembra un ragazzo sveglio, Zayn, perché guarda subito sopra
e fa un sorriso ammiccante
alle vecchiette. Conquistandole sicuramente tutte.
Bene,
dopo di questa posso davvero andare via. Anche perché tra
poco è ora di cena e
non posso fare ritardo.
Sento
che mi sta rincorrendo per raggiungermi, ma non faccio niente per
aspettarlo.
Entro
in casa violentemente, sbattendo la porta con un forte tonfo, tanto a
quest’ora
non ci dovrebbe essere nessuno. E la mia teoria viene confermata dal
silenzio
che ne segue.
Corro
in camera mia e chiudo
Zayn
è ancora lì, ma il suo sguardo non mira alla mia
finestra. Alla porta. È
indeciso se bussare o meno. Si passa più volte una mano tra
i capelli, poi
scuote la testa e corre via.
Ora
c’è il vuoto fuori e penso a come lui lo colmasse
bene.
Perché
tra tutti gli edifici uguali, i fiori piantanti in numero preciso,
secondo uno
schema preciso, lui era davvero quello che portava un po’ di
colore al
panorama.
Beh,
tecnicamente di colore ce n’è abbastanza
perché, sebbene le case siano tutte
uguali sia dentro che fuori come forma, struttura e arredamento, i
colori
cambiano. Per far sembrare questa spenta città allegra. La
mia casa è rossa e
io la odio.
Il
rosso mi ricorda il sangue e tutti i soldati che ho ucciso fin da
piccola.
Ma
lui si distingue. Avrà una ventina di tatuaggi e ne sono
permessi solo tre a
persona. È uno dei tre ragazzi della città ad
avere un orecchino. È uno dei
cinque ragazzi della città ad avere la cresta. È
uno dei due ragazzi della
città, lui e il suo amico Louis, che non vanno sempre in
giro con quel
fastidioso sorriso soddisfatto.
È
esattamente l’opposto di quello che serve in questa
città, troppo diverso.
Campana.
Un’altra attività giornaliera è finita
per dare spazio alla prossima, la cena.
Magicamente
tutta la famiglia è a casa e sta prendendo posto a tavola
mentre mia madre
serve la cena che in questo momento tutte le mamme stanno servendo a
casa
propria. Neanche il cibo può essere originale.
Da
piccola, dopo i compiti, mi ero messa a cucinare una torta per portare
qualcosa
di nuovo in tavola. Era venuta benissimo e mi ero sbizzarrita con la
fantasia e
avevo anche scritto ‘Amo la mia famiglia’ con
Ma
non andò così.
Mio
padre ordinò a mia sorella di andare in camera e questa
lasciò solo la scia dei
suoi lunghi capelli neri e un vuoto nel quale rimbombavano ancora i
suoi
saltelli.
Poi
mia madre buttò velocemente la torta nel cestino, lavando,
in seguito, le mani
affusolate che non si era sporcata. Già a quel punto avevo
le lacrime agli
occhi. Perché ero piccola e volevo fare qualcosa di bello,
ma i miei sforzi non
erano stati apprezzati.
Successivamente
mio padre iniziò ad urlarmi contro. Inizialmente guardavo
mia madre con la
speranza che mi avrebbe difeso, protetto dalle cattive parole. Ma lei
stava
zitta e mi guardava freddamente. Così mi accucciai a terra e
ascoltai mio padre
gridarmi ogni cosa brutta che gli passava per
Scappai
in camera a singhiozzare rumorosamente e quel giorno non mi fu concessa
la
cena.