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La ragione per cui volevo
ricongiungermi a te era di quelle più semplici: sentivo come se ogni cosa che
osservavamo fosse dolce. Avevi messo del miele anche in quel tuo sguardo
triste, prima di fuggire.
Se non torni qui, nel
nostro luogo segreto, cosa ci lasceremo indietro e cosa perderemo in futuro?
La ragione per cui volevo
far tacere le tue paure ed abbracciarti era la più luminosa: avremmo visto cose
abbaglianti e piene di calore. Avevi acceso un piccolo fuoco in un corpo che
non era il tuo, rimasto poi senza alimentazione.
Ero ancora lì, sola, a
pensare quale fosse la cosa più giusta da fare, priva di rassegnazione.
Forse desidero troppo.
Sarebbe già abbastanza poter stare vicine.
*******
- Pronto?-
Eppure c’era qualcosa che
non mi tornava.
Dopo tre settimane mi
aspettavo una qualche sua notizia, positiva o negativa, un saluto veloce, un
come stai. L’emozione di risentirla mi rese incapace di rispondere subito;
d’altro canto non era il genere di risposta che mi aspettavo. Il mio numero non
era più memorizzato sul suo cellulare? Mi aveva cancellata definitivamente?
Visto che c’era poteva anche bloccarmi le chiamate, contando che non sarei
stata in grado di sapere se i messaggi erano deviati o meno, mentre se avesse
fatto la stessa cosa per le chiamate l’operatore mi avrebbe segnalato
l’impossibilità a contattarla. Quindi no, teoria da escludere. Aveva risposto
senza vedere il mittente? Forse era di fretta e ha schiacciato il primo tasto
che le capitava a tiro, sbagliando. Ma non sembrava fosse affannata, dalla
voce. Anzi era piuttosto apatica, come se si fosse appena svegliata.
- Hey? Pronto?- ripeté la
voce senza troppa insistenza, non sembrava così importante avere una risposta
pronta al suo richiamo. Era tardi ormai, non le importava più nulla di me. O
almeno era questo il pensiero più furbo che mi veniva in mente, anche se
definirlo furbo lo è ancora meno. Le restanti frasi che frullavano nel cervello
non erano ben composte, si cacciavano l’un l’altra, poi tornavano e litigavano
ancora, non si decidevano a proclamarne una vincitrice. Se non si fossero date
una mossa da sole, sarei dovuta intervenire io.
- Uh… ecco, ciao. -
farfugliai atona, guardandomi attorno come se fosse presente e mi stesse
osservando, me e la mia pietosa figura. Sentivo le guance diventare calde e
piccole gocce di sudore formarsi sulle tempie. Non ero tranquilla, ma la sua
risposta poteva tranquillizzarmi, se solo fosse arrivata. Tardava, c’era
silenzio dall’altra parte. Forse era il momento sbagliato, forse la stavo scocciando,
forse non sapeva come dirmi di non farmi più sentire. Forse. Erano tutte teorie
plausibilissime ed in quel momento né lei né altri potevano dirmi il contrario,
o non volevano.
Potevo sentire dei
mormorii, uno sbadiglio ed un lieve movimento di labbra ma nessuna parola.
Erano le sei di sera e non mi pareva un orario così discutibile per telefonare,
anche se qualsiasi cosa poteva essere messa in discussione data la mia
insicurezza. Per una volta i ruoli erano ribaltati e non ne ero affatto felice.
L’ennesimo sbadiglio. – Sei un’amica di Sara? –
Il sospetto che non
avesse risposto lei mi era parso banale, ma a quanto pare avrei dovuto tenerlo
in considerazione.
E’ a casa di qualcuno?
Un’altra sua amica? Chi sarà ad averle donato un nuovo nido? E soprattutto,
perché sta rispondendo lei al posto suo? Aveva dimenticato il cellulare a casa
sua oppure era lì ad ascoltare, con la voglia di sentirmi praticamente nulla?
- Mh, si, non è
disponibile? – le chiesi ostentando la maggior calma possibile, del resto non
potevo sapere come avrebbe reagito la nuova arrivata. In risposta ottenni un
mugugno che interpretai come scocciato, del dialogo, dei movimenti non meglio
identificati ed un sonoro clack. Tu tu tu tu.
Osservai il cellulare
come se fosse stato l'apparecchio più disgustoso del mondo.
Cercai di rimettere in
ordine i suoni che avevo percepito: sicuramente il telefonino era passato di
mano, con parecchia fretta, delle dita avevano fatto scorrere i tasti per poi
premere quello di spegnimento. Tutto ciò era stato condito con “che stai
facendo… non ti permettere… ma chi ti ha detto che…” se non ricordavo male. Non
sembrava molto contenta, quell’altra voce né lo ero io, se non per l’aver
constatato che si trattava di una voce familiare. Per un attimo sorrisi, per poi
scuotere la testa e tornare a fissare il vuoto, spenta.
Non ero gradita.
Ma mi ci vollero un paio
di minuti prima di assimilare per bene quel messaggio, nonostante nulla fosse
stato esplicitato e ancor meno reso implicito. Solo il suono continuo della
linea telefonica mi parlava con il suo insistente ripetermi che la chiamata era
stata interrotta. Non ero affatto soddisfatta, del resto non avevo nemmeno
avuto modo di sentire direttamente la destinataria ma almeno sapevo che era in
qualche modo raggiungibile. Mi chiedevo se fosse veramente necessario gioire di
quel fatto, quando sembrava non ci fosse volontà di dialogo dall'altra parte
della cornetta.
Non aveva nemmeno senso
stare con il telefono appoggiato sull'orecchio senza reagire, visto che il
suono pulsante non cessava e dovevo ricominciare l'operazione da capo. Ne avevo
sinceramente voglia? Visto che avevo passato le ultime settimane a tormentarla,
era abbastanza ovvio che trovassi il coraggio per scocciarla ancora. Peccato
che non tutte le ovvietà di questo mondo si realizzano quando uno se le
aspetta. C'era però dell'ovvio in negativo, ovvero una mia molto probabile
reazione violenta a quella specie di affronto, cosa che realizzai solo in parte
lanciando il telefono sul letto. Non avevo nemmeno la forza di assumere uno
sguardo irritato, nonostante la domanda che mi ronzava in testa.
Chi diavolo era
quell'altra?
E' ridicolo, pensai, sono
diventata improvvisamente gelosa. Poteva essere chiunque, sicuramente non
esistevo solo io nel suo mondo, non ero il perno su cui girava la sua vita. Non
ero la persona più importante, ne ero convinta. Del resto non mi aveva parlato
molto delle altre sue conoscenze, solo piccoli cenni per mettere a tacere
frettolosamente la mia curiosità. Frequentava talvolta dei colleghi della
galleria d'arte, altre volte prendeva un caffè con gli studenti dell'accademia
del posto, nulla di impegnativo né sul fronte tempo né su quello dell'amicizia.
Per quel che ne sapevo non aveva rapporti molto stretti e duraturi, piuttosto
si poteva dire che avesse più conoscenze obbligatorie che veri e propri amici,
anche quei pochi li frequentava di rado. Evidentemente non amava stringere
troppi rapporti ma piuttosto alcuni essenziali. Questo metteva a largo rischio
anche il mio rapporto con lei, se avessi voluto analizzare la cosa in maniera
ben poco positiva. Tutto ciò, però, non rispondeva alla mia domanda.
Chi diavolo era quella?
Il cellulare mi fissava,
schermo nero, tastiera usurata. C'era qualcos'altro di usurato: quelle lenzuola
sul quale era poggiato, quelle lenzuola nelle quali avevo dormito con lei.
Sarebbe più corretto definirle usate, ma tutto mi dava la sensazione che il
tempo avesse consumato anche quelle, sebbene il passaggio di una notte non
poteva rovinarle più di tanto. E c'era dell'altro, rovinato. Un battito
accelerato nel mio petto, un'ansia che mi pervadeva. Tenevo lo sguardo basso a
fissare quel giaciglio, quasi ossessivamente, non era confortante né provavo
piacere nel rivolgergli lo sguardo ma mi sentivo in dovere di farlo. Avevo
bisogno di risposte che si facevano attendere anche troppo.
- Dormirò. - dissi ad
alta voce al nulla, almeno quello ascoltava senza dar cenno di negazione. Mi
permetteva tutto ed era ciò di cui avevo bisogno. Viziata in quel silenzio, la
testa obbedì e si posò sul cuscino. Anche quello, del resto, mi pareva
consumato. Il suo respiro e la sua pelle lo avevano reso vecchio e inospitale,
anche se più semplicemente volevo immaginarlo così a causa della sua assenza
ingiustificata. Non era il solo a sentire la mancanza di alimentazione.
Mi ritrovai a fissare il
soffitto, ancora una volta, quel bianco innaturale non rifletteva alcuna
immagine interessante. Non avevo nemmeno voglia di abbassare le tapparelle per
creare un po' di ombra: avevo troppa paura di ritrovarmi il suo volto dipinto
in quell'oscurità. Lei non era luce perché la nascondeva anche a sé stessa,
anche se ne aveva, ne ero certa. Il buio avrebbe solo richiamato ricordi che
preferivo mettere a tacere e conservare in un cassetto, in attesa di poterli estrarre
al momento giusto.
Provai a girarmi sul
lato. A destra lo scenario di una scrivania su cui avevo passato le passate
settimane, nel tentativo morboso di farmi entrare parole e formule pur di
scacciare altri pensieri. Evidentemente non era il momento giusto, avevo
fallito miseramente anche in quella prova di forza mentale contro me stessa. La
sedia era vuota e spostata dal tavolo, un paio di libri aperti su pagine che
non ricordavo, una matita in equilibrio precario sull'orlo. Non che questo
paesaggio richiamasse chissà quale ricordo importante. Richiamava solamente il
mio tempo perso a cimentarmi in lavori che non ero mentalmente in grado di
affrontare.
Mi rimanevano due
opzioni: il lato sinistro, dove solo il muro regnava sovrano con la sua penombra,
ed il cuscino dove affondare il viso. Soffocare, affondare, annegare. Non erano
pensieri da me, probabilmente appartenevano a qualcun altro che ci aveva posato
il capo con serenità dopo un intenso pianto. Lacrime di cui non avevo ancora
capito il significato. La penombra del muro, del resto, avrebbe sortito lo
stesso effetto se avessi creato oscurità nella stanza. Avevo deciso di dormirci
su, per l'ennesima volta, e l'avrei fatto con un muro o l'altro. Il muro più
spesso ed invalicabile era formato solo dalla barriera di quel cellulare
abbandonato sulle lenzuola.
Chi era quella donna con
lei? Con chi si stava facendo compagnia? Qualcuna l'aveva catturata a mia
insaputa? ...a mia insaputa, poi. Eravamo libere di farci catturare, nessun
impegno, nessun legame verbale né di catene, nessuna promessa. Però sentivo le
mie ali incapaci di spiccare il volo e speravo che anche le sue fossero nelle
mie condizioni. Non amavo pensarla chiusa in una gabbia, ma avrei preferito che
se proprio dovesse accadere fosse stata...
Il pensiero si fermò. Non
c'era alcuna immagine riflessa su quel muro. Fissavo il solito noioso bianco e
quel che vedevo non era altro che solito noioso bianco. Non c'erano spiriti ad
infestarlo né manifestazioni scaturite dalla mia mente. Forse il pensiero si
era spinto per l'ennesima volta troppo in là. Un rischio che preferivo non
correre finché non avrei guardato non il bianco di un muro ma quello dei suoi
occhi. Alcune probabilità talvolta sembrano certezze assolute, ma in quel caso
era meglio camminare con cautela: avevo appurato che la mia ossessione non era
verso la sua presenza ma verso la sua totale persona. Avevo ipoteticamente
pestato i piedini per terra per l'avermi privata di qualcosa di caro, ma prima
di affermare che fosse un sentimento diverso dovevo avere delle prove dal vivo.
La mia gabbia era ancora
vuota, pronta ad accogliere il primo coinquilino dopo una prova di resistenza
delle sbarre. Se non erano abbastanza solide si sarebbero spezzate, e con esse
il mio essere. Chissà se l'ospite di cui dovevo accertarmi sarebbe riuscito a
rimanere in quel rifugio con la porticina aperta o avrei dovuto rinchiuderlo a
forza, rendendolo triste per l'eternità.
La maledizione che cadeva
sugli amanti rende il tutto inizialmente delicato, per poi tramutarli in
predatori ossessionati.
Non potevo ancora
definirmi tale, ma la mancanza era così terribile da farmi diventare una belva.
D'un tratto, un suono
squillante e fastidioso.
Aprii gli occhi, quelli
fisici. Sbattei le palpebre a più riprese, stavo osservando il soffitto. Non mi
ero girata? Forse no. Il torpore aveva preso il sopravvento prima del previsto,
ma non mi aveva di certo fatta rilassare. Le orecchie non sopportavano quella
musichetta irritante, rimbombava dentro la testa ancora assopita e con lei gli
occhi, fortunatamente aiutati dalla parziale oscurità che si era formata col
passare del tempo. Erano quasi le otto di sera, il sole stava lentamente
andando a riposare. Fortunello lui. Io avrei dovuto invece affrontare la
provenienza di quel suono.
Il cellulare, oltre a
suonare, vibrava e lampeggiava ogni secondo vicino alle mie gambe. Mi sedetti
incrociandole, sfregandomi gli occhi con i palmi delle mani. Dovevo farlo
tacere ma i sensi non rispondevano molto bene e poteva fottersi, lui ed il
mittente della chiamata. Mi piegai in avanti per leggere con la vista
annebbiata il nome del chiamante. Li spalancai e mi affrettai a confermare la
chiamata.
Poggiai il telefono
sull'orecchio sinistro, pronta a chiedere chi fosse, pur avendolo appena letto.
Aprii la bocca per farlo, peccato che il fiato mi si spezzò in gola.
L'entusiasmo aveva compiuto il suo dovere per pochissimi secondi, l'ansia era
tornata a farmi visita, compagnia poco piacevole. Non sapevo cosa dire
esattamente, se un “finalmente” o far finta di niente, o attendere, che pareva
la scelta presa anche dall'altra parte. Sentivo il respiro regolare dell'altra
persona, sperando fosse quella scritta poco prima sullo schermo. Attesi.
- Ciao.- fu la risposta
atona e timida che ricevetti. La cosa non mi fece sorridere come mi aspettavo,
ma almeno la voce era quella che volevo sentire. Trassi alcuni profondi respiri
prima di rispondere un altrettanto piatto: – Ciao.-
- Come stai? - una
domanda difficile, questa volta attesa, evidentemente voleva portare il
discorso su toni normali senza parlare del punto focale della situazione. -
Bene, e tu?- mentii, non ero né felice né triste, almeno finché non avessi
avuto le notizie che desideravo. La risposta si fece attendere, ne aspettavo
una simile alla mia per non metterci entrambe in difficoltà al primo incontro
vocale dopo settimane di assenza. Avevo domande molto più intelligenti da
porle, rimbalzavano nel cervello in modo fastidioso ma non volevano ancora
uscire dalle labbra. Passarono un paio di minuti in completo silenzio, la
situazione stava diventando imbarazzata e non eravamo ancora pronte per un
colloquio serio, o almeno era la mia sensazione. Cominciai a diventare nervosa,
mordendomi l'interno bocca con ingordigia, sentendo diversi liquidi mescolarsi
tra lingua e denti, mentre con l'indice della mano destra andavo a grattare gli
angoli dell'unghia del pollice. Avessi avuto sotto mano carta e penna avrei
fornito ad uno psicologo materiale per un'analisi approfondita sulla mia
persona.
- Ti va di uscire stasera?
-
Se mi andava di uscire?
No, non proprio. Un'altra domanda difficile ed inattesa, totalmente spiazzante
da farmi assumere uno sguardo ben poco vivace. Tra tutte le cose di cui
potevamo parlare, tra tanti argomenti che avevano sicuramente la precedenza,
proprio di uscire dovevamo discutere. Non ero tipo da andare in giro per locali
di sera, le rare volte che ci avevo provato ero rimasta basita dal
comportamento della tribù notturna e non mi eccitava stare davanti ad un
cocktail a parlare. Il mio genere erano le caffetterie nel primo pomeriggio,
per ritirarmi nel nido verso l'imbrunire. - Perché vuoi uscire? - ma potevo più
semplicemente chiedere dove voleva portarmi. Amavo le difficoltà.
- Così... - disse a bassa
voce, abbastanza da percepirla chiaramente. La immaginai alzare le spalle
mentre me lo proponeva. - Per vederci. Se vuoi. Se ti fa piacere. - continuò
poco dopo, con la stessa tonalità. Non sembrava affatto entusiasta, una
proposta simile fatta da altri con questo tono l'avrei subito rifiutata, se non
mi si coinvolge in un primo momento difficilmente avrei seguito un invito.
Questa però era un'occasione d'oro da una persona interessante, anche se
ammazzava qualsiasi voglia per il modo in cui l'aveva chiesto. Volevo e mi
faceva piacere, d'altro canto non volevo darle la soddisfazione di mostrarle
queste sensazioni. - D'accordo. Vieni qui da me?-
- No.- fu la risposta
frettolosa. Forse la metteva a disagio stare sul portone del condominio ad
aspettarmi, figurarsi entrare in casa. Forse era proprio me che non voleva
vedere prima di trovarsi in un posto piacevole per lei. Del resto era ormai
sera, sarebbe stato più pratico trovarsi direttamente dove voleva. - Vieni in
quel bar in centro, - qualche secondo di pausa – quello che fa i frappè alla fragola
che ti piacciono tanto.-
Ah, quel locale. Come
poterlo scordare. Molte cose erano iniziate su uno di quei tavoli. Tono a
parte, le parole che aveva scelto per invitarmi mi fecero piegare leggermente
gli angoli della bocca verso l'alto. Era un modo carino per dirmi che il posto
sarebbe stato piacevole anche per me, ne ero convinta e volevo puntare tutto su
questa certezza. - Alle dieci, che ne dici? - le chiesi, sentendo un mh-mh di
risposta. Mi bastava al momento. Ci salutammo senza particolare emozione, il
sonoro clack della chiamata interrotta mi fece tornare alla realtà.
Avevo un appuntamento con
Sara dopo diverse settimane e mi sentivo una ragazzina alla prima uscita con il
proprio fidanzatino, e l'espressione del viso e le mie movenze tradissero questa
sensazione. Cercavo di controllarmi il più possibile senza far gesti come
dondolare le braccia allegramente, saltellare mentre mi dirigevo in bagno e
canticchiare motivetti senza copyright mentre mi sciacquavo il viso. Cose che
avrei potuto fare tranquillamente se non fosse per quella punta di nervosismo
che albergava nei miei pensieri. Mi dovevo comportare come se non fosse
accaduto nulla di che o dovevo mettere in mostra ciò che realmente sentivo?
Dovevo rimanere distaccata e non darle la soddisfazione di aver sentito la sua
mancanza, oppure farle intendere che la sua fuga mi aveva ferita? Sarebbe
bastata l'acqua del rubinetto del bagno a lavar via quelle sgradevoli
sensazioni di insicurezza, se solo fosse stata un potente acido che scioglieva
tutto al suo passaggio. Il liquido trasparente non aveva questo potenziale,
purtroppo.
Optai per una semplice
maglietta senza loghi particolari e dei jeans un po' logori, non dovevo
presentarmi ad un gran galà in abito da sera e non credevo che Sara apprezzasse
più di tanto. Non conoscevo, non ancora, i suoi gusti in fatto di vestiario,
solitamente le sue mise erano piuttosto sportive ed essenziali, nessun fronzolo
particolare. Volevo tentare di abbassarmi ipoteticamente al suo livello, anche
per comprendere meglio il suo essere. Quindi nulla che fosse studiato al
dettaglio, niente che desse nell'occhio. Non sono mai stata al centro
dell'attenzione né volevo esserlo quella sera. Doveva essere una serata
tranquilla e spensierata, senza troppe preoccupazioni.
Era quanto speravo, ma
ciò che mi tormentava più di tutto era come guardarla negli occhi.
***********
Una lunga camminata
attraverso un viale alberato abbastanza illuminato, persone attorno a me che
chiacchieravano animatamente, alcuni schiamazzi di ragazzine ben abbigliate per
una probabile serata in discoteca, coppiette a braccetto. La normale
popolazione di un sabato sera, ed io che mi mimetizzavo tra tutti loro. Non
appartenevo a quella folla, li osservavo di sfuggita disinteressata, avevo un
luogo in cui dirigermi e la mia mente era completamente assorbita dal percorso
più breve da prendere. Nessuna particolare fretta, un leggero groppo allo
stomaco che riuscivo a stento ad ignorare ma che sarebbe sparito, o aumentato,
appena sarei arrivata al locale. La luna faceva capolino al di sopra delle alte
case popolari, il rumore delle macchine e della poca natura circostante
riusciva ancora a troneggiare su tutte quelle voci estranee, ciò era un bene
considerando che talvolta mi distoglievano dal mio pensiero fisso. Dopo tre
settimane ed una chiamata andata in porto, il cervello non aveva ancora
elaborato un buon piano di fuga da quel tormento. Forse sarebbe accaduto
qualcosa nel momento in cui l'appuntamento sarebbe cominciato.
Il cielo era sgombro di
nuvole, solo un leggerissimo vento soffiava con pause irregolari ma non era
fastidioso. Con me avevo solo il cellulare ed il portafoglio, volevo credere
più all'istinto che all'annunciatore meteo che prometteva piogge serali in zone
isolate. Mai fidarsi dell'omino del tempo quando sei cresciuta in campagna e
sei ben abituata a scrutare l'orizzonte. Quella era l'unica sicurezza del
momento, inutile ma abbastanza per farmi smettere di pensare anche solo di poco
al mio essere in anticipo. Forse ritardare non sarebbe stata una cattiva idea,
del resto avevo atteso tanto e poteva far bene anche a lei stare un po' in
pensiero. Purtroppo non ero portata ad essere così vendicativa ed odiavo dover
accampare delle scuse per non essere arrivata in orario.
Il viale si apriva su di
una piazzetta, da cui svariate strade prendevano vita. Destra per qualche
metro, poi sinistra: conoscevo bene il tragitto, non si trattava del mio locale
preferito ma mi era rimasto abbastanza impresso da ricordarne il percorso.
Notai che diverse persone andavano nella mia stessa direzione, altri allegri
gruppi di giovani sorridenti ma meno rumorosi. Non stetti ad osservarli più di
tanto, anche se tra di loro poteva nascondersi il mio bersaglio. La via non era
pedonale ed i marciapiedi stretti, passavano poche vetture nel mezzo e molti
camminavano direttamente in mezzo alla strada, non curanti del possibile
pericolo. L'insegna lampeggiante del locale era ormai ben visibile, si potevano
leggere indistintamente le lettere che ne formavano il nome, luce bianca e rossa
ad intermittenza.
Mi fermai a pochi metri
dalla porta d'ingresso, estraendo il cellulare e provando una chiamata.
Sospirai scoprendo che il mittente aveva spento il telefonino, in parte
aspettandomelo ed aspettandomi anche la mia resa di fronte a quella situazione.
Forse sarebbe spuntata da un momento all'altro alle mie spalle, facendomi
sobbalzare dallo spavento e poi dalla crisi nervosa per la mia incapacità ad
affrontarla. Forse non si sarebbe affatto presentata, presa da tutt'altro
interesse oppure da semplice timore che la tormentassi anche dal vivo, più di
quanto avevo tentato di fare per via telefonica. Tutte probabilità molto
fattibili. Le avrei concesso una mezzora buona per farsi avanti e, nel caso in
cui non si fosse fatta viva, avrei abbandonato la missione per un buon riposo
casalingo.
Attraversai quindi la
strada e mi poggiai al muro. Trascorsero dieci minuti abbondanti. Li contai
mentalmente, secondo per secondo, per passare meglio il tempo. Non mi andava di
allungare l'orecchio verso i discorsi dei miei vicini di marciapiede, né stare
ad osservare chi entrava e chi usciva dal locale. Mani in tasca e piede che
batteva il tempo sull'asfalto, mi passò completamente la voglia di aspettare
ancora e stavo seriamente mettendo in conto di girare i tacchi verso casa,
anche se l'idea di trovarmi da sola là dentro non era certo migliore della
solitudine di quegli istanti in mezzo a tanti sconosciuti. Pregai me stessa di
portare ancora un poco di pazienza, tenendo impegnata la mente immaginandomi attaccar
bottone con un gruppo di ragazzi in attesa di entrare. Ah, come sarebbe stato
bello essere un po' più sociale e molto meno misantropa in certi momenti. Non
che odiassi realmente chi mi stava attorno, ma non mi servivano letteralmente a
qualcosa o, almeno, al qualcosa di cui avevo più bisogno. Desideravo solo un
po' di pace, senza necessariamente evitare un conflitto di qualsiasi genere,
ero pronta ad uno scontro di sguardi nudo e crudo da far atterrire almeno una
delle due parti.
Lo scontro non si fece
attendere più, nove metri di distanza dall'altra parte della strada. Pareva che
fosse cominciato da tempo ed ero l'unica a non essersene accorta. Sara stava
lì, appoggiata al muro e mani in tasca, a fissarmi con occhi stranamente vivi
senza staccare il contatto visivo per un momento. Cosa che invece feci io
appena mi accorsi della sua presenza, fissando interessata il marciapiede in
basso a sinistra, subito dopo aver spalancato le palpebre per lo stupore.
Intrecciai le mani tra loro, non tremavano ma le dita erano inquiete e
premevano la pelle, formando diverse pieghe come increspature dell'acqua. Il
piede che batteva il tempo si fermò e premette contro il terreno, come a
volercisi aggrappare facendo sprofondare il tallone e la punta. Sicuramente il
suo sguardo continuava a rimanere fisso sulla mia persona e ciò, no, non
aiutava di certo l'ansia che faceva capolino. Avevo paura di constatare la mia
sensazione, ma dovevo pur prendere coraggio ed attraversare la strada.
- Hai freddo?- chiese una
voce improvvisamente vicina a me. Ciò che non ero riuscita a fare per la mia
mancata audacia l'aveva fatto lei, fortunatamente e stranamente. Era a circa
mezzo metro di distanza da me, le mani ancora in tasca, il resto non lo
scorgevo perché tenevo insistentemente lo sguardo basso. I marciapiedi sono
estremamente interessanti se si
osservano a lungo, si
possono scoprire tante piccole crepe che paiono riproduzioni in miniatura dei
mosaici dipinti da Klimt, solo che mancava il suo classico tocco dorato.
Ripassare storia dell'arte era l'attività meno indicata per levarmi dallo
stomaco quel masso invisibile. - Si, un po'. Entriamo?- chiesi abbozzando un
sorriso nel bel mezzo del mio volto imbarazzato. Anche le sue scarpe
catturavano l'attenzione, oh come erano coinvolgenti i laccetti bianchi su
quella forma di tela nera. Si, ok, dovevo smetterla ed in fretta. Sempre con lo
sguardo basso, la sorpassai e constatando che non arrivassero automobili
attraversai la strada, aspettandola davanti alla porta d'ingresso.
Se stavolta scappo io,
non la riprendo mai più.
Sentii dei passi dietro
di me, così mi girai verso sinistra ma di lei nessuna traccia. Non poteva
essere scappata, altra sicurezza non ancora contraddetta, così sbirciai
all'intero del locale. Le luci erano soffuse tranne che all'angolo bar, si
sentiva la musica anche all'esterno, non era rumore insensato ma qualche pezzo
storico anni Ottanta. Sorrisi senza sforzo questa volta, era di mio gradimento.
Ai tavoli si potevano vedere i gruppi che mi avevano preceduta, alcuni sedevano
in coppia, altri erano si erano accomodati ai divanetti negli angoli dietro
lunghe tavolate imbandite di cocktails e aperitivi. C'era però qualcosa di
insolito che non mi spiegavo: l'atmosfera non era poi così diversa dai rari
locali in cui ero stata e le persone che lo popolavano non avevano nulla di
così particolare, ma non riuscivo a capire bene al di là del vetro. Mi
incuriosiva quella folla animata, nonostante il mio essere restia dal buttarmi
in mezzo a così tanta umanità.
Una mano sulla spalla destra
mi destò dal mio osservare. - Ti dà fastidio?- mi chiese Sara, cogliendomi
impreparata sulla risposta. Cosa c'era di fastidioso? La sua mano che mi
richiamava all'attenzione? Il vento che si era alzato e mi pizzicava la pelle?
Nessuna delle due ipotesi, nemmeno il suo sguardo intenso ma quieto diritto nei
miei occhi. I miei spalancati, invece, mi mettevano enormemente a disagio. Non
era la reazione che desideravo, non nei suoi confronti, l'avermi presa alla
sprovvista però non aiutava quella sensazione sgradevole al petto. Scossi il
capo, roteando lo sguardo a destra ed a sinistra prima di tornare sul suo che
non accennava a distaccarsi. Per un attimo si volse verso la vetrata, per poi
tornare su di me. - Allora vieni, - disse con il suo solito tono pacato,
facendo scivolare la mano dalla spalla alla mia – ti faccio conoscere un po'
del mio mondo.-
Era calda come la
ricordavo, pelle contro pelle, una stretta gentile a guidarmi all'interno, il
viso rivolto in avanti, la sua schiena a farmi da scenario. Un brivido, questa
volta non di freddo, ad attraversarmi la colonna vertebrale. Non ricordavo mi
avesse mai donato una sensazione simile, seppur involontariamente; era una
sorpresa piacevole e mi lasciai inebriare senza opporre resistenza. Trattenni a
stento l'ennesimo sorriso sentito, volevo mostrarglielo guardandola
direttamente e soprattutto non in quel momento. La vista era concentrata tutta
sulla sua persona di spalle ed i pensieri sul suo fare premuroso e l'incedere
lento in mezzo ai tanti tavoli. Mi lasciai sfuggire uno sguardo piuttosto
veloce al di fuori della sua figura, per evitare di perdermi lo spettacolo che
mi forniva, e purtroppo fui subito assorbita dal resto del panorama.
Il fastidio a cui si
riferiva riguardava l'interno del locale. Non ai cocktails, non
all'arredamento, ma ai suoi abitanti. Ai tavoli vi erano esattamente le persone
che avevo osservato da fuori, ma più da vicino potevo vedere chiaramente
ragazzi che si tenevano per mano tra loro, donne che si scambiavano lievi
carezze mentre ridevano con altri amici, abbracci affettuosi tra persone dello
stesso sesso in punti ben illuminati e non nell'ombra degli angoli più nascosti
ed intimi. Ciò che mi era sfuggito all'esterno e che tentavo di capire era ora
lampante e travolgente: il luogo a cui ero abituata si era trasformato in una
serata a tematica omosessuale e non ne ero entusiasta. O meglio, non trovavo
nulla di così raccapricciante che mi facesse scappare via urlando, non ero
semplicemente abituata ad una situazione simile, anzi ero una completa neofita.
Nessuna delle mie conoscenze aveva mai proposto un'uscita simile, ne avevo
certamente sentito parlare ma trovarmici nel mezzo mi metteva quel poco di
soggezione che si prova ad ogni nuovo evento inaspettato.
Sara continuava ad
avanzare verso il fondo dell'ampia stanza di ristoro ed io volevo frenare la
sua corsa in qualche modo, cosa che non mi riuscì affatto. Volevo spiegazioni.
In verità non ne avevo bisogno. Mi sentivo come una bambina a cui avevano
promesso il parco giochi con lo zucchero filato e invece veniva portata al
cinema coi pop corn. A me era stato promesso un frappè alla fragola. Bè, in
qualche modo l'avrei ottenuto anche se condito con quella sorpresa.
Una ragazza fermò Sara
nel bel mezzo della stanza: - Ciao! Da quanto tempo! Come mai non sei più
venuta?- le chiese tutta sorrisi e bacetti sulle guance, osservandola raggiante
ed attendendo una risposta. - Ho avuto da fare.- non la fece tardare ed ammetto
una punta di fastidio nel notare che il tono usato con quella era molto più
vivo di quando si rivolgeva a me. La ragazza continuò il suo discorso a senso
unico condendolo con degli “uffa” e dei “però” su quanto fosse mancata e non
mancata, di come la serata non era la stessa senza di lei e via dicendo, finché
non notò che c'era qualcuna aggrappata alla sua mano e mi volse il sorriso. -
Oh, sei in compagnia, - disse rivolta a Sara ma con lo sguardo su di me – e
questa carina dove l'hai trovata?-
Me lo chiedevo anche io,
ma non feci in tempo a formulare una risposta adeguata che sentii uno strattone
alla mano e la mia accompagnatrice riprese il cammino da dove ci eravamo
fermate. Ricambiai imbarazzata il sorriso, vedendo quello della nuova arrivata
sciogliersi come se la mia presenza non fosse gradita, o forse era delusa dal non
essermi fatta presentare dalla sua conoscenza. Mi ero messa il cuore in pace e
ormai potevo aspettarmi anche quel genere di mosse, pur non sapendo come
reagire.
Arrivammo dunque ad un
tavolo libero nella penombra, proprio in uno di quegli angoli che definivo
intimi e fuori dalla portata di occhi indiscreti. Non temevo chissà quale
intenzione per l'aver scelto un luogo così appartato, avevo fiducia nel suo
voler semplicemente parlare con tranquillità senza troppe scocciature. Lo
speravo, almeno, visto che pareva abbastanza conosciuta in quel luogo, qualche
sventolio di mani in segno di saluto l'avevo notato anche se non ci eravamo
fermate a ricambiare tutti. Soprattutto tutte.
- Ti conoscono in tanti,
qui dentro. - dissi cercando di mantenere un tono piacevole, mentre prendevo
posto sul divanetto a ridosso del muro. Il suo sguardo era altrove, basso,
mentre il mio era direzionato a metà tra il suo viso ed il suo collo, non
riuscendo ancora a fissarla negli occhi e non sapendo bene cosa guardare per
non sembrare troppo scortese. Esitò nel sedersi davanti a me su di uno sgabello
di pelle nera imbottita, osservando il posto al mio fianco, per poi prendere
per buono il posto iniziale. - Già, - dopo essersi seduta, mise le mani
incrociate sotto il mento ed i gomiti sul tavolo – purtroppo.-
- Perché purtroppo?-
insistetti. Come da mia analisi personale, non pareva una persona molto dedita
alla socializzazione, ma addirittura soffrire l'essere riconosciuta e
conosciuta da qualche persona in un locale mi sembrava un'esagerazione. E lo
pensava una che non riusciva a sopportare nemmeno le compagne di università,
tra l'altro.
Prese il menù delle
bevande che era poggiato sul tavolo, sfogliandolo distrattamente. Con una mano
lo teneva dal retro e con l'indice dell'altra scorreva sui nomi scritti in
caratteri corsivi all'interno. - E' noioso. - sembrava essersi fermata su una
scritta in particolare al fondo della pagina, muovendo le labbra lievemente nel
leggerne il nome. - Attirare l'attenzione di persone insignificanti in un
ambiente simile, è noioso. - chiuse dunque il libretto, poggiandolo nuovamente
sul tavolo e facendolo scorrere verso di me, tenendo le dita ancora premute
sulla copertina. Sguardo basso su di essa, probabilmente in attesa che dessi
un'occhiata anche io. Sinceramente mi interessava più osservare lei che una
lista di miscugli che gradivo a stento. Le mie labbra erano semiaperte in
attesa che una qualche domanda intelligente facesse la sua comparsa, ma si
trattava più che altro di curiosità personali, non volevo metterla in
difficoltà per soddisfare la mia sete di conoscenza riguardo il suo modus
vivendi. Ero bugiarda nei miei stessi confronti, volevo conoscere il suo
pensiero a riguardo ma preferivo attendere che fosse lei stessa a proseguire.
Alzò il capo in mia
direzione, il suo viso era assolutamente rilassato ma non si poteva certo dire
fosse sereno. Gli occhi erano socchiusi quanto la bocca, le spalle cadevano
mollemente e le braccia non avevano muscoli tesi, la mano posta sopra il menù
aveva allentato la sua pressione. - Che ne pensi? - chiese in tono basso, che
percepii con difficoltà a causa della musica che rimbombava nella stanza. La
domanda lasciava aperte diverse interpretazioni, stava soltanto a me scegliere
quella giusta: poteva riguardare le persone insignificanti da lei menzionate, o
la noia di essere conosciuta, o l'ambiente stesso. Tentai una risposta
riassuntiva: - Credo non si possa pretendere di conoscere solo chi ci serve
realmente. Tutti, a modo nostro, contribuiamo alla formazione del prossimo. In
ogni caso, posso immaginare che sia fastidioso essere richiamati da chi non ci
fa piacere, specie in un ambiente a noi congeniale.-
Speravo di averla
soddisfatta, anche se ritenevo di essere stata fin troppo filosofica e di aver
usato parti di frasi fatte che io stessa odiavo. Essere ovvi e scadere nei
cliché lo ritengo terribile, seppur talvolta inevitabile, ed io ci ero cascata
in pieno. In tutta risposta ricevetti uno scuotimento di capo. - Intendevo qui.
- indicò con il pugno chiuso ed il pollice teso verso le sue spalle – Come ti
sembra questo posto?-
Mi guardai attorno prima
di rispondere. La musica si era lievemente abbassata e potevo sentire meglio il
chiacchiericcio dei ragazzi al tavolo. Evitai di soffermarmi ad osservare le
varie coppiette, avevo già visto abbastanza ed in fondo non c'era nulla da
analizzare come cavie da laboratorio. - C'è un bel clima, qui. Non me
l'aspettavo, cioè, non pensavo diventasse così... di sera. - e, non sapendo più
cosa aggiungere, feci un gesto a spirale con la mano ad intendere che il locale
aveva subito una sorta di trasformazione. Mi sfuggì un sorriso a labbra
strette, la mia teatralità era imbarazzante e pensavo fosse stata quella a far
ridacchiare Sara sommessamente. Non feci in tempo a chiederle il motivo di quel
guizzo di divertimento che il cameriere si presentò per prendere le
ordinazioni. Le uniche cose ovvie della serata erano il mio frappè ed il suo
caffè, tutto il resto era ancora un grande mistero.
Il ragazzo segnò il tutto
su un block notes e scomparve, non prima di averci promesso l'arrivo immediato
delle bevande con un grande sorriso. Risposi in modo altrettanto gentile, per
poi rivolgermi nuovamente alla mia interlocutrice appena se ne andò. Aveva
assunto una posizione diversa nel mentre, le gambe accavallate molto larghe, un
braccio allungato e poggiato su di esse e l'altro con il gomito sul tavolo e la
mano vicina alle labbra, un dito morso tra i denti. Sorrideva guardando
l'angolo formato dalla parete alle mie spalle. Sembrava molto più a suo agio di
quando ci eravamo incontrate sul marciapiede. Volse poi lo sguardo a me, senza
girare il capo, togliendosi il dito dalle labbra e poggiando l'intera mano a
sostegno della mascella. - Non c'è stata alcuna trasformazione. - si fermò,
roteando gli occhi per poi tornare ad osservarmi – Questo locale è sempre stato
un ghetto. -
Quelle parole mi
ferivano, pur non essendo la vittima diretta di tanto cinismo. O forse si.
Sicuramente non ero stata io a decidere di ideare dei luoghi appositi per gli
incontri omosessuali, ma non avevo nemmeno contribuito a fare in modo che non
esistessero. Né l'avevano fatto i clienti stessi di questi ritrovi. Più di
tutto mi aveva sconcertata il fatto che il locale che tanto amavo fosse un
recinto per animali socialmente inaccettabili. Peccato che i veri animali si
nascondevano su entrambi i fronti, pronti a disturbare la quiete per puro
piacere dell'odio. Ed io non ci vedevo nulla di male in tutto ciò, pur provando
quel momento di disorientamento alla notizia, pur non capendo come quel luogo
potesse essere quel che stavo vedendo a tutte le ore del giorno. Ero l'unica
vera estranea e non avevo il diritto di criticare, ma prima di tutto avrei
fatto un torto a Sara, ai proprietari del locale, alle persone presenti.
Ed in parte anche a me
stessa.
- Sebbene concordi con il
definirlo un ghetto, pensavo fossi più entusiasta di essere circondata da
persone con il tuo stesso pensiero. - cercai di smorzare i toni con una
constatazione amichevole, ma non pareva fosse dello stesso parere. - Io
entusiasta? Non so che film tu abbia visto. Ti ho portata qui solo per farti
conoscere una parte di ciò che mi ha cresciuta, non per farti assaporare
quest'atmosfera. - prese una lunga pausa, piegando un tovagliolo di carta
estratto dal contenitore metallico sul tavolo, dandogli una forma indefinita.
La mia reazione si faceva attendere, quindi proseguì, alternando lo sguardo
alla sua piccola opera ed al mio viso: - Un tempo frequentavo questo genere di
luoghi per sentirmi a posto con me stessa, fuggire dal bigottismo di tutta
quella gente là fuori e ritrovarmi in una grande famiglia allargata. Pensavo
fosse l'unico modo... - ulteriore pausa, questa volta fissò intensamente il
tovagliolo spiegazzato, passandoselo lentamente di mano in mano come se il gesto
potesse donarle maggior concentrazione - ...l'unico modo per sentirmi
apprezzata ed imparare ad apprezzare.
Almeno finché non sono resa conto che buona parte di questi simili, da
me, cerca il solito monotono divertimento.-
Il suo essere per la
seconda volta molto loquace, da quando la conoscevo, mi elettrizzava su più
fronti. Avevo una piccolissima dose del suo cuore in mano, ma poteva anche
essere l'ultima goccia. Ero terrorizzata dal suo aprirsi, sembrava piuttosto
naturale ma era l'ennesima cosa a cui non ero abituata, poteva celare una
notizia sconcertante come quella di confidarmi i suoi ultimi pensieri prima di
allontanarmi definitivamente. Positività, vieni a me. Avrei davvero desiderato
diventare la paladina dell'ottimismo anche solo per un attimo, pur di rendere
meno enigmatiche le sue affermazioni. Avevo compreso buona parte di ciò che mi
aveva detto, sul cosa desiderassero da lei certi individui, sul perché si
sentisse a proprio agio e poi la noia che l'aveva colta a causa della
ripetitività di attività poco sentimentali. Quel che ancora rimaneva al buio, e
non solo di quell'angolo di stanza, era il motivo per cui dovesse sentirsi
apprezzata. Non pareva il genere di persona che avrebbe scalato un grattacielo
solo per poi buttarsi da basso se nessuno avesse riconosciuto il suo valore,
anche se in quella famosa notte mi aveva confidato il suo sentirsi bene per il
solo fatto di avere il mio ascolto disimpegnato. Forse aveva imparato molto
dalle sue esperienze passate, che non conoscevo direttamente, e ultimamente
aveva un enorme bisogno di ritrovare stabilità. Non potevo permettermi di
traballare di fronte alle sue affermazioni.
- Dunque, cosa desideri
da me?- le chiesi con un tono piuttosto serio, incrociando le braccia e
poggiandole a bordo tavolo, avanzando col petto in sua direzione. Una domanda
così spregiudicata ed allo stesso tempo così semplice: avrebbe avuto il
coraggio di zittirla o sarebbe scappata nuovamente, non in senso fisico? Il
risultato iniziale fu un suo spalancare di occhi e l'inclinazione delle labbra
verso il basso. Troppo, troppo audace. Quella piccoletta biondina aveva
sorpassato la sua linea di difesa e la stava disarmando completamente,
controllandola con lo sguardo ed un punto interrogativo molto impegnativo.
Avevo tutto il diritto di comportarmi così, del resto sono sempre stata
schietta con lei, pur nascondendo talvolta le vere domande che volevo
rivolgerle. Ormai il gioco era durato a lungo, non volevo porgli un fine ma
semplicemente lanciare una buona mano di dadi per sbloccare la situazione.
Il suo sguardo rimase
teso ancora per qualche istante, finché si ammorbidì con una punta di
esitazione. Le mani continuavano a trovare interessante il gioco con il povero
foglietto di carta, senza mai stropicciarlo con cattiveria, mentre si poteva
notare altrettanta incertezza nel suo respiro irregolare. L'avevo decisamente
turbata e non mi dispiaceva, la necessità di conoscere le sue intenzioni era
prima perfino all'evitare di metterla a disagio. Mi osservò ancora per un
attimo, per tornare ad osservare il tovagliolino con occhi socchiusi.
- Sai, mi fa male
risponderti perché non ho una risposta soddisfacente. - riportò lo sguardo a me
e lo abbassò nuovamente, deglutendo – Non credo di essere in grado di fornirti
una spiegazione completa, l'unica certezza è che mi fa male. - Sembrava non
saper bene in che direzione guardare, incurvando le spalle verso il petto come
a proteggersi. Mi aspettavo che le circondasse con le mani, tanto la sua figura
era fragile in quel momento. Desideravo insistere, lo volevo fortemente, ma il
suo inclinare ulteriormente il capo verso il basso fece arretrare qualsiasi
crudeltà nei suoi confronti. Ovviamente non comprendevo il dolore di cui
parlava, se fisico o spirituale, ero solo certa della mia improvvisa voglia di
avvicinarla a me e troncare ogni possibile domanda. - Tu, invece, perché mi hai
cercata?-
Interessante, pensai.
Rispondere ad una domanda con un'altra domanda, evitando la prima. Sicuramente
non aveva reagito volontariamente, non dava l'impressione di voler fuggire
almeno in quella situazione e la voglia di domandarle perché l'aveva fatto in
precedenza tornò insistente. Ma era davvero troppo piazzarla in uno status
peggiore di quello. - Eri fuggita senza una ragione rilevante e mi sentivo in
dovere di fermarti. Tu eri fuggita, e mi avevi abbandonata. Non ti odio per
questo ma, lo ripeto, tu eri fuggita. - e nascosi così una domanda implicita
nel mio insistere su quel punto.
- Sono fuggita perché
temevo di perderti. -
Il peso allo stomaco si
fece più grave.
Deglutii più volte,
fissandola con occhi spalancati. Correva via da me mentre ero io quella che,
potenzialmente, avrebbe potuto scappare. Aveva messo le mani avanti per
proteggermi, o forse proteggere se stessa. O entrambe. No, ne ero ormai sicura,
aveva agito non per lei, non me per, ma per Noi. Un Noi che ancora non si era
formato ma che era in qualche modo cresciuto da quell'istante, sebbene non
volessi ancora accettarlo pur avendolo appurato nel confronto con me stessa. Un
gesto estremamente dolce.
Mi sporsi più avanti,
alzandomi di poco dal divanetto, catturando la sua mano sinistra libera. La
tirai verso di me con gentilezza, suscitando un deciso turbamento nella sua
persona che esitò inizialmente, per poi avviarsi docilmente dove avevo intenzione
di posizionarla, al mio fianco, più vicina al corpo e alla vista. Feci il tutto
senza un'espressione particolare ma, quando fu piccola ed insicura alla mia
portata, le sorrisi. Probabilmente si aspettava una qualche mossa altrettanto
audace e dovette attendere davvero molto perché questa non arrivò. La volevo
semplicemente coccolare con una presenza più tangibile, più calorosa. - Se non
vuoi perdermi davvero, allora cerca di starmi più vicina. Ho avuto freddo in
queste tre settimane.- mi avvicinai di più al suo viso, sorridendo
ulteriormente al suo imbarazzo, per poi accostare le labbra al suo orecchio –
E' stato terribile senza te.-
- Anche se ho tradito il
tuo abbraccio?- chiese a tono basso, ma abbastanza da poterlo sentire da quella
distanza. La musica del locale era ormai lontana dal nostro piccolo nucleo
invisibile ed i suoi occhi timidi, che mi guardavano da lato, non facevano
altro che aumentare la fortezza di quella barriera. Passai un braccio attorno
alle sue spalle, appoggiando la fronte all'incavo del suo collo. Non si mosse
di un centimetro, ora potevo sentire indistintamente il suo sangue pulsare in
modo accelerato ed il suo respiro per nulla regolare soffiare sul mio collo. -
Ti dovrei uccidere per questo ma non ne ho il potere. Posso sentirmi solo
estremamente gelosa? - chiesi, sperando che non percepisse il calore provocato
dal rossore delle mie guance.
Altra saliva percorse
duramente la sua gola, accompagnata da leggeri movimenti di mascella e di
labbra. Lo percepivo dal fatto che erano parzialmente appoggiate al fianco del
mio viso. Alzò lentamente il braccio libero in direzione della mia schiena,
titubante, per poi optare ad appoggiare la mano tra il fianco e la coscia. Quel
tocco era delicato e premuroso, come se un solo movimento errato potesse ferire
la mia carne. Tutto quello scrupolo continuava a renderla fragile e amorevole
allo stesso tempo e, in tutta risposta, sfregai lentamente il capo contro il
suo collo per rassicurarla, anche se una mossa simile poteva essere facilmente
fraintesa. - Ho cercato conforto altrove, - rispose scandendo bene le parole –
ma mi rendo conto che non mi tranquillizzava quanto stai facendo tu ora. -
Inclinò quindi il capo verso la mia spalla, portando finalmente quella timida
mano sulla mia schiena, stringendomi forte ma senza levarmi il fiato. Avrei
sentito la maglietta inumidirsi da un momento all'altro o l'avrei fatto io con
la sua? Trattenersi sembrava un enorme sforzo per entrambe.
Era una dichiarazione in
piena regola, seppur implicita, ma ancora non ci bastava.
- E poi, - intervenne
improvvisamente, alzando il viso e scostandomi in modo che anche io la
guardassi – se mi ammazzi adesso risolveresti un sacco di problemi. Quella che
mi ha salutato quando siamo entrate, ogni tanto si fa sentire. Non so quanto ti
convenga tenermi in vita.-
Spalancai gli occhi. Sara
stava scherzando così naturalmente davanti a me, con quell'espressione
tranquilla ed il tono decisamente più vivo del solito. Dovevo aspettarmi
un'imminente invasione aliena, uno stormo di cavallette o la spaccatura del
terreno sotto i piedi? Cercai di scacciare lo stupore e le immagini
catastrofiche per quel suo insolito comportamento, pur non sapendo che cosa
rispondere. Le labbra mimavano delle parole che suonavano come “ma” ed anche un
“che cazzo stai dicendo” anche se non riuscii a dar loro dei suoni tangibili.
In breve tempo mi ripresi e le pizzicai la guancia, aggrottando le sopracciglia
in una falsissima espressione furibonda, fissandola dritta nelle pupille. -
Questo è un avvertimento. Non te lo permetterò più, siine consapevole.-
minacciai con tono piuttosto serio, digrignando i denti ed assottigliando gli
occhi per migliorare quella farsa. Ottenni una reazione simile alla mia nei
confronti della sua iniziale battuta, per poi notare piacevolmente che i suoi
tratti facciali si rilassarono compiaciuti e sereni, sfoggiando un lieve ma
sincero sorriso. Ricambiai, con l'impulso incontrollabile di avvicinarmi
ulteriormente e non sembravo l'unica a non sapersi controllare. Lentamente ci
ritrovammo a pochi centimetri di distanza, viso contro viso, un leggero fremito
da parte di entrambe che si stabilì quasi subito.
- Andiamo a casa mia. -
proposi annuendo senza aver ancora ricevuto un responso. - Vorrei chiederti
tante cose. Questo non è il luogo adatto. - mossi ancora il capo in segno di
approvazione. Sara fece lo stesso poco dopo, senza muoversi dalla posizione che
avevamo assunto. Eravamo in sintonia e sembrava piacerci, al di là di tutte le
altre situazioni che parevano far piacere solo a me. - E le ordinazioni?-
chiese voltando lo sguardo verso il nostro tavolo vuoto ed al bancone.
Probabilmente non era serata per il mio amato frappè. Feci spallucce, mi
scostai dal nostro singolare abbraccio per poi alzarmi, tirando i lembi della
maglietta verso il basso ed aggiustandomi i jeans ai fianchi. Senza guardarla,
feci il giro del tavolo e le feci gesto di seguirmi.
- Che si fottano. -
C'erano cose molto più
importanti di un dannatissimo frappè alla fragola.