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Autore: Charlotte Doyle    16/03/2007    1 recensioni
Hogwarts decide di dare un'altra possibilità a Draco. E a Narcissa. Fanfiction scritta per hp_ficexchange su LJ.
Genere: Drammatico, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Narcissa Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Guilty Ones
Una fanfiction (di)sgraziata di CharlotteDoyle

3 – Chiquitita

Diverse settimane scivolarono addosso a Draco senza che lui neanche se ne accorgesse; senza che lui se ne volesse accorgere, perché il tempo aveva perso la sua funzione, e il ragazzo aveva perso la sua memoria. Da quanto non vedeva suo padre? Non lo sapeva, e anche se pensava a lui ogni tanto, ogni giorno, non riusciva ad immaginarlo ad Azkaban. Doveva essere da qualche parte, Altrove, ma non dentro una prigione a patire il freddo e la noia.
Anche le pene e gli orrori dell’anno trascorso sotto la pressione di Voldemort non erano che ricordi lontanissimi; no, la guerra non era finita, eppure lui se n’era tirato fuori; non c’era posto migliore di Hogwarts per costruirsi il proprio bozzolo e isolarsi dal resto del mondo.
La vita studentesca, d’altra parte, era una farsa, e gli stava scomoda come un vestito troppo piccolo per lui; e lui era abituato ad avere abiti su misura, di solito. Apatico come non mai, studiava svogliatamente e dormiva molto, anche se il più delle volte male. Nella sua mente, aveva già incolpato Crabbe e Goyle un paio di volte; adesso per lo più stava da solo, oppure con Pansy, che però era una ragazza.
Una ragazza che non riusciva a stare zitta.
“Tutto bene, Draco?”
Lui sospirò. “E’ inutile che tu mi chieda ogni volta come sto, Pansy,” disse. “Se sto male te lo dico, fine.”
Pansy accennò ad un sorriso e lasciò cadere il discorso.
Qualche minuto dopo, finito il pranzo, riprese.
“Vuoi fare qualcosa oggi? Ho pensato che visto che è sabato potremmo-“
“Non voglio fare niente,” tagliò corto lui. “Lasciami stare, per favore.”
E lei lo lasciò stare; lo salutò e se ne andò con le sue amiche. Non era la prima volta che si comportava così, e non sarebbe stata l’ultima. Pansy non se la prendeva mai più di tanto, le era stato fatto chiaro sin da principio che quella di Draco era una situazione difficile.

Un’ora dopo cominciò a sentirsi davvero annoiato. Non sapeva dove fosse Pansy in quel momento, forse averla intorno avrebbe migliorato un po’ le cose; forse le avrebbe peggiorate, ma non di tanto – quantomeno si sarebbero smosse.
Uscì dalla Sala Comune di Serpeverde e decise di fare una passeggiata, sperando di incontrare la sua ragazza tra un corridoio e l’altro. Andò in Sala Grande, ma lì c’era solo la Weasley pezzente che teneva un comizio politico; scese alle Serre e trovò solo Longbottom che chiacchierava amabilmente con la Sprout.
Il mondo si è riempito di Grifondoro, pensò. E rientrò nei sotterranei.
Solo allora vide Nott. Furtivo, guardingo, lo vide svoltare alla fine di un corridoio che ignorava dove portasse.
D’accordo, Nott gli stava facendo paura. Passi per il fatto che non parlava mai con nessuno, passi per la sua imperturbabilità, aveva tutta l’aria di star nascondendo qualcosa.
E Draco seppe esattamente cosa quando il Marchio cominciò a bruciare.

Inutili erano state tutte le cure di quel De Witt; avrebbe dovuto essere del cinismo di Malocchio Moody, non c’è modo di scappare a Voldemort: se l’avesse voluto trovare per punirlo, l’avrebbe trovato, anche in capo al mondo.
Era una tregua quella che stava vivendo, se ne doveva rendere conto. Lui e sua madre sarebbero potuti morire da un momento all’altro, e Nott doveva essere l’esecutore.
Storse la bocca per il dolore e pensò che non c’era niente di nuovo sotto il sole, e che d’ora in poi, possibilmente, doveva evitare di stare a contatto con il suo unico compagno di stanza, con il quale un tempo – molto lontano – aveva pensato di poter stringere una vera amicizia.

Si diresse verso lo studio di sua madre. Il Marchio bruciava ancora, e lui aveva promesso di parlarne a lei prima che a chiunque altro, prima che a chiunque altro dell’Ordine.
Era un affare urgente.
Arrivato davanti alla porta bussò con impazienza.
Dall’altra parte, sentì la voce di Narcissa dire: “Chi è?”
“Madre,” disse lui.
“Oh, Draco!” sentì esclamare la donna. “Entra, caro.”

Era la prima volta che veniva lì da quando era lei in carica come professoressa di Difesa, e doveva ammettere che finalmente qualcuno aveva portato un po’ buon gusto a Hogwarts. La Umbridge aveva decorato la stanza in modo da renderla inguardabile; sua madre aveva rivoluzionato le cose, aveva tolto le tendine rosa e le foto dei gattini e tutto il resto, e aveva sostituito i mobili con altri stile liberty che Draco non aveva idea di dove potesse aver preso.
Il tavolino da tè, tuttavia, era rimasto. E lì seduta vi era una fanciulla sorridente!
Narcissa con un sorriso ampio lo venne ad accogliere all’entrata. Gli passò un braccio intorno alle spalle e lo baciò brevemente sulla fronte.
Il ragazzo sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. Subito dopo, avvampò in viso.
“Draco,” disse Narcissa, con tono amabile. “Conosci Melinda Bobbin, vero?”
Il ragazzo si staccò dalla madre e, con una mano ben ferma sul braccio destro, un sguardo che cercava una veloce comprensione, disse soltanto: “Sì, la conosco.”
“Ciao, Draco,” disse la ragazza seduta al tavolino, alzandosi e porgendogli la mano. Narcissa sembrò ignorare il comportamento del figlio, ma gli lanciò un’occhiata perché partecipasse ai convenevoli.
Draco, tuttavia, rimase a tastarsi il Marchio Nero, e non strinse la mano di Melinda, che confusa dopo un poco si risedette.
Che cosa diceva Pansy a proposito di questa? Si chiese Draco.
“Vieni a sederti,” disse Narcissa. “Stavamo prendendo il tè.”
Il ragazzo avanzò di qualche passo, lentamente. Poi fu investito da un forte profumo di fiori, un profumo che sua madre non usava.
“Che olezzo di rose! Che profumo di viole!” diceva Pansy disgustata al suo passaggio, ecco cosa diceva.
Si sedette al tavolo perplesso, un po’ stordito, e subito fu colpito da un secondo Bolide.
I capelli di Melinda erano biondi, voluminosi, e luminosi!
E’ il dolore che mi sta provocando il Marchio, si disse. Devo avere le allucinazioni.
“C’è qualcosa che non va?” disse la ragazzina, che doveva avere su per giù quattordici, quindici anni.
Draco scosse la testa, come ipnotizzato dagli occhi di lei, blu elettrico à la Fremen.
“I capelli…” riuscì appena a dire.
Melinda cominciò a ridacchiare. “Ih ih ih!” fece. “Lo so, abbagliano tutti quando passo! Ih ih ih! E sono così al naturale, sai?”
Draco dovette distogliere lo sguardo per non rimanere cieco.
Nel frattempo, Narcissa aveva poggiato una mano sulla spalla sinistra della ragazza.
“Melinda, ricordati di rimanere composta, cara. E per ridere, una mano davanti alla bocca, ed evita di improvvisare.”
Melinda sorrise, si mise una mano davanti alla bocca e disse: “Uh!”, e poi: “Mi dispiace, signora Malfoy!”
Draco le guardava scandalizzato.
Oh, certo, mia madre sa effettivamente insegnare, ricordò. Le buone maniere.
Una cosa che Draco non aveva mai avuto la buona creanza di imparare con il giusto metodo, come bene sappiamo.
Poi, lo prese un moto di rabbia incontenibile. Cos’era tutta questa messinscena? Lui stava male, e sua madre lì a divertirsi, a giocare con una bambolina vivente, che oltretutto era fuori di testa?
“Oh, sì, siamo stati a Nizza quest’estate, era così favolettoso!” e batteva le mani; Narcissa le spiegò che non era il caso, e lei smise.
Altro che alieni!
Sua madre prendeva il tè con le bambole, da piccola. Lo sapeva, non poteva essere che così. Immaginò mentalmente la scena: lei prendeva il tè con le bambole, vestita di quei deliziosi abitini colorati scelti dalla nonna, e parlava e rideva immaginandosi signora nella grande società; alla zia Andromeda toccava servire, trattata alla stregua di un elfo domestico; ma si divertiva, proprio come si divertiva ora a servire quel Sanguesporco di marito.
Orrore. Orrore.
Infine arrivava Bellatrix, come una furia, e svelta a colpi di bacchetta (e neanche era entrata a Hogwarts) strappava via la testa a tutti i pupazzi. E Narcissa giù a piangere.
(Draco non lo sapeva, ma Bellatrix avrebbe avuto piacere di fare la stessa cosa anche alle sorelle. Questa però è un’altra storia.)
Dopo diversi discorsi senza senso, il figlio si riprese dal sogno ad occhi aperti, e cominciò a fissare la madre fino a quando questa non le diede la sua attenzione; disse, a voce bassa ma ferma: “Dovrei parlarti. Urgentemente.”
Narcissa fece finta di non capire per qualche secondo, e Draco sentì il bisogno di rompere qualcosa, ma poi la donna prese e disse a Melinda che si era fatto tardi, che doveva tornare nel suo dormitorio.
La ragazzina rise, batté di nuovo le mani, poi si alzò, salutò (non riuscì a stringere la mano di Draco nemmeno questa volta) e uscì.
Narcissa sospirò, soddisfatta.
“Cos’è questa storia?” disse Draco.
Narcissa si voltò verso di lui. “Oh, non pensi anche tu che sia tanto carina?”
Oh, no, pensò Draco. Un conoscente di Narcissa Malfoy avrebbe detto, a questo punto, che qualcuno le aveva fatto una qualche maledizione per farla impazzire, oppure che quella non era veramente la signora Malfoy, ma qualcun altro che si era sostituito a lei via Polisucco.
Diamine, un membro della sua famiglia non può essere così mieloso!
E invece Draco sapeva che era normale. L’aveva vista poche volte in questo stato, non sapeva perché le prendesse, ma davvero era qualcosa di spaventoso, che lo faceva scappare via a gambe levate.
Suo padre, davanti al problema, sospirava e rifuggiva il sorriso contento contento della moglie. Diceva a Draco: “Lo fa per farmi dispetto, lo so.”
Ma Lucius Malfoy adesso non era lì. Draco era spiazzato. Lo faceva per dar fastidio a lui?
Sua madre si sedette di nuovo davanti a lui, e continuò.
“Certo, è un po’ da raffinare, ma potrebbe venir su proprio bene,” disse. “Oltretutto la sua famiglia è ricca, si potrà permettere di tutto.”
E poi, sospirando: “Sai, ho sempre desiderato avere una bambina.”
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso.
“Ah, sì?” disse Draco alzandosi. “Bene!”
Cosa voleva dire, che avrebbe preferito quella, piuttosto che lui?
“Bene!” ripeté. “Tanto vale che me ne vada.”
E poi chi era lui, il suo migliore amico, per doverla ascoltare in questi deliri?
Narcissa si alzò con lui. “Aspetta,” disse. “Draco, dovevi dirmi qualcosa.”
“Lascia perdere.”
“No, Draco,” disse Narcissa, e ora era tornata seria. “Adesso mi dici perché sei venuto.”
“No!”
Si diresse verso la porta.
Narcissa gli si parò davanti.
“Me lo dici,” disse. “Perché già ti stai comportando male, non vieni a trovarmi per giorni, e poi quando ti fa comodo…”
“Quando mi fa comodo!” disse Draco. “E intanto tu prendi il tè con una… con una… con una Tassorosso!”
“Non te la voglio mica far sposare, Draco.”
“Cosa!?” disse il ragazzo.
“Era per passare un po’ di tempo. Avrei potuto passarlo con te, ma a quanto pare…”
“… non ci tengo, esatto, grazie!” disse lui.
E uscì sbattendo la porta.

La cosa buona era che nel frattempo il dolore al braccio era svanito. Il Marchio Nero non bruciava più, e lui era ancora in salvo. O almeno sperava che fosse così.
La cosa cattiva, invece, che non riusciva a togliersi dalla testa sua madre, e continuava a rimuginare su tutte le cose che aveva detto.
E se la voleva tanto una bambina, perché non l’hanno fatta?
Ipocrita. Il suo più grande incubo da piccolo era che gli nascesse un fratellino.
Non sono geloso di mia madre!
Pensierini da prima elementare, ma Draco le elementari non le aveva fatte, dunque non poteva accorgersi che stava parlando come un bambino di cinque anni.
E poi, perché ha detto, ‘non la devi mica sposare, Draco’? Non bastava la nonna a parlare di matrimonio ed eredi?
Come se lui le ragazze non se le sapesse scegliere.

Entrò in Sala Comune; c’era solo Tracey Davis sdraiata a pancia in giù su un divanetto, intenta a leggere un giornale.
“Dov’è Pansy?” chiese.
Tracey alzò lo sguardo verso di lui svogliatamente. Qualcosa del suo volto lo colpì, in ogni modo, perché assunse subito un’espressione di sorpresa.
“Cavolo, che hai fatto?” disse. “Sembri allucinato, avrai mica preso qualcosa?”
E adesso, cos’era tutta questa confidenza?
“Ti ho chiesto dov’è Pansy,” disse lui seccato. “E comunque io non prendo niente,” aggiunse.
Patetica. Tracey era solo…
“E’ andata in biblioteca con Millicent per finire un tema,” disse Tracey, e tornò al suo giornale, senza degnarlo di un ulteriore sguardo.
… una patetica mezzosangue. Figlia di un mago e di una Babbana. Era stata furba, lo aveva nascosto loro per un paio di anni, ma poi lo avevano scoperto comunque. Se avesse avuto buon senso, avrebbe capito che non era il caso di parlare a lui in quel modo. Non se lo poteva permettere.
Draco piombò sulla poltrona accanto. Lei non se ne curò affatto, continuò a leggere imperterrita, mentre si mordicchiava le unghie di una mano.
Tracey era una mezzosangue.
Una mezzosangue!
“Davis?” disse Draco.
Tracey si alzò sui gomiti e lo fissò; con aria canzonatoria disse: “Come, Malfoy, sai addirittura il mio nome?”
Sapeva che non doveva farlo. Lo sapeva benissimo, ma lo fece lo stesso: si sporse dalla poltrona e prese a baciarla.
Due minuti dopo si trovavano entrambi sul divanetto.


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Note
1* Almeno secondo i piani iniziali di JKR, Tracey è una strega mezzosangue. (Vedi HP Lexicon)
2* à la Fremen: i Fremen sono la popolazione che abita il pianeta Arrakis (o Dune, dall’omonimo libro di Frank Herbert), e che per effetto della Spezia, che viene prodotta solo su tale pianeta, e con la quale sono sempre a stretto contatto, hanno gli occhi di un colore blu elettrico.
3* Che olezzo di rose! Che profumo di viole!: È una citazione da Ascolta il mio cuore di Bianca Pitzorno. Nell’originale (come molti di voi sapranno), non ha una connotazione esattamente positiva. Anche in seguito, Narcissa si riferirà a Melinda con altre parole prese in prestito dallo stesso libro.
4* Il titolo del capitolo è il nome di una canzone degli ABBA. Se pensate che sia orribile, ringraziate che piuttosto non sia stato intitolato “Dancing Queen”.


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Ancora, StoryGirl e Ashley, grazie per le recensioni, e grazie a tutti quelli che stanno seguendo questa storia :)
  
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