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Autore: n u m b    02/09/2012    4 recensioni
Capelli tinti. Jeans larghi e strappati. Maglie di gruppi rock. Converse nere di pelle. Sigarette. Lettore mp3 e cuffiette sempre in tasca. In queste semplici parole si riassume la vita di Moon, 15enne ribelle.
16 invece sono gli anni del ragazzo tutto sorriso.
17, il numero sfortunato, sono gli anni del ragazzo che profuma di fumo.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rullo di tamburi grazie! Ebbene ecco a voi il secondo capitolo, che mi convince meno del primo, soprattutto per la fine così brusca; mi scuso infatti per averlo fatto terminare così ma volevo postare assolutamente qualcosa prima di assentarmi per due giorni. Spero che vi piaccia come il primo e vi ringrazio per aver letto! :3

n u m b


Sono con gli occhi chiusi, do la schiena al letto dei miei, ho le orecchie tese: dopo circa venti minuti che stavano ancora attivi, mio padre e mia mamma si sono messi finalmente nel letto, lui con la tv sintonizzata su un programma di politica e mamma con il libro sull’interpretazioni dei sogni tra le mani. Mio fratello è sotto di me, probabilmente addormentato come un sasso: a differenza mia, che soffro d’insonnia, lui è capace di dormire come un ghiro fino alle due del pomeriggio anche con la guerra sotto il letto. Sto incominciando ad innervosirmi: quanto cazzo ci mettono ad andare a nanna?! Mi giro cautamente facendo il meno rumore possibile e continuando a respirare ritmicamente come se stessi dormendo, con gli occhi chiusi. Sbircio mamma e papà: papà dorme con la bocca aperta, due cuscini sotto la testa, un po’ di bavetta che gli cola sul mento. Sembra il ritratto del riposo. Mamma invece si è girata su un fianco dandomi le spalle, capisco che dorme dal sollevarsi e abbassarsi della schiena. Io inizio a scoprirmi, cercando di muovere il letto che cigola meno possibile. Dunque, se scendo dalla scala sveglierò anche quelli del piano di sotto, se salto giù potrei spaccarmi una gamba andando a finire sul disordine di vestiti e scarpe di Allen. Dopo aver valutato le opzioni, poggio un piede sul comodino reggendomi al muro e riesco a scendere, provocando solo qualche spostamento d’aria. Mi sfilo la maglia vecchia di papà, XXL, che uso come pigiama,  metto una mano sotto al cuscino e prendo i vestiti. Mi sto infilando i pantaloni attillati quando una mano mi tocca la schiena, facendo accelerare il mio battito cardiaco che mi rimbomba nelle orecchie.
- Ehi, che cazzo stai facendo?
Allen. E’ solo Allen. Mi giro e mormoro “ssshhhht!” con un dito sulle labbra.
- Non sono affari tuoi - sussurrò infilandomi velocemente la maglia sopra il reggiseno.
- Lo dico a mamma e pa… -
Non lo faccio finire che gli ficco uno dei suoi calzini in bocca: “lo dico a mamma e papà”, sempre il solito bambino.
- Provaci e gli dico che sei andato a letto con la vicina di casa!
Lui fulmina con gli occhi e si sta zitto, togliendosi il calzino dalla bocca.
- Sto uscendo, va bene? E tu dopo mi farai rientrare. Ti chiamo sul cellulare, metti la vibrazione. Quando ti chiamo mi apri. Vedi di non addormentarti troppo altrimenti non senti la vibrazione e io rimango fuori.
- Addormentarmi troppo? O dormo o non dormo, che cazzo significa addormentarmi troppo?!
Non bado alla sua provocazione e vado alla scrivania per prendere il suo cellulare; lo ficca sotto al cuscino.
- Almeno dimmi dove vai! E se si svegliano poi e non ti trovano? Che gli dico?
- Che cazzo ne so, inventati qualcosa! Di’ che sono in bagno, o che sono scesa a farmi una camomilla per l’insonnia, Cristo il cervello ce l’hai!
Dopo essere finalmente riuscita ad infilarmi le Converse vado in bagno e riemergo poco dopo truccata e pettinata. Prendo il telefono, le cuffiette e un po’ di soldi mentre il mio gemello mi guarda di sbieco.
Apro la porta, gli lancio un ultima occhiata e un bacio, per poi  uscire nel corridoio freddo e buio.
Stavolta non corro perché altrimenti rischio di svegliare tutti però cammino ugualmente a passo di marcia verso la stanza  410. Cazzo, sono le undici e mezza, sicuro dorme o è uscito da solo. Mi maledico per poi bussare alla porta. Un minuto, due, tre e non risponde. Busso ancora. Niente. Vabè, è andata così. Giro i tacchi quando Mike apre finalmente la porta e il suo viso si illumina in un sorriso vedendomi.
- Ce l’hai fatta eh! Credevo non venissi più… - fece un finto broncio tanto coccoloso per poi stritolarmi. Ci salutiamo di nuovo nel modo strano e lui mi fa entrare in stanza. Lì dentro c’è calore insieme a un vago profumo dolciastro. Il letto matrimoniale, al centro, è disfatto, sulla scrivania ci sono ammucchiate un sacco di cose come libri, fogli, disegni, penne, colori, matite, buste di patatine e altri avanzi vari. Lui un po’ imbarazzato mi guarda con una mano dietro la nuca, con espressione colpevole.
- Scusa il disordine, ma di solito non ricevo ospiti, e meno che mai ragazze…
- Ah zitto, dovresti vedere com’è camera mia quando i miei non mi dicono di metterla in ordine ahahaha!
Lui ridacchia, si gira e apre il grande armadio a destra del letto, prendendo una maglia blu con un robot arancione stilizzato stampato sopra insieme a dei jeans, rigorosamente larghi.
- Arrivo subito - dicendo così scompare nel bagno. Io mi aggiro per la stanza, andando vicino alla finestra quando pochi minuti dopo Mike riemerge e apre un cassetto del comodino accanto al letto, prendendo un paio di boxer verdi.
- Biancheria, indispensabile! - mi fa lui ironico e io gli sorrido e lo guardo chiudersi di nuovo dentro il bagno. Mi siedo sul letto per poi allungarmi: è duro come tutti gli altri letti di questo maledettissimo motel. Mi rialzo e inizio a frugare nella valigia di fronte a me. Maglie, boxer, canottiere, cassette musicali, cappelli…Prendo un cappellino da baseball e me lo infilo, guardandomi allo specchio sopra la scrivania. No, non mi piace. Prendo uno col pon-pon. Troppo Babbo Natale. Frugo un altro po’ finche non trovo un berretto semplice, di quelli di lana senza pon pon o visiera. Si questo mi piace. Aspetto altri tre minuti. Ma si può sapere che sta facendo quel coglione? Che palle, sta cambiando pelle o cosa? Mi viene un’idea: mi infilo dentro l’armadio e chiudo le ante, e aspetto che il caro Mikey esca. Me ne sto accucciata nell’angolo, sopra una delle sue maglie, ad annusare il profumo inebriante che lascia sui suoi vestiti, respiro piano e il battito comincia ad aumentare, per l’euforia. Un minuto, due minuti…sto iniziando a sudare uff! Allora sento lo scattare della maniglia e Mike che esce.
- Moon, scusa se ci ho messo tanto ma… - dalla fessura tra le ante lo vedo guardarsi attorno.
- Moon? Cazzo se ne andata, vaffanculo! - è sul punto di togliersi la maglietta e spogliarsi che io apro le ante e gli salto addosso facendo un verso tipo “aaaarghjsdihaiewjnkawl!”. Mike cade a terra a faccia in giù, con me sulla schiena e un’espressione sconvolta. Dopo trenta secondi si “risveglia” e si mette a ridere.
- Cogliona credevo te ne fossi andata! - mormora tra le risate. Io mi tolgo dalla sua schiena e, scossa dalle risa, mi metto accanto a lui a sedere, riprendendo fiato. Guardo le cose che gli sono volate via dalle tasche: carta d’identità, patente…
- Michael Kenji Shinoda. - faccio io con un tono tutto altezzoso.
Lui me la prende dalle mani e mi tira un pugnetto sulla spalla, per poi rialzarsi e porgermi la mano per sollevare anche me. Mi rialzo con le lacrime agli occhi e poi chiedo: - Ma dove andiamo allora?
- Andiamo a mangiare qualcosa, visto che io ho fame, e poi…SOPRESA!
- Mi spieghi dove lo trovi un locale aperto a quest’ora?
- McDonald è aperto tutta la notte dolcezza - Mi fa l’occhiolino dandosi delle finte arie per poi prendere le chiavi poggiate sul comodino, un po’ di soldi e il telefono.
- Ah a proposito, quel berretto sta meglio a te che a me, puoi tenertelo.
- Ovvio che mi sta meglio, non vedi quanto sono bella?! - rispondo ancheggiando in giro per la stanza e sventolando i capelli come fossi una top model sulla passerella, per poi ridere e tornare normale.
Mikey mi apre la porta con un sorriso sulle labbra e mi fa, da vero galantuomo: - Dopo di te.
Io avanzo e rispondo un “Merci” con la R moscia, che significa ‘grazie’ in francese, uscendo ancheggiando e sbattendo le ciglia come una cretina. Il semi-sconosciuto ridacchia e chiude la porta. Ci dirigiamo all’ascensore, entriamo, scendiamo alla hall. Mike ridà la chiave alla receptionist e poi ce ne adiamo allegramente fuori verso il parcheggio.
- Ora vedi che macchina che ho! - dice indicandomi una Chevrolet Camaro del 1969, color azzurro cielo.
- E quella è una macchina?! Quel coso? Ma per favore - dico scherzando io e sbuffando.
- Grazie - mi risponde un po’ risentito.
Io gli corro vicino e gli faccio la ‘spugnetta’ sui capelli.
- Oh e zitto, stavo scherzando, ‘sta macchina è una figata!
- Salta su!
Infila la chiave nella serratura dello sportello e apre la macchina, io mi infilo nel posto davanti accanto alla guida. Il ragazzo mette la chiave nell’accensione e appena la gira, la radio esplode con un brano rock, proprio mentre il cantante sta urlando. Mike chiude la radio e mormora “scusa, cattiva abitudine lasciare la radio accesa”. Mi metto a gambe incrociate, nonostante i jeans siano così attillati che riesco a malapena a muovermi. Troppo attillati. Appoggio la schiena al sedile e chiudo gli occhi, mentre il ragazzo seduto accanto a me si avvia verso McDonald.
- Allora dimmi: quanti anni hai?
Riapro gli occhi e mi giro verso di lui.
- Quiiiindici, tu?
- Sedici. Come mai sei qui?
- Mi ci hanno trascinata, contro la mia volontà. I miei hanno deciso di fare una di quelle ‘vacanze di famiglia’. E’ il primo anno che gli cala in mente. Non so perché hanno voluto, forse per apparire come quelle famiglie dei film, come quelle che vivono “felici e contenti”…
Mi fermai un po’ a riflettere. Non è che odiavo la mia famiglia solo che non ero mai stata compresa a fondo. Mia mamma è una psicologa, se chiede come sto lo chiede solo perché può interessarle la psicologia adolescenziale. Mio padre invece è un farmacista e abbiamo un rapporto di amore e odio. Mike sembra che capisca che sto riflettendo e rimane in silenzio per un po’. Dopodiché mi giro verso di lui e gli sorrido.
- Senti, mi spieghi da che cosa viene fuori quel ‘Kenji’ sulla tua carta d’identità e come mai hai un cognome così…assurdo?
- Deriva dal fatto che sono per metà giapponese, da parte di padre, metà russo da parte di madre ma sono nato in America.
Avrei dovuto capirlo dalla forma degli occhi. E probabilmente anche dal fatto che una bellezza simile non si trova in America. Ops, commento...’pericoloso’.
- Tu invece? Come mai sei qui? - chiedo giocherellando con il portachiavi con un dado appeso allo specchietto.
- Beh è appena passato capodanno no? Sono ancora in vacanza, prima di tornare a scuola. Io vado all’Augora High School, tu?
- Oddio ma pure io! Solo che fino a un anno fa ero nella sede vecchia, ma adesso mi hanno spostato nella sede nuova…quella dove sei tu giusto?
Si gira a guardarmi e mi sorride.
- Quindi ti rivedrò tutti i giorni? - dice con un lieeeviiissimo rossore sulle guance, quasi impercettibile.
Io annuisco e frugo nel vano portaoggetti, cercando di non incrociare i suoi occhi marroni e profondi.
Mike accende la radio e la sintonizza su una stazione rock, cantiamo a squarciagola ridendo a crepapelle per il resto del tragitto fin quando non si ferma davanti al celebre fast-food, al take-away e mi chiede cosa voglio spegnendo la radio.
- Boh non so, fai tu! Non ho molta fame comunque.
- Mhh, va bene, ma tanto ci ingozzeremo insieme di schifezze!
Io faccio una faccia tipo “scordatelo”, con l’ombra di un sorriso sulla bocca sottile. Dopodiché scende dalla macchina e mi lascia da sola, con un languorino nello stomaco e una mancanza del suo sorriso che non so spiegarmi, visto che non è manco un giorno che ci conosciamo.

  
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