Anime & Manga > Death Note
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Autore: MadLucy    02/09/2012    7 recensioni
Giappone, 2025. Nel vecchio quartier generale dell'SPK cresce una bambina, consegnata quindici anni prima da Mello al suo più acerrimo rivale.
Inghilterra, 2025. Un misterioso studente della Wammy's House parte per il Giappone, portando con sè un quaderno nero e una Shinigami petulante.
Usa, 2025. Un esperimento genetico iniziato nove anni prima, il cui scopo era creare un essere umano dall'intelligenza devastante, ha esito positivo.
Spagna, 2025. In seguito a una serie di barbari e atroci omicidi, una ragazza dagli occhi rossi viene internata in un manicomio.
E Death Note può ricominciare lì dov'è finito.
Genere: Generale, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ne approfitto per ringraziare Donychan, yako_chan, chiaraelle99, soniuccia e MikuSama per avere recensito prologo e primo capitolo di questa storia. Siete grandissime e ogni volta che leggo le vostre recensioni mi spuntano le alucce! 

Ringrazio poi Amy_Storm, chiaraelle99, Eru Roraito, Maiko, MikuSama, Selena95, Simmetria8 e soniuccia per avere messo questa storia fra le seguite; Maiko per averla messa fra le ricordate e Gatta Blu addirittura nelle preferite!
Non credevo che questa storia avrebbe avuto così tanti lettori! Grazie di cuore, davvero.

Inizio.



Una bizzarra musichetta ovattata e ronzante insisteva nelle sue orecchie, instancabile.
Spegnetela, avrebbe voluto sbottare Craig, infastidito. Ma un dolce torpore gli impediva di ragionare, e dunque di chiedersi perchè la sentisse e come mai non riuscisse a parl-
La sua suoneria! Sollevò la testa di scatto, sottraendosi bruscamente al sonno. Aprire gli occhi in modo così repentino, senza permettere loro d'abituarsi alla luce vivida della stanza, gli costò un fastidio non indifferente. Ardevano e dolevano, e le palpebre scivolavano per semplice istinto. Ma la musica che lo chiamava dal mondo esterno lo costringeva a resistere.
Rendendosi conto di essere sdraiato (in una posizione alquanto storta ed inusuale) sul suo letto, si mise carponi e cominciò a seguire le tracce uditive dell'infernale cantilena, alla ricerca del cellulare. Le sue mani tastavano con urgenza le coperte calde e sfatte, dato che non poteva contare sugli occhi ancora ciechi e cascanti dal sonno. Li sfregò impaziente con il dorso di una mano e finalmente mise a fuoco il profilo del suo giubbotto, gettato con malgrazia sopra la chitarra elettrica. La tasca gonfia era illuminata e tremava. Allungò il braccio a fatica e vi frugò all'interno, aggrottando la fronte.
Ore 15: 23, segnava il display. Adesso questo mi sente, pensò scocciato. Tutti sapevano che a quell'ora lui detestava essere chiamato. Si maledisse per non avere spento il telefono, e con un gesto stizzito si portò il cellulare all'orecchio.
-Umphf?- brontolò Craig; chiunque gli avesse telefonato, non meritava certo un "pronto".
-Craig? Sono Gevanni.- replicò una voce che aveva riconosciuto subito.
A quel punto il ragazzo tossicchiò. -Ah, sì, ciao.-
-Senti, la situazione qua è critica.- tagliò corto Gevanni, arrivando subito al punto. Craig riuscì a intuire la tensione che la induriva.
-Critica?- Si sistemò seduto sul bordo del letto, poggiando i piedi sul pavimento, e si accorse di avere dormito con le Reebok verdi addosso. Passò poi una mano fra gli scompigliati ricci rosso cupo. -Che è successo?-
L'uomo esitò appena un paio di secondi, come se dirlo fosse una prova troppo dura da sopportare.
-Near è morto.- confessò con voce ferma, ma umida di lacrime già versate.
-Che?- Craig strabuzzò gli occhi, cercando di dare un senso a quelle parole. Non ci riuscì. -Ma vuol dire che... Kira...?-
-Sì, è stato indubbiamente lui. Arresto cardiaco.- confermò Gevanni con amarezza.
Il ragazzo fissò sconvolto la parete davanti a lui. Battè le palpebre, nella speranza di trovarsi in qualche strano incubo, dovuto alle patatine in sacchetto al peperoncino che aveva mangiato a pranzo.
-Significa che siamo tutti nella...- trattenne la parola volgare che gli salì alle labbra. -... nei casini!-
-Già.- ribattè Gevanni asciutto.
Un pensiero gli sorse in mente e lo colpì come un dardo avvelenato.
-E Marion come sta?- domandò, senza nemmeno riuscire ad immaginare la sua disperazione.
-Come credi che stia?- fu la laconica risposta. Craig rabbrividì.
-Siamo lì fra pochi minuti.- promise, riagganciando. E pensare che, prima della chiamata, aveva deciso che si sarebbe rimesso a dormire...
Balzò in piedi, ispezionò rapidamente i suoi vestiti per controllare d'essere almeno presentabile. Jeans, felpa, Reebok. Bene così.
Cacciò il telefono in tasca, si assicurò di avere il portafoglio e uscì di filato dalla sua camera; gli bastarono poche falcate per attraversare il corridoio. Bussò frenetico alla porta che si trovava davanti, senza avere risposta. Conscio della gravità della situazione, la spalancò senza troppe cerimonie.
-Ehi, non sai che gli umani civilizzati bussano?- Una ragazza sedeva a gambe incrociate sul pavimento, attorniata da migliaia di custodie per cd. Aveva dei codini bassi rosso fuoco, a scorrerle sulle spalle, lunghi fino allo stomaco. Il viso diafano era spruzzato d'una moltitudine di lentiggini nocciola, sul naso dritto e le guance magre, e portava delle enormi cuffie celesti per ascoltare la musica. Lo stava fulminando con splendidi occhi azzurri e cristallini.
-Harmony!- Craig le fece un cenno irritato, così sbuffò e spense l'mp3 abbandonato nel suo grembo.
-Cosa vuoi?-
-Kira ha ucciso Near.- riassunse il ragazzo. -A sua Maestà sembra un motivo abbastanza importante per essere interrotta?-
Harmony lanciò le cuffie contro il letto, per poi sgrovigliare agilmente le gambe. -Cazzo.-
-Ecco, direi che è proprio la parola giusta.- commentò il fratello.
La ragazza si infilò un giubbotto di jeans e sistemò a tracolla una piccola borsa, a tempo di record. -Dobbiamo andare al quartier generale.-
-E' proprio per questo che sono venuto a chiamarti!- si lamentò Craig esasperato. -Perchè devi farla sembrare un'idea tua?!-
-Sbrigati, idiota.-
I gemelli percorsero in fretta il corridoio e si lanciarono letteralmente giù dalle scale. Facendo capolino dalla cucina, una donna bionda li osservò stupita.
-Dove andate?-
Harmony la fissò negli occhi, quasi severamente. -Near è stato ucciso, mamma.-
Lei socchiuse le labbra, atterrita. -Oh, no.-
-Prendo le chiavi della macchina.- la avvertì Craig, avvistandole sul mobile che fiancheggiava la porta d'ingresso.
-Guidi tu?- La gemella gli rivolse uno sguardo inorridito.
Lui inarcò le sopracciglia. -Se non ti sta bene puoi sempre andare a piedi, principessa.-
Harmony scrollò le spalle, rassegnata. -E sia. Rigurgiterò tutto quello che ho mangiato da Natale in poi.-
-Ma che carino modo di dire.-
-Temo non sia affatto un modo di dire!- rimbeccò lei.
Linda lasciò che i suoi figli uscissero, senza fermarli. Sarebbero stati attenti, come al solito.
Rimase ad osservare dalla finestra una macchina nera sfrecciare a tutta velocità, finchè non sparì fra i palazzi di Kyoto, poi asciugò qualche lacrima in memoria del vecchio compagno di scuola. Da quando Near aveva scelto di proteggere il mondo, la sua vita era sempre stata appesa ad un filo: ma, in un certo senso, la sua anima era stata promessa al male da tempo. Eh, già, il destino non era stato gentile con lui. 
E nemmeno con Matt, riflettè malinconica, perdendo lo sguardo nel grigio dell'asfalto.


-Qualcosa da bere?- Un'hostess dal sorriso cortese fermò il carrello di fianco al suo sedile.
Law scosse la testa distratto. -No, grazie lo stesso.-
Si voltò di nuovo verso il piccolo finestrino circolare, ad osservare un groviglio di nuvole candide intrecciarsi e districarsi sotto di loro. Non aveva sonno, e nemmeno voglia di leggere: avrebbe preferito passare qualche ora nel più riposante silenzio, a fingere di essere un adolescente normale. Ma era troppo tardi, perciò non potè evitare l'afflusso abbondante di riflessioni che affollarono la sua mente, senza la minima intenzione di uscirne. Rivedeva ogni mossa, ogni spostamento, ogni tappa. Ripeteva in silenzio tutti gli orari e le date dei voli dei seguenti giorni, imparate a memoria. Ripercorreva i suoi ragionamenti, alla ricerca di falle o eventualità sfuggitegli precedentemente, fino a perdere il filo logico da cui era partito.
Tutto era esatto, o almeno così gli pareva. Certo, avere un'altra opinione oltre la sua sarebbe stato confortante, ma dalla sconfitta di suo padre aveva compreso che l'unica persona di cui potesse fidarsi era se stesso.
Il sedile su cui era sprofondato era ruvido ma confortevole, abbastanza da fargli sperare di riuscire a prendere sonno. Non servì molto tempo affinchè capisse che il suo sarebbe rimasto un desiderio inesaudibile.
-Dov'è la televisione? Dov'è?!- Law sollevò la testa, appena reclinata verso la spalla. Quella voce disintegrò ogni brandello di stanchezza dal suo corpo rigido.
Con lo sguardo, cercò Rail lungo lo stretto corridoio che le hostess percorrevano rapide.
-Dov'è, accidenti?! ...voglio la te-le-vi-sio-ne!-
Questa volta il ragazzo riconobbe la direzione da cui provenivano gli strilli. Si mise ginocchioni sul sedile, premendo il petto contro lo schienale, e sconcertato vide la Shinigami scuotere bruscamente la spalla d'un uomo d'affari distinto, con un'espressione corrucciata.
Rail intercettò il suo sguardo e, con ostinazione, ribadì: -Televisione!-
-Ma che diamine...- Law soffocò l'imprecazione, incredulo. Nessuno poteva vederla o sentirla, ovvio, ma i ciondoli che abbondavano sul suo mantello erano più che reali. Anzi, per il resto dei passeggeri stavano dondolando in aria.
Si voltò e risedette composto, rassegnato, ostentando indifferenza. Se Rail voleva cacciarsi nei guai con gli umani, che lo facesse: bastava che lui ne rimanesse fuori.
Ma la Shinigami parve avere afferrato il concetto e svolazzò raso terra, rapida, fino a raggiungere la nicchia fra il sedile di Law e quello davanti. Vi si posizionò, così che i ciondoli non destassero altre perplessità e apparissero, a coloro che li avevano già intravisti, come inganni ottici.
-Ti avevo detto di toglierli e metterli in valigia.- sibilò accigliato, poggiando il gomito sul bracciolo e nascondendo la bocca dietro il dorso della mano per non essere udito da nessun altro.
Rail sbuffò sonoramente, come una bimba capricciosa. Il suo volto affilato, completamente candido, era distorto in un'espressione lamentosa, con le sottili labbra verdi tese. La chioma del colore dell'erba scivolava in una pozza sotto il sedile, mentre il corno ricurvo che ornava il lato destro del capo era rivolto verso il corridoio.
-Me ne sono dimenticata, okay? Tu eri troppo impegnato a fare il farfallone con una mora per accorgertene!-
Lui allungò pigramente le gambe, fingendo un gesto casuale e tirandole un calcio. -Non faccio il farfallone. Io seduco.-
-Ahio! Come ti pare, basta che mi procuri una tv.- piagnucolò la Shinigami, massaggiandosi la testa. In quella posizione il pesante mantello viola di velluto, che le ricopriva del tutto il corpo, impediva i suoi movimenti.
-Ne vedi qualcuna in giro?- ribattè Law sottovoce. -Oppure preferisci acquistarla nel negozio di elettronica a qualche chilometro qui sotto?-
-Mi sto perdendo Beautiful!- sbraitò lei, teatralmente, come se ciò spiegasse tutto. -Va in onda proprio adesso! E non ci sono repliche!-
Il ragazzo scrollò le spalle, sarcastico. -Anche se ti perdessi una cinquantina di puntate, rimarrebbero sempre allo stesso punto.-
-Non è vero!- Rail lo guardò ferita. -La puntata di oggi era cruciale!-
Law non parve molto impressionato, dato che secondo la Shinigami ogni puntata era quella cruciale. Scelse di lasciare perdere lei e i suoi capricci.
-Sta' zitta e non combinare guai.- borbottò. Notò che l'anziana signora del sedile opposto lo stava fissando perplessa.
Non avrebbe usato il Death Note in aereo, per cui avrebbe lasciato molto lavoro da fare in Giappone. Meditò sul nuovo alloggio che li attendeva, in silenzio.
Era curioso di visitare il Giappone, patria dei suoi genitori e sua casa fino all'età di due anni, di cui non ricordava assolutamente nulla. Ma tutte quelle sdolcinatezze passavano in secondo piano, perchè il suo obiettivo era confondere le sue tracce senza dare nell'occhio. Inoltre era proprio in Giappone che si era svolta la battaglia fra Light Yagami ed L, e sicuramente avrebbe trovato qualcosa di interessante in città riguardo questo argomento.
Del modo di agire di suo padre doveva acquisire ogni pregio, ogni qualità vincente. L'abile utilizzo della menzogna, la prontezza nel reagire, il mantenere costantemente lucidità e sangue freddo. Era stato bravo, ma aveva permesso che il rivale lo mettesse alle strette in maniera inesorabile: era divenuto subito il primo sospettato, e in seguito rimanere con la polizia non aveva fatto altro che decretare la sua fine. Certo, così facendo aveva tenuto sotto controllo i movimenti del nemico, ma se non l'avessero preso in considerazione nemmeno l'altro sarebbe riuscito ad arrivare ad una soluzione.
Law sapeva fin troppo bene tutto questo, ed era intenzionato a continuare e perfezionare il progetto ideato dal migliore degli uomini -il più magnanimo degli dèi.
Non avrebbe sbagliato, però. Non sarebbe caduto nelle trappole che avevano ingannato suo padre, aveva imparato molto dai suoi errori. Forse proprio grazie ad essi sarebbe riuscito a vincere.
Questo era il motivo della sua curiosità: maggiori informazioni avrebbe immagazzinato su di lui, maggiori probabilità di adottare una strategia impeccabile avrebbe avuto.
Si arrese ad un po' di normalità, ora elettrizzato alla prospettiva di mettere in atto le prime scene della sua opera, e raccattò dal bagaglio a mano un giornale.
I suoi pensieri laboriosi si assopirono mentre parole e parole, che gli narravano di quello stesso mondo che aveva intenzione di sconvolgere, monopolizzavano la sua mente.


Ad annunciare a Marion l'arrivo dei gemelli fu lo stridio assordante e prolungato di una frenata subitanea, che anche dall'alto dei cieli Gesù doveva avere sentito. Si disse che, chiunque avesse dato la patente a Craig, voleva molto poco bene alla sua città.
Attese con strenua accettazione che scendessero dalla macchina e, dopo aver superato diversi controlli per accertare la loro identità, salissero le scale per raggiungere il piccolo appartamento all'ultimo piano, dove abitava. Li voleva vicino, sì, ma sapeva esattamente quanto scomoda ed ardua sarebbe stata l'atmosfera tra loro. E sostenerla sarebbe stata una fatica inutile per tutti. Era troppo stanca per visualizzare la prospettiva di addossarsi qualsiasi altro peso, non stanca fisicamente ma nello spirito, lì dove davvero faceva male.
Eppure la vita scorreva, il tempo cancellava la tragicità della sua perdita e le pretese si sarebbero fatte sempre più insistenti. Che lei non si chiudesse in camera, che lei parlasse a chiunque, che lei uscisse e che dimenticasse. L'egoismo umano era senza pari.
Anche Marion era egoista, terribilmente egoista. E quindi non voleva vedere coloro che erano venuti soltanto per lei.
Proprio come aveva previsto, con la precisione inconfutabile di un orologio svizzero, un discreto bussare tamburellò contro la porta di camera sua.
-Marion? Sei sveglia?- domandò la voce melodiosa di Lidner, con apprensione materna.
-Sì.- rispose, sforzando la sua, roca dal troppo silenzio.
La donna proseguì. -Sono arrivati Craig e Harmony... vorrebbero tanto vederti. Ma naturalmente devi decidere tu.- Una pausa.
Marion non disse niente, fissando le pieghe della trapunta. Avrebbe voluto annegarci.
-Potrebbero farti sentire meglio, sai? Hai bisogno del sostegno delle persone a cui sei più affezionata.- la incoraggiò Lidner. -Se te la senti...-
-Va bene.- cedette, già esausta. Si rese conto che le lacrime le avevano inumidito gli occhi, sfumando la realtà in un mare di colori indefinibili.
E d'un tratto si sentì una debole.
Colta da un'iniezione di rabbia, contro se stessa, contro Kira che si era preso Near e Near che si era lasciato ammazzare, si alzò in piedi. Aprì l'armadio, e lo specchio applicato sull'anta le presentò l'immagine scialba di una ragazza morta.
Quel rancore irragionevole ma adrenalinico montava dentro di lei sempre più, invece di placarsi. Sfilò sgraziatamente la felpa sformata e i pantaloni del pigiama, lanciandoli poi con impeto sul pavimento; frugò fra le grucce dei suoi abiti, senza cercare qualcosa in particolare. Le saltò subito agli occhi una canotta rossa, con uno scollo a u, che non aveva più messo perchè l'aveva sporcata di macchie d'inchiostro. La trovò in quel momento inaspettatamente artistica, quasi fosse stata creata apposta per subìre tale modifica, così la abbinò ai primi jeans strappati sulle ginocchia che le capitarono sotto mano.
Marion procedette poi prendendo una grossa spazzola dal cassetto nel comodino, per poi conficcarla nella sua chioma sciolta. Strattonò furente ogni ciocca finchè non si considerò ufficialmente pettinata, e si fece una treccia alla bell'e meglio. Concluse l'opera servendosi di una bottiglietta di acqua naturale da mezzo litro, sotto il letto, che non aveva nemmeno toccato: si gettò l'acqua fresca in faccia, con tutta la crudeltà che riuscì ad infondere nel movimento. Infine si riguardò allo specchio.
La pelle pallida scintillava d'acqua, il mento grondava di gocce copiose e qualche ciuffo di capelli era bagnato e arricciato. Gli occhi verdi e seri, torturati da lacrime e rimpianti, erano illuminati da una luce sconosciuta. La lunga treccia di capelli lisci, biondo sabbia, scivolava con flessuosità fino alle scapole. La sua figura alta e snella era immobile, davanti alla superficie riflettente, ma appena scossa da un tremito di rabbia. Tutto in se stessa, dai lineamenti decisi al taglio aggressivo dello sguardo, non le era mai parso tanto familiare.
Così trovò quella forza che non voleva ancora, affrontò il suo destino e aprì la porta.

Craig e Harmony sedevano sul divano di pelle crema del piccolo salotto, arredato interamente da Lidner e il suo buon gusto. La guardavano con occhi sbarrati e terrorizzati, quasi si aspettassero di vederla crollare per terra sbattendo i pugni.
-Ciao.- suggerì Craig cautamente, già convinto di avere detto qualcosa di sbagliato. Marion si sentiva considerata come una bomba ad orologeria, che avrebbe potuto esplodere in qualsiasi momento.
Harmony le lanciò un'occhiata dura. -La prossima volta che la tua vita va a puttane, preferirei scoprirlo da te e non da Gevanni. Chiedo troppo?-
Il gemello conosceva bene i suoi modi schietti, ma temeva che stavolta avesse sbagliato ad aggredire così l'amica. Per un attimo, gli apparve in mente l'immagine di quelle due a scazzottarsi.
Invece Marion incrociò le braccia al petto e prese un respiro profondo, come se non l'avesse sentita.
-Vi avverto. Se siete qui per compatirmi e dirmi quanto vi dispiace, con un sacco di disgustose frasette di circostanza o roba del genere, quella è la porta. Non ho bisogno della vostra pietà.-
-Su, non fare queste commedie da tragedia greca.- tagliò corto Harmony, facendo un cenno annoiato con una mano. -Ci conosciamo da una vita, e secondo te siamo qui per rifilarti le frasette?-
Craig capì che, a quanto pareva, la disinvoltura della sorella nello schiaffare la verità in faccia alle persone si era rivelata l'arma giusta. Infatti Marion si rilassò e li osservò ancora qualche istante, prima di riprendere a parlare.
-L'unica cosa che adesso voglio fare non è piangermi addosso, ma agire. Near è morto, e non ci posso fare nulla.- si interruppe, realizzando la consistenza della sua stessa frase. -Ma Kira è ancora là fuori, cosa che non posso assolutamente accettare. Quindi il mio obiettivo ora è soltanto dargli quello che si merita, non solo a nome di Near, ma di tutti gli esseri umani a cui ha strappato una vita.- I gemelli l'ascoltavano con un'espressione indecifrabile. -Quindi potete intuire la richiesta che sto per farvi. Mi rendo conto che non è una scelta da prendere alla leggera, conosco i rischi che comporta e ho potuto vederne le conseguenze sulla persona che amavo di più. E anche voi. Vostro padre, per fermare il primo Kira, è morto. Il mio anche. Niente vi può garantire che non accada anche a voi. Ma una cosa ve la posso assicurare io.- I suoi occhi verdi erano serrati, lucenti come giade, dalla forma aguzza di una lama. -Sarete dalla parte giusta e farete senz'altro ciò che va fatto. Perciò potrei rigirarvi la domanda in... preferite fare ciò che meglio per voi stessi o per l'umanità?-
I due tacquero, in una pausa che durò cinque lunghissimi e faticosissimi secondi. Infine Harmony si alzò in piedi, tranquilla.
-Direi che è ovvio. Facciamo il culo a Kira. Chi me lo fa fare di starmene in disparte, a lasciarti interpretare il ruolo dell'eroina?-
Craig sospirò, imitando la sorella. -Già, sono d'accordo. Però guido sempre io e nessuno si deve lamentare.-
Harmony evitò abilmente l'occhiataccia indirizzatele, alla parola "nessuno".
Marion si esibì in un sorriso entusiasta, il primo da quel fatidico giorno. -Lo sapevo che siete dei fighi, ragazzi. E che potevo contare su di voi.-
-A dire il vero, non mi hai nemmeno telefonato.- si lagnava Harmony, mentre la bionda afferrava il suo braccio con una mano e quello del ragazzo con l'altra.
-Adesso andiamo giù. Lidner, Gevanni e Rester si stanno mettendo in contatto con il nuovo L.-
-Il nuovo L?!- esclamò Craig sorpreso. -E chi sarebbe?-
-Boh.- ribattè diplomaticamente Marion, trascinandoli nell'ascensore.
E si affidarono al presente, mentre la caccia a Kira iniziava ufficialmente.













































Note dell'Autrice: Ehilà! Per fortuna sono riuscita ad aggiornare presto come speravo. ^-^ Questo capitolo è appena più lungo del primo, se non erro. Ah, tanto meglio.
E qui entrano in scena Harmony e Craig, che credo tutti abbiano capito da chi discendono. XD In quanto a Linda, la loro madre, non è una tipa x. Sarebbe una bambina della Wammy's nominata nel manga, ma visto che non se ne sentirà quasi più parlare, non è di grande importanza. Vi stanno simpatici?
Se Marion non avesse tirato fuori un po' di grinta, non sarebbe stata la figlia di Mello, dico bene? Ecco.
Invece per L dovrete aspettare ancora un po', perchè neanche io so con precisione quanto di lui apparirà nel prossimo capitolo!
Con questo ho finito. Spero che il capitolo vi piaccia e sono ansiosa di scoprire che cosa ne pensate!
Lucy
  
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