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Autore: LaniePaciock    02/09/2012    5 recensioni
Rick e Kate finalmente c’è l’hanno fatta, ma a che prezzo? Le dimissioni, la rottura tra Esposito e Ryan… Kate pensava di smettere, di essere in salvo, ma se venisse assassinato Smith? Se fosse di nuovo in pericolo? Ma soprattutto, cosa succederebbe se l’uomo misterioso di nome Smith non fosse stato l’unico a ricevere i fascicoli sul caso Beckett da Montgomery?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rick's dad'
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Cap.16 L’inseguimento

Alzarsi per andare al distretto quella mattina fu una delle azioni più faticose che Kate ricordasse. Lo scrittore era rimasto tutta la notte al suo appartamento. Rick l’aveva consolata, rassicurata, carezzata, abbracciata, baciata. Il corpo caldo dell’uomo contro il suo era stata probabilmente una delle sensazioni più belle e confortanti che avesse mai provato. Non avevano dormito. Non avevano fatto l’amore. Erano semplicemente rimasti buona parte della notte stretti l’uno all’altro, prima sul divano, poi nel grande letto della detective. Kate si era addormentata solo all’alba, le sue guance ancora in parte rigate da lacrime di rabbia e di dolore che non era riuscita a trattenere. Rick invece aveva continuato imperterrito ad accarezzarle dolcemente la schiena, finché anche lui aveva ceduto al sonno un’ora prima della sveglia.
Quando si alzarono, erano ancora entrambi vestiti per la festa della sera prima: lei con il lungo abito blu notte; lui con la camicia bianca, ormai completamente stropicciata, e i pantaloni neri. Giacca e cravatta erano stati eliminati per comodità già da tempo. Erano doloranti per essere stati tanto tempo in posizioni scomode, né seduti né sdraiati, ma che già gli mancavano.
Kate riuscì a convincere lo scrittore ad andare al loft a cambiarsi e a salutare Alexis senza di lei. Sapeva che lo scrittore sentiva il bisogno di riabbracciarla dopo la chiacchierata con il drago della sera prima. Inoltre separati sarebbero stati pronti più velocemente. Rick non voleva lasciarla sola, ma alla fine aveva ceduto. In fondo ora la sua musa era molto più tranquilla, anche se il suo morale sembrava rasentare il suolo. Non che il suo stesse molto meglio. In ogni caso sarebbe andato a casa con la Ferrari e più tardi la detective sarebbe passata a prenderlo con la sua auto per andare al distretto.
Kate non glielo disse, ma c’era un motivo per cui non voleva andare all’appartamento dello scrittore. E il motivo era proprio Alexis. Come avrebbe potuto guardarla ancora in faccia? Come avrebbe fatto a dirle ‘Mi dispiace, ma ho messo di nuovo tuo padre in un pericolo mortale’? Le aveva promesso che lo avrebbe sempre riportato a casa da lei, che sarebbe stato al sicuro. E ora invece anche lui aveva un mirino puntato addosso.
Appena Rick uscì, Kate si infilò sotto la doccia. Avrebbe preferito un lungo bagno caldo, ma non ne aveva il tempo. Stancamente si asciugò e si infilò un paio di jeans e una maglia, insieme ad un paio dei suoi tacchi più comodi. Applicò giusto un filo di trucco per coprire, almeno in parte, le occhiaie scure. Recuperò quindi pistola e distintivo dal cassetto in cui li aveva gettati la sera prima e li attaccò alla cintura. Un sorrise le sorse spontaneo mentre agganciava la fondina alla cinta. Le era venuto in mente che neanche questa volta Rick era riuscito a vedere dove aveva nascosto arma e distintivo sotto al vestito da sera. Lo scrittore infatti stava chiamando a casa per dire che sarebbe rimasto da lei, quando li aveva automaticamente tolti e messi nel cassetto appena entrata in camera.
Kate recuperò cellulare, chiavi di casa e dell’auto e uscì. Dieci minuti dopo era ferma davanti al portone del palazzo dello scrittore. Il portiere, George, la salutò dal vetro della portineria con sorriso e un cenno del capo. La donna sorrise appena di rimando. George era un brav’uomo sulla cinquantina, simpatico, cordiale, e con una moglie che cucinava fantastici sformati. Solo che era un gran chiacchierone. E lei non aveva proprio voglia di parlare al momento. Tirò fuori il cellulare e mandò un messaggio allo scrittore, avvertendolo che era arrivata e lo stava aspettando. Rick rispose qualche secondo dopo dicendo che sarebbe sceso in due minuti. La detective sbuffò mentre metteva via il telefono. Due minuti per Castle equivalevano ad almeno dieci-quindici minuti per una persona normale. L’uomo difatti scese dodici minuti dopo. E dire che avevano ancora concordato l’ora. Appena lo scrittore la vide, le si avvicinò e si infilò subito in auto.
“Finalmente…” borbottò la detective mentre l’uomo entrava. Un odore forte e aromatico, mischiato a qualcosa di dolce, invase all’istante l’abitacolo. Solo in quel momento Kate si accorse che Rick aveva le mani occupate. In una teneva in bilico un cartone con due caffè, nell’altra un sacchettino di carta.
“Immagino che tu non abbia fatto colazione prima di venire da me, giusto?” domandò con un sorriso alzando un sopracciglio e ignorando il suo mugugno. La donna si morse il labbro inferiore e scosse appena la testa in segno di diniego. Non ci aveva nemmeno pensato in effetti. Sentì Rick sospirare e borbottare un “Ti pareva. Lo sapevo io!” mentre alzava gli occhi al cielo come tante volte aveva fatto lei. “Tieni. Se non ci penso io a te…” disse quindi con finto tono esasperato passandogli uno dei contenitori. A Kate bastò avvicinarlo a sé per sentire il profumo di vaniglia nel caffè che tanto adorava. “Sapevo che non avresti mangiato ed ero altrettanto sicuro che mi avresti detto che non avevamo tempo per fermarci” continuò l’uomo con tono più tenero. “Quindi sono passato dalla caffetteria prima di andare a casa. Ormai il caffè sarà un po’ freddo, ma meglio questo che niente.” Kate gli sorrise grata. Rick la conosceva meglio di chiunque altro e si preoccupava sempre per lei. Che si trattasse del drago o se aveva mangiato al mattino. Ancora una volta si chiese come avesse fatto a lasciarselo scappare per tanto tempo. La donna si perse per un momento nei suoi pensieri, gli occhi fissi sul contenitore del caffè senza in realtà vederlo. “Kate?” domandò con una vena di preoccupazione lo scrittore. La sua musa non aveva ancora aperto bocca da quando era entrato in auto, se non per il borbottio iniziale. La detective si riscosse al suono della sua voce e si voltò verso di lui. Notò che i suoi fantastico occhi blu erano provati quanto i suoi per la notte insonne. Come lei infatti, anche lui aveva due evidenti occhiaie scure. Per un momento si sentì colpevole. In fondo era a causa sua se era rimasto sveglio tutta la notte.
D’un tratto appoggiò il contenitore sul cruscotto. Si sporse verso di lui, gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Un bacio piccolo, ma carico di un affetto che sapeva che a parole non sarebbe mai riuscita a esprimere. Ma che lui avrebbe capito. Sul suo viso sentì una leggera ruvidezza: evidentemente non si era fatto la barba quella mattina. Non che le dispiacesse. Lo trovava ancora più affascinante con un po’ di barbetta.
“Grazie” mormorò quindi Kate con un lieve sorriso ad un soffio dalle labbra dello scrittore, quando si staccarono. L’uomo rimase per un istante imbambolato a guardarla. Decisamente non sarebbe mai riuscito ad abituarsi a questi baci improvvisi che rivelavano più delle parole. E che lo facevano impazzire. Era anche per questo che non avrebbe mai smesso di amarla. Finalmente Rick sbatté le palpebre e si risvegliò come da una trance.
“Sempre, amore” rispose sorridendo dolcemente.
 
Fecero quindi colazione con caffè e briosce (“Castle attento! Stai sbriciolando ovunque!”) durante il tragitto verso il distretto nel traffico di New York. Ci misero più tempo del previsto, ma tre quarti d’ora dopo erano finalmente arrivati. Usciti dall’ascensore, notarono che gli altri erano già tutti riuniti nella saletta laterale che ormai era diventata il loro quartier generale. Dai loro atteggiamenti era probabile che la Gates li avesse già informati a grandi linee sugli ‘sviluppi’ della sera prima. Esposito era seduto, chinato in avanti, i gomiti sul tavolo, la testa fra le mani. La felpa che indossava lo faceva sembrare più simile a uno dei molti disperati che portavano al distretto per essere interrogati o incarcerati piuttosto che a un detective. Ryan era in piedi in un angolo, le braccia conserte, lo sguardo fisso e assente sul pavimento. Era molto pallido e i suoi capelli erano decisamente scompigliati. Doveva averci passato più volte la mano dentro. Anche Tully era in piedi, ma vicino al tavolo. Aveva la schiena curva e si sorreggeva con le mani al poggia spalle di una sedia. Sembrava stanco e debole, ma le sue mani dicevano tutt’altro. Le nocche infatti erano diventate bianche per lo sforzo con cui stringeva la sedia. La Gates sembrava una statua tanto era immobile. Era in piedi davanti alla finestra e dava le spalle alla porta, lo sguardo rivolto verso l’esterno. Quando Beckett e Castle entrarono, tutti si voltarono a guardarli.
“Siete arrivati finalmente” esclamò la Gates irritata.
“Scusate… il traffico…” mormorò la detective andando a prendere posto su una sedia dalla parte opposta di Esposito. Rick si sedette subito accanto a lei.
“Possiamo cominciare allora” continuò il capitano. “Ognuno dirà cosa è successo o cosa è stato trovato ieri sera. Mi raccomando, non devo ricordarvi io che ogni dettaglio può essere essenziale.” Tutti annuirono. E cominciarono.
Ryan ed Esposito furono i primi a raccontare la loro storia. Riferirono di come erano entrati nel palazzo della Difesa senza problemi, avevano cercato nell’ufficio di Spark, ma non avevano trovato nulla. Purtroppo erano riuscititi a visionare solo la scrivania e metà degli schedari presenti, ma sarebbe stato comunque impossibile trovare qualcosa.
“Quello è un maniaco!” esclamò frustrato Ryan all’improvviso. “Uno stronzo maniaco! Ha tutto catalogato con un ordine maniacale!”
“Già” aveva aggiunto Esposito con un sospiro, demoralizzato. “Perfino i cassetti con le graffette erano ordinati. Uno così non sarebbe stato di certo così stupido da lasciare prove in armadietti che chiunque poteva aprire.” Raccontarono poi del furgone e delle auto a sirene spiegate che avevano evitato d’un soffio all’uscita. “Meno male che ci avete detto di uscire, altrimenti ancora un minuto e dubito che ora saremmo qui a parlarvi di cosa è successo…” commentò ancora il detective.
Quando ebbero concluso, fu la volta di Tully. Spiegò come si era introdotto in casa Spark e aveva cercato in ogni maledetto cassetto e anfratto di quello studio.
“I due detective qui hanno ragione” commentò Alex con uno sbuffo scocciato, incrociando le braccia al petto. “Anche nello studio di casa sua regna l’ordine più totale. Non un foglio fuori posto o una penna fuori dal portapenne o una matita poco temperata. Quasi avevo paura di spostare qualcosa per cercare!” Anche lui alla fine riferì di aver visto agenti tutt’intorno alla casa giusto un secondo dopo che ne era uscito grazie al loro messaggio.
Ora era il turno di Gates, Beckett e Castle. Il capitano poté esporre ben poco visto che quasi subito era stata trascinata via dalla moglie di Spark. Aiutandosi a vicenda, scrittore e musa descrissero la loro chiacchierata insieme al drago e le ben poco velate minacce alla loro vita. Come immaginavano, la Gates doveva aver già spiegato il succo del discorso agli altri mentre li aspettavano perché non parvero troppo sorpresi. Stavano giungendo alla fine quando Castle si ricordò di aver portato con sé la registrazione che aveva fatto la sera prima con il microfono nascosto. Ryan recuperò un portatile, inserì la piccola chiavetta, che lo scrittore gli porse, nella porta USB e fece partire la riproduzione. Quando la voce profonda di Spark riempì la stanza, Kate non poté fare a meno di rabbrividire, mentre Rick serrò i pugni. Risentirono di nuovo il drago che li minacciava e si faceva beffe di loro. Vissero di nuovo quegli attimi di rabbia e paura che, a turno, avevano preso il sopravvento su di loro. Quando la registrazione finì, nessuno parlò né si mosse per parecchi minuti. Sulle facce degli altri poterono leggere diverse emozioni. Ryan era attonito, sconvolto e rabbioso. Esposito al contrario sembrava ancora più demoralizzato di prima. Scrittore e musa li guardarono stupiti. Non li avevano mai visti così. Non era nel loro carattere. Javier solitamente era quello più combattivo, mentre ora sembrava quasi si stesse arrendendo. Kevin invece aveva l’aria di uno che avrebbe spaccato tutto ciò che gli stava intorno. Un’aria molto differente da quella di tranquillo e pacato detective che aveva abitualmente.
Tully e il capitano invece erano immobili e nessuna emozione traspariva.
“Troveremo un’altra soluzione” dichiarò Alex alla fine spezzando quel silenzio teso che si era creato. I suoi occhi blu scuro erano decisi e si spostavano da un membro all’altro della squadra. “Dobbiamo solo farci venire qualche nuova idea e…” Il sonoro sbuffo sarcastico di Esposito lo bloccò.
“E cosa dovremmo fare? Magari sarebbe il caso di usare lo stesso metodo del drago: rapirlo e torturarlo, magari!” esclamò spazientito Ryan per dare man forte alla sbuffata del partner. “L’idea migliore che ci è venuta, oltre che l’unica, era quella che abbiamo messo in atto ieri sera!”
“Non abbiamo tempo di inventarci qualcos’altro” aggiunse Esposito passandosi una mano sui corti capelli. “Castle e Beckett sono sotto il mirino di chissà quale killer al momento. Mi stupisco che non abbiano già tentato di farli fuori in questa settimana!”
“Direi che è proprio per questo che ora più che mai dobbiamo spremerci le meningi, non credete?” domandò la Gates con tono fermo inserendosi nel discorso. I due emisero un ulteriore sbuffo, ma si zittirono. Erano preoccupati, dannatamente preoccupati, per i loro amici e di nuovo non avevano nulla per fermare l’uomo che voleva ucciderli. “Molto bene. Consiglio a tutti di prendere altro caffè perché quando usciremo da qui voglio uno straccio di piano che mi permetta di non perdere la mia miglior detective e il nostro romanziere” continuò il capitano. Quindi seguì lei stessa il suo consiglio, uscendo e dirigendosi in sala relax. A quel punto Rick si girò verso la sua musa con un lieve sorriso.
“’Nostro’?” ripeté con tono allegro nonostante la situazione. “Ma allora mi vuole bene!”
 
Erano quasi le 9pm quando finalmente uscirono dalla saletta. Purtroppo non erano arrivati a niente se non ad avere tutti un gran bel mal di testa. I piani per incastrare il drago con il passare delle ore erano diventati sempre più inverosimili. Molto fantasiosi, ma poco o nulla fattibili. Avevano per di più riascoltato la registrazione di Spark per non si sa quante volte, tanto che ormai la sapevano a memoria. Non per uno scopo preciso in realtà. Solo per imprimersi nella testa quelle parole per giurare poi a sé stessi di fargliele rimangiare una ad una.
Esposito e Ryan salutarono Castle e Beckett con un cenno della mano e si avviarono verso l’ascensore. Dalle spalle curve dei due detective si poteva notare tutta la stanchezza e il morale basso per la giornata inutile. Kate allungò le braccia sopra la testa per stiracchiarsi e soffocò uno sbadiglio. Il suo corpo non vedeva l’ora di andarsi a stendere a letto con il suo uomo. La sua testa invece continuava imperterrita a cercare una soluzione al loro problema. Si girò e vide Rick accanto a lei stropicciarsi gli occhi come un bimbo stanco. Sorrise alla tenerezza di quella immagine.
“Allora andiamo a casa?” domandò lo scrittore speranzoso. Le occhiaie della mattina si erano fatte più profonde e scure e sembrava gli rendessero gli occhi blu più spenti. Kate annuì. Quindi si girò all’indietro verso l’ufficio del capitano dove Tully e la Gates sulla porta stavano scambiando le ultime battute.
“Alex, vuoi un passaggio?” domandò la detective all’uomo. L’odio della donna al momento era tutto per Spark ed era anche troppo stanca per avercela pure con l’ex-agente CIA per la storia di suo padre. Tully rimase per un momento sorpreso, poi annuì con un sorriso grato.
“Dobbiamo portarci anche lui?” chiese sottovoce Rick con una mezza smorfia, stupito quanto il genitore. Non aveva litigato con lui per tutto il giorno, perché troppo presi dalle varie ipotesi contro il drago, e di certo non voleva cominciare ora.
“Beh, andiamo dalla stessa parte, no?” rispose la detective alzando le spalle. “Inoltre ci sta aiutando e molto anche. Dai, Rick, si trattano solo di dieci minuti in auto. Non saranno così terribili” continuò la donna accarezzandogli una guancia. Poteva sentirla appena più ruvida di quella mattina sotto la pelle a causa della piccola barbetta che si era allungata durante il giorno. Lo scrittore la guardò poco convinto, ma alla fine annuì rassegnato e si lasciò andare a quel tocco dolce, posandole poi un piccolo bacio sul palmo della mano. Anche lui era troppo stanco per ribattere o litigare.
 
Come previsto da Beckett, i dieci minuti di viaggio furono tranquilli. Chiacchierarono poco, ma fortunatamente i momenti di silenzio non furono mai troppo tesi o imbarazzanti. Kate accostò al primo parcheggio libero qualche metro più indietro del palazzo dello scrittore. Solo quando scesero, la detective si ricordò che in casa c’era sicuramente Alexis e che lei non aveva il coraggio di incontrarla. Iniziò a temporeggiare davanti all’auto, prendendo tempo, cercando un modo per non salire o almeno ritardare la salita all’appartamento. Recuperò il mazzo di chiavi che le era inavvertitamente caduto sotto la macchina, vide un graffio invisibile sul paraurti, notò pure che era arrivato il momento di far cambiare le gomme. Quando si voltò verso Castle e Tully, si accorse che due paia di occhi blu la guardavano poco convinti. Osservò che entrambi avevano la stessa espressione dubbiosa con un sopracciglio alzato e una sottile ruga sulla fronte, più marcata nel caso di Alex.
“Tutto… uhm… tutto bene, Kate?” domandò alla fine lo scrittore, quando la vide abbassarsi per l’ennesima volta, stavolta per sistemarsi i risvolti dei pantaloni già perfetti. La donna annuì con un sorriso tirato e una convinzione che non aveva.
“Sì, sì, certo, andiamo!” rispose velocemente Beckett nervosa. Finalmente seguì i due verso il portone del palazzo. Stava già emettendo un respiro rassegnato quando un uomo si parò davanti a loro qualche metro più avanti. Senza che avessero il tempo di realizzare il ghigno sul volto dello sconosciuto, questo tirò fuori una pistola, la puntò verso di loro e sparò.
“KATE!” L’urlo spaventato dello scrittore, mentre si fiondava su di lei, la raggiunse nello stesso istante del suono dello sparo. Entrambi avevano già visto questa scena. E nessuno dei due era intenzionato a ripeterla. Caddero a terra insieme sul freddo asfalto, ma quasi subito Kate si accorse che per fortuna nessuno dei due era stato colpito. Niente sangue. Un secondo dopo sentirono un altro colpo e un’imprecazione. Alex.
“Rick sto bene! Spostati!” esclamò la detective un attimo dopo. Si era ripresa dalla sorpresa. Aveva già tirato fuori la pistola e si stava rialzando. Un terzo colpo la fece spostare subito di lato dietro una cabina telefonica, tirandosi appresso lo scrittore per il colletto. Sperò che George, il bravo portiere chiacchierone, li avesse sentiti e avesse già pensato a chiamare la polizia. Si mise in posizione laterale, la pistola alta e pronta all’uso. Un altro colpo la fece accucciare di più dietro la cabina. Rick le tenne la testa bassa. Quando rialzò lo sguardo, Beckett scorse davanti a lei Tully. Era in piedi, nascosto dietro una rientranza del palazzo dello scrittore e si teneva un braccio, appena più in alto del gomito. Era stato colpito, ma fortunatamente sembrava non uscisse molto sangue. Un quinto proiettile colpì il vetro della cabina telefonica che andò in frantumi sulle loro teste. Subito sentì il corpo di Rick sopra il suo per proteggerla dalle schegge. Appena terminarono di cadere pezzi di vetro, Kate fece un respiro profondo e uscì a metà dal suo nascondiglio per controllare il killer. Perché solo di quello poteva trattarsi. Non era un pazzo. Era un altro assassino pagato di Spark. Anche se per fortuna sembrava che la sua mira lasciasse molto a desiderare.
In un attimo valutò la distanza, la posizione del sicario e se avesse qualche ostacolo o persona dietro cui nascondersi. Solo un cassonetto e nessuna persona. Puntò la pistola e sparò due colpi ravvicinati diretti all’uomo, ma lo mancò. Appena l’aveva vista uscire infatti, l’assassino si era subito nascosto dietro l’unico riparo disponibile e questo le aveva impedito una buona visuale. La donna tornò subito ad accucciarsi dietro la cabina telefonica. Un altro colpo colpì la cabina e le fece nascondere la testa tra le spalle. Guardò Rick accanto a lei. Era pallido e spaventato, gli occhi sgranati. Kate si morse il labbro inferiore, prese un altro respiro e uscì di nuovo dal suo nascondiglio. Come aveva previsto, il killer si era subito rifugiato di nuovo dietro al cassonetto. Questa volta però lei non sarebbe rimasta solo con mezzo busto fuori.
“KATE!” la richiamò lo scrittore, terrorizzato che potesse succederle qualcosa. La detective infatti si era alzata in piedi e si era portata velocemente in mezzo al marciapiede. Il killer rimase per un momento stupito dalla sua mossa e la sua immobilità fece guadagnare attimi preziosi a Beckett. Ora la visuale era libera. Approfittò dell’attimo, prese la mira e sparò proprio nel momento in cui l’uomo si riprendeva dalla sorpresa. Una imprecazione e uno sparo furono quello che ricevette in risposta mentre si gettava di nuovo accanto a Rick. Poi sentirono dei passi allontanarsi velocemente. Kate contò mentalmente due secondi, poi uscì, la pistola puntata. Vide subito il sangue per terra accanto al cassonetto. L’aveva ferito. Ma a quanto pareva il sicario era ancora in grado di camminare e guidare, perché, guardando più avanti, lo vide salire su un’auto e partire sgommando.
“Quel bastardo sta scappando!” urlò Beckett a Castle e Tully. Quindi si girò e si mise a correre verso la sua macchina.
“Dove stai andando??” la richiamò lo scrittore. Un secondo più tardi capì le sue intenzioni, ma Kate era già nell’auto e stava avviando il motore. Corse verso di lei e si posizionò davanti alla macchina. La donna aprì lo sportello furiosa.
“Togliti di mezzo Rick!” esclamò la donna impaziente uscendo a metà dall’auto.
“Se vai tu vengo anch’io! E non hai tempo di discutere!” replicò lo scrittore con lo stesso tono, poggiando le mani sul cofano. Stavano perdendo secondi preziosi e lui lo sapeva. Ma non l’avrebbe mai lasciata andare da sola. Prima che Beckett potesse rispondergli, Tully si avvicinò velocemente a loro e aprì lo sportello posteriore della macchina.
“Andiamo tutti! Muoviti a salire ragazzo!” ordinò loro prima di infilarsi dentro l’abitacolo. I due rimasero per un momento sbigottiti. Non lo avevano ancora mai sentito usare un tono così autoritario. Poi si guardarono. Stringendo i denti, Kate annuì rassegnata. Rientrò in auto e accese il motore, mentre Rick si fiondava accanto a lei. Partì anche lei sgommando come poco prima aveva fatto il sicario. Non volevo salire da Alexis e ora eccomi qui… beh, desiderio esaudito! pensò sarcastica la donna, mentre girava nello stesso angolo in cui aveva svoltato l’altro.
“Eccolo laggiù!” Urlò Castle schiacciando il dito sul parabrezza. Era vero. L’auto nera che stavano inseguendo era dritto davanti a loro anche se molti metri più avanti. Kate pigiò sull’acceleratore.
“Alex, tutto bene?” domandò la donna, avendolo visto dallo specchietto retrovisore annodarsi un fazzoletto bianco al braccio. L’uomo finì di legarselo, aiutandosi con i denti, e annuì.
“È solo un graffio, mi ha preso di striscio. Comunque devo dire che se questo è il futuro degli assassini professionisti allora noi possiamo stare tranquilli. La mira di quell’uomo è davvero pessim…” Kate girò bruscamente a seguire l’altra auto. Avevano recuperato buona parte della distanza anche se ancora non era abbastanza per tentare di fermarlo.
“Scusate” borbottò la detective concentrata sulla guida. “Vi conviene allacciarvi le cinture.” Sterzò bruscamente. Quel tipo la stava mettendo alla prova. Se prima aveva fatto tutto un tratto in rettilineo, ora aveva iniziato a girare quasi a ogni curva e nel mezzo del traffico di New York. Certo di notte non era intenso quanto di giorno, ma le strade erano comunque decisamente affollate.
Il sicario svoltò all’improvviso a novanta gradi, tanto che le ruote posteriori gli slittarono sull’asfalto. Doveva essere davvero un bravo pilota, visto che riprese subito il controllo della macchina.
“Ma che sta facendo??” esclamò Rick sbalordito quando lo vide fare quella manovra azzardata per entrare nel mezzo del viale pieno di auto in cui si era immesso. Lo videro iniziare a fare lo slalom tra le auto, sia tra quelle che venivano in un senso sia che nell’altro. “Si sta allenando per la prossima corsa NASCAR??” Kate tentò di seguirlo, ma dovette frenare all’improvviso quando un grosso camion tentò di passare. Lo stridore di freni li accompagnò fino ad un palmo dal tir. Kate gli suonò con il clacson impaziente e quello rispose con altrettanta forza.
“Dannazione” sentì mormorare dietro di sé un irritato Tully. Finalmente riuscirono ad aggirare l’ostacolo. Pensavano di aver già perso l’auto nera, quando la videro alla fine della lunga strada davanti a loro. “Se non fosse che sta scappando, quasi quasi direi che ci sta aspettando…” ghignò Alex quando ripartirono all’inseguimento.
Continuarono così per quasi un quarto d’ora. Il sicario faceva lunghi tratti rettilinei in cui riuscivano a recuperare diversi metri, fino a portarsi dietro di lui. Poi invece iniziava a svoltare in ogni strada che gli capitava. All’improvviso il killer tirò fuori la pistola dal finestrino e con un colpo fece scoppiare la ruota davanti di un’auto che stava superando. Aggirarono la macchina per un pelo passandole di lato, mentre questa si fermava malamente e lateralmente davanti a loro. Finalmente entrarono in una zona meno frequentata, ma ad un angolo lo persero di vista.
“E ora dov’è finito?” esclamò nervosa la donna.
“Frena!” ordinò Tully all’improvviso. Kate inchiodò. Nella stradina che avevano appena superato aveva visto l’auto nera ferma. La detective ingranò la retro e il più silenziosamente possibile andò a parcheggiare poco distante dall’altra macchina. Si guardarono in giro per qualche secondo. Solo in quel momento si accorsero che non era una stradina quella in cui avevano girato, ma uno spiazzo tra due container. Erano al porto, nella zona dei magazzini. Probabilmente non lontano da lì c’era anche la rimessa in cui era stato torturato Smith. Avendo controllato che la zona fosse libera, Kate tirò velocemente fuori la pistola e recuperò un altro caricatore dal portaoggetti. Quindi prese il cellulare e lo allungò a Tully.
“Chiama il distretto. Digli che siamo al porto all’inseguimento di un assassino professionista e aspettiamo rinforzi il più velocemente possibile” disse Beckett. “Io e Castle intanto diamo un’occhiata in giro. Magari riusciamo a incastrarlo in qualche angolo…”
“Io e Castle?” ripeté Alex come se avesse capito male, le sopracciglia aggrottate. Kate guardò lo scrittore e sorrise.
“So già che se gli chiedessi di non seguirmi non mi ascolterebbe, perciò è meglio se lo porto con me” rispose la detective divertita. Rick annuì convinto. “Tu invece non puoi venire” continuò la donna rivolta di nuovo a Tully. “Non posso badare anche a te e ho una sola pistola. Inoltre sei ferito.”
“È solo un graffio…” cercò di protestare l’uomo, ma fu tutto vano. Beckett fu irremovibile. E la macchia rossa che si era formata sul fazzoletto attorno al suo braccio le era da supporto.
“Ti prego, Alex” supplicò alla fine. “Almeno tu, resta in auto. Chiama i rinforzi e digli divenirci ad aiutare. Torniamo fra poco, se va bene” concluse. Quindi scese dalla macchina seguita a ruota dallo scrittore, senza dar tempo a Tully di replicare ulteriormente. L’odore di salsedine li colpì subito. Stringendo i denti, iniziarono a muoversi lentamente tra i container e i magazzini chiusi. Di giorno quel posto brulicava di vita, ma la notte sembrava un posto spettrale. C’erano poche luci, ma per fortuna la luna era quasi del tutto piena e mandava un tenue bagliore che illuminava diversi anfratti altrimenti oscuri. Nel silenzio potevano quasi sentire lo sciabordio delle onde. Non dovevano essere troppo lontani dall’acqua.
Beckett camminava davanti, facendo attenzione a fare meno rumore possibile, le orecchie tese, la pistola alzata pronta all’uso. Castle era subito dietro di lei e le controllava le spalle. Il cuore di entrambi batteva a mille.
“Dove diavolo sarà andato a finire?” sussurrò la donna, quando pochi minuti dopo si fermarono di lato a un container e dietro alcune casse. “Non può essere sparito nel nulla.” Rick si guardò in giro a disagio. Quel posto non gli piaceva, ma non era solo quello. Aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato.
“Perché è venuto qui?” domandò lo scrittore a mezza voce, più a sé stesso che alla sua musa.
“Cosa?” chiese confusa Kate. L’uomo si morse l’interno della guancia.
“Perché è venuto qui?” ripeté piano.
“Magari ha un nascondiglio o qualcosa di simile” rispose la donna, voltandosi di scatto in avanti per un rumore, ma scoprendo poi solo un gatto. Rick scosse la testa.
“Non credo” replicò. Poi aggrottò le sopracciglia. “Ricordi le parole di Tully?” chiese. “‘Se non fosse che sta scappando, quasi quasi direi che ci sta aspettando’. E se avesse avuto ragione? Se quell’uomo avesse voluto portarci fino a qui? Insomma ammettiamolo” continuò inquieto senza smettere di guardarsi in giro. “Avrebbe potuto seminarci un sacco di volte prima. Allora perché non l’ha fatto? A che scopo farci arrivare qui?” Sentendo le sue ipotesi, Kate strinse con più forza la pistola. Poi, mentre Rick la guardava la donna serrare la presa sull’arma, un pensiero improvviso lo colpì e capì cosa c’era di sbagliato. “Kate” la chiamò in un sussurro. “Secondo te come è possibile che un uomo che ha colpito con un solo proiettile la ruota di un’auto in corsa, prima non sia riuscito a colpire noi che per di più eravamo fermi davanti a lui?” Si guardarono negli occhi e lo stesso presentimento passò nelle menti di entrambi.
“È una trappola!” esclamarono insieme agitati. Kate riprese a guardarsi in giro più agitata di prima. Rick invece tirò velocemente fuori il cellulare e iniziò a digitare non si sa cosa.
“Rick che fai??” sibilò la donna. “Dobbiamo andarcene su…” Un suono secco e metallico dietro di loro le fece bloccare le parole in gola. Deglutì e chiuse gli occhi. Conosceva bene quel suono. Un suono fin troppo familiare nel suo lavoro. Il rumore di una pistola che veniva caricata.

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Xiao! :)
Scusate, ma ho poco tempo, quindi vi lascio velocemente stavolta.
Inizio tranquillo, ma finale 'adrenalinico' (spero)! X)
Spero di aver reso bene l'inseguimento... Nella mia testa era abbastanza spettacolare, ma ovviamente no potevo mettere gli effetti speciali purtroppo... i problemi dei film mentali! XD
Boh spero vi sia piaciuto! :) Fatemi sapere che ne pensate (al solito in bene o male non mi offendo!)! :D
A presto!! :D
Lanie
ps: un momento... storia seguita da 33 persone???? MA IO VI AMO!!!
  
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