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Autore: Rexam    02/09/2012    2 recensioni
"Nessuno mi ha riconosciuto sotto la maschera dell'identità con gli altri, nè ha mai saputo che ero maschera, perchè nessuno sapeva che a questo mondo esistono i mascherati. Nessuno ha supposto che a mio lato ci fosse sempre un altro che in fondo ero io. Mi hanno sempre creduto identico a me stesso. Ma la maschera che finora ho assunto con inerzia, quella maschera che parlava all'angolo della strada con un uono senza maschera in quella notte senza tempo, ha teso la mano nel chiarore di luna che si andava offuscando...". Questa storia tratta di maschere, di inganni, di bugie, di diversità, di solitudine, di tristezza, di disprezzo, di pregiudizi, della semplice quanto ardua ricerca della felicità. I toni sono, a volte, volutamente mandati all'eccesso per la necessità di rappresentare un lungo apprendimento interiore in un piccolissimo capitolo. Tuttavia le situazioni in cui viene a trovarsi il protagonista sono, per quanto possibile, verosimiglianti. I nomi usati sono nomi comuni, per sottolineare il fatto che il protagonista di questa storia potrebbe essere un Marco, un Antonio o un Simone qualsiasi.
Detto questo, vi auguro buona lettura.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 1: La dolceamara verità

Marco stava piangendo. Afflosciato sulla scrivania con il viso immerso fra le braccia incrociate. Il computer era acceso davanti a lui. La fioca luce dello schermo illuminava i suoi riccioli ribelli che cascavano elegantemente sulle spalle.
«Non c’è più alcun dubbio…» si disse. Cercò di riprendere il suo autocontrollo, rizzandosi sulla sedia logora. Rivoli di lacrime rendevano il suo volto estremamente inumano. L’aspetto di sempre, quello del ragazzo sveglio, attento e studioso aveva lasciato posto ad una espressione di sgomento. Gli occhi marroni erano vitrei, le sopracciglia inarcate.
Volse lo sguardo in basso, verso la sua mano. Tremava. Non riusciva a rendersi conto di trovarsi di fronte a ciò che, alla fine, aveva sempre saputo. Da almeno undici anni. Si sentiva uno stupido. Preso in giro da se stesso per tutto questo tempo, senza che lui in persona si accorgesse di nulla.
«Non può essere davvero così... Non… Non può essere… Non io!».
Il suo cuore era in frammenti, calpestato al suolo da una bugia creata da questo mondo trasformista. La sua anima era integra, ma chiedeva la morte. Era come se tutto il suo spirito si fosse svuotato. Come se fosse rinato. Come se un puzzle antico fosse stato finalmente completato e ogni tassello fosse finalmente al proprio posto. Quello giusto. Quello che gli spettava veramente. Il cuore era stato debole e non aveva retto alla vista del mosaico completo, alla cruda immagine mostrata da quel dipinto ridotto in cocci. E le lacrime avevano iniziato a scendere copiosamente. La gola sussultava. La realtà sembrava così distante in quel momento. Non c’era che lui. In tutta la sua interezza. Solo Marco, niente di più, niente di meno.
Si alzò dalla sedia e iniziò a camminare nervosamente per la sua stanza. Era davvero possibile una cosa del genere? Non aveva senso. Non aveva senso. Decise di sedersi a terra. Forse ciò lo avrebbe aiutato a riflettere con maggiore lucidità. Si rannicchiò in un angolo della sua stanza bianca, di fianco al grande armadio marrone. Le braccia stringevano saldamente le gambe portate al petto. Cosa fare? Cosa pensare? Non resistette in quella posizione per più di cinque minuti, tanta era l’agitazione. Una scoperta come quella poteva distruggerlo. Ritornò alla scrivania e si sedette nuovamente. Digitò su un motore di ricerca quelle parole che, fino a poche ore fa, aveva avuto paura perfino di pronunciare.
Tutti zitti, adesso. Silenzio, ora. Comincia.
Cascate di risultati piovvero davanti al suo sguardo mezzo attonito come un macigno. Persone che pensavano esattamente quello che pensava lui. Ragazzi che sentivano esattamente quello che sentiva lui. Non era il solo. Eppure, eppure … In tutto questo si sentiva un mostro. Come Quasimodo rinchiuso in Notre-Dame, perché il suo aspetto non venga rivelato e la sua mostruosità non possa mai scandalizzare una società meschina. Ecco, in quel momento, Marco aveva appena creato la sua cella di cristallo. Un posto da cui guardare la vita, ma non esserne mai partecipe. Almeno fino al momento in cui non avrebbe deciso di evadere da quella prigione di anime dannate, desiderose del cielo e morenti invece qui sulla Terra.
Il suo lucido occhio si posò all’improvviso su un sito internet in cui era pubblicata una lettera di uno studente. «Proprio come me», pensò. Era una lettera tristissima. Si soffermava su tutto il percorso che questo ragazzo aveva dovuto affrontare per essere felice. Per essere vero.
Marco si sentiva esattamente così. Poteva percepire la maschera che aveva portato fino a quel momento con inerzia. Un artificio della mente. Notevole davvero. La sua stessa mente aveva eretto delle barriere per proteggersi, e per questo aveva incernierato il vero volto dell’uomo in un viso di plastica. Ora riusciva a vederlo. La maschera era attaccata alla pelle. L’aveva indossata per troppo tempo. Stava diventando la sua vera faccia. Cercò con disgusto di toglierla, di poter dare una piccola occhiata all’angelo celato dall’altra parte, ma il dolore era troppo grande. Era ancora presto per un simile cambiamento. Forse ne era consapevole, forse no. Nemmeno lui lo sapeva.
Le lacrime erano finalmente cessate. Avevano lasciato il posto alla rassegnazione. Non c’era nulla da fare. Marco stava rivivendo gli ultimi undici anni della sua vita come un rapidissimo flash. Quanto era stato ingenuo. Si sentiva uno stupido. L’ultimo a capire le cose.
Non riuscendo  a contenere quel torrente di emozioni che turbinavano dentro di sé, aprì d’istinto un documento di testo dal computer e iniziò a scrivere quello che sentiva. A mettere un po’ d’ordine nel caos. Buttò giù alcune righe. Non sapeva perché lo stava facendo. Sapeva solo che lo sentiva necessario. Per comprendere. Per comprendersi. Cercò di ripercorrere ogni istante di quegli ultimi minuti, a partire dal momento in cui tutto aveva avuto inizio. La scintilla che era scattata dentro di lui. Non riusciva a ricordare quell’istante con esattezza. Era stata una presa di coscienza, il momento nella sua mente era chiaro, ma nel mondo reale era confuso, distorto. Quando ebbe finito salvò il documento e lo chiuse. Aveva paura di riaprirlo. Ora quella manciata di frasi e forme senza senso rappresentavano un Vaso di Pandora. Se lo avesse aperto per conoscere cosa vi era nascosto, avrebbe liberato anche tutte le altre emozioni e le paure spaventose. Avrebbe lasciato libera tutta la sua imperfetta umanità.
Marco si sentì improvvisamente esausto. Decise di andare a dormire, anche se non aveva sonno. Voleva sgombrare la mente, e, magari, il giorno successivo avrebbe visto le cose con maggiore chiarezza. Diede rapidamente la buona notte ai suoi coinquilini, badando bene a non mostrare il viso, ancora rosso dalle lacrime, e si infilò fra le morbide coperte. I sui riccioli si schiacciarono sul cuscino.
«Non posso essere davvero gay» pensò prima di addormentarsi.
  
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