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Autore: Daughter of the Lake    02/09/2012    1 recensioni
Susan, derelitta, sola, ma determinata a sopravvivere, deve adesso fare i conti con la perdita di tutta la sua famiglia. Che cosa ha in serbo il destino per lei? Riuscirà a permettere al suo cuore di riaprirsi a nuove possibilità?
E in più, perché smise di credere in Narnia?
Lo scoprirete solo leggendo...
Dal Prologo
Doveva provarci, doveva riuscire a tornare indietro.
Fece qualche passo, fino a ritrovarsi di fronte ad esso, quel portale per un altro mondo.
Ci entrò, stando attenta a non chiudersi a chiave. Con lo sguardo fisso sulle porte, indietreggiò, come, ricordò, aveva fatto Lucy la prima volta.
Sbatté contro la parete di fondo.
Ci sbatté di nuovo.
E di nuovo.
Poi si girò e ci ribatté ancora, con la fronte.
Poi la prese a pugni.
Picchiò, picchiò e picchiò, ma la parete era sempre lì.
Infine si lasciò cadere a terra, sul pavimento dell'armadio, con la testa appoggiata alla maledetta parete che non voleva sparire. Sentì qualcosa scivolarle da sotto il pullover, che ancora non si era tolta da quando erano tornati indietro, tutte quelle ore fa.
[...] facendo luce sul foglietto di carta che le era caduto per terra.
[...] Sembrava pergamena di Narnia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Susan Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

 

Una fine

o

Un nuovo inizio

 

Inghilterra

Nove anni dopo.

(Cameriera)

Susan era stanca.

Cameriera....doveva lavorare come cameriera, lei così intelligente, lei che una volta era stata regina.

Ma quello non era il peggiore dei suoi mali; dalla morte di tutti i suoi cari in un incidente ferroviario, lei era completamente sola: una giovane donna piena di potenzialità colpita da un destino troppo grande da sopportare, che le faceva sentire di avere non ventuno, ma cento anni.

Era molto desolata, Susan.

Non aveva più nessuna speranza per il futuro.

Il dolore l'aveva sommersa; tutto, intorno a sé, era grigio, vuoto, senza nessun senso.

Non aveva più nessuno; gli unici parenti rimastele erano i suoi zii, Harold e Alberta, ma, anch'essi essendo distrutti per la morte del loro unico figlio, non le erano di molto conforto.

Le sue giornate, nei mesi successivi alla catastrofe, in seguito al deprimente funerale, si susseguivano tutte uguali l'una dopo l'altra: si svegliava alle sei del mattino per recarsi a servire la colazione in un caffè nella periferia di Londra, prendendo e cambiando autobus due volte; lì, essendo la più giovane, era sottoposta agli ordini e alle gelosie dei colleghi più anziani, ed essendo anche bella, era costretta a sopportare i palpeggiamenti e le malizie dei rozzi clienti, accompagnati dalle risate e dagli ululati del resto dei presenti, entrambi, personale e clienti, senza curarsi di chiedere se per caso quegli abusi di potere o quelle inopportune attenzioni erano gradite o no alla giovane e bella ragazza.

Staccava alle undici, per poi subito recarsi in un ristorante vicino a servire invece il pranzo, dopo aver fatto un magro pasto anche lei, offertale insieme al salario. Alle tre e mezzo finiva il turno; da lì andava direttamente a casa, tranne un paio di volte alla settimana che dedicava alla spesa, per riposare almeno un paio d'ore, ore che spendeva fissando il vuoto, o rileggendo il solito stupido pezzo di carta....

Ritornava al ristorante alle sei e staccava alle dieci.

Aveva bisogno di più soldi possibile, se voleva raggiungere il suo scopo.

(In loro memoria)

Aveva deciso che non poteva più stare lì, in quella casa, in quella città, in quel paese; era assalita dai ricordi, dai rimorsi, tormentata dai fantasmi della sua famiglia, distrutta così improvvisamente, così inaspettatamente, in modo così travolgente, spegnendo anche chi aveva ancora tanti anni davanti a sé...

Mamma, papà, Peter, Edmund, Lucy, Eustace, Jill, Professor Kirke, zia Polly...tutti andati in un posto in qui lei non poteva andare.

Aveva pensato (oh se ci aveva pensato!) che forse quello non era un posto del tutto inaccessibile... ma era andata avanti.

Sarebbe andata avanti: i suoi non avrebbero voluto che rinunciasse alla sua vita. Questo era la spiegazione che si dava. Va avanti e fatti forza. Per loro.

Non c'è nessun altro motivo.

Dopo tutto questo tempo non poteva ancora credere nelle favole.

Niente di tutto quello è vero, non devi permetterti di contarci troppo, guarda a quanto ha portato finora.

E così si sarebbe trasferita, per lasciarsi tutto alle spalle.

Conta su ciò che hai, non su quello che potresti avere...non c'è più niente per me oltre questo. Vivo soltanto in loro memoria e per nient'altro.

Quasi ci credeva. Quasi. Ma ne riparleremo dopo.

(Cambiamento)

I soldi lasciatile dai genitori, più quelli che era riuscita a racimolare in quei duri mesi di lavoro, più quelli ricavati dalla vendita della casa, potevano consentirle di andare in America, dove già era stata anni prima con i suoi un'estate, e affittare un appartamento a New York: prevedendo che in seguito ai costi del viaggio e dell'affitto non le sarebbe rimasto molto, sapeva che avrebbe dovuto lavorare anche lì. Lo accettava, ma almeno avrebbe cambiato aria, lontana fisicamente dalle nove tombe cui faceva visita ogni settimana, di domenica, che le prosciugavano sempre di più il colore dalle guance, le inumidivano troppo spesso gli occhi e le impedivano di mangiare o dormire, e lontana dal suo passato.

Aveva bisogno di quel cambiamento, se voleva sopravvivere.

(Punto della situazione)

Quel giorno di inizio gennaio era stato particolarmente arduo da sopportare, a lavoro; si stupiva della volgarità e stupidità di certi uomini.

Rientrando in casa, sua per soli altri due giorni, si sfilò il cappotto, la sciarpa e il cappello, e si calò pesantemente sul divano, chiudendo un momento gli occhi.

Susan era stanca.

Riaprendoli si trovò davanti i soliti sorrisi, sul caminetto, che la tormentavano costantemente e sembravano rinfacciarle lo stato attuale delle cose: il fatto che quelli erano gli unici loro sorrisi che avrebbe mai più visto.

Quasi era troppo spossata per salire le scale e andare a letto, ma riuscì a racimolare un po' di forze e ad incamminarsi. Attraversò il salotto, salì le scale e percorse i corridoi quasi in trance, in modo automatico, facendo di tutto per non guardarsi intorno ed estraniarsi dal luogo.

Infilatasi sotto le coperte, sola e al buio, si raggomitolò su un lato e, visto che prevedeva di non addormentarsi tanto presto o di non addormentarsi affatto, fece il punto della situazione.

Tutte le cose dei suoi genitori e dei suoi fratelli erano state donate in beneficenza, ciò che si sarebbe portata in America, comprese le vecchie fotografie, era già quasi tutto impacchettato: mancavano solo gli ultimi vestiti messi a lavare e la foto di famiglia sulla mensola del caminetto; i mobili e arredamenti della casa li lasciava, ovviamente non poteva portarli con sé.

Quello era stato il suo ultimo giorno da cameriera.

Fortemente (inconsciamente), desiderava che, una volta iniziata una nuova vita all'estero, tutto sarebbe migliorato; non sapeva se sarebbe mai guarita dai tragici eventi che avevano caratterizzato la sua vita, a partire dal dover abbandonare quella che per quindici splendidi anni era stata la sua casa, Narnia, insieme a tutto ciò che aveva lasciato là, per passare per quel lungo periodo in cui aveva cercato di andare avanti, non compresa da quei fratelli che non si erano mai accorti di nulla, fino ad arrivare all'incidente: con quello aveva toccato sicuramente il fondo.

Ma adesso si apprestava un nuovo inizio.

(Insonnia)

Non pregava, Susan, non più. Dio non le era mai venuto in aiuto: lei aveva aiutato se stessa. Quindi non pensò di pregare, per trovare la forza di andare avanti, ma si limitò a chiudere ancora più forte gli occhi e a cercarla dentro di sé, la forza. Quando le sembrò di averla trovata, ricordò la sua fonte, e la scacciò via. No. Non devi sperare questo. Tutto è una bugia.

Faticò ad addormentarsi , come ogni notte; dormì male, come ogni notte.

Buffo ciò che accade se siete in casa da soli ed ogni ombra, ogni rumore, cigolio o fruscio che fosse, provochi l'immaginarsi di persone che si muovono nella stanza accanto o di occhi che ti fissano nell'oscurità: erano sempre occhi familiari, delle persone che aveva perso; spesso le sembrava la chiamassero, le parlassero, le dicessero cose già sentite...

<< A stasera...a stasera>> << Non sembri più tu...>> <>

Allora si premeva il cuscino sulle orecchie, ma non serviva a nulla.

Le voci erano nella sua testa.

Quella notte dormì male, come ogni notte.

(Una fine)

Il giorno dopo, l'ultimo, si recò al cimitero e ci restò per qualche ora, sfogandosi nell'ultimo pianto, assicurandosi che i fiori posti sulle tombe fossero abbastanza freschi, e dicendo addio.

Addio a tutti voi. Vi amo, anche se non ve l'ho detto spesso, egoista che sono.

Fu di grande commozione per tutti i passanti, vedere quella povera ragazza, così giovane e carina, eppure così triste, rivolgersi a così tante tombe, poste in fila le une accanto alle altre.

Di seguito andò dagli zii, che abitavano appena fuori città.

Sull'autobus teneva lo sguardo sempre posato sul paesaggio circostante, ma senza vedere nulla.

Sorprendentemente i suoi unici parenti furono piuttosto dolci e amorevoli, le diedero grandi raccomandazioni, la zia scoppiando anche in lacrime e abbracciandola per la prima volta come una figlia, lo zio posandole un bacio sulla fronte, entrambi provati e scossi, come lei, ma in via di ripresa...come lei (o almeno lo sperava).

Gli addii furono oltremodo sinceri, e li fece anche giurare di venirla a trovare, quando se la fossero sentita, magari fra qualche anno: accettarono con calore, ma sembravano dubbiosi. Lei fece finta di non accorgersene, e li lasciò con vero dispiacere; ma non pianse, doveva essere più forte di quanto lo era stata prima.

La sera, nella sua vecchia casa, sistemò le ultime cose, lasciando le chiavi per i nuovi proprietari, che sarebbero arrivati il giorno dopo, sotto lo zerbino; poi si mise a girare per la casa, e ad ogni punto le veniva in mente un aneddoto a lui collegato: su quel tappeto Lucy mosse i primi passi, su quella credenza Edmund prese la foto del padre per portarla nel rifugio durante i bombardamenti, su quelle scale Peter si ruppe un dente, da quella porta uscì il loro padre per andare in guerra, in quella cucina la madre cucinava i suoi manicaretti (le sembrava quasi di sentire ancora il loro odore)...entrò in ogni camera, cercando di ricordare anche tutti gli altri odori familiari, come quello delle sigarette del padre o del dopobarba del fratello, aprì gli armadi vuoti, toccò le coperte su cui avevano dormito, afferrò il vecchio orsetto di Lucy ancora sul suo letto...infine si sedette in mezzo alla sua stanza, che un tempo divideva con la sorella, abbracciando quel pupazzo di stoffa, unica cosa rimastele di lei, premendo il viso contro di lui (il pupazzo).

Il giorno dopo sarebbe partita, per non tornare mai più; dal giorno dopo quella non sarebbe stata più la loro stanza.

Fine. Questa era la fine della prima parte della sua desolante vita.

(Un nuovo inizio)

La mattina dopo, alla luce di un tenue sole, raro in Inghilterra, soprattutto in quel periodo dell'anno, si fermò di fronte alla sua casa, nel giardino freddo e morto, e, mentre i facchini trasportavano le sue valigie in macchina, le disse addio. Addio vecchia, cara, maledetta casa pensò.

E al pari, quando salì sulla nave che l'avrebbe condotta via, nel porto di Londra: Addio vecchia, cara, maledetta città.

Quello era un nuovo inizio.

 



























Note dell'autrice

Questo primo capitolo è anche quello che è meno cambiato rispetto alla prima versione ( e il più corto finora), ma lo stesso ha visto anche lui un po' di revisione!

Per chi mi ha seguito precedentemente potrebbe sembrare quasi uguale, ma in realtà è diversa per dei particolari (o indizi) importanti che ho lasciato qua e là...

Fatemi sapere se vi piace (mi rivolgo a tutti), e anche se mi scoccia dirlo, a volte è un po' frustrante non avere del tutto delle recensioni, quindi preferirei averne almeno due (almeno) prima di postare il prossimo capitolo...mi accontento anche solo di un “Va bene, bello!” o un “Fa schifo, smettila di scrivere!”

Ma per favore fatelo, please!

Alla prossima,

Clady (Daughter of the Lake)

   
 
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