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Autore: IlariaJH    02/09/2012    9 recensioni
Appena tirata su, la colazione perde tutta la sua importanza. Non sento più l’odore di brioches e caffè. Non presto nemmeno attenzione al mio stomaco che continua a brontolare dalla fame. Sono seduta davanti all’attore per cui ho una cotta da quando avevo sedici anni. Sono seduta davanti a Josh Hutcherson.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: PWP
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I’ve got a feeling

 

                                                                                      All these years I've been wandering around the world,
                                                                                     Wondering how come nobody told me
                                                                                     All that I was looking for was sombody
                                                                                     Who looked like you.

                                                                                                                  The Beatles – I’ve got a feeling
 

 
 
Il mio corpo si blocca. Non risponde ai comandi. Solo il mio stomaco continua a protestare dalla fame. Avrò sognato questo momento un sacco di volte! Me lo immaginavo su un tappeto rosso, magari mentre lui faceva la sua entrata trionfale alla premiere del mio ultimo film. O magari dopo avermi tirata sotto con la sua macchina e, vedendomi ferita, si innamorava perdutamente di me. Di certo non così: con i postumi di un qualcosa che non ricordo, dopo essere stata a letto, da cosciente, per due giorni, con i capelli tutti scombinati e lo stomaco che protesta tanto forte che sembra che stia passando un trattore. Sento il mio cuore che martella contro il petto minacciando di uscire dalla sua postazione. Non oso nemmeno immaginare la mia faccia da ebete. Molto probabilmente con la bocca spalancata e gli occhi da maniaca. Fortunatamente non sembrano esserci specchi a portata di sguardo, anche se non credo che i miei occhi risponderebbero all’ordine di scrutare la stanza per capire dove mi trovo. Vedo comparire sul suo viso un mezzo sorriso. Di sicuro mi sta prendendo per pazza. Cerco di prendere aria, ma mi sembra di aver dimenticato come si respira. Faccio una fatica immensa solo per riuscire a sentire le poche parole che escono dalle sue labbra.
«Credo che il tuo stomaco sia un po’ stufo di aspettare la colazione» dice sorridendo.
Cerco di muovermi, ma il mio corpo continua a non rispondere. Vede che sono un po’ in difficoltà, perciò prende la brioches nel vassoio e me la porge sorridendo. Finalmente la mano decide che è ora di muoversi e la vedo afferrare la brioches e portarmela alla bocca. Inizio a masticare avidamente, ma i miei occhi non vogliono staccarsi dal viso di Josh. Lui continua a sorridermi, e sembra quasi divertito. Di sicuro non ha ancora ben chiaro che il problema è proprio il suo sorriso. Quel sorriso che ho sognato da sempre. Quel sorriso dolce che ho visto apparire per anni nei film, nelle riviste e nei poster che ricoprivano le pareti della mia stanza. Sono quasi tentata di chiedergli di smetterla di sorridere, ma la mia bocca è ancora impegnata a riempirsi avidamente, come se non vedessi cibo da mesi, e perciò evito di fare figuracce inutili davanti al mio mito. Quando finisco di ingozzarmi cerco di staccare il mio sguardo dal suo e, incredibilmente, i miei occhi decidono di obbedire. La stanza è grande e arieggiata. La pareti sono dello stesso blu azzurro del soffitto. Un grande armadio di legno scuro è posizionato da un lato del letto, mentre dall’altro un grande tappeto blu notte copre il pavimento di legno dello stesso colore scuro dell’armadio. Sempre dallo stesso lato c’è una grande finestra con le serrande alzate per metà, le tende tirate e vicino una porta chiusa che mi incuriosisce un po’. Di fronte al letto c’è poco spazio e una porta aperta che conduce al bagno, nell’angolo vicino alla finestra vi è una scrivania con un computer portatile e un sacco di cianfrusaglie e fogli. Nel complesso la stanza è abbastanza ordinata, a parte qualche paio di scarpe, di cui uno da donna, lasciate sul tappeto in disordine. Josh deve essersi accorto che il mio sguardo si è fermato interrogativo sulle scarpe da donna.
«Quelle sono tue» dice, e nel suo tono trovo lo stesso divertimento di quando mi aveva chiesto se ero interessata a sentire la storia di come ero arrivata qui «Te le ho dovute togliere per metterti a letto»
Solo in quel momento mi rendo conto che addosso non ho più i miei vestiti ma una maglietta bianca a maniche corte, che mi sta decisamente larga, e un paio di pantaloni del pigiama da uomo. Mi porto la mano al seno e lo sento ancora fasciato dal reggiseno imbottito. La mia preoccupazione si allevia un po’ anche se la testa ricomincia a farmi male. Non ricordo come ci sono arrivata in questa camera da letto, né cosa diavolo ho combinato per arrivarci.
«Ok, questo è troppo…» bisbiglio tra me e me.
Josh sente quel bisbiglio e si siede su una poltrona accanto al letto che prima non avevo notato.
«Se hai voglia di starmi a sentire, ti racconto come sei finita in camera mia»
Quasi mi prende un infarto. In camera di Josh Hutcherson. Sento che tutto inizia a girare, perciò mi siedo sul letto, ma la testa continua a farmi brutti scherzi. Mi sdraio, mi tiro la coperta fin sotto il naso e lo guardo negli occhi, ancora troppo scioccata per rivolgere a lui anche solo un monosillabo. Vedendo che non tiro su obbiezioni alla sua proposta si mette comodo, accavalla le gambe e inizia a raccontare.
«Quando la sera non ho niente da fare, mi piace andare al bar che c’è all’incrocio in fondo alla strada. E’ tranquillo e nessuno mi disturba. I paparazzi hanno perfino smesso di seguirmi. Ormai hanno capito che quando esco, quella è la mia unica meta.» Mi chiedo se sono riuscita a combinare un così grosso pasticcio da rendergli difficile perfino raccontarmelo, ma non lo interrompo. «Sono entrato e, come al solito, mi sono seduto nell’angolo più lontano, in modo che resti difficile vedermi. Mi piace sedermi lì e guardare la gente. Il barista mi ha portato da bere, come al solito. Poi la porta di ingresso si è aperta e sei entrata tu, in compagnia di un’altra ragazza. Mary, giusto?»
Rimango un po’ sorpresa. Come diavolo fa a sapere il nome di Mary? Sto quasi per chiederglielo, ma lui mi blocca.
«Più avanti si spiega tutto» dice con un sorriso. «Vi siete dirette al bancone, avete ordinato da bere e poi avete iniziato a parlare e a ridere. Un paio di ragazzi vi hanno avvicinate. Uno di loro era particolarmente interessato a Mary, mentre l’altro si guardava attorno annoiato. Non capivo cosa si stessero dicendo, ma tu lanciavi delle occhiate nervose alla tua amica.»
Improvvisamente mi torna in mente la scena. Avevamo preso il pullman dal college, quella mattina, decise a visitare Los Angeles. La sera, però, avevamo perso l’ultima corsa e quindi saremmo dovute rimanere in città tutta la notte. Era impensabile tornare a piedi, visto che il college era ad un’ora di macchina. Avevamo trovato un bar che sembrava molto carino dall'esterno ed avevamo deciso si entrare. Mary non voleva darmi ascolto. Lei voleva divertirsi e non pensava che, invece, avremmo dovuto cercarci un posto per dormire. Avevamo ordinato da bere. Ormai avevo deciso di lasciar perdere il fatto che, se la serata avesse proseguito così, ci saremmo ritrovate a dormire per strada, visto che non volevo litigare con Mary. Poi due ragazzi si erano avvicinati. Il primo, che era palesemente interessato a Mary, dopo qualche drink ci aveva chiesto se volevamo uscire con loro. Mary era entusiasta. Mark, così aveva detto di chiamarsi il ragazzo, era Newyorkese ed era simpaticissimo. Ma io non ero d’accordo. Non volevo andare via con due sconosciuti. Io e Mary avevamo iniziato a litigare.
«Non puoi andare via con uno sconosciuto solo perché è Newyorkese!» le avevo detto, arrabbiata.
«Sei peggio di mia mamma!» mi aveva sbuffato contro lei «Sono maggiorenne, perciò non sarai certo tu a impedirmi di andare via.»
«Bene allora. Visto che sei maggiorenne vai pure con loro. Io però rimango qui.»
«Bene.Ci vediamo al college.»
Avrei voluto gridarle dietro che poteva anche trovarsi un’altra migliore amica e compagna di stanza, perché io non le avrei rivolto più la parola. Ma non lo avevo fatto. Ero semplicemente rimasta a guardarla andare via senza dire niente, e quando era sparita dalla mia vista mi ero girata verso il barista, chiedendogli di riempirmi il bicchiere del cocktail più alcolico che aveva.
Il resto, però, sembra avvolto da nebbia troppo fitta. Non riesco a ricordare niente. Perciò decido di continuare ad ascoltare il racconto di Josh che, a quanto pare, mi ha guardata per tutta la sera.
«Hai iniziato a bere e non la smettevi più. Finivi un bicchiere e ne chiedevi un altro. Eri talmente ubriaca che non ti accorgevi nemmeno che il barista iniziava a riempirti il bicchiere solo d’acqua. Poi ti sei girata verso di me. Mi hai guardato per un po’. Non credevo che mi avresti riconosciuto con tutto quello che avevi bevuto ma alla fine ti sei alzata barcollando e sei venuta verso di me. Ti sei lasciata cadere sulla sedia accanto alla mia e mi hai guardato con uno sguardo appannato. Poi ti sei messa a ridere e hai detto:“Tu sei Josh Hutcherson!” più che detto l’hai gridato, ma nessuno ci prestava molta attenzione. Non badavi neanche al fatto che io ti avrei potuta trovare, carina sì, ma un’ubriaca da assecondare. Mi hai chiesto l’autografo e dopo averti firmato un tovagliolo, tu l’hai preso e mi hai guardato. Poi hai detto:“Tu non sei Josh Hutcherson. Io sono ubriaca! Quindi tu puoi essere Josh Hutcherson almeno quanto io sono sobria!” sei scoppiata a ridere e poi a piangere. Hai appoggiato la testa sulla mia spalla e non riuscivi più a smettere. Mi hai raccontato come ci eri finita lì e mi hai parlato dei tuoi studi per diventare medico.» si ferma un attimo e sorride al ricordo. Io vorrei sotterrami. Fare in modo di sparire dalla faccia della terra. Penso a tutto quello che ha raccontato, e mi sento arrossire di vergogna. Lui vede il mio rossore e decide che è meglio proseguire nel racconto.
«Ad un certo punto hai smesso di parlare. Io non sapevo che fare, quindi ti ho chiesto di raccontarmi della tua vita al college ma ti eri addormentata. Ho provato a svegliarti, ma non ne volevi sapere. Borbottavi che avevo una spalla molto comoda e che non volevi tornare nel mondo reale. Mi sono preoccupato, così ho chiamato un taxi, ma dato che non sapevo che college frequentavi e tu non avevi intenzione di dirmelo, ti ho portata a casa mia. Sei arrivata qua, ti ho tolto le scarpe, ti ho spogliata, rivestita e messa a dormire. Non ti sto a raccontare come hai passato la prima notte! Ero indeciso se farti la doccia o meno, ma poi sei stata meglio.»
Quando finisce di parlare mi guarda attentamente per vedere la mia reazione. Comincio a sperare che qualcuno esca da sotto il letto gridando che è uno scherzo, ma nessuno lo fa. Mi sento piena di vergogna e vorrei uscire da quella camera gridando a squarcia gola. Lui continua a fissarmi con un mezzo sorriso e mi viene voglia di prenderlo a ceffoni. Ma poi una domanda si fa strada nella mia mente e non riesco a fare in modo che non le venga data voce.
«Non mi stai prendendo in giro, vero?» chiedo, ancora con la speranza che qualcuno esca da sotto il letto.
Scoppia a ridere, e penso che, nonostante io l’abbia visto ridere per anni nelle interviste, vederlo ridere di persona sia tutta un’altra cosa. Potrei quasi sciogliermi sapendo che sta ridendo per qualcosa che ho detto io. Sento un sorriso spuntarmi in viso e sono sicura, al cento per cento, che è uno dei miei sorrisi più ebeti.
«No.» dice sorridendo «Ma ora mi togli una curiosità?»
Annuisco, ancora imbarazzata.
«Sei davvero italiana?»
Mi sento un po’ spiazzata. Con tutte le cose che poteva chiedermi, questa non me l’aspettavo per niente. Lo guardo per un attimo che a me sembra infinito. Il sorriso divertito che non l’ha ancora abbandonato da quando ha iniziato a raccontare la storia di come sono finita in camera sua e con i suoi vestiti, gli occhi che brillano di sincera curiosità, i capelli spettinati e in disordine e la tuta da casa composta da una maglia bianca come la mia che gli mette in risalto i muscoli e una tuta nera stretta alle caviglie con le ciabatte di lana e senza calze. Mi sembra ancora più sexy di quando lo vedevo nelle interviste in cui vestiva casual con jeans, maglietta e giacca di pelle. Cerco di riprendermi prima che un impulso, non del tutto sbagliato, mi spinga a saltargli addosso.
《Sì, sono italiana. Sognavo di venire a studiare in America da quando avevo quindici anni. Voglio diventare medico. L’anno scorso ho ricevuto una borsa di studio e ho mandato alcune domande nei college americani. Io volevo andare a New York, ma lì le rette sono troppo alte e non ce lo potevamo permettere. Così ho optato per Los Angeles, e non ho fatto così male…»
Non so se capisce che l’ultima frase è riferita a lui, ma sorride e la mia mente si svuota di nuovo. Se ne accorge, e comincia  a ridere.
«Scusa»
«No, non ti devi scusare. E’ che ho passato anni a guardarti sorridere nei film, nelle interviste e nelle foto, quindi mi fa un certo effetto»
Sono un’idiota. Sono una completa idiota. Ho appena detto a Josh Hutcherson che gli sbavo letteralmente dietro. Quindi ora, oltre al credermi un’ubriacona che non regge l’alcool e piange sulla spalla degli sconosciuti raccontando le proprie disgrazie, mi crederà anche una di quelle fan che impazziscono davanti al computer guardando le foto e i video degli attori famosi e che progettano matrimoni e bambini che non esisteranno mai. Ma, quando mi sorride, non c’è pena né compassione sul suo viso. Non c’è imbarazzo né voglia di uscire in fretta da quella camera pur di non passare altro tempo con me. In effetti, non riesco a capire cosa ci sia in quel sorriso oltre alla gentilezza che ho sempre creduto lo caratterizzasse.
«Quindi…» dico cercando di levarmi l’imbarazzo di dosso «Immagino che adesso che sono tornata in me chiamerai un taxi e mi rimanderai al college, vero?»
L’ipotesi mi spaventa. Non voglio tornare in quel college. Non avevo amici oltre a Mary, e ora che lei è scappata con il ragazzo Newyorkese, mi sembra che lì non ci siano ragioni per tornare. E’ vero, devo tornare per studiare. Non riesco nemmeno a immaginarmi mentre chiamo mio padre dicendogli che voglio tornare a casa. Ho sempre descritto l’America come l’unica mia vera possibilità di trovare casa. Ora che sono qui non permetterò ad una sciagurata di rovinarmi i sogni di una vita.
«In realtà,» dice distogliendo, per la prima volta da quando abbiamo iniziato a parlare, gli occhi da me «volevo invitarti a cena con me una di queste sere, ma se preferisci tornare al college…»
Sento che la mandibola potrebbe cadermi a terra dallo stupore e, preoccupata all’ipotesi, cerco di non aprire la bocca. Lo fisso incredula. Non riesco neanche a formulare una frase per rispondere. Ho perso la capacità di parola e di formulazione delle frasi. Il mio cervello ha staccato la spina e, come nei cartoni animati, ha fatto le valige e ha preso il primo volo per chissà dove. L’unica cosa che riesco a fare è impormi di non aprire la bocca ed evitare di spalancare gli occhi per la sorpresa. Ero riuscita a farmi le più assurde fantasie su Josh Hutcherson, ma me le ero fatte sapendo che erano solo fantasie. Che non si sarebbero mai avverate. Il mio cervello decide che forse partire non è una buona scelta e riesco a mettere insieme tante lettere da riuscire a formare una parola. La più stupida, in effetti.
«Cosa?»
«Hai capito…» mi dice un po’ imbarazzato, ma alza lo sguardo su di me e lo ripete «Ti va di venire a cena con me una di queste sere?»
 

 
SPAZIO AUTRICE
 

Ok, ecco il primo capitolo. Spero vi piaccia!
Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno lasciato le recensioni sul prologo. Mi avete veramente emozionata e siete stati fantastici, grazie <3  
Spero che andando avanti con i capitoli la storia vi piacerà sempre di più!
 
Un bacio grande, grande a tutti e al prossimo capitolo!    

  
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