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Autore: Stukas are Coming    03/09/2012    2 recensioni
Una storia completamente diversa dalle altre, inserita nel genere Storico per motivi che presto scoprirete. Amo i boschi e e le foreste, è per questo che ho deciso di ambientarla in questi luoghi meravigliosi. Sono appassionata di storia e il periodo del nazismo è da sempre un mio grande interesse, ovviamente solo in senso storico. Spero vi possa piacere!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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3 anni dopo

 

Nel silenzio la macchina fa un rumore assordante, fastidioso.

Un gruppo di uccelletti vola via spaventati, stagliandosi contro il cielo azzurrissimo e i raggi penetranti del sole. C'è un caldo pazzesco, ma non mi lamento. Dopo il gelo che ho dovuto sopportare non c'è calore che mi dia fastidio.

Ero abituato al freddo, la Germania è tremenda in inverno, però quel freddo era diverso. Non ho mai sentito nulla di simile. C' erano dei soldati che morivano in piedi mentre camminavano e si congelavano all' istante, trasformandosi in statue che da lontano parevano degli alberi. Solo quando ci passavi vicino capivi cos' erano davvero, e ti rendevi conto che erano morti dritti sulle gambe. Che razza di temperature poteva esserci per permettere un orrore simile ? Maledetti sovietici, li ucciderei tutti. E brucerei la loro terra del cazzo. Li cancellerei dal pianeta.

Appena partiti pensavamo che sarebbe stata dura, si, ma ce l' avremmo fatta.

Poi si iniziava a camminare, a camminare senza un termine, a combattere contro una landa desolata e senza fine, e ti chiedevi cosa dovevi farci te in un posto così. A che sarebbe servito ? Sarebbe stata una lotta come quella di Don Chisciotte contro i mulini a vento.

Ma all' inizio eravamo ancora carichi e frementi di violenza, giovani e sani, e nulla pareva potesse fermarci. La famosa macchina da guerra tedesca, organizzata e perfetta come nessun' altra. Il primo periodo in effetti era così, falciavamo qualsiasi persona delle rarissime ci capitavano davanti.

Poi venne l' inverno vero, la neve, il gelo, e tutto cambiò. Non incontravamo più anima viva, e una distesa sterile e nevosa si estendeva all' infinito. Verso cosa stavamo andando ? Iniziammo a pensare che ci stessero mandando al macello ma non osavamo parlare. Però i volti dei generali li vedevamo bene, e si capiva che in testa avevano i medesimi pensieri.

Quando inizi ad arrancare nella neve che ti arriva a metà coscia, nei giorni fortunati al ginocchio, perdi i ragionamenti da maresciallo o cos' altro e inizi a rimuginare da essere umano.

Quando vedi i tuoi compagni cadere come mosche senza che siano stati colpiti da alcuna arma se non quella del gelo, cascare a faccia in giù senza fare un verso e rimanerci senza più muoversi, perdi gli ideali.

Qualcuno tentava di mettere gli amici moribondi su delle specie di barelle improvvisate e trascinarseli dietro, non riuscivano a lasciarli da soli, ma dopo un chilometro o due cadevano nella neve pure loro o mollavano le mani e lasciavano andare la corda. C' era chi piangeva, ma era pericoloso e rischiavi di diventare cieco: le lacrime si congelavano subito e diventavano come schegge di vetro.

Alla fine tutti gli ideali nazisti, l' onore eccetera, erano stati perduti. Non è nelle capacità umane conservarli in simili condizioni.

Torno alla realtà grazie ad una buca nella strada, e la neve che sento in faccia viene sostituita dai raggi bollenti del sole. Già mi sogno tutte queste cose di notte, anche di giorno grazie ma non voglio.

Comunque l' Operazione Barbarossa mi ha fruttato un' altra Croce di Ferro, e in un modo che se Hitler lo venisse a sapere mi fucilerebbe.

E' vero che ci hanno attaccati, non che siamo morti tutti. Non so chi ha dato una tale notizia, insistendo perfino che era vera.

Di colpo, dietro da un fosso, sono sbucati un mucchio di bolscevichi dannati, e ci hanno mitragliato a volontà riempiendoci di granate. Noi abbiamo risposto e li abbiamo ammazzati, ma siamo stati effettivamente annientati.

Sono rimasto io, salvato perchè un soldato colpito mi è cascato addosso e ho finto di essere morto come lui, e altri tre compreso un Obersturmbannführer. Io ero quello messo meglio perchè non ero stato colpito da nessuna pallottola, gli altri invece erano feriti. Dopo pochissimo, all' orizzonte, vidi rinforzi.

Fu in quel momento che pensai a Lia, alle sue parole. Mi vennero tutte in mente, un fiume che non potevo ignorare.

Anche se fosse vietato da quell' uomo, non potreste ribellarvi ?

Vincere la guerra è eliminare i propri sogni ? E' una battaglia contro altre persone o contro voi stessi ?

Non puoi far finta di essere stato ammazzato ?

Ricordati che, se davvero non vuoi fare qualcosa, hai il diritto di non farla.

L' ultima frase aveva frantumato gli ultimi, deboli dubbi che avevo.

Pensai freneticamente a ciò che potevo combinare, e intanto guardavo i tre soldati sanguinanti.

No, non avrei fatto finta di essere stato ammazzato, avrei fatto di meglio.

Mi domandai se non avrei sfregiato l' onore del Reich facendo un simile gesto, ma alla fine decisi: la vita è più importante. Non volevo morire solo come un cane, congelato e dimenticato. Volevo tornare a Monaco, a vivere.

No, non potevo morire là. Tutto, ma non assiderato in una terra immensa.

Così mi ero avvicinato ad una camionetta, ci avevo messo i tre uomini ed ero partito sollevando un' ondata di neve con le ruote posteriori.

I feriti mi avrebbero dato l' alibi, il più importante era soprattutto l' Obersturmbannführer. Salvandolo, a mia volta mi sarei salvato dall' accusa di aver disertato, ed essendo lui un uomo famoso e conosciuto sarei stato graziato.

Non che mi importasse così tanto di Maximilian, ma in quelle situazioni pur di tenerti stretta la vita va tutto bene.

Come previsto mi fecero un sacco di complimenti, ovviamente lui per primo, mi decorarono della seconda Croce di Ferro per la campagna in Russia e per aver riportato indietro una figura fondamentale delle Waffen-SS.

Nessuno seppe, né saprà mai, che dietro al mio gesto così eroico c' è una ragazzina sperduta in un bosco, quasi analfabeta e con una fissazione per le violette.

Sto andando appunto da lei per ringraziarla di avermi dato l' opportunità di salvarmi. Senza le sue parole non lo avrei fatto. Sarei rimasto invischiato negli ideali del Reich e non avrei pensato con una mente diversa. Sarei morto in quel posto schifoso considerandomi forse pure un martire della Germania, e ogni giorno che passa mi rendo conto che sarebbe stata l' idiozia più enorme.

Tuttavia la maledetta Russia un bel ricordo me lo ha lasciato, o meglio me lo ha sottratto: hanno dovuto amputarmi tutte le dita del piede sinistro tranne il pollice e due di quello destro. Congelamento.

Non cammino bene come prima ma pensavo peggio, non ho neanche bisogno di un bastone.

Spengo la macchina, lascio scivolare le chiavi in tasca e scendo giù. Il calore dell' asfalto bollente si sente perfino attraverso gli stivali.

La sua violetta, a quanto pare, ha davvero portato fortuna. L' ho sempre tenuta vicino in tasca, benchè io sia uno molto pragmatico e non creda a superstizioni o credenze. Ma il cuore puro di Lia mi ha garantito che, alla fine, qualche potere magico il fiorellino deve ben averlo.

Mi sono benissimo accorto che era innamorata, anche se tentava di nasconderlo. Io amore non lo provo nei suoi confronti, amore nel senso di innamoramento, ma di certo un enorme affetto si.

All' inizio mi faceva schifo, poi disprezzo, poi pena, infine ammirazione.

E devo ammettere che è decisamente carina. Forse un po' troppo spigolosa e magra, se mangiasse meglio diventerebbe un vero schianto.

Ormai conosco la strada, e penso che avrà già sentito il rumore dei miei passi. Come un vero animaletto, percepisce tutto all' istante.

Arrivato ad un certo punto riesco a scorgere il tetto coperto di erba della casetta, e gli uccelli cantano come matti. Qualcosa però non mi torna.

<< Lia ! >>

Esclamo, ad alta voce. Nessuno risponde.

Nel momento in cui sto per arrivare nel piccolo spiazzo sono certo che non ci sarà mai più una risposta.

Ripeto il suo nome a voce più alta e i pennuti volano via.

Accanto al ceppo dove si sedeva sempre, per terra, c' è un piccolo scheletro.

Accanto, una pistola.

Abituato a vedere cadaveri non mi agito, ma un' enorme tristezza mi prende.

Mi inginocchio accanto ai resti minuti, addosso hanno ancora i suoi vestiti. La mascella e parte della parte posteriore del teschio sono rotti, e capisco che si è sparata in bocca. Nelle piccole orbite ci sono due laghetti di acqua piovana.

<< Oh, Lia. Forse un orso è venuto a reclamare la tua vita e non hai voluto offrirgliela ? >>

Mormoro, guardando la pistola sopra le piccole ossa della mano. Me la immagino, una belva feroce forse l' ha ferita, e si uccide.

Controllo le altre ossa e non vedo nessun segno di aggressione. Non capisco.

Entro dentro la casetta, guardo attorno per vedere possibili ragioni del suo gesto; capito in camera da letto e vedo che il manifesto delle SS non c' è più. Il chiodo è nudo, solo un ricciolo di carta pende solitario.

Torno fuori e rovisto dentro allo zaino, in parte coperto di muffa, che c' è vicino. Qualche cosa da mangiare andata a male, le parti del suo fucile smontato, un foglietto liso e slavato, in parte mangiato da una muffetta giallognola. Sopra c' è scritto l' indirizzo che le detti l' ultima volta.

Allora capisco tutto, di colpo, e sento come un pugno allo stomaco. E' andata a Monaco ed è venuta a sapere la falsa notizia che eravamo morti.

Capire che teneva così tanto a me mi fa sentire terribilmente in colpa, come se l' avessi uccisa io.

Passo una mano sopra la sua destra, scheletrita, e con mio massimo stupore sento delle lacrime tentare di colarmi giù. Avrei tanto voluto parlarci di nuovo, mantenere la promessa di farle fare un giro a Monaco. Farle assaggiare il gelato e portarla a prendere vestiti nuovi.

Un giro se l' è fatto, è finito male.

Vorrei che uccidessero quel maledetto che ha dato la notizia imprecisa. Non si sarebbe sparata in bocca, forse, se le avessero detto che in molti erano morti ma non si aveva la certezza che tutti avessero perso la vita.

Mi sento uno schifo, e lascio andare le lacrime. Non credevo davvero fosse così innamorata.

Si, certo, una cottarella di quelle che le ragazzine si prendono sempre alla sua età. In effetti, però, ero la prima persona che vedeva da anni e anni.

Mi pento di averla maltrattata all' inizio, di averla considerata una ritardata. Era semplicemente più pura, più umana. Più vera. Io neanche lontanamente posso sperare di eguagliarla.

La vedo nel momento in cui si infila la pistola in bocca e tira il grilletto. Non posso fare nulla per lei, ormai.

Le ossicine sbiancate dal sole sono tenere, sembrano quelle di un passerotto. Non so se lasciarla così o seppellirla. Infine decido che sarà il bosco a prendersi cura di lei, e mi alzo. Ci ripenso, mi chino, stacco le violette e le dispongo sulla cassa toracica. Sto per lasciarle anche quella che mi regalò ma me la tengo. E' un suo ricordo, l' unico segno che sia esistita.

So che i suoi genitori sono stati ammazzati dai soldati nazisti, era immaginabile. Per fortuna non ci ha mai pensato.

Non ho mai capito se fosse davvero ebrea o no, poteva esserlo, non mi ha mai detto il suo cognome... O forse neanche lo conosceva. Non mi importa.

Piango ancora e quando ho finito non posso fare nient' altro se non tornare indietro.

Do un' ultima carezza sulla fronte del piccolo cranio, risistemo le violette e ripercorro il percorso al contrario, un grande peso sul petto.

 

Penso spesso a lei, a quando mi portò dallo specchio d' acqua dove mi addormentali, e mi piace immaginare le sue orbite non come componenti di un corpo morto ma come laghetti montani, che rispecchiano il sole quando c' è bel tempo, e riflettono le stelle la notte. 

   
 
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